Foto a sinistra: particolare visto dall’alto della
strada statale 107 nel tratto compreso tra il borgo di San Fili e la cittadina
di Paola. Nel versante di quest’ultima. In questa zona ricadono i viadotti Passavanti
e Diograzia.
Questo breve articolo è frutto d’una collaborazione
tra Antonio Asta e Pietro Perri.
* * *
Ancora
oggi (martedì 17 luglio 2002), malgrado abbiamo da qualche tempo brindato alla
salute del Terzo Millennio, a San Fili in piazza san Giovanni sono in tanti a
ricordare le zone, con i relativi significati dei nomi cui sono stati loro
dati, Passavanti, Martinieddru e Diograzia... il tutto,
ovviamente, non senza un certo brivido addosso.
Alcuni
cavalcavia che si oltrepassano, tra l'altro, scendendo verso Paola,
oltrepassata la cosiddetta "galleria lunga" - stiamo parlando
della superstrada Cosenza Paola -, prendono il nome di Diograzia. Nome
non collegato ad un fatto puramente religioso ma ad un ringraziamento... ad un
sospiro di sollievo che in altri tempi quanti si accingevano a passare la
catena montuosa paolana, non certo per piacere, emettevano per... lo scampato
pericolo passato.
Tempo
di briganti dove spesso e volentieri l'unico mezzo di locomozione che si aveva
a disposizione era il cosiddetto "cavaddr’e san Franciscu",
ovvero le proprie gambe.
Siamo
tra la fine del diciottesimo, inizio del diciannovesimo secolo.
Il
punto più importante della costa tirrenica erano decisamente San Lucido e
Paola. A San Lucido ed a San Lucido in particolare era facile trovare qualche
imbarcazione che permettesse alla gente di raggiungere senza grossi problemi
mete più ambite, Napoli e via dicendo, decisamente non facilmente raggiungibili
via terra.
Paola,
oltretutto, era ed è pur sempre la terra del “Santo Patrono” dei
Calabresi: san Francesco.
Per
raggiungere San Lucido, ma anche per Paola, per i Cosentini e la gente dei
paesi limitrofi era quella che passava dentro San Fili, giungeva alla Macchia
della Posta e, per un apposito sentiero conosciuto come la strada delle Monacheddre
(la strada d'Annibale?), si giungeva nei pressi della località denominata Acquatina
(all'incirca all'imbocco della già citata "galleria lunga", versante
San Fili).
Giunti
all’altezza dell’Acquatina e saliti qualche cinque o seicento metri
oltre, il viandante poteva scegliere tra due strade-sentieri: quella che
portava a San Lucido e quella che portava a Paola. Chi doveva andare a San
Lucido, avrebbe proseguito per Terriforti, la Vuccaglia e quindi
avrebbe preso la discesa verso il mare. Chi doveva andare a Paola avrebbe
proseguito il suo tragitto in salita verso la Crocetta e giunto quivi
avrebbe deviato per Martinieddru.
Martinieddru era una altura che serviva all'epoca d'avvistamento
per i nostri caserecci briganti i quali, avvistato il malcapitato, avvisava i
compagni i quali fermavano il poveruomo e presentavano allo stesso le loro
richieste-lagnanze.
"Azzopp'u
pede!", era l'ordine perentorio che veniva inflitto alla vittima...
trombone puntato al cuore.
A
questo punto bisognava vedere se si era in presenza di un normale furto che si
concludeva con la semplice consegna della borsa o di quanto il poveruomo
portasse addosso o se la truce vicenda si concludesse anche con la morte dello
stesso (magari perché il poveruomo non aveva niente con sé o aveva mosso
resistenza alla rapina).
Poteva
anche accadere che il poveruomo quel giorno non era nella mira dei briganti i
quali si limitavano semplicemente ad invitare la vittima dell'agguato a farsi
riconoscere e riconosciutolo magari come uno vicino a loro o nullatenente, gli
dicevano semplicemente "... passavanti!".
E Passavanti
restò famoso per decenni, se non per secoli, quel punto, prima di giungere a Martinieddru,
a memoria d'uomo.
Se
passava il momento, per un certo tratto, quasi tutto il perimetro di Martinieddru,
nei malcapitati non passava comunque la paura magari d'essere uccisi con un
colpo traditore sparato alle spalle. Ecco perché, oltrepassata la zona del
pericolo, ci troviamo direttamente in una zona ad esso collegata: Diograzia.
"Diograzia!",
infatti, era l'affermazione, con un sospiro di sollievo che scaturiva veramente
dal profondo del cuore, che veniva profferita dai viandanti all'inizio della
zona che poteva significare di aver effettivamente scampato il brutto pericolo.
A Martinieddru
ancora oggi si possono tra l'altro ammirare le "grotte dei
briganti"... ma se dovete andarci... non andateci da soli e disarmati...
potreste imbattervi in qualche brigante sopravvissuto.
Non
era solo questo ovviamente punto di rischio d'incontro dei briganti così come,
col passare dei decenni, e con il cambiare delle linee di comunicazione tra i
diversi centri urbani della provincia, gli stessi finirono anche con cambiare
le zone degli agguati.
Scendendo
verso Paola, tramite la vecchia SS 107 (strada della Palummara),
oltrepassato il valico Crocetta, a pochi metri della fontana di San Francesco
troviamo il cosiddetto Ponte de Chjanche: in tale punto, si dice, i
briganti si divertivano ad impiccare e squartare poveri cristiani.
* * *
I
briganti, comunque, non sono solo un fatto storicamente negativo per la nostra
regione, per la nostra provincia e per il paese di San Fili. In un certo
periodo storico, infatti, i briganti, da un certo punto di vista possiamo
"rileggerli" non come luridi criminali ma come veri e propri patrioti
(ovvero partigiani filo borbonici).
Siamo
tra la fine del diciottesimo e l'inizio del diciannovesimo secolo. I Francesi,
briganti nei confronti delle popolazioni del Sud Italia, imponevano alla Calabria
i loro altri tributi per "l'avvenuta liberazione dalla Casa
Borbonica".
Noi
Meridionali, inutile nasconderci la verità, in effetti liberazioni non ne
abbiamo avuto mai da nessuno... non siamo stati (e forse non lo siamo tuttora)
liberi... abbiamo solo sostituito i padroni e spesso e volentieri il nuovo
padrone e molto più esigente, e quindi opprimente, del precedente.
Fu
anche per questo che un gruppo di sanfilesi, assieme ad altra gente dei Comuni
vicini a San Fili datasi all'epoca alla macchia, dalle invalicabili e
misteriose montagne della catena paolana armava di tanto in tanto le sue
trappole contro i francesi invasori.
Ma...
come fare a capire se un soggetto era o meno un francese: spesso nell'ombra dei
nostri boschi ciò non sempre era facile. Fu proprio per questo che i briganti
usavano gridare contro il malcapitato (che, ovviamente, in distanza intravedeva
il luccichio dalla canna del trombone che mirava al proprio corpo): "Dice
ciceru!".
Per
i francesi pronunciare la "c" dura della parola "ciceru"
era decisamente una impresa che andava aldilà delle proprie umane capacità.
Quello che scaturiva dalla loro gola infatti era il dolce e musicale suono
della parola senza senso "siseru".
Una
parola, "siseru", certamente senza senso per noi comuni mortali...
ma per i francesi dell'epoca equivaleva ad una sommaria condanna a morte senza
alcuna possibilità di ricorrere in appello.
* * *
Sono,
queste, storielline ascoltate in piazza San Giovanni a San Fili... forse
inventate di sana pianta... ma forse con più d'un filo di verità.
Nessun commento:
Posta un commento