SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: 2022

A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

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domenica 11 dicembre 2022

Le piante di natale a San Fili - Lippu frascogna e pungitopu.



Nella foto a sinistra: pianta del pungitopo. Questa pianta è particolarmente presente nel sottobosco dei castagneti circostanti il centro abitato di San Fili... o quanto meno lo era fino a qualche decina d’anni addietro. 

Foto (ed articolo) by Pietro Perri.

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Lippu, frascogna e pungitopu.

Del Natale e delle "meglie feste dell'anno" a San Fili (Capodanno, Pasqua ecc.) ne ha ampiamente parlato il prof. Francesco Cesario nel suo libro "San Fili nel tempo" per cui, evitando di ripetermi, a chi ancora non l'ha, consiglio di procurarsene una copia.

In questi giorni (inizio dicembre) comunque, avendo in mente di costruire il tradizionale presepio, mi è girato per la testa di ripescare alcuni termini dialettali della mia fanciullezza decisamente caduti in disuso.

Sono termini prettamente botanici: lippu (con i derivati "lippusu" e "lippìadi"), Spinapulice o spinasurice (ossia pungitopu) e frascogna (o viscogna).

Oggi per realizzare il verde nei presepi basta andare in un qualsiasi negozio e comprare una appropriata carta verde... per la gioia delle casalinghe in quanto non corrono il rischio di sporcare eccessivamente le loro abitazioni... sono poche famiglie oggi ormai, infatti, ad utilizzare per tale scopo anche nei nostri paesini del naturale "lippu" (muschio).

Fino a qualche decina d'anni orsono invece a San Fili c'era una vera e propria incetta, nel periodo pre-natalizio, di questa pianticina primordiale e la maggior parte finiva certamente ad abbellire il presepe che veniva realizzato nella Chiesa Madre.

Il Natale a San Fili veniva per tutti e per tutti era sacro rispettare la tradizione del presepe. Chi non poteva comprare dei pastorelli in terracotta o cartapesta, senza lasciarsi prendere troppo dallo sconforto, realizzava i propri "pascarieddri" (non sempre definibili opere d'arte) in creta che si procurava dai locali "ceramilari". Plasmato il "pezzo", lo si faceva indurire (cuocere) accanto al fuoco di casa (u fuacularu).

Il "lippu" migliore, per gli intenditori, era ed è in ogni quello che cresce ai piedi degli alberi di d’ulivo e dei castagni, anche se non è da biasimare neanche quello trovato a ridosso dei grandi sassi o della roccia rossa (tipica del nostro paesino).

Lippusu comunque era la frutta acerba o un vino delle peggiori annate. "Lippu" è detta quella buccia finissima che riveste internamente le castagne e "lippìadi" persino un'esistenza senza senso... anche se "pigliare lippu" equivale ad attaccarsi, affezionarsi ad un luogo o ad una comunità.

Un'altra pianta di questo periodo (e di cui sono stracarichi i nostri alberi di castagno sopravvissuti al cancro ed alla stupidità umana) è certamente la frascogna o viscu (vischio). A parte il concetto ornamentale natalizio di tale "pianta parassita", c'è da dire che dalle palline della stessa, in altri tempi ovviamente, opportunamente bollite, se ne ricavava una particolare colla con la quale si cospargevano sia le zone dove era qualche pianticina di vischio che altre zone dove si sapeva che si sarebbero posati piccoli uccelli in cerca di qualcosa da beccare.

Tali uccelli, inutile dirlo, finivano senza via di scampo nel paniere dei cosiddetti "cardiliaturi" (persone specializzate nell'acchiappare cardili).

La terza ed ultima pianta tipica del periodo natalizio (a San Fili come in buona parte del mondo) è la "spinapulice" o "spinasurice", conosciuta ormai come pungitopo... ma qui si può dire che siamo di fronte ad un vero e proprio termine italiano. Ossia quella stupenda pianticina sempreverde con quelle caratteristiche palline rosse.

Qualche nostro anziano la fa coincidere con il termine "vrusciu", ma con questa parola (più che altro "vruscia") anticamente venivano intesi "i rimasugli di castagne e di ghiande che restano dimenticati, o rifiutati come scadenti nei castagneti o nei querceti, e in cui si fanno pascolare i porci per nutrirsene" (n.d.r.: definizione presa dal "Vocabolario del dialetto calabrese" di Luigi Accattatis), ovvero i luoghi dove si sarebbero potute trovare le pianticine di pungitopo e non le pianticine stesse.

Le pianticine di pungitopo venivano usate anche per abbellire l'albero di Natale, assieme a qualche pezzetto di torrone, a dei "pupazzieddri" di stoffa fatti in casa, a dei fiocchi di cotone (simbolo della neve) e a quant'altro, nei bei anni che furono (ante 1950) offriva ai nostri anziani la magnanima Signora Provvidenza. 

N.B.: Quest'articolo risale alla fine degli anni Novanta del secolo scorso.

sabato 10 dicembre 2022

Ricordando Francesco Mazzulla alias... u Summichele.



Nella foto a sinistra: Francesco Mazzulla alias “u Summichele” in uno scatto dei primi anni Sessanta del secolo scorso davanti all’entrata del magazzino seminterrato usato dallo stesso come abitazione di fortuna.

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Francesco Mazzulla alias... u Summichele.

Di Pietro Perri.

(articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di Agosto 2009).

(...)

Chi scrive, non ricorda chi fosse e come fosse fatto “u Summichele”: l’età, per fortuna, l’ha graziato sul vivere quegli anni. Però ne ha sentito tantissimo parlare dai suoi “anziani del paese” ed ha avuto il piacere d’apprezzarne doti ed immagini negli accattivanti versi a lui dedicati dal grande Gigino Aloe. Versi che riportiamo sulla destra (n.d'a.: sotto).

Gigino Aloe, nel finale della sua poesia, paragona “u Summichele” al noto opinionista e conduttore televisivo Gianfranco Funari (Roma 21 marzo 1932 - Milano 12 luglio 2008) e lo fa simpaticamente precursore, nel modo di imporre l’immagine di un prodotto da pubblicizzare, allo stesso.

Stupenda la foto riportata sulla destra. E’ il 1960: “u Summichele” viene immortalato uscendo dalla sua casa (?) con una mano che accompagna alla bocca la sua “trumma” e l’altra mano impegnata a tener buoni i suoi fidi compagni.

La casa (un vero e proprio tugurio diremmo oggi) era un magazzino che si trovava al di sotto dell’ex ufficio postale di San Fili (nei pressi di piazza Madonnina)… di fronte alla scesa della rampa (attuale via Giuseppe Crispini).

Francesco Mazzulla de “u Summichele”, verrà ricordato lui stesso semplicemente con il soprannome che si portava dietro: “u Summichele” (il signor Michele).

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DaLa domenica a San Fili (Anni 50)di anonimo sanfilese.

«Nella prima mattinata molti uomini si affrettavano a portare a casa il “fagotto” con la carne appena acquistata riconoscibile dalla carta gialla spessa ed assorbente, usata solo dai macellai. Analoga cosa avveniva sporadicamente per il pesce, in quel caso c’era “U Summichele cu ra trumma a jettare u bannu” (il banditore) per informare dell’eccezionalità il paese.»

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DaU cancieddrudi Oscar Bruno.

(...)

Ma la gente nun sa nente

Cchi si vinne a su cancieddru,

O minosce o se grispieddru

Sempre ‘ncunu a de gridare.

 

Cchi furtuna chi nui avimu

Cc’e’ Franciscu u Summichele,

Ca ppe’ vinne tene u mele

E’ avanti sa mastrìa.

 

Nun criditi ca Franciscu

Era natu povarieddru

A furtuna appriessu a d’iddru

L’à mannatu a su paise.

 

Era natu miericanu

e dinari ne facia

a ri tiempi chi curria

e ‘ncappatu ‘nta li ‘ntisi.

 

Mo tu vidi ‘ntu paise

Ppe’ campare onestamente,

Lu bon core de la gente

Ppe’ Franciscu n’era china.

 

O discurre ‘mmienzu u puentu

O assettatu a ri muretti,

Ccu nu piattu de spachetti

Ne mmitava a ru barune.

 

Pue si i pisci su arrivati

Iddru pront’e’ ddra’ vicinu,

E si pigliadi u caminu

ca u bannu a de jettare.

 

Li cchiu’ gruessi ‘nta’ na manu

‘nta nu piattu o ‘nta na frunna,

Sunnu frischi de chir’unna

Sunnu pisci Paulani.

 

Mo lu dice miericanu

E ra gente nun capisce

E nun sa’ cchi razza e pisce

E’ arrivatu a ru cancieddru..

 

Meracca su marinuetu

E’ ddra’ dintra carciratu,

Ccu ri pisci ca purtatu

Ti li porjie da ferriata..

 

Sunu frischi quasi vivi

‘Nta la notte l’ha piscati

Ccu ru ciucciu l’ha purtati

Ohi cchi vita ca de fare.

 

Ti li gira e ti li vota

Ccu se manu ‘mprasticate,

Fa de scasciu le pisate

Si ti fa nu mienzu chilu.

 

Mo Franciscu u Summichele

Sta’ gridannu ‘ntu paise’

Chine e’ surdu puru ha ‘ntisu

Ca de jatu ne tenia.

 

Mo le genti du Rinacchiu

Da la cruce o de la chiazza,

Curre tutti ‘nta la chiazza

Ca si pisci àu d’ accattare.

 

Nun si fau chhiu’ quistione

A ra fila su cunzati,

Mienzu chilu bon pisati

Sinne vau murmuriannu.

(...)

*     *     *

Nu giganti rapatu (u Summichele)

(versi di Gigi Aloe)

 

Nu giganti rapatu! N’uaminu servaggiu

ma a chiri tiampi, nu grandi personaggiu.

 

Scavuzu e mianzu nudu, cu friddu e cu ru gelu

nu bloccu di graniti! Nu monumentu veru!

 

Campava cu ru bannu! Na trumma e nu tamburu

sa propaganda spicciula, attraversava i muri.

 

I cani sempi appriassu, a merci supa a manu

a genti mmianzu u puantu, rispunna a su richiamu.

 

Di tutta la simana u juarnu preferitu

era ru venerdì picchi’ u cchiu’ sapuritu.

 

Era u beniaminu i tutti i piscinari

puru su pisci puzza, iddru lu fa cumprari.

 

Pe fa’ vidi’ ch’è friscu, sinn’inchia na cartata

iddru su mangia crudu e grida: “E’ di jurnata!”.

 

Forse pe certi versi è statu precursori

di certi personaggi ditti presentatori.

 

I stessi marchingegni oji li fa Funari

pe garanti u prodottu fa finta i su mangiari

 

si senta illuminatu pe sa bella trovata

un sa’ cu Summichele sa cosa l’ha inventata!

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E’ facile ridere delle miserie altrui.

Di Nuccia Giglio-Carlise.

(Dal Notiziario Sanfilese del mese di settembre del 2009)

In ogni paese c'é sempre qualcuno che attira l'attenzione per le stranezze che fa e che lo fanno diventare, di conseguenza, lo zimbello di tutti. A San Fili un tipo così è stato Francesco Mazzulla, conosciuto dai paesani come "u Summichele" o anche "Sing-Sing". I sanfilesi non più giovani si ricorderanno senz'altro di lui.

"U Summichele" era una persona semplice e povera che viveva in un piccolo tugurio sotto il vecchio ufficio postale nel palazzo Miceli. Aveva, quindi, di fronte l'allora "muraglione" e precisamente la parte dove veniva scaricata la spazzatura del paese (non c'erano ancora netturbini).

A chi gli domandava cosa avesse avuto per pranzo Francesco rispondeva: "Gaddrine morte e surici rimbambiti", riferendosi a tutta la spazzatura che aveva sotto casa. “U Summichele” aveva vissuto in America e, si diceva, appartenuto alla "Mano Nera", organizzazione criminale che gli avrebbe fatto guadagnare il carcere, prima, nella prigione di Sing-Sing (da cui il soprannome) e l'estradizione, poi, nel Paese natio.

Per noi tutti "u Summichele" era soltanto un poveraccio che languiva in un buco di abitazione e passava le sue giornate andando su e giù corso XX Settembre a divertire la gente fingendo di "dirigere" il poco traffico di quei tempi quando ancora non esistevano semafori.

Era un poveraccio che rispondeva con improperi in inglese ai ragazzi che lo provocavano prendendolo in giro.

Faceva pena, poverino, ma è purtroppo troppo facile ridere delle miserie altrui...

"U Summichele" era preso in giro da tanti ragazzacci che si divertivano a "sfotterlo" dall'unica apertura che portava un po’ di luce nel piccolo tugurio.

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Il nonno racconta: u Summichele.

Di Oscar Bruno.

(Dal Notiziario Sanfilese del mese di novembre del 2011).

“Bene figliolo”, disse il nonno rivolgendosi al sempre più curioso nipotino, “l’altra volta ti ho raccontato un po’ della mia vita al paesino di San Fili. Prima di dirti dell’altro, però, dimmi un po’… com’é andata ieri a scuola? … cosa hai imparato dalla viva voce del maestro?”

Ed ecco che il bambino molto educato e rispettoso rispose: “Nonno, io sono stato molto attento alla spiegazione del maestro, il quale spiegò alcune parti dell’aritmetica, e poi anche le prime parti grammaticali dell’inglese. Vedi, nonno, il nostro metodo d’imparare si svolge poco alla volta. Però io sto molto attento e quello che dice il maestro mi resta bene in mente.”

“Bene figliolo”, proseguì il nonno, “fai così e vedrai che sarai sempre il primo della classe. Ora però ti voglio raccontare un’altra storia del bel paesino di San Fili, quello stupendo paesino della Calabria, in provincia di Cosenza, in cui io ho vissuto nella mia giovane età. Sai, in questo piccolo paesino vi era gente di diverso ceto e cultura ed a loro modo tutti erano dei veri e propri personaggi. Ed è proprio di uno di questi personaggi che oggi voglio raccontarti.”

Il nonno fece una breve pausa, prima di riprendere la sua storiella paesana: “Quella che io ti voglio raccontare  è di una persona che per noi, giovanissimi ragazzi, era l’uomo del giorno, cioè era presente ovunque e parlava con tutti. Questo era molto povero e viveva col buon cuore della gente. Questa persona si chiamava Francesco, però la gente lo chiamava… U SUMMICHELE.”

Al nominare U SUMMICHELE il nonno non poté fare a meno emettere un sospiro di nostalgia in ricordo dei bei tempi che furono: “Vedi figliolo, U SUMMICHELE è un nome un po’ ridicolo, però lui, questo grande personaggio, accettava tutto con grande dignità. Comunque non chiedermi per quale ragione avesse tale nomignolo… non sarei in grado di darti una risposta in merito.”

Il nonno ripensa, nel proseguire il racconto, alla sua San Fili… la sua lontana San Fili e a quegli ancor più lontani anni: “Questo era nato in America, era una bravissima persona ma quando era giovane s’incamminò per una vita facile con persone poco buone che lo portarono in una brutta strada. Dopo diverse avventure e peripezie poco oneste, un giorno fu preso dalla polizia e messo in prigione in un posto chiamato SING SING. Caro bambino, questo luogo era molto brutto ed in questo posto si soffriva tanto. Passarono gli anni e venne il giorno in cui le autorità americane decisero di restituirgli la libertà ma decisero al tempo stesso di rimpatriarlo nel paese d’origine dei suoi genitori, cioè a San Fili.”

Purtroppo l’America non fu “america” (sinonimo di fortuna e di vita migliore) per tutti gli italiani partiti da una terra poco proficua nei loro confronti in cerca di fortuna oltre Oceano. Per tanti l’America non è stato altro che il prosieguo d’una vita senza speranze.

“Così, giunto a San Fili e non avendo nessuno”, continuò il nonno nel suo racconto, “ U SUMMICHELE si dedicò a fare dei lavori molto umili. Uno di questi lavori consisteva nel gettare il bando del pesce o di altre mercanzie che arrivavano in piazza. Lui era subito presente per dar voce al bando di ciò che si doveva vendere. 

Il luogo in cui venivano esposte le merci poste in vendita era chiamato U CANCIEDDRU. Questo posto era un recinto in ferro che le autorità del paese avevano fatto costruire apposta regolamentare tali vendite. Arrivato il pescivendolo U SUMMICHELE, si prendeva un bel pesce in mano o in una foglia, e camminando per le vie del paese gridava con quanta voce aveva in gola che… i pesci erano freschi quasi appena usciti dall’acqua, decisamente vivi. 

La frase che lui usava più spesso, e che ancora mi rintona nelle orecchie, era «Chine vo pisci a ru cancieddru a cientu lire u chilu». Prima la diceva in inglese, e poi in calabrese, dando la precisa dimostrazione di quello che aveva nella mano. 

Era bellissimo per noi ragazzi ammirare questo stupendo personaggio. A volte lo si canzonava per farlo arrabbiare, e lui, stando al gioco, faceva finta di rincorrerci… ma poi non era cattivo con noi. A volte ci raccontava della sua vita, e quando parlava di lui, si esprimeva anche in inglese. Da lui ho imparato tante parole di questa strana lingua. Parole che mi sono state utilissime quando sono venuto in Canada in cerca di fortuna.”

Una breve pausa di silenzio… lunga un’eternità per l’orecchio attento del fanciullo. Nella mente del nonno il racconto prosegue malgrado le parole non gli escano più dalla bocca: “Lo ricordo sempre, U SUMMICHELE, perché ha vissuto di povertà e di onestà, non ha fatto male a nessuno, e son certo che la sua voce intona ancora nel piccolo paesino di San Fili.”

Poi di nuovo rivolgendosi al nipotino: “Ora, bello, finisci la tua colazione che devi andare a scuola, e stai sempre attento a ciò che ti insegna il maestro.”

“Grazie nonno per le belle storie che mi racconti”, disse il fanciullo, “ho deciso che quando sarò grande le scriverò e le riporterò in un bellissimo libro.”

“Bravo figliolo, queste tue parole mi commuovono tantissimo. Ma ora... prendi la tua cartella e vai, altrimenti fai tardi a scuola. Ciao bello, e sii sempre attento ed educato non solo in classe ma anche e soprattutto nella vita.”

Così facendo, guardando il nipotino sparire dietro l’angolo, il nonno pensa già, tra le tante bellissime avventure che ha vissuto al paese natio, alla prossima storia che dovrà raccontare all’amato fanciullo.

E di storie a San Fili nonno Oscar ne ha viste, sentite e vissute veramente tante.


giovedì 8 dicembre 2022

Dedicato a mastru Franco Presta ed a tutti i grandi artigiani sanfilesi... d'altri tempi.



Nella foto a sinistra: maggio 1990 piazza Mario Nigro (ex piazza Caserma) a San Fili - (da sinistra) Mario Sergi (che mi ha messo a disposizione l’originale di questa foto), Serafino Ninnuzzu Giraldi e… mastru Francu Presta.

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Ci fu un tempo a San Fili in cui era difficile, per chi ne aveva qualcuno, non a riuscire risolvere i propri problemi legati alla quotidianità. Ovviamente mi riferisco ai problemi risolvibili ed in particolare a quando dovevi combattere contro un oggetto che ti si era appena rotto.

Ti si rompeva una scarpa? … ci pensavano i calzolai del paese. Ti si rompeva un mobile o un infisso? … e cosa ci stavano a fare i tanti falegnami sanfilesi? … il tuo mulo perdeva un ferro? … e cosa ci stavano a fare i maniscalchi? …. qualsiasi cosa ti si rompeva, in quel tempo, c’era sicuramente un artigiano, a San Fili, in grado di risolverti il problema: corso XX Settembre era un brulicare di botteghe artigiane e tutte gestite da veri e propri maestri nella loro… arte.

Una brutta giornata di metà anni Settanta (avevo intorno a 14/15 anni quindi sarà stato il 1975 o al massimo il 1976) la mia bici “tipo Graziella” (mi sembra si trattasse di una “Atala” rossa) si era spezzata in due, proprio nel punto in cui c’era l’aggancio (segnato da una evidente saldatura) per una eventuale piegatura: un vero dramma… l’avevo appena comprata.

Come risolvere il problema? … semplice: bastava andare a fare una capatina nella bottega artigianale di mastru Francu Presta… u forgiaru.

Non ricordo chi mi avesse consigliato di fare un salto dal maestro… del ferro saldato (ormai, a San Fili e non solo a San Fili, i maestri del ferro battuto, come il mitico Gaetano Cirillo, appartenevano ad un’altra epoca)… ma sicuramente non c’era altra soluzione in quel momento.

E sicuramente le tasche della mia famiglia non potevano permettersi un acquisto d’un’altra bici… tipo “Graziella” né tantomeno d’atri tipi.

E poi, una saldatura il nostro caro indimenticato compaesano, dicevo tra me e me recandomi in quell’antro - agenzia sanfilese - del dio Vulcano, non l’avrebbe negata a nessuno… specie ad uno come il sottoscritto che in quel periodo era in eterna bolletta.

Semplice? … si fa per dire.

Quando mi presentai a mastru Francu Presta, u forgiaru, con la mia bici pieghevole (tipo Graziella) - spezzata in due - con l’assurda speranza di farmela saldare… a gratis… non avevo ancora capito i concetti di “crisi e congiuntura economica disastrosa”.

Il problema era che in quel periodo, ovvero dalla metà degli anni Settanta del XX secolo in poi, in bolletta a San Fili c’eravamo in tanti: io (ancora imberbe), la mia famiglia… e sopratutto gli ultimi artigiani presenti nel paese - ormai veri e propri sopravvissuti all’incetta di personale fatta dai vari uffici pubblici di Cosenza e di Rende - soffrivano di questa strana e spesso inguaribile malattia.

L’officina (… forgia?) di mastru Francu Presta si trovava (e si trova tuttora, anche se chiusa dal momento in cui il nostro eroe è passato prematuramente a miglior vita) poco sotto la vecchia caserma dei Carabinieri (il cui edificio oggi ospita la biblioteca comunale intestata a Goffredo Iusi ed un ufficio decentrato dell’Azienda Sanitaria provinciale di Cosenza): tra piazza Mario Nigro e la scesa della rampa (quella che porta a ciò che resta della storica stazione ferroviaria di San Fili).

Ricordo ancora che su quella facciata di agglomerato d’abitazioni, ovviamente a pianterreno lato corso XX Settembre, c’erano (anche se in tempi diversi) il tabacchino della signora Concetta (madre dell’indimenticato Sarvaturieddru Malfitano), la fruttivendola di Pasqualina Schettino (moglie di Amedeo Perri, il postino di San Fili), il negozio d’alimentari di Riccardo Bonanata (marito di Teresa Comande’) e la storica cantina di Salvatore Cesario (Tutur’e ramagliu) con annesso un piccolo spaccio di stupende leccornie quali le indimenticabili “sarache” (ottime arrustute o fritte e mangiate con pane raffermo… ed il tutto accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso).

Corso XX Settembre ancora negli anni Settanta del XX secolo era un brulicare di negozi di vendita al dettaglio e di botteghe artigianali: barbieri, calzolai, falegnami, forgiari, alimentari, fruttivendole, negozi per la vendita di scarpe, stoffe e vestiti e chi più ne ha più ne metta.

L’entrata di uno dei nostri discepoli prediletti dal dio Vulcano, ossia la forgia di mastru Francu Presta, si presentava all’epoca così come si presenta adesso: una saracinesca in ferro a sbarrarti di notte l’accesso e sull’entrata una piccola tettoia (non so se in alluminio o in eternit) su cui, al centro, fa capolino una strana piccola croce in ferro… quasi a ricordarci che oltre quel simbolo ci sono le fiamme e le temperature tipiche di un girone dell’Inferno.

Sulla parte superiore dell’entrata della forgia di “mastru Francu Presta” (al di sopra della porta stessa) campeggia ancora una strana scritta… un’equazione numerica che ancora oggi, dopo tantissimi anni, resta senza soluzione per noi profani: l’equazione propostaci dall’indimenticato “mastru Francu Presta” è… “8?8/9=” ... a te, amico lettore, il compito di trovare, se non ci hai ancora provato, una possibile soluzione.

Non ricordo bene se in qualche punto dell’entrata ci fossero anche un paio di corna da caprone o altre simbologie simili… ma non me ne meraviglierei se altri me ne certificassero… il ricordo. Alla sinistra dell’entrata compariva una bacheca in lamiera, dipinta di rosso, con su una serie di scritti quali “vendita, riparazioni ecc.”.

All’interno? … sceso un paio di scalini dal piano strada? … esattamente ciò che ci si aspetterebbe di trovare all’interno di uno dei covi del dio Vulcano: tanto ferro, uno strano caldo anche quando il fuoco della forgia è spento e soprattutto uno strano “odore e sapore di metallo”.

Sulle prime mastru Francu si lamentò sul tempo e sul costo poi… ci mettemmo quasi immediatamente d’accordo: la saldatura mi sarebbe costata una bella “scartavitriata” ad alcune sbarre di ferro tremendamente arrugginite presenti nella sua bottega.

Inutile dire che a quei tempi ancora non si sapeva cosa fossero le minime norme di sicurezza da seguire in certi ambienti di lavoro. Quindi… niente mascherina e roba simile.

Accettai! … tornandomene poi a casa con la bici stupendamente riparata ma… sporco da fare schifo.

Altri tempi!

Erano quelli i tempi in cui fin da piccolo ti si cercava di insegnare che nulla nella vita, specie ai ceti meno abbienti, era dovuto ma… che era bello guadagnarsi giorno dopo giorno quanto pensavamo ci spettasse di diritto o per bontà cristiana… anche con un po’ di sudore della nostra fronte.

Ed in questo i gestori delle botteghe presenti nel nostro paesino erano dei veri maestri.


mercoledì 7 dicembre 2022

Ricordando Romano Zuccarelli - Forse (ma solo forse)... figlio di un dio minore.



Nella foto a sinistra Franco e Romano Zuccarelli davanti al loro negozio di frutta e verdura nei pressi di piazza san Giovanni a San Fili agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso.

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Forse (ma solo forse)… figlio d’un dio minore.

Ricordando Romano Zuccarelli - Articolo di Pietro Perri).

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Il mese di dicembre 2008 è stato segnato, per San Fili e per i Sanfilesi, anche dalla perdita di un altro (l’ennesimo in questi ultimi anni) personaggio. Un personaggio che a suo modo, e per quanto gli hanno messo a disposizione il Creatore e Madre Natura, ha saputo segnare in modo encomiabile il proprio terreno passaggio.

Non parlo di uno che ha ricoperto incarichi amministrativi oppure sociali più o meno importanti, non parlo di uno che è riuscito mai ad essere, se non alla propria morte, al centro dell’attenzione nella comunità in cui era perfettamente integrato e con cui costantemente, in modo silenzioso e civile, interagiva.

Parlo di un altro esempio per San Fili e per il mondo, un altro di quei sani esempi per tanti aspetti positivi in cui una piccola realtà urbana come la nostra può insegnare al mondo la giusta via per il rispetto anche di soggetti meno fortunati di noi.

Soggetti che, comunque, riescono a non far pesare (non so se con grossi sacrifici psico-esistenziali) la propria presente inferiorità fisica.

Dopotutto, l’ho già detto e ripetuto più volte: a San Fili, cittadina a dimensione d’uomo, anche gli ultimi almeno per un giorno riescono ad essere re nella loro più o meno lunga esistenza.

Parlo di Romano Zuccarelli... “u biscazziere”, come amano ancora oggi qualificarlo i suoi più stretti amici e riconoscenti.

Romano è stato un personaggio, un vero personaggio... uno di quei personaggi che vanno via via scomparendo lasciando un grande vuoto intorno a loro.

Malgrado la sua limitatezza fisica (i problemi alle gambe) ha saputo legare per tanti anni il suo nome alla squadra di calcio sanfilese: tenendone la contabilità e spesso finanziandone (con un panino, con qualche chilo di frutta, mettendo una buona parola per farli entrare gratis a qualche cinema della provincia, rimborsando a qualche giocatore il biglietto dell’autobus e via dicendo) qualche calciatore.

Per tanti anni a Romano Zuccarelli l’abbiamo visto calpestare, sempre attenti che non inciampasse, sempre sicuro di sé i campi di calcio che dopo un po’ avrebbero visti protagonisti i nostri gladiatori del pallone. E poi... guai a toccargli la grande Juve, la Magica Vecchia Signora che qualche disonesto ha voluto provare a distruggere mandandola ultimamente in serie B.

Un piccolo incidente di percorso che non ha comunque rattristato fino alla fine il caro Romano: l’hanno successivo la Vecchia Magica Signora era di nuovo sui campi della A, a sfidare, elargendo loro una affettuosa tiratina d’orecchie, tutti i suoi discoli figlioli: l’Inter, il Milan, il Torino...

Circola voce che nella bara di Romano sia stata adagiata, su sua specifica richiesta poco prima di passare a miglior vita, una bandiera bianconera.

Personalmente voglio ricordare Romano Zuccarelli anche per il circolo ricreativo... bianconero (dove in tanti abbiamo passato memorabili pomeriggi e serate giocando a “funghetto” (biliardo), “bigliardinu” (calciobalilla), flipper e tantissimi altri accattivanti meccanici marchingegni... l’epoca dei videogiochi era ancora lungi dal sommergerci ed isolarci l’un l’altro).

Esercizio, come dopotutto tutta la sua vita, gestito assieme al fratello Franco.


lunedì 5 dicembre 2022

Luigi Gigino Piraino... tra i pionieri della fotografia d'arte sanfilese.



Nella foto a sinistra (da sinistra) Luigi Gigino Piraino e Francesco Ciccio Cirillo a Napoli nel Febbraio del 1951.

Foto archivio Francesco Ciccio Cirillo.

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Quando parliamo di patrimonio fotografico messo a disposizione (lasciato in eredità, oseremmo dire) da qualcuno alla Comunità Sanfilese, non possiamo non pensare all’indimenticato Francesco Ciccio Cirillo.

Una cosa comunque è metterlo a disposizione tale patrimonio fotografico, un’altra l’averlo realizzato… con passione. Ecco che sorge spontanea una domanda: chi sono stati i pionieri della foto amatoriale sanfilese? … e qui diventa normale associare al già nominato Francesco Ciccio Cirillo altri nomi quali quello del professor Domenico De Franco, di Davide Gambaro e di Luigi Gigino Piraino.

E’ soprattutto grazie a questi “poeti dell’immagine” se oggi possiamo ammirare alcuni scorci del nostro amato odiato paesino… così com’erano nella prima metà del XX secolo.

In quest’occasione vogliamo ricordare in particolare il nostro compaesano Luigi Gigino Piraino… amico di cuore e compagno d’avventure di Francesco Ciccio Cirillo col quale, nel 1947, fondarono a San Fili un vero e proprio “studio fotografico amatoriale”, riuscendo anche a realizzare qualche colpaccio professionale come il servizio fotografico cosentino, nel 1950, a Miss Italia Anna Maria Bugliari.

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Luigi Gigino Piraino nasce a San Fili il 16 maggio del 1925.

Gigino era conosciuto un po' da tutto il paese anche e soprattutto perché era figlio di una delle poche insegnanti dell'epoca: ‘donna Amalia Gentile’.

Gli insegnanti, così come gli studenti, erano veramente pochi in quegli anni. Proprio per questo motivo diversi di loro (tra cui i maestri Amalia Gentile, Giovanni Noto e Lucia Cesario) erano costretti ad insegnare nelle cosiddette aule pluriclasse.

Molti alunni tra l’altro lasciavano i banchi di scuola non appena raggiunta la III elementare.

Dopo aver conseguito il diploma magistrale, il nostro Luigi Gigino Piraino, a 18 anni entra da civile nell'Esercito e in breve assume l’incarico di responsabile del distretto militare di Cosenza e provincia.

Il suo ruolo consistette in particolare nel mettere a disposizione tutte le informazioni che potevano essere utili ai ragazzi chiamati al servizio di leva.

Molte generazioni di sanfilesi legheranno la propria esperienza militare al suo nome.

Gigino, come abbiamo detto, coltivò l'hobby della fotografia: passione che condivise con Ciccio Cirillo… amico di sempre e per sempre. Un’amicizia, quella con Ciccio, che lo vuole, agli albori degli anni Cinquanta, persino a Napoli ad accompagnare quest’ultimo all’imbarco per la sua avventura americana.

Amante del suo piccolo paese e dei suoi abitanti è stato, nel ricordo di quanti l’hanno conosciuto, sempre disponibile, nelle sue possibilità, con tutti.

Negli anni Settanta si trasferì con la famiglia a Cosenza, pur rimanendo profondamente legato al suo paese natio dove si è recato frequentemente.

Luigi Gigino Piraino è morto tragicamente, in un incidente stradale, nel 1992 proprio nel tratto di strada che collega San Fili con Cosenza.


domenica 4 dicembre 2022

Maria Mayer ovvero... la pasionaria sanfilese.



Nella foto a sinistra una giovanissima Maria Mayer negli anni Trenta del XX secolo. Nella foto sotto - sempre a sinistra - Maria Mayer, nel 1979, assieme al marito Francesco Iantorno.

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Ho mai conosciuto Maria Mayer? … strana questa domanda che mi gira in questo momento (ore 19 e 30 di giovedì 10 gennaio 2013) ma non del tutto, ve lo assicuro, campata in aria.

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Maria Mayer ovvero... la pasionaria sanfilese.

(N.d’a.: Il termine “pasionaria” è un appellativo riferito solitamente a personaggi di sesso femminile particolarmente impegnati in attività politiche o ideologiche. In origine fu utilizzato da Dolores Ibárruri, attivista spagnola, come pseudonimo).

L'11 dicembre del 2012 è venuto a mancare alla comunità sanfilese un altro dei suoi pilastri, dei tanti personaggi che hanno fatto la storia popolare della nostra cittadina: Maria Mayer vedova Iantorno. E’ venuta a mancare, confortata dalla presenza dei propri familiari, alla veneranda età di 97 anni.

Era nata il 13 settembre del 1915.

Passeggiando lungo corso XX Settembre qualcuno mi ha chiesto chi era questa Maria dal cognome non certo “locale”. Ho risposto che era la madre di Gigino (Luigi) Iantorno, ex caposquadra al Consorzio di Bonifica.

“Ah! … a pasionaria santufilise”, mi sentii rispondere.

Inutile dire che il mio interlocutore era un soggetto appartenuto alla Sinistra (quando la Sinistra - politicamente parlando - era Sinistra) storica del nostro paese… come lo scrivente, dopotutto.

Come dimenticare, infatti, che tra la fine degli anni Settanta (1978) e l’inizio degli anni Ottanta (1983) del secolo scorso fui responsabile del Movimento Giovanile Socialista di San Fili? … bei tempi. Altri tempi!

Fu quando mossi i primi passi nella mia brevissima storia da socialista convinto che m’imbattei, in modo simpatico e degno della nota surriportata, in Maria Mayer in quanto “pasionaria santufilise”.

Fu quando, nella primavera appunto del 1978, in piazza Municipio (mmienzu u puontu), finito il primo comizio della mia vita mi accingevo a scendere, tramite la scaletta a cinque o sei scalini, dal palco che mi aveva ospitato per una ventina, forse meno, di minuti. Ai piedi della scaletta m’imbattei in una simpatica arzilla anziana signora che, abbracciandomi, mi porgeva una rosa rossa dicendomi: “Non ho trovato un garofano”, l’allora simbolo del Partito Socialista Italiano, “ma solo questa rosa e comunque rossa. Consideralo un garofano e che ti apra le porte d’una vita politica segnata di successi per te e per la nostra comunità”. Queste all’incirca le sue parole.

Quella sera poco dopo di me avrebbero parlato i compagni Franco Lonetti e Francesco (Cecchino) Principe. L’occasione, se non erro, erano non delle elezioni ma una tornata referendaria.

Carriera in politica ne feci ben poca, volendo sempre e comunque restare leale ai miei principi e non a diventare lo zerbino di soggetti che comunque valgono meno di me e di tanta bravissima ed onesta altra gente... come te.

Quell’arzilla anziana signora, inutile dirlo, era Maria Mayer (socialista convinta)… la pasionaria santufilise.

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Ricordando Maria Mayer… autrice involontaria (?) di parte di alcuni articoli apparsi sul quindicinale “l’occhio”.


Nel periodo in cui scrivevo sul quindicinale “l’occhio” (storica testata della nostra zona diretta dalla bravissima giornalista Marisa Fallico apparsa tra il 1993 ed il 1999) e mi interessavo di cultura popolare, un giorno mia madre mi disse che Maria Mayer mi aveva mandato dei fogliettini in cui aveva scritto delle cose che potevano servirmi per le mie pubblicazioni.

Inutile dire che feci tesoro di questi preziosi doni: in essi, infatti, trovai parte delle notizie che diedero vita alla mia “ricerca quasi credibile” sulla Fantastica (n.d’a.: uno dei tanti spiriti, a volte come in questo caso stupendi ed amorevoli, che affollano il mondo sovrannaturale di San Fili) edun bellissimo oracolo d’altri tempi che se non trascritto sicuramente sarebbe andato perso per sempre. Fu lei a darmi l’ispirazione (tramite i suoi fogliettini) che Stella poteva (e forse lo era veramente) essere colei che con la sua tragica morte aveva dato compimento (in quanto genesi della stessa) alla nascita della leggenda della Fantastica.

 

venerdì 2 dicembre 2022

Orlando Fiore? Un simbolo nei tempi.



Nella foto a sinistra: l’indimenticato Orlando Fiore in piazza san Giovanni a San Fili agli inizi di questo Millennio. Foto Pietro Perri.

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Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Febbraio 2007.

Orlando Fiore? Un simbolo nei tempi.

Articolo firmato da Pietro Perri.

In tanti sicuramente si chiederanno: come mai Pietro Perri si mette a scrivere sul defunto Orlando Fiore? ... chi è stato, per la comunità sanfilese, Orlando Fiore per meritare di essere ricordato?

La risposta è semplice: un simbolo. Un pezzo vivo della nostra grande “unica” famiglia passato a miglior vita, a 68 anni, nel gennaio del 2007.

Conobbi Orlando... ancor prima di conoscerlo: appena lasciato quello stupendo luogo dove mossi i primi passi, la casa con annessa campagna in località Volette, per subire la vita paesana.

A poco più di sei anni la voce degli anziani con cui avevo a che fare fu categorica: “Nu jire ara Jiazza ca ti po’ pigliare Orlandu”.

Non sapevo chi fosse Orlando... sicuramente era qualcuno da evitare.

Passarono gli anni, forse ne avevo quindici o forse diciotto. Vidi dei ragazzini prendere in giro un povero “diversamente abile” e dissi loro di smetterla... se non volevano beccarsi un paio di calci nel sedere. Uno di quei ragazzini mi rispose seccato: ... ma è Orlando, ci divertiamo un pochino!

Eravamo nel secondo lustro degli anni 70: che differenza tra il fanciullo "Pietro" degli anni 60 ed il fanciullo "X” degli anni 70. In ogni caso anche per me Orlando aveva smesso di essere uno spauracchio: in quel tempo per me era diventato un soggetto con diritti e come tale meritevole del rispetto di tutti.

Conobbi un’altra sfaccettatura del multisimbolico Orlando quando lo vidi bussare, lamentandosi tremendamente, alla Caserma dei Carabinieri (quando la Caserma era ancora in... piazza Caserma - attuale piazza Mario Nigro). Qualcuno l’aveva fatto tremendamente arrabbiare... forse una di quelle bestie che, nascondendosi tra la gente perbene e civile, frequentemente si trova a passeggiare lungo corso XX Settembre.

Orlando Fiore conosceva la legge e conosceva i propri diritti, cosa che, visto i risultati ottenuti dal nostro eroe, non sempre conoscevano e conoscono (sempre esclusi i presenti) gli stessi difensori della legge.

Orlando? ... un naturale simbolo di alta civiltà!

Quando fumavo (sono stato un ottimo fumatore) regolarmente pagavo la mia quotidiana “tangente in tabacco” all’amico Orlando.

Un giorno lo vidi, seduto su uno scalino “mmienz’u puontu” (piazza ex-Municipio) con la testa china, adombrato in volto. Gli porsi la consueta sigaretta e con stupore vidi che rifiutava di prenderla. Orlando rifiutava una sigaretta? ... “era forse muortu ‘ncunu lupu ara muntagna”?

Per tutta pace degli animalisti, nulla di tragico era avvenuto nei pressi della Crocetta. Orlando m’indicò (a mo’ di richiamo) un portone che stava di fronte al punto dov’era seduto: un gruppo di persone stava portando fuori un morto, ed i morti, si sa, vanno rispettati. Anche questo era Orlando.

Lo ricordo quando, a gesti, mi chiese che fine aveva fatto mio padre (all’epoca segregato in casa a causa di una piccola operazioncina per la sostituzione del pace-maker): malgrado i suoi vari handicap riuscì a farsi capire benissimo.

E poi, come dimenticarci del multisimbolico Orlando più volte citato anche nella politica locale? ... quante volte, infatti, molti di noi hanno detto che se non ci fosse stato, in questi ultimi decenni, tutto un branco di dubbi amministratori a gestire il comune di San Fili... sicuramente anche Orlando sarebbe stato in grado, oggi, di fare il sindaco nella nostra cittadina?

Diciamo la verità, Orlando è anche la prova tangibile che dopotutto San Fili ed i Sanfilesi non siamo così brutti come a volte amiamo dipingerci: dopotutto uno con tutti i suoi problemi (grazie alla lungimiranza della nostra comunità) nella nostra comunità seppe ritagliarsi uno spazio naturale tutto suo (ne è prova quanto testé detto). Cosa che sicuramente non avrebbe potuto fare in una comunità meno tollerante e rispettosa dei diritti umani di tutti: anche di coloro che non hanno voce e forza per imporsi.

E allora? ... perché non avrei dovuto scrivere di Orlando Fiore? ... lui, un simbolo, un personaggio (uno degli ultimi personaggi di una verace San Fili sempre più destinata all’oblio) che è riuscito a segnare buona parte dei miei passati nove lustri?

A suo modo Orlando mi ha insegnato tantissimo e sono sicuro che, se ci pensi bene, ha insegnato tantissimo anche a te.


giovedì 1 dicembre 2022

A Domenico (Micuzzu) De Franco... un grande mancato.



Nell’immagine a sinistra: San Fili 1991 - Stazione Ferroviaria. Ai piedi del treno l'amico Domenico Micuzzu De Franco. Foto Pietro Perri.

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A Domenico Micuzzu De Franco... un grande mancato.

(Articolo apparso sul quindicinale “l’occhio” nel gennaio del 1999 a firma di Pietro Perri).

Ci sono persone per cui i propri piccoli problemi quotidiani diventano sinonimo di tragedia e vengono sbandierati ai quattro venti con la speranza che i vicini di casa ed i conoscenti gettino, commiserandoli, un po' di sale sulle piaghe infette... l'uno e gli altri sono sinonimo di gente meschina e senza futuro.

Ci sono persone che pur vivendo grossi drammi e cibandosi quotidianamente della propria tragedia, riescono a far passare inosservato il tutto, consapevoli che tutti gli altri hanno grossi problemi e che non è giusto appesantirli con quelli che si presuppongono "i propri futili deliri". Queste persone sono “i grandi”.

I grandi riescono a lasciare un ricordo indelebile di se stessi a volte lasciando grandi opere ai posteri, a volte lasciando solo un messaggio di “modello di vita”.

Agli inizi di quest'anno San Fili ha perso un “suo grande figlio”... un grande mancato, per chi l'ha conosciuto ed ha avuto la possibilità d'apprezzarne le doti come chi sta scrivendo: il professor Domenico De Franco... Micuzzu De Franco. Una persona questa che è saputo andarsene nelle braccia del Signore in punta di piedi così com'era vissuto... eppure quanto dolore nella sua vita e nella sua dipartita. Un dolore che è riuscito a tenersi sempre in sé, che è riuscito a non far pesare mai ai suoi amici.

Certo non sono io quello che dovrei tessere un elogio funebre all'amico Micuzzu (oggi lo chiamo Micuzzu, in vita per quanto ci avessi giocato più volte assieme a carte, per quanto ci avessi più volte mangiato assieme, per quanto più volte assieme v'avessi salito e sceso corso XX settembre... l'ho sempre chiamato "professò"), sarebbe stato più giusto che l'avesse scritto il suo fedele compagno Gianni De Nittis, ma purtroppo il caro Gianni l'ha preceduto da qualche anno nelle celesti terre del Signore e sicuramente assieme al comune amico Salvatore Malfitano (u figliu de Cuncetta du tabacchinu) gli sarà andato incontro per rendergli più facile l'inserimento nella nuova dimensione.

Domenico De Franco aveva sempre una parola di conforto per i suoi amici ed i suoi compaesani... e non lasciava mai capire agli altri quanto lui ne avesse bisogno, d'una parola di conforto, più dei suoi interlocutori.

Il professor De Franco ha insegnato pochissimo tra i banchi di scuola (ma è stato maestro d'etica e di vita per l'intera sua esistenza) il resto della sua attività lavorativa l'ha passato alle dipendenze della Biblioteca Civica di Cosenza che aveva lasciato per godersi il suo meritato riposo appena a gennaio 1998 (... venne da me, uno dei suoi tanti amici, a farsi compilare la domanda di pensione). Negli anni che aveva passato alle dipendenze della Biblioteca Civica di Cosenza, a dimostrare il suo grande amore per San Fili e i Sanfilesi, si era preoccupato di ricercare e copiare dai giornali presenti nella Biblioteca tutti gli articoli riguardanti il suo paese natio, un lavoro certosino e senza paragoni: quasi duecento anni di storia riportata sulla cronaca dei vari giornali.

Più volte mi confidò che avrebbe voluto pubblicarli (era l'opera di una vita) e più volte l'incitai a farlo... Dio non gliene ha dato il tempo, ma forse lui non si è preoccupato neanche di chiederGlielo. Un lavoro che speriamo sia ripreso da altri ed opportunamente valorizzato.

Era un grande, tanto grande da rifuggire da qualsiasi tipo di onore. Ha voluto morire così com'era vissuto... in punta di piedi.

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All’amico Micuzzu De Franco.

(Articolo apparso sul quindicinale “l’occhio” nel gennaio del 1999 a firma di Pasquale Maiolino).

Il 22 aprile 1933 il giornale “Calabria Fascista” riportava nella rubrica “asterischi” e sotto il titolo “Fiocco bianco” la seguente notizia: “La casa del camerata prof. Mario De Franco è stata allietata, in questi giorni, dai vagiti di un roseo e paffuto bambino al quale è stato imposto il nome di Domenico. Ai genitori felici i nostri più fervidi auguri”.

Il 4 Gennaio 1999 è venuto a mancare alla nostra comunità il cittadino e amico prof. Domenico De Franco.

La scomparsa di Micuzzu lascia un vuoto nelle nostre file. Egli era uno del Comitato Feste Religiose di San Fili.

Noi amici del Comitato non dimenticheremo il suo cordiale e simpatico sorriso, alla famiglia e ai parenti tutti con sincerità le più vive condoglianze.

Un giorno Micuzzu mi disse che aveva un grande desiderio di pubblicare dei ritagli di giornale, tratti da cronaca vera su San Fili e dintorni da lui fotocopiati e poi battuti a macchina nel corso degli anni.

Mi portò a casa e mi fece vedere tutto quel materiale che io ho successivamente cominciato a riscrivere sul computer con la speranza di poterlo pubblicare.

Purtroppo non ha potuto vedere realizzato il suo sogno perché si è ammalato.

Dal giorno in cui io ho appreso la triste notizia della sua malattia non sono più riuscito a terminare il lavoro.

Ti prometto, caro Micuzzu, se Dio me ne darà la forza ed il tempo che porterò a termine il lavoro che ci eravamo ripromessi di fare assieme facendo pubblicare la tua “opera”.

In suo ricordo riportiamo di seguito un articolo apparso sul giornale “La Libertà” del 13 Giugno 1867 dal titolo “Trasporto delle Ceneri de’ Bandiera d del Moro in Venezia”, articolo cui il prof. De Franco era molto affezionato:

 

“... appresso.

Arrivato il convoglio funebre presso San Fili, vide quel piccolo paese brillare d’infinite fiaccole: per le strade lunghe file di torce a vento, su’ balconi e le finestre lucerne variopinte e vagamente disposte. San Fili parea un quartiere d’una grande città in una sera di festa. All’entrata del paese si trovò la Guardia Nazionale tutta schierata lungo la via; una gran calca di gente di ogni classe si facea intorno al carro funebre desiderosa di vederlo: la Commissione provinciale allora lo fe’ scoprire a’ loro occhi, e dalla Guardia Nazionale di San Fili diede l’onore di guardare il carro durante la fermata del convoglio. Il sindaco intanto ed un’eletta schiera di cittadini venne ad invitare le varie commissioni del seguito e l’ufficialità della Guardia Nazionale di Cosenza a favorire nella casa comunale ove si trovò ogni maniera di rinfreschi apparecchiati da quel patriottico municipio: rinfreschi ancora furono offerti a tutta la bassa forza delle due compagnie della Guardia Nazionale di Cosenza ed alla banda, che crede’ ringraziare il paese, facendogli sentire i suoi concerti. Il convoglio venne infine accompagnato per lungo tratto dalla Guardia Nazionale di San Fili. Quanti son tornati di là non possono insomma elogiare abbastanza l’accoglienza fatta da quel piccolo paese al funebre corteggio de’ Bandiera e di Moro. E noi ci compiacciamo con quell’egregio Sindaco sig. Gentile e con quanti lo coadiuvarono della loro esemplare operosità, del loro patriottismo”.

martedì 29 novembre 2022

Ruggero Crispini alias Rucrì - Ovvero quando a San Fili anche le caricature erano arte.



Nell’immagine a sinistra: San Fili 1945. Goffredo Iusi e Ruggero Crispini. Caricatura realizzata da Ruggero Crispini alias Rucrì.

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Breve nota di Pietro Perri

Chiesi, essendo a conoscenza dell'amicizia e dei ricordi che legava entrambi, all'amico Sandro Cesario di scrivere qualcosa in memoria del compianto Ruggero Crispini. All'epoca ero il capo redattore sanfilese del quindicinale "l'occhio".

Personalmente non credo d'aver mai conosciuto fisicamente il grande Ruggero (alias Rucrì). Ebbi comunque modo d'apprezzarne le doti di caricaturista grazie all'indimenticabile prof. Goffredo Iusi.

Goffredo, qualche tempo prima di passare al mondo dei più (spero nella parte illuminata del limbo... dove anelo ritrovarmi anche io quando sarà il momento), nel 1989 credo, mi dette modo di fotocopiare alcune copie del giornalino murale "Il Cantastorie".

Una goliardata del circolo Raffaele Pellegrini di San Fili apparsa tra il 1945 ed il 1950.

Su tale giornalino murale, in cui si prendevano in giro i personaggi "in voga" del paese, comparivano tutta una serie di caricature opera appunto del grande Ruggero Crispini.

Un vero maestro nel suo campo.

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Ricordo di Ruggero Crispini.

di Sandro Cesario

Pubblicato sul quindicinale "l'occhio" nel 2000.

Sono grato al direttore ed al capo rubrica di San Fili del giornale per avermi proposto ricordare la figura di un amico scomparso, di recente, Ruggero Crispini.

Ho accettato di buon grado sia perché parlare di Ruggero Crispini è fare un tuffo nel passato comune, e poi, debbo dire, ho sempre letto l'Occhio con simpatia anche per la funzione che svolge nel comprensorio.

Ruggero Crispini se n'è andato in punta di piedi. Lo sapevamo gravemente ammalato. Con lui scompare una delle intelligenze più vive in San Fili, un ottimo funzionario ed anche un sindacalista ed un fine giornalista.

Infatti, Ruggero apparteneva anche alla nostra bistrattata categoria e negli anni cinquanta-sessanta con chi scrive, con Massimo Marino, Franco Siniscalchi, Italo D'Agostino era una delle “colonne” della pagina cosentina che il “Roma”, quotidiano di Napoli, sfornava ogni giorno. Si firmava RUCRI’. Era una pagina, quella, della quale conserviamo viva nostalgia, fatta più di commenti che di cronaca, più di opinioni che non di fatui fatterelli.

Ma di Ruggero ricordiamo soprattutto gli inviti scritti in poesia delle feste del fine settimana che Rocchino e Marcello Speziale organizzavano al mitico Riccio. Erano un affresco di vivacità di quegli indimenticabili anni. E le melodie di Glenn Miller e di Cole Porter, le elezioni di miss (ricordi, Franco Falvo?), gli amori, estivi e non solo, venivano immortalati in versetti, terzine e cinquine.

Ma anche lo ricordiamo caricaturista di vaglia che non aveva nulla da invidiare a Forattini, per riportare tutto ai nostri giorni.

A tal proposito ci viene in mente una mostra di caricature organizzata nei saloni del circolo Granata, nel 67-68, crediamo, che riscosse notevole successo di critica.

Ma la nostra memoria ci propone episodi del riccio, anni cinquanta. Eravamo agli inizi dell'attività di diporto: il giornalismo. Stilavamo i primi, timidi articoli per un giornale di Napoli (Il Giornale). E', una volta, a mo' di cronista mondano, parlammo di Ruggero che con Pupetto Filice si dilettava a cantare un motivo del primo Modugno, allora in voga: Musetto.

Il trasferimento a Cosenza segnò per Ruggero un oblio per il "natio borgo selvaggio" e peri gli amici, come noi, ivi rimasti.

Il rivederlo sugli spalti del vecchio Morrone di via Roma a Cosenza o in quelli del San Vito era un festoso appuntamento.

Ora, la sua dipartita. Con lui scompare una fetta vistosa della San Fili intellettuale.

Questa breve nota non è il suo epitaffio, ma un commosso ricordo che l'Occhio ha sollecitato.

Lo avremo sempre nel cuore, Ruggero Crispini.