A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

Eventuali commenti a post di questo blog non verranno pubblicati sia se offensivi per l'opinione pubblica e sia se non sottoscritti dai relativi autori. Se non avete il coraggio di firmarvi e quindi di rendervi civilmente rintracciabili... siete pregati di tesorizzare il vostro prezioso tempo in modo più intelligente (se vi sforzate un pochino magari per sbaglio ci riuscirete pure).
* * *
Ricordo ad ogni buon file l'indirizzo di posta elettronica legata a questo sito/blog: pietroperri@alice.it

venerdì 30 settembre 2022

A Peppinu, ara fortuna are carte ed a nu bieddru stoppinu (versi e non solo).



Foto a sinistra: una partita a carte tra amici nel bar/caffè di Salvatore Tuture Blasi nel 1971.

La foto è ripresa dall’archivio di Francesco Ciccio Cirillo.

Il bar/caffè di Salvatore Tuture Blasi era composto da un’ampia sala all’entrata (il vero e proprio angolo bar con doppio bancone), una piccola sala successiva dove si giocava a carte con posta la classica “consumazione” ed una ulteriore saletta dove, si dice, la gente giocasse a soldi.

Il bagno era piccolo ed alla turca.

Personalmente c’ho lavorato, da fanciullo (è stato nelle vacanze estive tra la seconda e la terza media), un paio di mesi poco tempo dopo che la gestione dello stesso fu acquisita dalla famiglia Gioffre’.

Un brevissimo periodo cui ricordo comunque sempre con piacere.

Un brevissimo periodo in cui imparai a fare persino il caffè con le micidiali macchine a bracci manuali.

Altri tempi ed altra storia.

*     *     *

Tra il materiale cartaceo che mi ritrovo in archivio trovo anche questi versi dedicati a Peppinu.

Sono riportati su un foglio fotocopiato (dattiloscritto con qualche correzione a penna) e l’originale dovrebbe risultare alquanto rovinato.

Purtroppo da questa fotocopia che mi ritrovo in mano non è possibile risalire né all’autore di questi versi né a chi fossero dedicati tali versi (di Peppinu, per fortuna, a San Fili non ne sono mai mancati) né tantomeno la data in cui gli stessi hanno preso vita.

Qualcuno vuole dire che anche tali versi siano opera del poeta dialettale sanfilese don Giovanni Gentile alias Chiacchiara... personalmente ho qualche dubbio (ma non eccessivamente grande). Dopotutto a San Fili negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso sembra si dilettassero in tanti - tra i nostri cari compaesani - a scrivere versi del genere (non solo in dialetto ma anche in italiano).

Facendolo tra l’altro anche in modo decisamente apprezzabile.

Mitici ed invidiabili i collaboratori del giornale satirico murale “Il Cantastorie”. Un giornale, questo, scritto su carta di fortuna (tipo quella in cui si incartava all’epoca il pane) ed affisso su un muro all’altezza di piazza Municipio (credo comunque che nel frattempo il nome di tale piazza è cambiato)... mmienz’u puontu.

Serve salvare questo scritto nel mio blog?

Sì! ... e per tutta una serie di motivazioni, prima fra tutte perché si salva la memoria storica di un modo come un altro del come passavano i nostri avi una “quasi bella” serata in compagnia. Dico una “quasi bella” perché di fatto questi versi sono una tiratina d’orecchie al nostro compaesano Peppinu che prendeva troppo seriamente sia la fortuna che una semplice partita a carte.

E l’autore invita al caro Peppinu a prendere tale partita, che può essere la stessa vita, per quello che è: solo una stupida partita a carte.

E l’autore, sicuramente con tanti anni sulle spalle, sembra - tra le righe - chiedersi: e se fosse anche la vita da prendere come una semplice partita a carte?

Un modo come un altro per passare una serata in piacevole compagnia?

*     *     *

A PEPPINU

(I)

Peppinu de jocare u’ si rifiuta

è fissa ca si perde na sirata

quannu vicinu tene chi l’aiuta,

la furtuneddra fimmina e cecata.

 

Si conza e d’iddra a latu sta seduta,

a ra cumpagna sente e mancu jata;

certu la carta - ‘zacchiti - l’è juta,

lu jollu ci l’avia: n’atra stoppata.

 

Tu riesti cu li punti ‘ntra la manu,

tu signi menu e d’iddru scrive chjuni,

iddru a re stelle e tu ‘ntra lu pantanu.

 

Ti frica sempre: vide a ru bancune:

si piglia ri biscotti e tu dijunu;

già: tu si schjettu e Peppe ha lu guagliune.

(II)

E mo ch’era cangiata la furtuna

- lu vientu nu’ va sempre a ra marina -

iddru, ch’è marinaru, si n’adduna

si la jurnata è bona da matina.

 

Quannu la vide povera e dijuna

e nu d’è  cuntu de l’avì vicina,

la chjanta e cunfidenza nu le duna

nu joca e la sacchetta li sta chjina.

 

Pensava: ci a dugnu na mazzata,

lu lassa la furtuna e signa a menu

io stuoppu e d’iddru u’ cala: chi fricata.

 

Ti resta la speranza ch’ha crisciutu,

sira pe sira, a miennule e velenu:

ci ha dittu vieni joca... si ne jutu.

(III)

Peppì, tu l’avia ‘nsipidu u palatu

e nui ti l’àmu fattu cannarutu,

cu miennule, Peppì, t’àmu civatu,

ognunu cose duci t’ha porjiutu.

 

Tu dici ch’è lu jussu du nzuratu

Avire de lu schjettu ‘ncunu aiutu;

va bene: e dogne sira nu t’ha datu

- zuccaru e mele - chiru c’ha vulutu?

 

E mo ni lassi suli a ra partita,

orfani e spienturati na sirata,

e ti rifiuti quannu ti si mmita.

 

Peppì, cà simu quattru e quattru stamu,

si vinci o pierdi, allegru: è na jucata,

la gioia è sula l’ura chi passamu.

*     *     *

La partita è una “partita a stop” giocata quindi con le cosiddette “carte americane” (carte da poker). Tra i versi infatti compare la parola “jollu” (jolly). Forzatamente l’autore si prende anche una scorretta licenza poetica ma... ci ‘sta (almeno per la necessaria rima):

 

Ti frica sempre: vide a ru bancune:

si piglia ri biscotti e tu dijunu;

già: tu si schjettu e Peppe ha lu guagliune.

 

E’ bella la messa in evidenza della diaspora tra schjetti (celibi) e ‘nzurati (sposati) ed il fatto che, per fargli piacere il gioco, l’autore/protagonista (membro degli ‘nzurati) confida verso la fine a Peppinu che la sua non è stata solo fortuna nelle prime partite ma anche il fatto che gli altri del tavolo l’hanno di tanto in tanto aiutato a vincere per fargli assaporare il piacere del gioco stesso:

 

Peppì, tu l’avia ‘nsipidu u palatu

e nui ti l’àmu fattu cannarutu,

cu miennule, Peppì, t’àmu civatu,

ognunu cose duci t’ha porjiutu.

 

E poi... fa sempre bene rinfrescare un po’ di lingua madre dei nostri padri o dei nostri nonni: u dialettu santufilise.

Personalmente posso affermare, sicuro di essere smentito, di aver vissuto non in due o tre epoche diverse. I giorni d’oggi sono decisamente diversi da quando, agli inizi degli anni Settanta (sono del 1961), muovevo i primi passi in modo autonomo su corso XX Settembre a San Fili. E ciò mi ha dato la possibilità anche di entrare, giusto per dare una sbirciata, nel bar/caffè di Salvatore Tuture Blasi o nel bar Luigi Gigetto Sammarco. Parlo di semplice “sbirciata” perché in quegli anni era tassativamente vietato, a noi fanciulli, entrare in certe salette appartate riservate ai giocatori di carte.

Per quanto riguarda le mie giocate pubbliche, (con le carte napoletane o con le carte da poker in mano) invece, le stesse risalgono agli inizi degli anni Ottanta nel bar di Luigi Gigetto Sammarco (che dava sull’ex piazza Caserma attuale piazza Mario Nigro)... il bar/caffè di Salvatore Tuture Blasi era da qualche anno a quella parte passato come gestione al nostro compaesano Rocco Gioffré. Lasciai di giocarci agli inizi degli anni Novanta, dopo una rischiata stupida lite alla fine di una partita all’interno del Centro di Aggregazione Sociale nel locale all’uopo adibito in una sala a pianterreno dell’ex edificio che per secoli ospitò il Municipio (casa comunale) del nostro borgo... mmienz’u puontu.


mercoledì 28 settembre 2022

San Fili - Passavanti e Diograzia.



Foto a sinistra: particolare visto dall’alto della strada statale 107 nel tratto compreso tra il borgo di San Fili e la cittadina di Paola. Nel versante di quest’ultima. In questa zona ricadono i viadotti Passavanti e Diograzia.

Questo breve articolo è frutto d’una collaborazione tra Antonio Asta e Pietro Perri.

*     *     *

Ancora oggi (martedì 17 luglio 2002), malgrado abbiamo da qualche tempo brindato alla salute del Terzo Millennio, a San Fili in piazza san Giovanni sono in tanti a ricordare le zone, con i relativi significati dei nomi cui sono stati loro dati, Passavanti, Martinieddru e Diograzia... il tutto, ovviamente, non senza un certo brivido addosso.

Alcuni cavalcavia che si oltrepassano, tra l'altro, scendendo verso Paola, oltrepassata la cosiddetta "galleria lunga" - stiamo parlando della superstrada Cosenza Paola -, prendono il nome di Diograzia. Nome non collegato ad un fatto puramente religioso ma ad un ringraziamento... ad un sospiro di sollievo che in altri tempi quanti si accingevano a passare la catena montuosa paolana, non certo per piacere, emettevano per... lo scampato pericolo passato.

Tempo di briganti dove spesso e volentieri l'unico mezzo di locomozione che si aveva a disposizione era il cosiddetto "cavaddr’e san Franciscu", ovvero le proprie gambe.

Siamo tra la fine del diciottesimo, inizio del diciannovesimo secolo.

Il punto più importante della costa tirrenica erano decisamente San Lucido e Paola. A San Lucido ed a San Lucido in particolare era facile trovare qualche imbarcazione che permettesse alla gente di raggiungere senza grossi problemi mete più ambite, Napoli e via dicendo, decisamente non facilmente raggiungibili via terra.

Paola, oltretutto, era ed è pur sempre la terra del “Santo Patrono” dei Calabresi: san Francesco.

Per raggiungere San Lucido, ma anche per Paola, per i Cosentini e la gente dei paesi limitrofi era quella che passava dentro San Fili, giungeva alla Macchia della Posta e, per un apposito sentiero conosciuto come la strada delle Monacheddre (la strada d'Annibale?), si giungeva nei pressi della località denominata Acquatina (all'incirca all'imbocco della già citata "galleria lunga", versante San Fili).

Giunti all’altezza dell’Acquatina e saliti qualche cinque o seicento metri oltre, il viandante poteva scegliere tra due strade-sentieri: quella che portava a San Lucido e quella che portava a Paola. Chi doveva andare a San Lucido, avrebbe proseguito per Terriforti, la Vuccaglia e quindi avrebbe preso la discesa verso il mare. Chi doveva andare a Paola avrebbe proseguito il suo tragitto in salita verso la Crocetta e giunto quivi avrebbe deviato per Martinieddru.

Martinieddru era una altura che serviva all'epoca d'avvistamento per i nostri caserecci briganti i quali, avvistato il malcapitato, avvisava i compagni i quali fermavano il poveruomo e presentavano allo stesso le loro richieste-lagnanze.

"Azzopp'u pede!", era l'ordine perentorio che veniva inflitto alla vittima... trombone puntato al cuore.

A questo punto bisognava vedere se si era in presenza di un normale furto che si concludeva con la semplice consegna della borsa o di quanto il poveruomo portasse addosso o se la truce vicenda si concludesse anche con la morte dello stesso (magari perché il poveruomo non aveva niente con sé o aveva mosso resistenza alla rapina).

Poteva anche accadere che il poveruomo quel giorno non era nella mira dei briganti i quali si limitavano semplicemente ad invitare la vittima dell'agguato a farsi riconoscere e riconosciutolo magari come uno vicino a loro o nullatenente, gli dicevano semplicemente "Passavanti!".

E Passavanti restò famoso per decenni, se non per secoli, quel punto, prima di giungere a Martinieddru, a memoria d'uomo.

Se passava il momento, per un certo tratto, quasi tutto il perimetro di Martinieddru, nei malcapitati non passava comunque la paura magari d'essere uccisi con un colpo traditore sparato alle spalle. Ecco perché, oltrepassata la zona del pericolo, ci troviamo direttamente in una zona ad esso collegata: Diograzia.

"Diograzia!", infatti, era l'affermazione, con un sospiro di sollievo che scaturiva veramente dal profondo del cuore, che veniva profferita dai viandanti all'inizio della zona che poteva significare di aver effettivamente scampato il brutto pericolo.

A Martinieddru ancora oggi si possono tra l'altro ammirare le "grotte dei briganti"... ma se dovete andarci... non andateci da soli e disarmati... potreste imbattervi in qualche brigante sopravvissuto.

Non era solo questo ovviamente punto di rischio d'incontro dei briganti così come, col passare dei decenni, e con il cambiare delle linee di comunicazione tra i diversi centri urbani della provincia, gli stessi finirono anche con cambiare le zone degli agguati.

Scendendo verso Paola, tramite la vecchia SS 107 (strada della Palummara), oltrepassato il valico Crocetta, a pochi metri della fontana di San Francesco troviamo il cosiddetto Ponte de Chjanche: in tale punto, si dice, i briganti si divertivano ad impiccare e squartare poveri cristiani.

*     *     *

I briganti, comunque, non sono solo un fatto storicamente negativo per la nostra regione, per la nostra provincia e per il paese di San Fili. In un certo periodo storico, infatti, i briganti, da un certo punto di vista possiamo "rileggerli" non come luridi criminali ma come veri e propri patrioti (ovvero partigiani filo borbonici).

Siamo tra la fine del diciottesimo e l'inizio del diciannovesimo secolo. I Francesi, briganti nei confronti delle popolazioni del Sud Italia, imponevano alla Calabria i loro altri tributi per "l'avvenuta liberazione dalla Casa Borbonica".

Noi Meridionali, inutile nasconderci la verità, in effetti liberazioni non ne abbiamo avuto mai da nessuno... non siamo stati (e forse non lo siamo tuttora) liberi... abbiamo solo sostituito i padroni e spesso e volentieri il nuovo padrone e molto più esigente, e quindi opprimente, del precedente.

Fu anche per questo che un gruppo di sanfilesi, assieme ad altra gente dei Comuni vicini a San Fili datasi all'epoca alla macchia, dalle invalicabili e misteriose montagne della catena paolana armava di tanto in tanto le sue trappole contro i francesi invasori.

Ma... come fare a capire se un soggetto era o meno un francese: spesso nell'ombra dei nostri boschi ciò non sempre era facile. Fu proprio per questo che i briganti usavano gridare contro il malcapitato (che, ovviamente, in distanza intravedeva il luccichio dalla canna del trombone che mirava al proprio corpo): "Dice: ciceru!".

Per i francesi pronunciare la "c" dura della parola "ciceru" era decisamente una impresa che andava aldilà delle proprie umane capacità. Quello che scaturiva dalla loro gola infatti era il dolce e musicale suono della parola senza senso "siseru".

Una parola, "siseru", certamente senza senso per noi comuni mortali... ma per i francesi dell'epoca equivaleva ad una sommaria condanna a morte senza alcuna possibilità di ricorrere in appello.

*     *     *

Sono, queste, storielline ascoltate in piazza San Giovanni a San Fili... forse inventate di sana pianta... ma forse con più d'un filo di verità.

martedì 27 settembre 2022

I Sanfilesi ed il cardinale Fabrizio Ruffo.



Foto a sinistra: Il cardinale Fabrizio Ruffo in una immagine ripresa dal web.

L’episodio che ha coinvolto i Sanfilesi ed il cardinale Fabrizio Ruffo è documentato in più cronache dell’epoca.

E’ nel suo complesso – e nella sua tragicità - una storiellina simpatica (a mio modesto parere) da leggere.

*     *     *

Quante volte ho sentito dire (e quante volte l'ho detto pure io): "'Ntu Meridione stavamu buani aru tiempu di Borboni". L'ho sentito dire e l'ho detto pure io... dimenticandomi d'essere un sanfilese, ossia il classico "Bastian contrario".

E' da tutti risaputo, infatti, che all'appuntamento referendario del 2 giugno 1946, dove si doveva scegliere tra il sistema monarchico e quello repubblicano, a San Fili vinsero i monarchici con 1149 voti contro i repubblicani che ne ottennero solamente 742 (le bianche e nulle furono ben 88). Fu una vera e propria disfatta, quella che scaturì dalle urne del nostro comune, per la nascente Repubblica Italiana.

Tutto ciò spiega, o quantomeno dovrebbe spiegare e giustificare, il rimpianto dei sanfilesi per l'annullamento del Regno delle due Sicilie e la nostra nostalgia per i discendenti di Franceschiello e dell'intera Casa Reale Borbonica.

Tutto ciò (i risultati del referendum del 1946 che videro in San Fili una convinta cittadina monarchica) spiega, o quantomeno dovrebbe spiegare e giustificare, una tale predilezione e fede monarchica del popolo sanfilese... se non ci si mettesse di mezzo la storia della nostra comunità e quanto accadde tra i Sanfilesi e le milizie del Cardinale Fabrizio Ruffo verso la fine del diciottesimo secolo (1700).

Innanzitutto è opportuno, per meglio capirci, tracciare un breve profilo storico del Cardinale Fabrizio Ruffo: ecclesiastico (in un periodo in cui il clero non disdegnava il potere temporale della Chiesa, e quindi non ci pensasse due volte ad imbracciare le armi per "le sante guerre") e uomo politico di tutto rispetto.

La situazione della penisola all'epoca del Ruffo non era delle migliori, tutto cambiava in rapida successione. Persino il Regno di Napoli (successivamente delle due Sicilie): nel diciottesimo secolo passò dapprima sotto il dominio austriaco, e poi sotto il governo di Carlo III di Borbone, il quale adottò un piano di vaste riforme per l'abbellimento e il progresso del Regno, anche se la maggioranza della popolazione era lasciata nella miseria e nell'ignoranza.

Il Cardinale Fabrizio Ruffo emette i suoi primi vagiti il 1744 nel castello di San Lucido (morirà a Napoli nel 1827). Tesoriere generale della Camera apostolica, si guadagnò l'odio dei feudatari per la sua amministrazione riformista; fu quindi rimosso dall'incarico da Pio VI e creato, secondo il motto "promuovere per rimuovere", cardinale nel 1791.

Tornato a Napoli nel 1798, dopo la creazione della Repubblica Partenopea, seguì la corte borbonica a Palermo. Nominato vicario generale del Regno, l'anno successivo passò in Calabria dove raccolse bande di volontari e formò l'esercito della "Santa Fede". Con tale "esercito", in soli quattro mesi, riuscì a travolgere le fragili difese repubblicane e a riconquistare Napoli.

Inutile dire che a favorire l'impresa del porporato venne anche in aiuto, oltre alla fede cristiana delle masse dei contadini, la sua favella e i vari provvedimenti "popolari" emessi dallo stesso quali l'abolizione e la riduzione di pesanti tasse e gabelle allora in vigore (una ritoccatina al prelievo fiscale, ieri come oggi, non guasta mai).

L'avanzata del Cardinale Fabrizio Ruffo verso la città di Napoli non trovò ostacoli sul suo camino... finché non s'imbatté (pensate un po') nei Sanfilesi, o più precisamente in un gruppo di loro... e non rischiò di rimetterci le penne.

 

Scrive Luigi Maria Greco negli Annali di Citeriore Calabria (1806/1811):

 

"Per insidie tese nella valle del Crati, da pochi repubblicani di San Fili a Ruffo Cardinale, un colpo di archibugio, insolito a fallire troncò il fiocco della Croce del porporato".

"Per insidie tese nella valle del Crati, da pochi repubblicani di San Fili" il cardinale Fabrizio Ruffo (che si vantava, il 6 marzo 1799, di aver raccolto attorno a se, già a Pizzo, ben quattromila uomini e di prevederne nelle sue fila oltre diecimila appena giunto a Catanzaro) e per colpa di "un corpo di archibugio insolito a fallire" per poco non passò alla storia in tutt'altro modo... ed in quest'anno (1999) Napoli non avrebbe potuto celebrare l'anniversario della storica vittoriosa insurrezione.

 

Proprio così: San Fili, la repubblicana, per un soffio non mandò prematuramente all'altro mondo non solo il cardinale Fabrizio Ruffo ma anche lo stesso ritorno sul trono di Napoli da parte della Casa Borbonica... e oggi, noi sanfilesi, abbiamo anche la sfrontatezza di definirci filo-borbonici!

Vi ho raccontato questa parte della storia e quanto prima vi racconterò anche il seguito (cosa ancora più bella) ma vi prego: CHE NESSUNO DI VOI SI SOGNI DI ANDARE A FARE LA SPIA CON LA BELLA MELBA!

*     *     *

San Fili fu, nel 1800, un centro di indiscutibile valore patriottico... punti di vista permettendo. Il nostro alto spirito repubblicano e il nostro desiderio di vedere un'Italia unica ed indivisibile non potevano certamente piacere né ai Borboni né tantomeno ai monarchici.

Persino il nostro eroe risorgimentale Sante Cesario, "riveduto e corrotto", in tale logica finisce per passare da indiscutibile punto di riferimento storico e quindi vanto della nostra comunità, a semplice criminale di bassa lega.

Ed è in questa strana logica della storia umana, dove i vincenti ce li ritroviamo sempre e comunque dalla parte della ragione, che l'eroica azione dei sanfilesi che stava culminando nella morte del Cardinale Fabrizio Ruffo (a capo dell'esercito della "Santa Fede" che doveva rimettere sul trono del Regno di Napoli i reali della casa borbonica), finisce per essere riportato da alcuni commentatori storici dell'epoca come uno tra i tanti casi di volgare criminalità comune (anche se in una veste simpatica e folcloristica).

*     *     *

Riporto di seguito un simpatico passo scritto da L. Grimaldi nel suo articolo "Bernardo de' Marchesi de Riso ed i suoi tempi", opera postuma, apparsa su "Il giurista calabrese", anno III, 1869, numeri. 2 e 3:

 

"... Fra le bizzarrie del tempo, fu anche quella di vedere sorgere in Sanfili (sic.!), paese non molto distante da Cosenza, un tale Dell'Aquila, che, raccolta una banda di trenta assassini, si pose a fare il rapinatore, sotto protesto politico, che variava a suo piacere, poiché, percorrendo i piccioli paesi, se vi trovava la bandiera regia l'abbatteva e v'innalzava la repubblicana, ordinando il saccheggio; se invece trovava la bandiera repubblicana l'abbattea per innalzare la regia, così facendo sempre grosso bottino.

Nel bosco Ritorta, imbattutosi colle truppe cardinalizie, il Dell'Aquila non vide altra risorsa che di annunziarsi al Cardinale come raccoglitore di gente per metterla a sua disposizione. Il Cardinale lodollo e l'accettò, ma un nemico del dell'Aquila, che seguiva il cardinale, lo avvertì di tenerlo per sospetto, comecché avea piantato l'albero in più luoghi.

La comitiva allora, caduta in diffidenza, diede di mano alle armi ed ebbe luogo un conflitto, nel quale un colpo di fucile portò via il pomo della sella del Cardinale. Ma vinti dal numero, alcuni restarono morti, altri fatti prigioni, fra i quali il Dell'Aquila, che fu giustiziato".

*     *     *

Brutta fine quella del Dell'Aquila, così come brutta fine fece l'eroe sanfilese Sante Cesario, ma ancor più brutta fine stavano per fare i sanfilesi tutti, dopo l'episodio del Cardinale Fabrizio Ruffo, se non fossero giunti gli amici di Bucita a darci man forte.

Ma vediamo assieme come si svolsero i fatti.

 

All'indomani dell'attentato, fallito per un soffio, al Cardinale Ruffo, i Falconaresi (fedeli al Cardinale), decisi a dare una sonora lezione ai rei Sanfilesi (presumibilmente una scusa, in quando per ben altre cose e ragioni, i Sanfilesi non erano ben visti dalla gente della costa tirrenica), con a capo un certo Donnu Titta mossero armati fino ai denti contro il nostro abitato.

I Sanfilesi, opportunamente messi sull'avviso, aspettarono gli "ospiti" arroccati sul sagrato della Chiesa Madre. Vi fu una cruenta battaglia che, malgrado persino le nostre donne si facessero in quattro per dar man forte ai nostri avi, dopo breve tempo si volse contro i poveri accerchiati.

Fortuna volle che un certo Pasquale Gentile (ricco possidente del paese nonché maestro nell'arte della produzione e della commercializzazione della seta) recatosi di corsa a Bucita ottenne dai concittadini della nostra futura frazione un insperato, pronto e fortuito aiuto.

Giunti a San Fili i confratelli di Bucita assieme al Gentile presero di spalle i Falconaresi cui in breve resto ben poco scampo e ben poche possibilità di vittoria.

In men che non si dica, ottenuta una proverbiale batosta, i Falconaresi furono costretti a scappare e quindi San Fili per l'ennesima volta poté emettere un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.

Il tutto, per la cronaca, si svolse nel 1799.

 

*     *     *

I fatti che hanno interessato i Sanfilesi ed il Cardinale Ruffo hanno ispirato anche il nostro simpatico ed impareggiabile "poeta e cantastorie Luigi Gigino Aloe.

I versi di seguito riportati sono ripresi dalla sua poesia/canzone in vernacolo "San Fili da Terra di Sancti Felicis"... cambia qualche nome, ma la storia è sempre quella:

 

(...) Su populu ha lottatu pe a paci e a libertà

na storia forsi vera vi vuagliu raccunta'.

 

Prima nu cardinali, formò na banda armata

partitu da Sicilia, saccheggia sa vallata.

 

Ruffu i cugnume, a Santu Lucidu natu,

anchi si Cardinali, era nu depravatu.

 

Chiamanu ad Ermellinu ca spara ‘i precisioni

pe fa fini ccu a forza chissa maledizioni.

 

Postìa ru Cardinali d'arriati nu Frascuni

u spara ma ull'ammazza! U coglia a ru curduni.

 

Chissu è nu malidittu! U pruteggia Belzebù

Ermellinu sa squaglia e nun si trova cchiù.

 

Intantu n'atru barbaru arriva i Falconara

Don Chiccu cu mill'uamini si vole vendicare.

 

A genti di San Fili, ardita e curaggiusa

supa a ra Cchiesa Matri pripara ra difesa.

 

U scontru è assai violentu, para tuttu perdutu

arrivanu i rinforzi: Vucita è tutta armata.

 

Vucitari, è Pasqualinu Gentile a ri guidari,

a ra banda i Don Chiccu un li resta ca scappari

(...).

*     *     *

Poeticamente parlando, comunque, non fu solo l'amico Gigino Aloe ad interessarsi della vicenda intercorsa tra i Sanfilesi ed il cardinale Fabrizio Ruffo... né fu certamente il primo.

Su tale argomento, infatti, si c'era già sbizzarrito con la penna il poeta e letterato locale Raffaele Pellegrini (S. Fili 29 settembre 1857 - ivi 13 dicembre 1934).

Nella sua composizione dedicata all'allora costruendo tunnel del tratto ferroviario Cosenza Paola (intitolata appunto "Pel Tunnel della Cosenza - Paola), stiamo parlando degli inizi del Novecento, troviamo la seguente strofa:

 

E lì, ritto in arcioni,

il tristo Cardinal crocesegnato,

Fabrizio Ruffo, ancora ammantellato

nella porpora, tinta di sanguigno

da le stragi novissime, maligno

il guardo, anch'Ei s'erge, e guata quella

balza fatal del monte, ove Armellino,

spiandone il cammino,

l'arciöne gli forava de la sella.

 

Con le seguenti note curate dall'indimenticabile Goffredo Iusi:

 

"E' tradizione, confermata, del resto, dal racconto attendibile dei nostri vecchi, che nel 1799, Pasquale Blasi, soprannominato Armellino della Carboneria - alla quale in quei tempi davano contributo larghissimo le famiglie Pellegrini, Granata, Gentile, ecc. - si appostasse al passaggio del Cardinal Ruffo, capo dei Sanfedisti e reduce dai massacri delle Puglie e del Cosentino. Sul così detto "passo delle Crocelle" il colpo del suo fucile falliva colpendo semplicemente l'arcione della sella; ed il porporato poté raggiungere le rive di Paola, ove l'aspettava un legno. che doveva condurlo in Napoli, a dare l'ultimo colpo a quella agonizzante e gloriosa Repubblica Partenopea".

 

Resta ovviamente l'invito a leggere, e non solo questa, l'intera poesia "Pel Tunnel della Cosenza-Paola di Raffaele Pellegrini.


domenica 25 settembre 2022

Un contratto di mezzadria a San Fili negli anni '50.



Foto a sinistra: mia madre Teresina Letizia Rende e mio padre Salvatore nella cucina al primo piano della loro abitazione in via Rinacchio a San Fili nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso.

Via Rinacchio si chiama così perché per tanti anni – nei secoli passati – ospitava una cava della rena (sabbia rossa ricavata da roccia friabile).

Foto ed archivio by Pietro Perri.

*     *     *

Tra i pochi, ma significativi, documenti che interessano la mia famiglia ho trovato un “contratto di mezzadria” redatto su carta legale e stipulato tra la signora Lio Luisa e mio padre Perri Salvatore. Il documento è datato 27 settembre 1955.

Ho ritenuto far cosa piacevole a te, caro lettore, riportarlo integralmente e, ti prego, se trovi qualcosa di simile nel cassetto dei nonni, o degli anziani genitori, fammela avere... potrebbe essere interessante e meritevole di pubblicazione (a volte la storia della nostra comunità si nasconde sotto qualche centimetro di polvere).

*     *     *

"Con la presente scrittura privata, che ha valore di atto pubblico a tutti gli effetti di legge, redatta in duplice copia, la signora Lio Luisa fu Carmine e Perri Salvatore fu Francesco, entrambi domiciliati a S. Fili, stabiliscono quanto segue: la signora Lio Luisa dà a mezzadria al sig. Perri Salvatore il suo fondo, sito in agro di S. Fili in contrada Profico alle seguenti condizioni:

  • Tutto il prodotto del fondo va diviso a metà; altrettanto vale per ciò che occorre comprare, cioè erbaggi, concimi ecc.
  • La padrona compra al Perri due ripassi all’anno che dovranno dividersi il 12 ottobre, mentre se si devono comprare altri animali la somma occorrente viene divisa in parti uguali; l’utile della vendita sarà ripartita a metà.
  • La padrona dovrà dare al Perri kg. 75 di crusca (settantacinque) entro il mese di maggio.
  • Il Perri dovrà lavorare il terreno coscienziosamente, mantenendolo nella massima pulizia, specie per quanto riguarda i fossi di scolo, scaricandoli quando occorre.
  • Il Perri è obbligato a pulire i fichi e piantare tutte le piantine che la padrona acquista, senza nulla pretendere.
  • Il Perri si obbliga di allevare il seme del baco nella misura della foglia che gli darà la signora Lio.
  • Il Perri può tenere nel fondo, per proprio conto, solo 4 (quattro) galline.
  • La presente scrittura impegna le parti dal primo (n.d’a.: nell’originale “dal 1”) gennaio 1956 ed ha durata di 3 (tre) anni. Se le parti allo scadere di detto termine, saranno soddisfatte del contratto, ne potranno, di comune accordo, prorogare la durata.
  • Contravvenendo a quanto stabilito, la parte lesa si avvalerà a via di legge.

N.B.: I contributi Unificati Agricoli vengono ripartiti in parti uguali tra colono e padrona”.

Sotto la data si notano ulteriori aggiunte:

“N.B.: Il Perri potrà allevare nel fondo, per suo utile, una capra, senza dover nulla alla signora Lio.

Il Perri dovrà dare 10 (dieci) uova di gallina, ogni mese, alla signora Lio.

Al Perri resta in consegna lo strettoio, per la compressione dell’uva, che appartiene alla signora Lio. Lo strettoio è in buone condizioni. Il Perri sarà responsabile di ogni eventuale guasto.

Tutte le condizioni sopra stabilite valgono anche per il fondo sito in contrada Monaci, che la signora Lio Luisa dà a mezzadria al sig. Perri Salvatore”.

*     *     *

Segue il segno di croce di Lio Luisa e la regolare controfirma dei testi, chiude il tutto la data di stesura.

*     *     *

"Cum’eni u veru ch’eranu miegli i tiempi de na vota, ppe ri patruni e ri baruni, ca ppe ti fa crisce na capra ‘n’santa pace, ci avia d’assicurare puru dece ova u mise"... ma almeno i miei genitori avevano un regolare contratto di mezzadria che, confrontato con altri dello stesso periodo, era più che onesto. Tra l’altro ancora si sentivano gli strascichi della grande guerra ed il prezzo che, ieri come oggi, devono pagare le classi meno abbienti era ed è come sempre altissimo.

venerdì 23 settembre 2022

L'animali a comiziu - Versi di Chiacchiara alias don Giovanni Gentile da San Fili.



Foto a sinistra: particolare della copertina del “Don Severo” del 18 ottobre 1913.

Il “Don Severo” era un giornale satiro-politico pubblicato a Cosenza nei primi anni del secolo scorso. Direttore ne era Chiacchiara alias don Giovanni Gentile da San Fili.

Foto archivio by Pietro Perri.

*     *     *

Il 18 ottobre 1913 viene pubblicato nella città dei Bruzi (Cosenza) l’ultimo numero del giornale satirico “Don Severo”. Direttore di questo giornale, scritto quasi interamente in rima ed in dialetto cosentino, era Chiacchiare alias don Giovanni Gentile da San Fili.

Don Giovanni Gentile, spirito libero e ribelle, fu un prete che tutto avrebbe voluto fare nella vita... tranne il prete.

Le sue “rime” sono sempre una frecciata contro quel sistema che non ha mai digerito. Frecciata anche e soprattutto nei confronti dei poteri costituiti (incluso quello ecclesiastico e monarchico). Cosa, questa, che gli creerà non pochi problemi (non ultimo una specie di “confino in lobba” nella cittadina Nicastro nel Lametino).

In questo ultimo numero del “Don Severo” compare la poesia (lezione di politica del tempo ma decisamente attuale come dopotutto sono sempre attuali gli altri versi – i pochi salvatisi – del Chiacchiara) “L’animali a cumiziu”.

La sfida elettorale era incentrata tra due storiche figure di spicco nella Cosenza dei primi anni del secolo scorso: don Bernardo Alimena e don Nicola Serra. Oggi personalmente credo che l’unica cosa ad essere cambiata presumibilmente è il cognome dei contendenti... e la caratura morale e culturale degli stessi.

Prego solo a chi legge questa paginetta di prenderla per quella che è: una semplice burla del tempo. E non, come potrebbe stupidamente apparire all’orecchio ed all’occhio di uno sprovveduto lettore, una dichiarazione di campo nei confronti delle elezioni politiche, regionali o amministrative dei nostri tempi.

*     *     *

 

L'ANIMALI A CUMIZIU

Di Chiacchiara

(Don Giovanni Gentile da San Fili)

 

Nu ciucciu viecchiu, zuoppu e scuntricatu,

pe le vie de Cusenza jia gridannu:

'Stasira âmu 'e furma' lu comitatu

pe fa lu deputatu de chist’annu...

Ciucci, puorci, veniti a la riunione

ca discurrimu de la votazione.

 

La sira, all'Arcu 'e Ciacciu oh!

                        chi ciurmaglia:

gatti, cani, cunigli d'ogne razza,

chi l'Arca de Noe' paria na paglia

‘n paragune de tutta sta famazza.

Lu ciucciu saglie supra nu muragliu

e li saluta ccu nu forte ragliu.

 

Pue dice: "Vui sapete la ragione

che mi ha spintu a riunire il comitato:

fra giorni vi sara' la votazione

e noi dobbiamo fare il deputato:

voi gia' sapete dell'aperta guerra

tra don Bernardo e don Nicola Serra.

 

Io propongo votar per don Nicola,

uomo che sa le nostre condizioni;

l'Alimena che insegna nella scuola

non favorisce quelle mie opinioni. E poiché

fra di noi c'e' l'uguaglianza

ognun di voi puoi far l'interpellanza."

 

Lu puorcu allura disse: "Io, per mio conto

mi associo con il nostro Presidente,

ne' credo alcun me ne fara' un affronto,

perche' don Nicola e' uomo assai prudente."

Cussi' diciennu si 'mbruscina 'n terra,

gridannu a perde jatu: "Viva Serra."

 

Ma a l'assemblea nu’ piace la risposta:

unu la vulia cruda e n'atru cotta.

S'aza nu gattu e fice proposta

chi de lu mastru fu la vera botta:

"Dichiaratela sciolta la riunione;

questa volta vogliamo l'astensione."

 

E cussi' ciucci, puorci, muli e cani,

cavaddri scuontricati e cumpagnia,

allu gattu ce vattenu la mani,

e tutti quanti ‘nfilanu la via

d'avanti a Prefettura, e vau gridannu:

"L'animali nu' votanu chist'annu."

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

*/pace ma... “si vis pacem para bellum”!