A
sinistra: storica foto degli anni Sessanta. Seduto accanto al cinghiale l'amico
Giuseppe (Peppe) Saggio.
Giuseppe
Saggio, coautore dell'articolo sulla caccia al cinghiale, è stato per diverso
tempo Comandante del Corpo di Polizia Municipale di San Fili.
I
Sanfilesi sono stati sempre legati agli sport della caccia e della pesca. Non
poteva essere dopotutto differente, considerato la natura circostante l'abitato
di San Fili.
I
nomi citati nell'articolo riecheggeranno ancora per tantissimi anni nella
memoria dei Sanfilesi tutti.
Premessa
d'obbligo dell'autore
E' questo uno dei miei primi "lunghi articoli" (non che gli altri fossero poi così corti) e come tale venne pubblicato in tre puntate (la seconda a mo' d'intervista).
Tale articolo nasce, in località Macchia Posta di San
Fili, al coperto e lontano da occhi indiscreti, nel garage-magazzino-cantina
dell'amico Giuseppe “Peppino” Saggio (maresciallo e comandante dei Vigili
Urbani di San Fili) davanti ad un buon bicchiere di vino, a un pezzo di pane
quasi raffermo ed a delle acciughe salate... leccornia degli antichi cacciatori
sanfilesi.
Personalmente
ho sempre rifiutato la caccia in quanto sport pertanto quest'articolo, che
andava comunque scritto, o accettato di firmarlo per il solo fatto di salvare
una bella pagina della nostra storia popolare.
Da
"l'occhio" anno II n. 11 del 28 maggio 1995.
Da "l'occhio" anno II n. 12 dell'11 giugno 1995.
Da "l'occhio" anno II n. 19 dell'8 ottobre 1995.
* *
*
Erano
veramente tempi diversi e per molti aspetti più belli di adesso, quando nelle
zone della catena montuosa paolana (nei territori di San Fili, San Lucido, San
Vincenzo, Montalto e Falconara) si effettuavano le battute di caccia al
cinghiale.
La
riunione dei cacciatori di San Fili e dintorni era presso il casotto Anas sotto
il valico Crocetta, abitato all'epoca (primi anni Sessanta) da Salvatore
Iazzolino e famiglia.
Ci
si alzava alle due o tre di notte e ci si ritrovava, noi sanfilesi, davanti
all'attuale bar Sammarco. Puntuale ad aspettarci il signor Arcangelo Comande’
che col suo "Camion Meridionale Gomma" ci trasportava fino in
località Crocetta.
Ricordo
ancora quel buon odore di caffè e di anice che la signora Iazzolino offriva
agli amici del marito venuti a disturbare l'ospitale famiglia.
Il
ricordo di quei giorni, porta alla mente immagini di amici che da tempo,
purtroppo, ci hanno lasciato: veri maestri di vita, leali e rispettosi.
Oggi
la caccia al cinghiale non è più praticata, almeno a San Fili così come una
volta: vuoi per problemi finanziari, vuoi perché, appunto, si è perso lo
spirito di comunione di una volta. La licenza di caccia, è il caso di dire,
costa un occhio e nel contempo non si è avuto il ripopolamento della fauna
delle nostre montagne, principalmente per il disinteresse generale delle
amministrazioni competenti.
La
caccia al cinghiale era un vero e proprio rito: il fine ultimo non era uccidere
gli animali... ci bastava stare assieme, in silenzio quando era necessario, a ciambottare
e gioire per il resto del tempo. Fedele compagno il nostro cane.
Persino
quando la selvaggina scarseggiava ci si autotassava per importarne nuova: si
ricorda in tale situazione i compianti amici Francesco Lombardo e Salvatore
Aiello.
La
caccia di per sé non era cosa semplice: ognuno aveva un compito e l'errore di
uno poteva compromettere il lavoro di tutti. S'iniziava con "la passata
della notte", ossia rintracciando le orme vere e proprie del cinghiale.
Individuate le tracce, l'intelligenza di Simone Marrano (Gambalesta) dava il
via agli "stagliaturi", ossia a coloro che circuivano la zona
in cui era possibile fosse nascosto il cinghiale.
Mitici
capicaccia erano Geri De Lio (Alfredoluisa) per San Fili e Domenico
Palermo per Bucita.
I
capicaccia studiavano le informazioni riportate dagli "stagliaturi"
in base alle ricerche sulle passate dei cinghiali e gli stessi provvedevano ad
assegnare ai vari cacciatori la cosiddetta "posta" (punto in cui si
sarebbe atteso il passaggio del cinghiale).
Chi
occupava la posta non poteva fumare, non poteva parlare e doveva sparare
esclusivamente nella direzione che il capocaccia gli aveva assegnato: ciò
avrebbe impedito grossi problemi a tutti... così l'esperienza insegnava. Grandi
nomi erano, per noi giovani leve, quelli di Giovanni Perri ('nghinghiulinu), Raffaele Pellegrini e Domenico Cavaliere.
* *
*
DOMANDA:
Nell'articolo dite che i capicaccia assegnavano la posta, il punto in cui
dovevano attendere il passaggio del cinghiale, ai vari cacciatori...
onestamente?
RISPOSTA: Con sommo rammarico debbo dire che anche in quei tempi
esisteva qualche piccola discriminazione. Il capocaccia conoscendo la zona dove
il cinghiale presumibilmente si era rifugiato, assegnava ai cacciatori a suo
giudizio più preparati ed esperti, i punti d'appostamento ritenuti migliori.
DOMANDA:
Pertanto l'inesperto sarebbe rimasto inesperto per tutta la vita, con
capocaccia del genere.
RISPOSTA: Dipende da come il diavolo ci metteva lo zampino: spesso la
preda, incurante dell'esperienza e dell'intelligenza del capocaccia, finiva per
passare proprio nel luogo in cui l'attendeva pazientemente la doppietta "du
franciddraru"... che stranamente non sbagliava un colpo. Guarda caso,
poi, uomini di indiscussa professionalità venatoria (ad esempio il compianto
Salvatore Oliva neanche il signor Arcangelo Comande’, il primo 60 anni di
storico porto d'armi e 50 il secondo) fino ad oggi non hanno mai ucciso un
cinghiale.
DOMANDA:
Di quest'ultima affermazione ve ne assumete tutta la responsabilità.
RISPOSTA: Di Arcangelo devo tra l'altro dire che si distingue nella
"caccia alla penna, in questo campo da vero maestro. Nessuno poi dimentica
il suo buon cuore nel mettere a disposizione di tutti gli amici il suo
insostituibile furgone.
Mi è normale ricordare questo personaggio assieme all'amico Giovanni Calomeni
(detto "Brick"). I due erano possessori di altrettanti valenti
cani da caccia, appunto, alla penna (quaglie, beccacce, fagiani ecc.): Fido e
Diana.
DOMANDA:
Voi che conoscete in modo impeccabile il territorio montano di San Fili e
dei Comuni attigui, potete darmi una buona motivazione per farci un'escursione?
RISPOSTA: Basta pensare alla varietà della vegetazione, che non è solo
il castagno, la quercia, il nocciolo e l'olivo, ma mille altre piante senza
escludere il ricchissimo sottobosco: cipolle selvatiche, more, mirtilli,
fragole e decine varietà di ottimi funghi mangerecci. Come dimenticare il
sapore dei "siddri" o quello delle "guite",
senza nulla togliere ai "gaddrinazzi", "lattarachi",
"ferruni" e via dicendo. E poi, le nostre sorgenti naturali:
tutte oligominerali.
DOMANDA:
Perché era importante la presenza del cacciatore sulle nostre montagne?
RISPOSTA: Negli anni sessanta la caccia era aperta tutto l'anno (e
strano come si trovasse più selvaggina all'epoca che adesso), ed il cacciatore
era un vero e proprio guardiano/custode del nostro stupendo verde. Gli incendi,
grazie alla sua presenza ed al suo spirito di sacrificio, ad esempio, non erano
frequenti come adesso: il cacciatore, il vero cacciatore, prima di tutto
rispetta la natura. Comunque di questo e di altro, se mi garantirete un po' di
spazio nei prossimi numeri, potremo parlarne ampiamente assieme.
* *
*
Il
fedele cane, per il cacciatore, è più che un familiare: persino quando si
prepara da mangiare il primo pensiero è rivolto all'animale. Il cane è l'anello
di congiunzione, per il cacciatore, tra l'uomo ed il resto della natura.
Non
c'è niente di più bello che trascorrere una giornata insieme agli amici ed al
proprio cane.
Ma
ritorniamo ai bei tempi.
Quando
ci si incontrava sui confini montani dei nostri comuni (San Fili, Montalto
Uffugo, San Vincenzo, Falconara Albanese e Paola), il gruppo si dirigeva ad
andare incontro agli altri gruppi della zona.
In
lontananza si riconoscevano i Caracciolo di San Vincenzo, Francesco Catanzaro e
gli Alimena di Montalto e con noi il notaio Marsico, appunto, di San Fili.
Tutte
famiglie nobili, quando la nobiltà, di rango e di spirito, ancora significava
qualcosa, ognuna delle quali portava seco i cosiddetti "ciucciari"
che guidavano le bestie cariche di ogni ben di dio (vino, soppressate, olive
ecc.). Tale ben di dio veniva messo a disposizione dei battitori (servivano per stanare il cinghiale),
del seguito e di quanti si fossero imbattuti nella tavolata dell'allegra
compagnia.
Anche
in questo caso una norma inderogabile: non si toccava neanche una briciola se
prima non fosse stato raggiunto l'obiettivo. Obiettivo consistente o
nell'uccidere la preda o nel terminare, anche se invano, la battuta di caccia.
Mangiare prima significava pregiudicare la giornata (specie se si considera che
in compagnia oltre a mangiare si finisce anche per bere). "Aru
tijeddrune" non si faceva discriminazione per nessuno, nobile o plebeo
che fosse.
Iniziava
ad imbrunire, quando ci si accomiatava dalla natura. Il cinghiale, secondo
l'usanza degli antichi cacciatori, veniva spartito nel comune nella cui zona in
cui era stato ucciso. Prima della spartizione era comunque d'obbligo la sfilata
per le strade dei paesi interessati alla battuta di caccia: anche per i paesani
sembrava fosse gioia generale.
Tornati
al paese della divisione, il capocaccia della squadra vincente indicava il
locale di ritrovo e quindi iniziava la spartizione tra le varie squadre.
"E'
scritto e tramandato dagli anziani che al fortunato cacciatore che aveva
abbattuto il cinghiale, spetta la testa", una norma scritta
sicuramente da qualche furbo che non beccava mai il cinghiale... ma che era
cosciente che nella testa, se si esclude l'apparenza, di carne ce n'è veramente
poca e di conseguenza, verso le ultime storiche battute di caccia, si preferì
farla tagliare in tanti pezzettini quanti erano i cacciatori presenti.
Per
quanto riguarda San Fili, nel Centro Storico, tra via Destre e via Chiesa
Madre, vi era un ritrovo per noi cacciatori gestito da Raffaele Comande’
(persona stimata e di rispetto). Eravamo alla metà degli anni Sessanta, quando,
ognuno di noi, portava in quel locale la sua quota di spezzatino del cinghiale
che, cucinata, veniva mangiata in spensierata compagnia.
All'ultimo
boccale di vino, all'ultimo leggendario ricordo rinverdito con l'amico,
all'ultima... boccaccesca trovata... ci si rendeva conto che ormai era l'alba e
che la famiglia, giustamente, ci aspettava ansiosa.
Un altro giorno si presentava ai nostri occhi, un altro cielo, decisamente meno scarno del precedente, un altro appuntamento per il prossimo fine settimana da lanciare alla compagnia per un'altra caccia al cinghiale.
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