SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: novembre 2022

A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

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martedì 29 novembre 2022

Ruggero Crispini alias Rucrì - Ovvero quando a San Fili anche le caricature erano arte.



Nell’immagine a sinistra: San Fili 1945. Goffredo Iusi e Ruggero Crispini. Caricatura realizzata da Ruggero Crispini alias Rucrì.

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Breve nota di Pietro Perri

Chiesi, essendo a conoscenza dell'amicizia e dei ricordi che legava entrambi, all'amico Sandro Cesario di scrivere qualcosa in memoria del compianto Ruggero Crispini. All'epoca ero il capo redattore sanfilese del quindicinale "l'occhio".

Personalmente non credo d'aver mai conosciuto fisicamente il grande Ruggero (alias Rucrì). Ebbi comunque modo d'apprezzarne le doti di caricaturista grazie all'indimenticabile prof. Goffredo Iusi.

Goffredo, qualche tempo prima di passare al mondo dei più (spero nella parte illuminata del limbo... dove anelo ritrovarmi anche io quando sarà il momento), nel 1989 credo, mi dette modo di fotocopiare alcune copie del giornalino murale "Il Cantastorie".

Una goliardata del circolo Raffaele Pellegrini di San Fili apparsa tra il 1945 ed il 1950.

Su tale giornalino murale, in cui si prendevano in giro i personaggi "in voga" del paese, comparivano tutta una serie di caricature opera appunto del grande Ruggero Crispini.

Un vero maestro nel suo campo.

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Ricordo di Ruggero Crispini.

di Sandro Cesario

Pubblicato sul quindicinale "l'occhio" nel 2000.

Sono grato al direttore ed al capo rubrica di San Fili del giornale per avermi proposto ricordare la figura di un amico scomparso, di recente, Ruggero Crispini.

Ho accettato di buon grado sia perché parlare di Ruggero Crispini è fare un tuffo nel passato comune, e poi, debbo dire, ho sempre letto l'Occhio con simpatia anche per la funzione che svolge nel comprensorio.

Ruggero Crispini se n'è andato in punta di piedi. Lo sapevamo gravemente ammalato. Con lui scompare una delle intelligenze più vive in San Fili, un ottimo funzionario ed anche un sindacalista ed un fine giornalista.

Infatti, Ruggero apparteneva anche alla nostra bistrattata categoria e negli anni cinquanta-sessanta con chi scrive, con Massimo Marino, Franco Siniscalchi, Italo D'Agostino era una delle “colonne” della pagina cosentina che il “Roma”, quotidiano di Napoli, sfornava ogni giorno. Si firmava RUCRI’. Era una pagina, quella, della quale conserviamo viva nostalgia, fatta più di commenti che di cronaca, più di opinioni che non di fatui fatterelli.

Ma di Ruggero ricordiamo soprattutto gli inviti scritti in poesia delle feste del fine settimana che Rocchino e Marcello Speziale organizzavano al mitico Riccio. Erano un affresco di vivacità di quegli indimenticabili anni. E le melodie di Glenn Miller e di Cole Porter, le elezioni di miss (ricordi, Franco Falvo?), gli amori, estivi e non solo, venivano immortalati in versetti, terzine e cinquine.

Ma anche lo ricordiamo caricaturista di vaglia che non aveva nulla da invidiare a Forattini, per riportare tutto ai nostri giorni.

A tal proposito ci viene in mente una mostra di caricature organizzata nei saloni del circolo Granata, nel 67-68, crediamo, che riscosse notevole successo di critica.

Ma la nostra memoria ci propone episodi del riccio, anni cinquanta. Eravamo agli inizi dell'attività di diporto: il giornalismo. Stilavamo i primi, timidi articoli per un giornale di Napoli (Il Giornale). E', una volta, a mo' di cronista mondano, parlammo di Ruggero che con Pupetto Filice si dilettava a cantare un motivo del primo Modugno, allora in voga: Musetto.

Il trasferimento a Cosenza segnò per Ruggero un oblio per il "natio borgo selvaggio" e peri gli amici, come noi, ivi rimasti.

Il rivederlo sugli spalti del vecchio Morrone di via Roma a Cosenza o in quelli del San Vito era un festoso appuntamento.

Ora, la sua dipartita. Con lui scompare una fetta vistosa della San Fili intellettuale.

Questa breve nota non è il suo epitaffio, ma un commosso ricordo che l'Occhio ha sollecitato.

Lo avremo sempre nel cuore, Ruggero Crispini.

domenica 27 novembre 2022

Carmine Cesario - indimenticato vicesindaco rosso del Comune di San Fili.



Foto a sinistra: Carmine Cesario con la madre e la figlia Margherita. Presumibilmente il 1964/1965. Foto gentilmente messa a disposizione dal figlio Amedeo Cesario. 

Articolo di Pietro Perri.

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In una piccola e viva comunità quale quella sanfilese è impossibile che uno solo dei membri appartenenti stessa non finiscano per ritrovarsi nella loro vita, almeno per un giorno, re della comunità stessa... ossia al centro dell'attenzione popolare.

Non è necessario essere figli di baroni o di pseudo nobili dell'ultima generazione, anche l'ultimo della scala sociale della comunità sanfilese riesce, all'interno del paese, a trovare una sua giusta e naturale collocazione, diventando di fatto re per un giorno della piccola e simpatica comunità.

Re non per un giorno, ma per quasi una (seppur breve) intera vita, a San Fili è stato certamente il "Compagno" Carmine Cesario.

In una società come quella odierna in cui si sono persi tanti valori (rispetto reciproco, educazione, altruismo ecc.) e tutto ciò solo perché un muro (quello di Berlino) senza senso è stato abbattuto (nello stesso stupido modo in cui era stato edificato), si è deciso di comune accordo che anche l'era degli ideali fosse definitivamente tramontata. In tale ottica, credo che sia veramente necessario rivisitare e rileggere la vita e le sfaccettature umane di determinati personaggi.

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Nato a San Fili il 18 maggio 1922, figlio di Amedeo (uomo che per vivere faceva commissioni varie tra il paese e la provincia, con il suo carrettino, per i suoi concittadini) e Margherita Riso (casalinga), acquisirà la licenza computistica (terzo anno della Ragioneria) alle superiori frequentate a Cosenza.

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Di professione contabile presso l'E.N.A.L.C. (Ente Nazionale Addestramento Lavoratori Commercio), da sempre convinto uomo di Sinistra e da sempre iscritto al Partito Comunista Italiano: una tra le sue prime tessere (se non la prima) d'iscrizione al Partito dei Rossi per eccellenza è datata 1944... ossia in periodi ancora tutt'altro che facili che chi professava determinate ideologie in pubblico.

Dagli inizi degli anni cinquanta (1950) fino a metà degli anni settanta ricoprirà la carica di Segretario politico della locale sezione del P.C.I.

Tutto casa lavoro e bottega di Partito, si potrebbe dire, se si pensa che fino agli inizi degli anni sessanta la sezione era nello stesso fabbricato (in Piazza San Giovanni) dove il Cesario aveva l'abitazione.

Nel 1970 a San Fili, politicamente parlando, si ha la prima grande svolta (voluta dalla massa Sanfilesi e non dai soliti notabili comunali) dal dopoguerra in poi: la lista di sinistra “Torre con l'orologio”, composta in gran parte da Socialisti e Comunisti, riesce a togliere la guida del Comune di San Fili dalle mani di una ormai decrepita e sempre più stanca DC.

La seconda grande svolta, ma questo è argomento di qualche altro articolo, è datata 1993.

Il 1970 Sindaco a furor di popolo viene eletto il sempreverde Alfonso Rinaldi.

Il 1970 a ricoprire la carica di vice Sindaco del Comune di San Fili è chiamato il nostro protagonista, Carmine Cesario, che conserverà tale carica fino al 1977, quando a dirigere per un breve periodo la vita amministrativa dei Sanfilesi sarà chiamato il Commissario Prefettizio.

Carmine Cesario (a cui è intestata la locale sezione diessina) lascerà questo mondo di lacrime, sempre a San Fili, il 18 novembre 1984.

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E allora: perché parlare di Carmine Cesario oggi? ... perché non sarebbe del tutto sbagliato ritornare a credere in determinati valori, non ultimi gli Ideali dei Partiti (siano essi di sinistra, di centro o di destra), in un mondo senza sostanza dove persino la politica non fa parte del nostro coscienzioso quotidiano... ma ci viene venduta a chili nei supermercati o tramite spot televisivi.

La sua convinta fede politica valse al Cesario, nel 1948 (ossia quando il fascismo era già morto e sepolto da tempo), una notte in gattabuia... decisamente troppo poco per poter scrivere il seguito de “Le mie prigioni” o dei “Quaderni” di gramsciana memoria... ma siamo pur sempre a San Fili.

Da buon Comunista era sempre pronto a trovare una giustificazione plausibile a qualsiasi cosa facesse o scaturisse dall'Unione Sovietica, patria incontrastata dei “Rossi”.

Una tale posizione aumentava il suo ascendente trascinante verso i giovani sanfilesi che guardavano a sinistra. Il suo rispetto per le regole democratiche e il suo innato senso civico, in ogni caso, veniva contraccambiato con un giusto riconoscimento dagli avversari politici.

Avversari che non lesinava certo di punzecchiare additandoli non arguti nomignoli costruiti su misura (Fanfani diveniva “il professore bollito” e sullo stesso sanfilese Gambaro, altro compaesano mancato prematuramente, tentando d'esorcizzare un possibile ritorno al passato, si divertiva a giocare cambiando una vocale del cognome dell'antagonista politico).

Il tutto in ogni caso senza mai scendere nella volgarità e nell'offesa personale: alla base del suo insegnamento resta comunque il rispetto morale e l'educazione verso gli altri.

Teneva molto alla disciplina di Partito (rispetto della scala gerarchica ecc.) e al rispetto delle Istituzioni. Riusciva perfettamente a far collimare i doveri di politico (che all'epoca non era certo una professione come ai giorni nostri) con le responsabilità familiari.

Delfino e quindi erede della memoria storica di Carmine Cesario, all'interno del PCI di San Fili, è sempre stato visto (a detta di molti) Antonio Argentino, attuale consigliere di minoranza, persona che ha ricoperto diversi incarichi amministrativi e di partito.

Con Carmine Cesario, nel corso degli anni settanta, sarà anche per il fatto di un vento particolare di sinistra che aveva investito prepotentemente l'Italia, la locale sezione comunista supererà i cento iscritti.

Il declino politico di Carmine Cesario, oltre che per motivi di salute anche a causa delle nuove leve del partito che premevano per un ricambio dirigenziale, è iniziato a metà degli anni Settanta (1975). Anche se nel 1982 si era pensato, per evitare il crollo annunciato della locale sinistra, di un ripescaggio suo e di Alfonso Rinaldi. Ripescaggio che, purtroppo o forse per fortuna, non sarà attuato.

L'anno successivo Alfonso Rinaldi a guida di una lista civica, la "Spiga", decreterà la fine dell'era “Torre con l'Orologio” e riporterà la DC alla guida del Comune di San Fili. Vicesindaco Francesco Gambaro.

Non solo la sua convinzione politica, ed il modo stesso di esporla, ma anche la sua figura fisica ricordano, e non certo vagamente, il Peppone di Guareschi. E se Carmine Cesario lo abbiniamo a questo stupendo personaggio, non possiamo non affiancargli, nella figura di don Camillo, il nome dei nostri ex parroci don Luigi Magnelli (per devozione verso la figura di Cristo e anticomunista per eccellenza) o di don Peppino Fumo (che all'uso dello scappellotto rinunciava malvolentieri).


sabato 26 novembre 2022

Raffaele Rinaldi - Pittore di origini sanfilesi.



Nella foto a sinistra immagine del pittore di origini sanfilesi Raffaele Rinaldi.

(Articolo apparso su il Notiziario Sanfilese del mese di Aprile 2007. Tale articolo è firmato dal prof. Francesco Iantorno)

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Pittore e decoratore calabrese della seconda metà dell’Ottocento di opere a carattere prevalentemente religioso, svolge la propria attività pittorica sul finire del secolo XIX e agli inizi del XX in diversi centri della provincia di Cosenza.

Raffaele Rinaldi nasce a San Fili il 21 febbraio 1851 da una famiglia di modeste condizioni sociali: il padre Paolo esercitava la professione di calzolaio, la madre Elisabetta Noto quella di pizzicagnola, ovvero venditrice al dettaglio di salumi, formaggi, uova ed altri generi alimentari.

Pittore autodidatta, fu certamente influenzato dalla pregevole opera di Antonio Granata, anch’egli nativo di San Fili, che con Cristoforo Santanna e Domenico Oranges aveva dominato nel secolo precedente il panorama artistico della città di Cosenza.

Le prime notizie relative alla sua attività artistica risalgono al 1869 quando, all’età di diciotto anni, ottiene dal priore della Confraternita di Maria SS. Immacolata di S. Fili l’incarico di “pittare la Congregazione”. Nel 1889 sposa Ortenzia Granata, vedova, di anni quaranta, dalla cui unione nascerà Luigi Paolo, morto prematuramente all’età di ventuno mesi.

Al 1889 e al 1890 risalgono i due dipinti di Bucita, frazione di San Fili, raffiguranti rispettivamente S. Francesco Saverio e S. Francesco di Paola che pregano la Madonna per le anime del Purgatorio e L’Estasi di San Pasquale Baylon, entrambi conservati nella chiesa di Santa Lucia.

Nel 1892 realizza la tela raffigurante S. Michele Arcangelo posta nella navata destra della chiesa della SS. Annunziata di San Fili.

Nel 1898 ottiene dalla Congregazione di Maria SS. Immacolata l’incarico di eseguire sei “quadri in tela” (La Presentazione di Gesù al Tempio, La Visitazione, La Madonna tra Isaia e S. Gioacchino, La Presentazione di Maria al Tempio, L’Annunciazione, S. Francesco di Paola con S. Michele Arcangelo). Tra il 1904 e il 1906 ricoprirà la carica di Priore della stessa Congregazione.

Nel 1899 firma la grande pala d’altare raffigurante S. Antonio Abate che prega la SS. Trinità e la Madonna per le anime del Purgatorio collocata nella chiesa di S. Antonio Abate.

Nel 1908 realizza i cinque dipinti posti sulla volta della chiesa dello Spirito Santo (La fuga di Lot, Davide che mostra la testa di Golia, Giuditta ed Oloferne, Abramo e le tre figure angeliche, S. Francesco di Paola con la Madonna e lo Spirito Santo).

Erroneamente attribuita al Rinaldi era anche la tela collocata nella chiesa del Ritiro raffigurante il Compianto su Cristo morto, trafugata da ignoti nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1975.

La mattina dell’1 marzo 1916 Raffaele Rinaldi muore a S. Fili all’età di sessantacinque anni, dopo una lunga malattia che lo aveva profondamente segnato nel corpo e nello spirito sin dal 1905 quando, “stante l’impossibilità di salute”, rassegna le dimissioni dalla carica di Priore che in seguito accetterà “per l’insistenza dei fratelli e per l’amor che portava alla Congrega”.

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N.d.A.: le notizie riportate sono tratte da Roberto Iantorno, Un pittore sacro a San Fili: Raffaele Rinaldi (1851-1916), tesi di laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio Artistico, Archeologico e Musicale presso l’Università degli Studi della Calabria (a.a. 2005-2006). All’autore va il nostro invito e l’incoraggiamento a proseguire la sua opera di recupero e valorizzazione del patrimonio storico-artistico del nostro comune.

 

giovedì 24 novembre 2022

Don Aquilante Rocchetta (da San Fili) Cavaliere del Santo Sepolcro.



La foto a sinistra è stata ripresa dalla copertina del libro “Don Aquilante Rocchetta – Un viaggiatore sanfilese del secolo XVI”, Atti del convegno storico (San Fili, 16 giugno 2001)” a cura di Mario Spizzirri, Periferia Editrice, Cosenza settembre 2004. Libro che si consiglia a tutti di acquistare e leggere in particolare per la puntuale relazione di Amedeo Miceli di Serradileo.

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L'articolo "D. Aquilante Rocchetta Cavaliere del Santo Sepolcro" è stato pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di agosto 2006 a cura del prof. Francesco Iantorno.

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Aquilante Rocchetta, come egli stesso afferma, nasce nella "Terra di Santo Fili del Marchesato di Renda" nella seconda metà del XVI sec.

Pochissime sono le notizie storiche su questo illustre personaggio sanfilese, autore di Peregrinatione di Terra Santa e d'altre Provincie, una vera e propria guida per i “devoti pellegrini” che, dopo di lui, avessero voluto intraprendere il viaggio verso i luoghi che furono teatro della nascita, della Passione e della morte di Cristo.

Appartenente con ogni probabilità ad una famiglia di mercanti giunta in Calabria in epoca precedente per motivi strettamente commerciali, si trasferisce, dopo molti anni, nella "Felice Città di Palermo".

Il 26 ottobre 1598, data in cui risulta aver già ricevuta l'ordinazione sacerdotale, si imbarca a Messina alla volta della Terra Santa, provvedendosi di tutto ciò che “l'havesse stato necessario”, di “libri spirituali che trattavano di que' Santi luoghi, e d'alcuni itinerarii antichi e moderni”, così “per non dare giammai luogo all'otio abominevole, e pestilente vitio, e prima cagione, et origine di tutti i danni umani, e per passare agevolmente la lunghezza del viaggio, come anche per andare notando minutamente" tutto quello che gli "fusse occorso”.

D. Aquilante non fu tuttavia il primo a lasciarci una testimonianza scritta del viaggio compiuto in Terra Santa; l'opera del Rocchetta si inserisce infatti in una tradizione assai remota che ha il suo più illustre antecedente nel cosiddetto Itinerarium Burdigalense (334 d. C.), il più antico e completo documento odeporico, una guida ad uso dei pellegrini cristiani diretti in Terra Santa.

D. Aquilante nel suo "diario", pubblicato a Palermo nel 1630 presso i "tipi" di Alfonzo dell'Isola, descriverà tappa per tappa il suo viaggio in Terra Santa fornendo una puntuale descrizione di quei luoghi, dei monumenti, delle vie di comunicazione, degli usi e costumi dei popoli incontrati e dei diversi riti in uso presso le varie comunità ecclesiastiche, rivelando in ciò ottime doti di osservatore e di annotatore ed una particolare attenzione per il dettaglio. Il Rocchetta compirà il suo pellegrinaggio con la sensibilità e la curiosità intellettuale tipica della cultura umanistica, distaccandosi ampiamente dagli Itinerari tardo-medievali, intrisi di racconti fantastici e leggende di ogni genere.

Il 25 settembre 1599 rientra a Palermo dal lungo viaggio in Terra Santa, nel corso del quale sarà insignito dell'ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro.

Nel 1605 lo troviamo nuovamente a S. Fili per la riscossione di “molte quantità de dinari” dovute al Rocchetta da Marcello Rumbolo ma, “non potendo esso Aquilante andare di persona ad exigersi dette quantità de dinari per alcune sue infermità et altri soi impedimenti” nomina per suo “procuratore, gestore sive nuntio specialmente deputato” Giulio Sarcone di Paola “per la experienza della fideltà, legalità, diligentia e sollicitudine”.

Nel 1626 D. Aquilante donerà la statua in marmo di S. Maria degli Angeli sul cui basamento è ancora oggi visibile, oltre allo stemma dei Cavalieri del Santo Sepolcro, la scritta: “Hoc sacellum fieri fecit A. D. 1626 pro se et suis heredibus in honorem Sanctissimae Dei Genitricis Mariae Assumptae D. Aquilante Rocchetta presbyter et eques Sancti Sepulcri” creando così le condizioni per essere riconosciuto fondatore di quell'altare ed acquisendone in tal modo il diritto di patronato.

Francesco Iantorno.




domenica 20 novembre 2022

Santo Cesario protagonista dei moti insurrezionali cosentini del 15 marzo 1844.



Nella foto a sinistra: particolare dell’ara dedicata ai fratelli Attilio ed Emilio Bandiera nel vallone di Rovito di Cosenza dove gli stessi furono fucilati nel 1844. Sulla lapide compare anche il nome del sanfilese Santo Cesario anche lui fucilato in quello stesso punto pochi giorni prima dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera.

Tutti (forse) martiri per l’Unità d’Italia. In effetti la sommossa cosentina aveva ben poco da spartite con le mire degli avventurieri “unionisti” ma ne fu comunque la scintilla.

Foto di Pietro Perri.

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Martedì 3 agosto 2004, dopo 160 dalla sommossa cosentina del 15 marzo 1844, dall’arresto e dalla fucilazione nel Vallone di Rovito del patriota Santo Cesario, finalmente San Fili ed i Sanfilesi si sono decisi a riconoscere degnamente l’eroico atto di questo loro sfortunato compaesano.

Di tutto ciò va dato merito in particolar modo a chi scrive e all’amico Antonio Asta (che si sono prodigati per circa un anno in ricerche storiche e a ripercorrere, sul territorio, i passi dei rivoltosi del 15 marzo 1844) ma anche e soprattutto all’allora sindaco di San Fili avv. Luigi Bruno (e all'Amministrazione comunale dallo stesso diretta) che, comprendendo l'importanza del caso, ha messo a disposizione degli ideatori del convegno di giorno 3 agosto 2004 l'intera macchina comunale.

Di seguito viene riportato un articolo - resoconto di tale giornata pubblicato mercoledì 11 agosto su “Il Quotidiano” di Cosenza.

Varate le iniziative per commemorare Santo Cesario

San Fili ricorda il suo eroe

Il patriota fu fucilato nel vallone di Rovito.

SAN FILI - Gli sarà intitolata una piazza del suo centro natale e, intanto, la sua figura sarà studiata e approfondita anche nelle scuole: Santo Cesario, il patriota di S. Fili fucilato nel Vallone di Rovito l'11 luglio 1844, insieme agli altri condannati per l'antisommossa cosentina del 15 marzo, ritorna all'attenzione dei suoi concittadini dopo 160 di oblio. Una dimenticanza imperdonabile, cui l'attuale amministrazione comunale, capeggiata dall'avvocato Luigi Bruno, ha voluto porre rimedio nella ricorrenza dell'importante anniversario, lanciando un pacchetto d'iniziative, di concerto con la Pro Loco e alcuni intellettuali del territorio. Si è avviato così un programma che punta ad una rivalutazione delle risorse storiche e culturali del centro del cosentino, che ha preso il via con un convegno celebratosi nei giorni scorsi.

“Sante Cesario e l'insurrezione cosentina del 1844, ovvero un contributo sanfilese all'Unità d'Italia” è stato proprio il tema che ha riunito lo studioso Pietro Perri, moderatore dei lavori, il vicesindaco Maria Rosaria Oriolo, il presidente della Pro Loco Franco Sangermano, la giornalista Anita Frugiuele, il prorettore Unical Francesco Altimari, il presidente della Lega Autonomie Locali Antonio Acri, accolti dal sindaco Bruno e dal capogruppo consiliare avvocatessa Mazzulla.

Nei locali della biblioteca comunale, in cui si è contestualmente inaugurata la bella mostra “Vedute di Calabria” delle opere dell'artista albanese Shpend Bengu, al quale in conclusione è stata consegnata una targa, il pomeriggio è quindi scivolato lungo quella rinomata ma triste giornata del 15 marzo 1844 quando, sulla scia dell'avversione per la società borbonica, i patrioti cosentini insorsero nella piazza chiamata dell'intendenza.

Un tentativo di rivoluzione che vide il contributo di molti cittadini del circondario e della provincia e, tra essi, il ventisettenne Cesario. Piccolo proprietario terriero, già padre di tre bimbi, il giovane aveva aderito all'ideale liberale di Unità d'Italia che infuocava la Penisola cui ha compiuto la puntuale ricostruzione storica ed ideologica Maria Rosaria Oriolo, e al progetto di un moto che doveva interessare tutto il Meridione, tatticamente preordinato dal vertice della Giovane Italia cosentina Domenico Frugiuele, per quanto riguardava 1a provincia di Calabria Citra.

Una rivoluzione che invece abortì malamente, lasciando sul terreno della breve battaglia alcuni cadaveri e destinando alla fucilazione quanti furono processati e condannati a morte. La stessa sorte che, come ha ricordato Perri nella sua ricca esposizione, di lì a pochi giorni sarà toccata anche ai fratelli Bandiera e compagni, giunti in Calabria per unirsi ai combattenti del 15 marzo e processati a loro volta con gli stessi criteri. Un metodo questo, che è stato tecnicamente illustrata negli aspetti più interessanti da Anita Frugiuele, che faceva capo ad una normativa penale più feroce per i reati di lesa maestà di cui furono accusati e prevedeva l'applicazione di commissioni militari per il giudizio.

Sottolineata da letture di brani dell'epoca e da documenti autentici ad opera del poeta ed attore Antonio Asta, la giornata si è qualificata dunque come un momento di riflessione ed approfondimento, definito da Antonio Acri "prova tecnica di federalismo" per un comune che ha versata sangue per l'Unità d'Italia e guarda con orrore ai discorsi secessionisti attuali

a.f.

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Di seguito è riportata la relazione introduttiva tenuta da Pietro Perri (lo scrivente) al convegno del 3 agosto 2004 tenutosi nella Biblioteca comunale “Goffredo Iusi” San Fili). Oltre ad alcuni stralci di documenti storici letti nel corso del convegno stesso.

Santo Cesario: cenni sulla famiglia.

Santo Cesario nasce a San Fili il 29 marzo del 1817 e muore, a poco più di 27 anni, fucilato, a Cosenza, nel Vallone di Rovito, l'11 luglio del 1844.

Figlio di Vincenzo (di professione vaticale, ossia un guidatore di carri e bestie da soma) e di Rosa Blasi. Viene alla luce in una casa sita nella Strada Croce di San Fili.

Di lui e della sua famiglia si sa ben poco, se non che, per quei tempi, era comunque una famiglia benestante.

Sappiamo che Sante Cesario sposa Aquila Parise di Castelfranco (attuale Castrolibero), nipote del sacerdote Pietro Parise.

Di quest'ultimo qualcuno ha detto: "sacerdote, questi, sicuramente non per vocazione se si pensa che, secondo chi l'ha conosciuto, fosse più avvezzo all'uso delle armi da fuoco che alla lettura e contemplazione dei Vangeli".

Santo Cesario e la Gran Corte Criminale di Calabria Citeriore.

Di Santo Cesario sappiamo anche che sarà menzionato, non certo positivamente, nelle indagini e nel processo in merito all'omicidio del padre.

Il padre Vincenzo, infatti, verrà ucciso il 22 maggio 1838 (a circa 50 anni d'età) in località "Vallone Cupo" di San Lucido.

Accusati dell'omicidio sono Allevato Pasquale (per aver commissionato il fatto su istigazione del sacerdote Pietro Parise), Curti Ferdinando e Iusi Lelio (in qualità di autori dell'omicidio).

Nel corso delle indagini alcuni indizi di correità erano scaturiti a carico di Santo Cesario. Semplici indizi, in quanto nulla, a fine processo, sarà addebitato al nostro eroe risorgimentale. Anche se lo stesso verrà rimesso in libertà provvisoria in attesa di "nuovi lumi".

Trent'anni di ferri vennero comminati a Curti Ferdinando e a Iusi Lelio. Quest'ultimo, qualche anno dopo, rimesso in libertà si arruolerà nella Gendarmeria.

Alla morte del padre, e quindi all'età di 21 anni, Santo, designato unico erede, divenne proprietario di case e terreni.

Se il soprannome del Cesario è “Guerra”, ci sarà anche un perché, fatto sta che ritroviamo il Santo implicato in un altro omicidio, appena tre anni dopo, e questa volta nelle vesti di unico imputato.

A farne le spese fu Paolo Curti di anni 18 da San Fili. Questi, venne trovato ucciso a stilettate la notte del 24 ottobre 1841. Tra i presunti assassini, considerato i possibili moventi (ovvero l'omicidio del padre per mano di Ferdinando Curti avvenuto qualche anno prima), si pensò subito a Santo Cesario.

Il 3 giugno 1842 la Gran Corte Criminale di Calabria Citeriore scagionava a pieni voti (con la formula, questa volta, del "non costa") Santo Cesario dall'imputazione dell'omicidio di Paolo Curti.

Santo Cesario: uomo non da poco e comunque dall'ottima dialettica.

Malgrado subisse l'influenza dello zio acquisito, in ogni caso, Santo Cesario non doveva essere né un soggetto da poco né tantomeno un ignorante o un soggetto privo di dialettica e di personalità. Assieme allo zio acquisito, infatti, nel 1844 sarà uno degli organizzatori, a Castelfranco, della sommossa cosentina del 15 marzo. Sommossa questa, finita in malo modo, è quasi il caso di dire, ancor prima di iniziare, ma che avrà ripercussioni che andranno ben oltre i confini della Calabria Citeriore. Ad essa, infatti, si collega la tragica, anch'essa breve (per alcuni versi anche stupida) e sfortunata, spedizione dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera.

Ad accusarlo di ciò, oltre ovviamente ai fatti, (di far proseliti per la sommossa), saranno gli interrogatori di Saverio Aiello di Castelfranco e Gennaro Rovella di Rende, i quali dichiarano che andarono a Settimo per istigazione l'uno di Giuseppe Mazzei di Casole e l'altro di Santo Cesario da San Fili.

Se non vogliamo dare credito alle illazioni e ad i vari "si dice, non possiamo non affermare, alla luce degli scritti, che Santo Cesario è e resta un eroe del Risorgimento italiano: un eroe vero.

Non c'è fase della sommossa cosentina del 15 marzo 1844, infatti, in cui il suo nome non venga regolarmente citato.

Santo Cesario: anche la sua vicenda conferma il detto "nemo profeta in patria".

Se San Fili, comunque, finora non ha saputo tributargli un giusto riconoscimento (quasi sentendosi offeso d'avergli dato i natali) questo certamente non è stato il caso di Castelfranco, attuale comune di Castrolibero.

E' vergognoso, per noi sanfilesi, infatti dover leggere sulla “Guida Turistica Area Pandosia” del “Consorzio Pro Loco Re Alarico”, in merito ai cenni storici sulla città di Castrolibero, il seguente passo: “Sede di una vendita carbonara capeggiata dai fratelli Parise, Castelfranco partecipò attivamente ai moti rivoluzionari della prima metà dell'800. Nel 1844 un suo cittadino (e ripeto, un suo cittadino), Santo Cesario, nato a San Fili ma residente a Castelfranco, venne fucilato nel vallone di Rovito per aver partecipato al moto rivoluzionario dell'15 marzo 1844”.

Le pagine sanfilesi, nella citata guida, trattano diversamente l'argomento “15 marzo 1844 e Santo Cesario”. Tre miseri righi per la precisione: “Importante è stata la partecipazione di numerosi Sanfilesi e Bucitesi alla carboneria e alle insurrezioni del 1844 e del 1848”. Per i nomi (o almeno il nome del più illustre, dell'eroe risorgimentale Santo Cesario)? ... si rimanda il lettore alle pagine relative al comune di Castrolibero! ... in quelle di San Fili non abbiamo spazio per gli uomini illustri che hanno fatto, col loro sangue, la storia d'Italia e del nostro paese.

E' vero: "nemo profeta in patria". Regola a cui non scampa neanche l'eroe risorgimentale Santo Cesario.

Persino il Granata (personaggio sanfilese che eccelle in tutto) in un suo componimento dedicato ai moti insurrezionali cosentini del 1844 (per la cronaca "Passeggiando lungo la villa di Cosenza - Reminiscenze del 15 marzo 1844") cita il Salfi (che cade in Piazza dell'Intendenza), cita il Corigliano (che neanche fu presente in Piazza dell'Intendenza), cita il Raho (morto suicida mancandogli il coraggio di subire la fucilazione?) giunto sul luogo dell'esecuzione in una bara, cita il Villacci (che ha paura di bagnarsi i piedi oltrepassando il ruscello che preannuncia la sua morte)... non cita il Camodeca, non cita il Franzese e, cosa ancor più grave, non cita il compaesano Santo Cesario.

Il Granata non cita, seppur non fucilati ma comunque partecipi della sommossa, gli altri sanfilesi Cribari, Allevato e Parisi. Tale cosa non sfuggi giustamente neanche a Goffredo Iusi.

Santo Cesario nella città dei Bruzi.

Facendo una passeggiata a Cosenza, non possono non sfuggire ben tre punti in cui si legge, quasi a caratteri cubitali, il nome di Santo Cesario (ovviamente abbinato al nome degli altri sfortunati "eroi" legati all'insurrezione cosentina del 1844): vallone di Rovito (mausoleo ai fratelli Bandiera e agli insorti del 1844); piazza 15 Marzo (piedistallo della statua della Libertà); Duomo di Cosenza (cappella del Santissimo Sacramento, appartenuta all'Arciconfraternita Orazione e Morte).

Santo Cesario da San Fili, in un periodo dove ormai ben si sapeva che a nulla serviva nulla... c'è!

Malgrado il Sud (la Calabria) fosse tutt'altro facile da raggiungere, sembra che fin dal 1835 la Giovine Italia aveva attecchito e messo salde radici a Cosenza. Due tentativi di rivolta, che precedettero di poco quello del 1844, furono organizzati invano, uno nel 1837 ed uno datato 27 ottobre 1843.

A cosa miravano gli insorti? ... l'Italia doveva essere unica ed indivisibile. Quale doveva essere la futura forma di governo? ... tutto andava bene, si sarebbe visto poi. Qualcuno azzarda persino l'idea di una Monarchia costituzionale con a capo il Borbone, e non è detto che ciò non sia vero. Dopotutto è strano, malgrado l'enfasi riportata nei pochi libri scritti e pubblicati in merito ai "massacri cosentini" del 1844, che vi siano state così ben poche teste a cadere.

21 persone riconosciute colpevoli di attentato alla Corona e quindi condannate a morte... solo sei esecuzioni, per volere della Corona, portate a termine.

Come mai solo sei esecuzioni su 21 condanne a morte? ... come mai tutta questa “Pietà Reale”?

In altri tempi (1799 a Napoli con Francesco I e il 1837 con lo stesso Ferdinando II) il numero dei giustiziati fu decisamente più alto.

Santo Cesario protagonista dei moti insurrezionali cosentini del 15 marzo 1844.

Nel mese di febbraio 1844, il comitato rivoluzionario della Calabria Citeriore si riunì per decidere modi e data della rivolta. Qualcuno (Pietro De Roberto) consigliò di aspettare novembre mettendosi d'accordo con le altre provincie per sollevarsi contemporaneamente. Prevalse la proposta di Nicola Corigliano (ossia, per uno strano gioco del destino, dell'unico dei sei destinati alla fucilazione che non prese parte alla battaglia di Piazza dell'intendenza), era deciso: il 15 marzo.

Malgrado ciò, e malgrado svariate avvisaglie che facevano prevedere il fallimento dell'impresa, oltre 80 persone si ritrovarono, il 14 marzo, in contrada Settimo di Rende ed 8 nel casino Puntieri a Montechierico.

Santo Cesario, detto Guerra, confessa lui stesso di aver partecipato ad una riunione in casa di Pietro Filice e poi essere, con il Filice ed altri compagni, congiuntosi ai rivoltosi di Settimo. Negherà solo di aver resistito, all'atto dell'arresto (avvenuto il 17 marzo), alla forza pubblica facendo fuoco sulla stessa.

Tra gli ottanta di Settimo compaiono anche Allevato Pasquale di San Fili (dimorante a Marano Marchesato), Francesco Parisi di San Fili (dimorante in Cerzeto), Cribari Antonio di Bucita (dimorante a San Benedetto) e lo stesso Cesareo Santo di San Fili (dimorante a Castelfranco)

I cospiratori del gruppo di Settimo (eroi risorgimentali cosentini) si ritrovano in contrada Coda della Volpe (al cancello dei Maddaloni) a bivaccare. Di tanto in tanto sparano dei razzi per segnalare la propria presenza agli altri cospiratori cosentini, quelli riuniti a Montechierico (il Corigliano ed altri 7 rivoltosi), i quali danno loro pronta risposta.

La maggioranza armati di fucile, il resto di scuri ed improvvisate armi.

Da Coda della Volpe si avviano alla taverna di Maria Teresa Basile, (piccola casa nei pressi della stazione ferroviaria di Rende-San Fili - stiamo parlando di fine '800).

Alle prime luci dell'alba, la comitiva s'incammina verso Cosenza., oltrepassando prima l'Emoli e poi il Campagnano. A capo della comitiva era il Salfi, Francesco Salfi.

Abbandonati lungo il percorso da parte dei radunati di Settimo, i congiurati speravano di trovare aiuti ed incoraggiamenti almeno in città: la città, però, come scrive Biagio Miraglia, non si mosse!

"... Essa giacea nel sonno:

La ridestàro col potente grido.

Si aprivano i balconi, ed il terrore

Tosto li racchiudeva. Ahimè, Cosenza

Il sonno dello schiavo ancor t'è dolce

Come il sonno diletto del mattino! ..."

In piazza dell'Intendenza.

Qui inizia a sorgere qualche dubbio in merito allo svolgimento legittimo dell'intera vicenda, qualcosa, infatti, inizia a non quadrare. Ma dopotutto... non è forse gran parte del periodo risorgimentale italiano che dà una tale impressione?

Qualcosa, ovviamente, era nell'aria da tempo, se si considera che a scopo cautelativo giorno 13 marzo, ossia appena due giorni prima, erano stati arrestati 7 presunti cospiratori. Quindi, le forze dell'ordine sapevano di ciò ch'era nell'aria. E sicuramente anche i "cospiratori" sapevano che le forze dell'ordine sapevano che giorno 15 ci sarebbe stata la rivolta

Stranamente gli insorti entrarono in Piazza dell'Intendenza senza che la forza pubblica tradisse alcuna preparazione alla difesa: persino il portone del palazzo dell'Intendenza era aperto (subito chiuso e sprangato). L'Intendente era il barone Villani di Battifarano.

Per varie vicissitudini, comunque, degli oltre cento previsti, appena una cinquantina si ritrovarono in piazza dell'Intendenza (attuale piazza XV Marzo) a Cosenza. Tra questi il bucitese Cribari Antonio, Francesco Parisi e Santo Cesario (ritorna il nome di Sante Cesario) di San Fili.

Morte del capitano Galluppi e scontro tra rivoltosi e gendarmi.

Squilla la tromba della gendarmeria a cavallo ed un drappello di soldati, comandati dal capitano Galluppi, irrompe nella piazza. Giunge anche la gendarmeria a piedi.

Il Galluppi sembra lavorare per scongiurare un vero e proprio corpo a corpo che sarebbe finito certamente nel sangue tanto che qualcuno si chiese se non fosse a conoscenza, e magari ne fosse pure partecipe, della congiura.

Purtroppo un albanese, un certo Tavolaro, pensando che stesse avventandosi sul Salfi (col quale semplicemente discuteva) tira un colpo di fucile alla testa del Galluppi che cade a terra.

A questo punto i gendarmi non vedono altra possibilità di sedare la rivolta se non di rispondere senza mezzi termini al fuoco. Di fatti la morte del Galluppi (forse una quinta colonna della rivolta) segnerà l'inizio della fine della rivolta stessa.

Quasi subito troviamo a terra il Salfi, Musacchio, Coscarella, De Filippis e, secondo alcune versioni, lo stesso uccisore del Galluppi.

Del Galluppi qualcuno dirà: "vittima del proprio dovere, non della libertà".

In breve nella piazza non restò alcun rivoltoso. Sul luogo del combattimento si trovò la bandiera tricolore portata da Settimo, tre fucili ed uno stile.

Inutile dire che in piazza dell'Intendenza, il 15 marzo 1844, ritroviamo, certamente non nascosto ed inattivo, l'eroe risorgimentale Santo Cesario.

Gli arresti sono immediati ed in breve tempo si giunge anche alla esemplare conclusione del relativo processo.

A base di tutto e a determinare l'andamento del processo si può dire siano state le dichiarazione rilasciate dagli arrestati Antonio Raho e Raffaele Camodeca (entrambi tra i fucilati dell'11 luglio 1844).

Ventuno condanne, sei esecuzioni.

Ad essere condannati a morte (pena capitale col terzo grado di pubblico esempio - tale consisteva nel trasporto del condannato al luogo dell'esecuzione, a piedi nudi, vestito di nero e con un velo nero sul volto) in prima istanza furono in 21. Tra questi, oltre al Cesario, figura un altro sanfilese: Francesco Parise di anni 24, ferraio, domiciliato in Cerzeto. La sentenza fu emessa il 10 Giugno alle ore 6.

21 condannati a morte, ma una lettera, riservata e personale, giunge da Napoli con l'ordine di non fucilarne più di sei, solo sei, neanche uno in più. Scegliendo tra i 21 i sei che più si erano distinti nell'intera vicenda.

I 6 fucilati (o destinati alla fucilazione) sono accusati quasi tutti di cospirazione, esecuzione ed atti prossimi ad essa per eccitare alla ribellione i sudditi del regno ad armarsi avverso all'autorità reale. Questi, secondo l'accusa, avevano resistito alla "energica repressione" della Reale Gendarmeria, uccidendone un ufficiale ed un gendarme, e ferendo due altri leggermente.

Accusato e scagionato: Antonio Cribari di Bucita, mulattiere di anni 24.

Santo Cesario riposa all'interno del Duomo di Cosenza.

Abbiamo detto chi era Santo Cesario, senza tralasciare anche alcuni dubbi episodi della sua vita; abbiamo parlato dell'impegno per la riuscita e della forte presenza del Cesario nella vicenda dei moti insurrezionali del 1844 (cosa che di fatti ne fa un eroe risorgimentale). Non abbiamo parlato però di dove si trovano attualmente le spoglie di Santo Cesario e di buona parte dei suoi compagni di sventura.

Inutile dire che non si trovano (non è sepolto) nel cimitero di San Fili. E tutto ciò, ovviamente, a 160 della vicenda, a suo onore, tutto ciò, e non certamente ad onore dei sanfilesi.

Sanfilesi che, finora, non gli hanno dedicato neanche una via o una piazza. 160 anni di oblio, comunque, anche se in alcuni casi lontanamente giustificabili (il mistero del componimento Granata, ad esempio), sono veramente tanti!

Le spoglie di Santo Cesario, infatti, riposano, e non certamente in modo anonimo, all'interno del Duomo di Cosenza.

Entrando dalla porta principale del Duomo, costeggiando la navata sinistra e proseguendo verso l'altare maggiore, non dopo aver tanto camminato, ci ritroviamo, sulla sinistra, davanti alla cappella del Santissimo Sacramento, cappella che per una strana, fortuita per il Cesario e i compagni, combinazione apparteneva all'Arciconfraternita della Morte e Orazione.

Arciconfraternita che aveva tra i suoi fini quello di dare debita sepoltura ai poveri ed ai condannati a morte.

Sulla pala dell'altare della cappella è posta l'immagine della Madonna delle Grazie.

A destra dell'altare, sono tumulate le ossa di alcuni patrioti calabresi, quelli fucilati assieme (o con qualche giorno di differenza) ai fratelli Attilio ed Emilio Bandiera.

Alcuni resti sono stati traslati nelle città d'origine, riposano ancora nella cappella i resti mortali di Francesco Salfi e Nicola Corigliano di Cosenza, Michele Musacchio, Giuseppe de Filippis e Francesco Coscarella di San Benedetto Ullano, Giuseppe Franzese di Cerzeto, Raffaele Camodeca di Castroregio, Pietro Villacci di Napoli, di Antonio Raho di Cosenza e di Santo Cesario di San Fili.

Un capitolo ancora aperto.

Qualche giorno dopo il convegno, quando il capitolo "Santo Cesario eroe del Risorgimento Italiano" sembrava essere stato definitivamente archiviato, il veleno (oltre l'ignoranza galoppante) che caratterizza alcuni sanfilesi o presunti tali, tenta di gettare nuovamente discredito sull'eroico e sfortunato compaesano.

A questo punto diventa legittimo chiedersi realmente perché 160 di oblio (tabù) sul nome di Santo Cesario da parte dei sanfilesi, e le motivazioni, logiche e possibili, che riaffiorano sono ben poche: le misere (popolari, per la precisione) origini di Santo Cesario. Dopotutto Santo Cesario era il figlio di un vaticale per nulla discendente o lontanamente collegato alle famiglie nobiliari o gentilizie sanfilesi. Chi vorrebbe, infatti, come eroe cittadino il figlio di un vaticale... quasi un “mulattiere”?

la scarcerazione, subitanea ed anche strana, e l’entrata nella Gendarmeria di uno degli assassini del padre (ossia di Lelio Iusi). Dopotutto, avranno pensato i sanfilesi, è meglio tenerci amico un gendarme vivo che un eroe risorgimentale morto.

Non trova appiglio, infatti, l'ipotesi di trovarci di fronte ad un criminale.

Oltretutto nel primo processo in cui viene coinvolto Santo Cesario si rasenta l'assurdo accettando l'ipotesi che lo stesso era indiziato nell'omicidio del padre in quanto nipote acquisito del sacerdote Pietro Parise, il quale Pietro Parise avrebbe istigato Allevato Pasquale a commissionare a Ferdinando Curti e a Lelio Iusi l'omicidio di Vincenzo Cesario padre di Santo.

Solo un ignorante, senza prove inconfutabili, potrebbe dar credito ad una tale ipotesi. I giudici dell’epoca pensarono bene di soprassedere.

Senza tanti giri di parole e conoscendo il soggetto... avrebbe fatto prima, il Santo Cesario, e sicuramente con migliore figura, se veramente avesse voluto ucciderlo, ad ucciderlo direttamente il padre.

Per quel che mi riguarda io preferisco leggere diversamente il dramma esistenziale dell’eroe risorgimentale Santo Cesario. Un povero giovane che ad appena ventun’anni si vide privare anche dell’affetto paterno da una masnada di prezzolati assassini.

Fatto sta che a fine processo le manette scattarono (e credo sia più che giusto ricordare questi nomi e magari anche i cognomi) nei confronti di Ferdinando Curti e Lelio Iusi. Per Santo Cesario un semplice rinvio a “nuovi lumi”, di fatti un’archiviazione bell'e buona.

Del secondo caso, quello che vede il Santo Cesario implicato nel processo per l'omicidio di Paolo Curti, preferisco non parlarne in quanto il nostro eroe sarà prosciolto con la formula del “non costa”, ossia viene considerato dai giudici completamente estraneo al fatto.

Persino l’Intendente di Cosenza barone Villani di Battifarano nel vano tentativo di screditare agli occhi dei suoi superiori la figura di Santo Cesario, in una “informativa” all’uopo realizzata, non può fare a meno del mettere in risalto il “si dice” dei compaesani dell’eroe del Risorgimento Italiano: “Santo Cesario, di S. Fili, domiciliato a Castelfranco. Dopo la morte del padre spiegò animo atroce e costume perverso. Si vuole che abbia avuto parte nell'omicidio in persona del genitore, ed il pubblico lo reputa uccisore del suo compaesano D. Paolo Curto, quantunque fosse stato liberato dalla Gran Corte Criminale col non costa….”.

E il Battifarano aveva più di un giustificabile motivo per screditare Santo Cesario, motivi che mancano completamente ai suoi compaesani di allora e più che di allora… oserei dire di adesso!

Restano in pratica i “si dice” di un popolo in alcuni casi citato come “... largu 'e vucca e strittu de manu!”,

Nel preparare la relazione per il convegno del 3 Agosto 2004 abbiamo dato una approfondita spulciatina anche al libro dello storico Mario Spizzirri “I Sanfilesi e la Gran Corte Criminale di Calabria Citeriore dal 1815 al 1862”: quanti nomi (e cognomi) di sanfilesi vengono citati in tale libro. Cronache che farebbero impallidire, se non passare per angioletto, lo stesso “leggendario” pluriomicida sanfilese noto come “u Surd'e Carlucciu”.

Assieme all’amico Antonio Asta, che mi ha assistito non poco nelle ricerche che hanno dato via alla mia relazione, tra l’altro non abbiamo potuto fare a meno di chiederci come mai questo stupendo libro dello storico Spizzirri sia così poco circolato a San Fili e come mai la Biblioteca di San Fili non ne conservi una copia.

Pietro Perri.

*     *     *

Da “Passeggiando lungo la villa di Cosenza - Reminiscenze del 15 marzo 1844”.

Di Enrico Granata.

"Attico sale il labbro, il cuor leone,

pari a duce di liberi giganti

che scossero il torpor della prigione,

 

il lauro al capo ed il supplizio innanti:

«bello e dolce è il morir pel patrio tetto»

sereno incedi, Corigliano, e canti.

 

E al tuo Villacci, polso a polso stretto,

che il piede scalzo in una gora infuse,

celiasti: Via, non lorderemo il letto!

 

Ultima celia! un rombo la confuse

con tonfi dello storico vallone

che tanto italo sangue al mar profuse.

 

Oh, viene anch'esso Raho e non pedone,

chè stancossi per via. Chiude il corteo

una bara, in cui spento lo si pone.

 

Ansia di un - nuovo al mondo! - empio trofeo;

dunque, efferato Maramaldo, il dritto

nel morto uccide i ruderi del reo."

*     *     *

U Vaddrune de Ruvitu

Versi dedicati a Santo Cesario fucilato nel Vallone di Rovito l'11 Luglio 1844.

Di Antonio Asta.

"A Santu Fili, u Vaddrune De Ruvitu e' riscordatu

Ma ddra' nu figliu cc'è statu fucilatu,

Santu Cesario de nume facìa

È muortu ppe' ra Patria chi cridìa.

Ccu quattru cumpagni è statu ammazzatu

Ppè manu du Burbone sceleratu,

ntu juru de l'anni u sancu âu spisu

ppè l'unure d'Italia avire difisu.

Viva l'Italia su' muorti gridannu

Quannu i surdati de Re Ferdinannu

i griddri âu vasciatu, sparannu, sparannu.

E giuvane vite su' state spezzate

senza dulure, senza pietate.

Iddri su' muorti ppe' juorni cchju' miegli

ppe' nun more de fame e mamme e ri figli,

ma a ra Calabria nente è cangiatu

cchju' pieji de prima nui simu restati.

I Borboni cridiamu ch'eranu muorti

ma stamuni attienti su tutti risuorti.

Nu Santu Cesario chju' nun ce sta'

pregamu u Segnure e cumu va' va'."

*     *     *

MINISTERO

E REAL SEGRETERIA DI STATO

DI GRAZIA E GIUSTIZIA

Ripartimento 3

Carico 1

RISERVATA A LUI SOLO.

Al sig. Procuratore Generale

Presso la Gran Corte Criminale in Cosenza

 

Napoli, 17 giugno 1844

Le comunico per di lei intelligenza la seguente determinazione partecipata al Comandante le armi in codesta Provincia colla data di oggi.

"La Commissione militare ch'è occupata del giudizio degli imputati degli avvenimenti de' 15 marzo scorso in cotesta Provincia, giudicherà costoro secondo la Legge in vigore. Nondimeno quando cotesta Commessione Militare pronunziasse sentenza di morte contro sei tra quegli imputati, lascerà libero il corso alla giustizia e farà eseguire la condanna. Nel caso che la Commessione condannasse a morte un numero maggiore di sei imputati, la Commessione ne farà una classificazione, ed il giudicato avrà esecuzione pei sei condannati a morte che verranno designati dalla Commessione medesima nella stessa sentenza.

Per gli altri condannati a morte sospenderà, nel mio particolar nome, la esecuzione e farà rapporto. La Commessione nella classificazione porrà mente a sospendere la esecuzione della sentenza di morte per quelli che hanno meno spinta la rivolta. Darà conoscenza di questa determinazione al Relatore della Commessione militare, ed avrà cura che sulla medesima si porti il maggior segreto. Mi farà conoscere l'arrivo della presente.

Il Ministro Segretario di Stato

di Grazia e Giustizia

N. Parisio

*     *     *

Da "La sommossa cosentina del 15 marzo '44"

Del dottor Giuseppe Storino

Editore Luigi Aprea - Cosenza 1898

La triste sentenza di morte fu eseguita l'undici luglio. Nel Vallone di Rovito.

Alle sei della sera del 10, Pietro Villacci, Nicola Corigliano, Sante Cesario, Raffaele Camodeca, Antonio Raho e Giuseppe Franzese furono condotti nella cappella del carcere. Un canonico, D. Nicola B..., padre di uno de' condannati, con pietosa insania, fornì loro del tabacco avvelenato, e Antonio Raho lo fiutò avidamente, e cadde in mezzo a' compagni; gli altri preferirono ricever la morte dalla mano del carnefice, perché più proficuo fosse il loro martirio.

Nelle prime ore del mattino furono condotti al supplizio: tristissimo spettacolo, cui faceva contrasto la loro saldezza d'animo e la loro intrepidità.

Il Villacci voleva scansare un rigagnolo, per non bagnarsi; ma il Corigliano: E che? hai paura di prendere stasera un raffreddore?

Caddero, salutando con lo sguardo rivolto al cielo, la patria diletta, e forse in quel momento intravedevano per essa migliori destini.

Il maggiore di essi aveva trent'anni, il più giovane era Raffaele Camodeca.

*     *     *

Da "Storia di Cosenza", di Luigi Caruso - edizioni di Storia Patria.

Nel conflitto morirono il capitano di Gendarmeria Galluppi, Francesco Salfi, Michele Musacchio, Francesco Coscarella e Giuseppe De Filippis.

Il commissario di polizia Lubrano chiamato a giudicare 75 cospiratori cosentini fece il resto!

Il martirio della nostra gente non fu vano, anzi si accostò a quello di mezza Europa. Un nuovo motto si era creato e veniva da tutti pronunciato con amare lagrime: “...non avere più a che fare col Re di Napoli”.

Il seme della libertà bagnato col sangue dei nostri martiri non bastò a placare l'orgia borbonica. Ancora vendette per saziare il felino che siede sull'ironico scanno! Oh sventura del nostro piccolo lido!

Non piangere Bruzio: ormai si appresta l'ora del tuo riscatto! Lo sappiamo che lo squallore non ti desta meraviglia, per il tuo lungo soffrire. Ma ora devi resistere, devi vantarti del tuo coraggio, devi farti apprezzare per la tua forza. Non piangere, sei ormai un uomo e tu sai che gli uomini non piangono! Ecco i tuoi compagni che per te s'immolarono l'11 Luglio 1844: Pietro Villaci, Nicola Corigliano, Raffaele Camodeca, Giuseppe Franzese, Santo Cesario, Antonio Raho, giovani, baldi e con l'Italia nei loro petti.

*     *     *

Da un articolo apparso sul giornale “La Libertà” del 13 Giugno 1867 dal titolo “Trasporto delle Ceneri de’ Bandiera d del Moro in Venezia":

“(…) Arrivato il convoglio funebre presso San Fili, vide quel piccolo paese brillare d’infinite fiaccole: per le strade lunghe file di torce a vento, su’ balconi e le finestre lucerne variopinte e vagamente disposte. San Fili parea un quartiere d’una grande città in una sera di festa. All’entrata del paese si trovò la Guardia Nazionale tutta schierata lungo la via; una gran calca di gente di ogni classe si facea intorno al carro funebre desiderosa di vederlo: la Commissione provinciale allora lo fe’ scoprire a’ loro occhi, e dalla Guardia Nazionale di San Fili diede l’onore di guardare il carro durante la fermata del convoglio. Il sindaco intanto ed un’eletta schiera di cittadini venne ad invitare le varie commissioni del seguito e l’ufficialità della Guardia Nazionale di Cosenza a favorire nella casa comunale ove si trovò ogni maniera di rinfreschi apparecchiati da quel patriottico municipio: rinfreschi ancora furono offerti a tutta la bassa forza delle due compagnie della Guardia Nazionale di Cosenza ed alla banda, che crede’ ringraziare il paese, facendogli sentire i suoi concerti. Il convoglio venne infine accompagnato per lungo tratto dalla Guardia Nazionale di San Fili. Quanti son tornati di là non possono insomma elogiare abbastanza l’accoglienza fatta da quel piccolo paese al funebre corteggio de’ Bandiera e di Moro. E noi ci compiacciamo con quell’egregio Sindaco sig. Gentile e con quanti lo coadiuvarono della loro esemplare operosità, del loro patriottismo”.

 


martedì 15 novembre 2022

Il Professor Mario Nigro - sanfilese - e la legge 241 del 1990.


Nella foto a sinistra il saggio (opera del sanfilese Mario Nigro) “Giustizia Amministrativa” in una edizione dei primi anni Ottanta del secolo scorso.

Foto ripresa dal web.

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Articolo pubblicato - a firma di Pietro Perri - sul quindicinale “l’occhio” del mese di febbraio 1996.

*     *     *

A differenza di alcuni soggetti che a San Fili da tempo sfoggiano titoli altisonanti e/o recitano quattro parole d’inglese o d’altre strane lingue (limitandosi comunque a questo ed evitando opportunamente di confrontarsi in un piano paritetico col vicino di casa), sempre e comunque le stesse e quindi presumibilmente imparate a memoria, non mi vergogno ad evidenziare la mia ignoranza su tutta una serie di cose… incluso la storia di quello che ho sempre definito il mio amato odiato paesino: San Fili.

Fino al 23 gennaio 1996 non sapevo neanche io chi fosse e quanto fosse importante per la comunità sanfilese, che gli ha dato i natali, e per l’Italia intera, grazie alla sua opera, il Prof. Mario Nigro. L’ennesimo sanfilese che per diventare qualcuno… ha dovuto cambiare patria (ossia lasciare il paese natio).

Era pomeriggio inoltrato quando il mio caro e simpatico amico Michelangelo Luchetta nel vedermi girovagare per corso XX Settembre mi disse: “Vatti a cambiare che ti do’ un’ottima occasione per scrivere un articolo qualificante!”. Detto fatto e mi trovai nel men che non si dica, assieme a numerosi altri concittadini, all’interno di Palazzo dei Bruzi a Cosenza.

Quel giorno a Cosenza, per volontà di un colto e folto gruppo di cosentini, si svolgeva la cerimonia di intitolazione della Sezione Provinciale del “Centro Italiano di Studi Amministrativi” al Prof. Mario Nigro.

Di seguito riporto l’articolo apparso a firma del sottoscritto su un quotidiano di Cosenza, giornale di cui all’epoca ero il corrispondente incaricato di San Fili:

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Si è svolta a Cosenza, nella sala di Rappresentanza del Comune, martedì 23 c.m. (nota dell’autore: 23.01.1996), la Cerimonia di intitolazione della Sezione Provinciale del Centro Italiano di Studi Amministrativi al compianto concittadino prof. Mario Nigro.

A ricordare la figura e la presenza attiva di questo eccelso concittadino, nato a San Fili il 28 novembre1912 e morto a Roma il 28 febbraio 1989, ad un pubblico numeroso e colto, si sono scambiati il testimone S.E, Avv. Giuseppe Bozzi, Presidente del T.A.R. Calabria, e il prof. Alessandro Nigro, Ordinario dell’Università La Sapienza di Roma e degno figlio dell’insigne prof. Mario. Presenti anche il Direttore del Centro Studi Avv. Oreste Morcavallo ed il Presidente Avv. Mauro Leporace.

La figura del prof. Mario Nigro si estrinseca e si concretizza, tra l’altro, in un profondo impegno prima politico e poi nella attiva collaborazione e nella formazione di varie Leggi. Era lui, non bisogna dimenticarlo, il Presidente della Commissione per la legge sul procedimento amministrativo, che dallo stesso ha preso il nome, e che ha dato origine alla famosa Legge 241 del 1990. Tale Legge ha messo in discussione l’intera macchina amministrativa dello Stato Italiano, imponendo a tutti i settori pubblici, appunto, la trasparenza amministrativa dei propri atti e del proprio operato.

Avvocato di provata capacità, docente universitario, studioso, discepolo di Santi Romano e Guido Zanobini, lascia, a testimonianza del suo passaggio, oltre 120 scritti fra i quali “Le decisioni amministrative” (1953), “L’appello nel processo amministrativo” (1960), “Studi sulla funzione organizzatrice della p.a.” (1966), “La Giustizia Amministrativa” (1976).

Nella sala di Rappresentanza di Palazzo dei Bruzi, oltre a numerose personalità dell’ambiente giuridico calabrese, c’erano anche numerose autorità politiche e culturali della provincia di Cosenza. Il Comune di San Fili, che ha dato i natali al prof. Mario Nigro, era presente con il proprio gonfalone e una significativa rappresentanza cittadina”.

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Mi piace rileggere (e quindi riscrivere) quest’ultima parte dell’articolo surriportato “Il Comune di San Fili era presente con il proprio gonfalone e una significativa rappresentanza cittadina” e mi piace porre la seguente domanda a te, amico lettore: tu c’eri?

In effetti di San Fili eravamo veramente in pochi (magari qualificati, ma pur sempre in pochi) ad onorare un degno figlio della nostra terra. Tra l’altro nessuno o quasi era stato adeguatamente informato di tale evento.

In un Comune, seppur stradissestato come il nostro, in cui si sono sempre e comunque sprecati miliardi, non si potevano buttare centomila lire per fare un seppur scarno manifesto per avvisare la cittadinanza dell’onore che ci veniva tributato dalla città capoluogo? … anche a costo di autotassarci?

In quel di Piazza San Giovanni ho sentito più volte citare (nu pocu a strusciu d’acqua a dir’u veru) da alcuni concittadini la famosa legge “Bassanini” ossia quella legge che (si fa per dire) ha responsabilizzato i dipendenti pubblici. Se la 241 del 1990 (ossia la “Legge Nigro”) fosse stata non solo applicata alla lettera ma anche opportunamente recepita dagli italiani… sarebbe stato inutile dar vita alla “Bassanini”.

Ad evidenziare l’importanza della legge Nigro (e con ciò ben me ne guardo dall’essere polemico) cito un passo del programma presentato alla cittadinanza, in quel lontano 1996, dalla lista “Solidarietà Cittadina”: “Al fine di promuovere la partecipazione dei cittadini alle scelte si attuerà una politica di trasparenza degli atti e procedimenti amministrativi. Si doteranno i cittadini di un regolamento di attuazione della legge n. 241/90 (ndr.: la Nigro!)  per l’accesso agli atti, semplice ma efficace”.

Erano quelli comunque i tempi bui del commissario prefettizio Patrizia Sirimarco, la lady di ferro della nostra amministrazione… ma il Prof. Mario Nigro è morto nel 1989 e la Sirimarco ha gestito il nostro Comune per pochissimo tempo: a voi risulta che in dieci lunghi anni i nostri dotti amministratori abbiano mai fatto qualcosa per commemorare degnamente il nostro illustre compaesano?

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Qualche anno è passato da quando pubblicai l'articolo sul prof. Mario Nigro (siamo nel mese di novembre 2008)... ma non la storia.

La legge 241/1990 sembra abbia fatto presa in tutto il resto d'Italia tranne che nella nostra provincia, la provincia di Cosenza. Zona dove dopotutto, grazie al sanfilese Mario Nigro, la stessa ha visto i suoi natali.

Qualcuno parla di omertà, di 'ndrangheta, di mancanza dello Stato. Io parlo di furbi, e purtroppo furbi vogliamo esserlo tutti, dimenticandoci che se tutti siamo furbi e non ci sono fessi in circolazione la società non può che andare in rovina.

Per quanto riguarda il nostro compianto compaesano Mario Nigro, comunque, nel primo lustro del 2000 allo stesso a San Fili è stata intitolata una piazza: Piazza Mario Nigro (appropriandosi dello spazio denominato fino ad allora semplicemente Piazza Caserma).