Foto a
sinistra: una partita a carte tra amici nel bar/caffè di Salvatore Tuture
Blasi nel 1971.
La foto è
ripresa dall’archivio di Francesco Ciccio Cirillo.
Il bar/caffè
di Salvatore Tuture Blasi era composto da un’ampia sala all’entrata (il
vero e proprio angolo bar con doppio bancone), una piccola sala successiva dove
si giocava a carte con posta la classica “consumazione” ed una ulteriore
saletta dove, si dice, la gente giocasse a soldi.
Il bagno
era piccolo ed alla turca.
Personalmente
c’ho lavorato, da fanciullo (è stato nelle vacanze estive tra la seconda e la
terza media), un paio di mesi poco tempo dopo che la gestione dello stesso fu
acquisita dalla famiglia Gioffre’.
Un brevissimo
periodo cui ricordo comunque sempre con piacere.
Un
brevissimo periodo in cui imparai a fare persino il caffè con le micidiali
macchine a bracci manuali.
Altri
tempi ed altra storia.
* * *
Tra il
materiale cartaceo che mi ritrovo in archivio trovo anche questi versi dedicati
a Peppinu.
Sono riportati
su un foglio fotocopiato (dattiloscritto con qualche correzione a penna) e l’originale
dovrebbe risultare alquanto rovinato.
Purtroppo da
questa fotocopia che mi ritrovo in mano non è possibile risalire né all’autore
di questi versi né a chi fossero dedicati tali versi (di Peppinu, per
fortuna, a San Fili non ne sono mai mancati) né tantomeno la data in cui gli stessi
hanno preso vita.
Qualcuno
vuole dire che anche tali versi siano opera del poeta dialettale sanfilese don
Giovanni Gentile alias Chiacchiara... personalmente ho qualche dubbio
(ma non eccessivamente grande). Dopotutto a San Fili negli anni Quaranta e
Cinquanta del secolo scorso sembra si dilettassero in tanti - tra i nostri cari
compaesani - a scrivere versi del genere (non solo in dialetto ma anche in
italiano).
Facendolo
tra l’altro anche in modo decisamente apprezzabile.
Mitici ed
invidiabili i collaboratori del giornale satirico murale “Il Cantastorie”.
Un giornale, questo, scritto su carta di fortuna (tipo quella in cui si
incartava all’epoca il pane) ed affisso su un muro all’altezza di piazza
Municipio (credo comunque che nel frattempo il nome di tale piazza è cambiato)...
mmienz’u puontu.
Serve
salvare questo scritto nel mio blog?
Sì! ... e
per tutta una serie di motivazioni, prima fra tutte perché si salva la memoria
storica di un modo come un altro del come passavano i nostri avi una “quasi
bella” serata in compagnia. Dico una “quasi bella” perché di fatto questi versi
sono una tiratina d’orecchie al nostro compaesano Peppinu che prendeva
troppo seriamente sia la fortuna che una semplice partita a carte.
E l’autore
invita al caro Peppinu a prendere tale partita, che può essere la stessa
vita, per quello che è: solo una stupida partita a carte.
E l’autore,
sicuramente con tanti anni sulle spalle, sembra - tra le righe - chiedersi: e
se fosse anche la vita da prendere come una semplice partita a carte?
Un modo come
un altro per passare una serata in piacevole compagnia?
* * *
A PEPPINU
(I)
Peppinu de
jocare u’ si rifiuta
è fissa ca
si perde na sirata
quannu vicinu
tene chi l’aiuta,
la
furtuneddra fimmina e cecata.
Si conza e d’iddra
a latu sta seduta,
a ra
cumpagna sente e mancu jata;
certu la
carta - ‘zacchiti - l’è juta,
lu jollu ci
l’avia: n’atra stoppata.
Tu riesti cu
li punti ‘ntra la manu,
tu signi
menu e d’iddru scrive chjuni,
iddru a re
stelle e tu ‘ntra lu pantanu.
Ti frica sempre: vide a ru bancune:
si piglia ri biscotti e tu dijunu;
già: tu si schjettu e Peppe ha lu guagliune.
(II)
E mo ch’era cangiata
la furtuna
- lu vientu
nu’ va sempre a ra marina -
iddru, ch’è
marinaru, si n’adduna
si la
jurnata è bona da matina.
Quannu la
vide povera e dijuna
e nu d’è cuntu de l’avì vicina,
la chjanta e
cunfidenza nu le duna
nu joca e la
sacchetta li sta chjina.
Pensava: ci
a dugnu na mazzata,
lu lassa la
furtuna e signa a menu
io stuoppu e
d’iddru u’ cala: chi fricata.
Ti resta la
speranza ch’ha crisciutu,
sira pe
sira, a miennule e velenu:
ci ha dittu vieni joca... si ne jutu.
(III)
Peppì, tu l’avia ‘nsipidu u palatu
e nui ti l’àmu fattu cannarutu,
cu miennule, Peppì, t’àmu civatu,
ognunu cose duci t’ha porjiutu.
Tu dici ch’è
lu jussu du nzuratu
Avire de lu
schjettu ‘ncunu aiutu;
va bene: e
dogne sira nu t’ha datu
- zuccaru e
mele - chiru c’ha vulutu?
E mo ni
lassi suli a ra partita,
orfani e
spienturati na sirata,
e ti rifiuti
quannu ti si mmita.
Peppì, cà
simu quattru e quattru stamu,
si vinci o
pierdi, allegru: è na jucata,
la gioia è
sula l’ura chi passamu.
* * *
La partita è
una “partita a stop” giocata quindi con le cosiddette “carte americane” (carte
da poker). Tra i versi infatti compare la parola “jollu” (jolly).
Forzatamente l’autore si prende anche una scorretta licenza poetica ma... ci ‘sta
(almeno per la necessaria rima):
Ti frica
sempre: vide a ru bancune:
si piglia
ri biscotti e tu dijunu;
già: tu
si schjettu e Peppe ha lu guagliune.
E’ bella la
messa in evidenza della diaspora tra schjetti (celibi) e ‘nzurati
(sposati) ed il fatto che, per fargli piacere il gioco, l’autore/protagonista
(membro degli ‘nzurati) confida verso la fine a Peppinu che la
sua non è stata solo fortuna nelle prime partite ma anche il fatto che gli altri
del tavolo l’hanno di tanto in tanto aiutato a vincere per fargli assaporare il
piacere del gioco stesso:
Peppì, tu
l’avia ‘nsipidu u palatu
e nui ti
l’àmu fattu cannarutu,
cu
miennule, Peppì, t’àmu civatu,
ognunu
cose duci t’ha porjiutu.
E poi... fa
sempre bene rinfrescare un po’ di lingua madre dei nostri padri o dei nostri
nonni: u dialettu santufilise.
Personalmente
posso affermare, sicuro di essere smentito, di aver vissuto non in due o tre
epoche diverse. I giorni d’oggi sono decisamente diversi da quando, agli inizi
degli anni Settanta (sono del 1961), muovevo i primi passi in modo autonomo su
corso XX Settembre a San Fili. E ciò mi ha dato la possibilità anche di
entrare, giusto per dare una sbirciata, nel bar/caffè di Salvatore Tuture
Blasi o nel bar Luigi Gigetto Sammarco. Parlo di semplice “sbirciata”
perché in quegli anni era tassativamente vietato, a noi fanciulli, entrare in
certe salette appartate riservate ai giocatori di carte.
Per quanto
riguarda le mie giocate pubbliche, (con le carte napoletane o con le carte da
poker in mano) invece, le stesse risalgono agli inizi degli anni Ottanta nel
bar di Luigi Gigetto Sammarco (che dava sull’ex piazza Caserma attuale
piazza Mario Nigro)... il bar/caffè di Salvatore Tuture Blasi era da qualche
anno a quella parte passato come gestione al nostro compaesano Rocco Gioffré.
Lasciai di giocarci agli inizi degli anni Novanta, dopo una rischiata stupida
lite alla fine di una partita all’interno del Centro di Aggregazione Sociale
nel locale all’uopo adibito in una sala a pianterreno dell’ex edificio che per
secoli ospitò il Municipio (casa comunale) del nostro borgo... mmienz’u
puontu.
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