SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: ottobre 2022

A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

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domenica 30 ottobre 2022

Dedicato a quanti - sanfilesi - non hanno saputo aspettare la fine del secondo millennio.




Foto a sinistra: Il bellissimo e toccante crocifisso con la statua della Madonna Addolorata conservati nella Chiesa del Ritiro (o dei frati Ritiranti) di San Fili. Il gruppo sacro quando ho scattato questa foto (verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso) era momentaneamente conservato nella Chiesa Madre di San Fili.

Dedicato a Gianluca Aliberti, a Giuliano Chiappetta e a quanti, sanfilesi, non hanno saputo aspettare adeguatamente la fine del secondo millennio.

Articolo firmato da Pietro Perri Pubblicato sul quindicinale "l'occhio" nel mese di luglio del 1999.

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Elì, Elì, lemà sabactàni? (Mt. 27,46)

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Gli anni, volenti o nolenti, passano per tutti… anche per il sottoscritto.

Passano e ci si rende conto di come passano in fretta non quando ci si guarda allo specchio la mattina e né quando si guarda all’interno del proprio cuore: specchio e cuore, spesso e volentieri, malgrado le primavere che ci siamo lasciati alle spalle, sembrano continuare ad illuderci della nostra giovinezza e freschezza.

Persino la carta d’identità non riesce a volte a convincerci del contrario: sicuramente la data di nascita riportata sulla carta d’identità è falsa, sicuramente si tratta di qualche scherzo ben riuscito messo in atto da quel simpaticone dell’impiegato comunale addetto all’anagrafe.

Ci rendiamo amaramente conto, purtroppo, che solo quest’ultima prova è tragicamente reale quando, passeggiando per il paese, ci soffermiamo a guardare i manifesti dei morti appesi alle locali bacheche… se la notizia del tragico evento non arriva prima ai nostri orecchi grazie al tam tam cittadino (un filo diretto più che normale in un paese dove è più difficile sentirsi compaesani che non stretti familiari).

Ci rendiamo tristemente conto di quante primavere ci siamo lasciati alle spalle quando leggiamo l’età di quel giovane o di quel signore interessati dalla triste notizia: con quanti di loro abbiamo diviso il nostro tavolo, con quanti di loro abbiamo giocato e scherzato assieme, con quanti di loro ci siamo persino litigati il giorno prima per poi stringerci la mano il secondo giorno, da ottimi amici, davanti ad un buon bicchiere di vino o di birra… è difficile stare nemici e nello stesso tempo coabitare in un paese come San Fili.

San Fili… San Fili: quale maledetta fretta potevi avere in questi anni per ricordarmi quanto fossi ormai vecchio… pur sapendo che ancora non ho toccato neanche i famigerati ‘anta?

Quante morti, stupide morti (perché la morte quando ti coglie prima d’una certa età, tutto può essere tranne che un qualcosa d’intelligente), ha dovuto registrare il tuo ufficio anagrafe in questi ultimi dieci anni. Quante ne ha dovute registrare quest’anno in un anno che, purtroppo, ancora non è finito.

Il 17 luglio del 1999 la frazione Bucita ha dato il suo ultimo saluto ad un ragazzo di appena ventisette anni: Gianluca Aliberti, magistrale cuoco del vicino ristorante Olimpo. Gianluca, morto in uno stupido incidente stradale (in un tratto di superstrada che tanto sangue è costato finora ai sanfilesi), lascia la moglie Debora (sposata meno di due anni fa) ed il figlio Stefano (di neanche un mezzo anno). Era Gianluca un ragazzo con tanta voglia di vivere addosso, bravo, gentile ed aperto con tutti… meritava di vivere.

Poco tempo prima San Fili, con la sua contrada Frassino, ha dovuto registrare la morte di un altro giovane… di appena quindici anni: Giuliano Chiappetta, figlio di Vincenzo (morto anch’egli da pochi anni, prematuramente). Giuliano muore di botto, strarompente di salute e con altrettanta voglia e diritto di vivere, tra le mura di casa sua.

Sono solo due casi, questi, ma potremmo citare decine e decine di nomi di compaesani che in questi ultimi due lustri hanno lasciato prematuramente, e per sempre, la nostra cittadina per recarsi in quel di Santa Maria. Come dimenticare Franco Tenuta, Vittorio Mazza, Domenico de Franco, Gianni de Nittis, Benito Zuccarelli junior, Luigi De Lio e, appunto, decine, centinaia di altre.

Quando mi trovo di passaggio al cimitero di San Fili e vado a dare un saluto ai miei avi (incluso il mio fratellino Francesco, che data la tenera età, sua e mia, in cui venne a mancare, quasi dubito d’averlo mai conosciuto), non manco di fare un salto a salutare i morti degli ultimi loculi cimiteriali costruiti nel piano inferiore di questa amara terra del pianto. Erano tanti ed erano vuoti quei loculi: oggi sono tutti pieni e quelle foto che fanno bella mostra di se sul freddo marmo, quale più quale meno focalizza un pezzo della mia stessa vita.

Persino il nuovo braccio del cimitero di San Fili sembra abbia tanta voglia di riempirsi in tempi brevi (anche i loculi costruiti di recente in tale zona per metà sono già occupati).

Quanto mi sento vecchio e solo passando da quei punti, quanto mi sembrano stupidi quei volti sorridenti che fanno sfoggio di sé su quelle strane foto: mi piacerebbe, una volta tanto, capire se sono sorridenti perché hanno finalmente trovato la loro giusta dimensione, o semplicemente ridono di tutti noi altri in quanto siamo ancora condannati a vivere in questa stupida vita di sudore, di dolore, di tragica ambiguità… senza il pur minimo conforto d’averli almeno accanto.

sabato 29 ottobre 2022

Enrico Granata (1827/1900) - Un illustre sanfilese a cent'anni dalla sua morte.



Foto a sinistra: frontespizio della biografia di Enrico Granata realizzata e pubblicata dal professor Goffredo Iusi (opera promossa e sostenuta dal Circolo di Cultura “E. Granata” di San Fili) nel 1987 presso la Luigi Pellegrini Editore di Cosenza.

Libro che ovviamente invito, ai sanfilesi "oriundi" in particolare (non raramente abituati a denigrare le proprie origini) e poi a quanti negli ultimi decenni hanno scelto di venire ad abitare in questo borgo, a leggere.

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Un illustre sanfilese a cent'anni dalla sua morte.

di Pietro Perri.

Pubblicato sul quindicinale "l'occhio" nel 2000.

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Il 13 marzo del 1900, esattamente cento anni orsono, San Fili dava l'ultimo saluto ad uno dei personaggi, figlio di questa strana e crudele "patria" sempre pronta a rinnegare i suoi profeti, che più di tanti altri ne hanno onorato il nome e ne hanno reso perenne il ricordo: Enrico Granata.

Ad Enrico Granata era dedicato l'omonimo circolo culturale che per tanti anni, e fino a pochi lustri addietro, ha raccolto al suo interno l'élite culturale sanfilese. Da parte nostra, locale redazione de "l'occhio", sperando di far cosa gradita ai nostri lettori, proponiamo una breve biografia, redatta dal prof. Francesco Cesario e pubblicata sul bollettino di agosto 1980 del "San Fili Fraternity Club of Westchester, inc.", di quest'illustre personaggio:

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"Nato a Cosenza il 16 aprile 1827 da Francesco e da Maria Giuseppa Veltri famiglia oriunda sanfilese, fece i primi studi con un colto prete del paese e li continuò nel seminario di Bisignano e quindi di Cosenza.

Compiuti gli studi classici, per imposizione paterna, s’iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia a Napoli. Discepolo prediletto di Pietro Ramaglia e di Ferdinando Palasciano.

Appena conseguita la laurea aprì nella stessa Napoli una scuola privata di medicina, ma per ragioni di salute fu costretto a ritornare all’aria balsamica dei monti calabresi.

A Cosenza ritrovò i vecchi compagni di studio e con loro prese parte alle lotte della scienza fondando giornali scientifici, gabinetti di osservazione. Fu liberale convinto ed unitario fervente. Il 13 marzo 1900 nella modesta casa di San Fili, ove da tempo si era ritirato a vita quieta, tranquillo moriva.

Fu artista e poeta in tutti gli atti della sua vita; negli affetti familiari, nel culto dell’amicizia, nell’amore del loco natio, nell’esercizio della sua professione che fu per lui un vero apostolato.

Chirurgo esperto era valorosissimo in Patologia e clinica medica. I vari scritti e le monografie scientifiche dimostrano il suo sapere. Fra gli scritti inediti si ricorda la traduzione delle opere postume del Cotugno, che egli in una lettera al Bartolini, pensava di pubblicare nel 1864. Fra le edite: -

Il Piccolo Comune e la Ministeriale, firmate Morava; - Il colera e il chinismo, importantissimo perché in esso si rispecchia il momento storico che allora attraversava lo scibile medico che aveva i primi fremiti delle nuove scoperte.

Quest’ultima pubblicazione trovò il plauso dei migliori uomini del tempo: dal Ramaglia al Villanova, dal De Martino al Semmola. Il Granata ebbe per questa pubblicazione nel giornale scientifico del tempo, “Il Tommaso Cornelio”, le congratulazioni del celebre clinico Buongiorno de Palma.

Notevoli, apprezzati ed ispirati a sana critica riuscirono gli articoli che il Granata pubblicò nel 1884 sull’Avanguardia (giornale cosentino diretto da Domenico Bianchi), sull’intendimento del Ministro dell’Interno di aprire le porte ai Comuni del Regno al colera, non risparmiando alla ministeriale Morava il suo sarcasmo di igienista e sociologo.

Nel 1885 pubblicò sullo stesso giornale in una serie di numeri “

Il Decamerone scientifico letterario”, o meglio, le scorrerie notturne di una serpe e riflessioni sull’istinto, che sono come un romanzo scientifico, dove è trasfusa in grande e concettosa armonia la sua vasta erudizione.

Naturalista, dell'Anatomia comparata alla Fisiologia, dall'Embrogenia alla Biologia, con osservazioni originali. E' ritenuto il migliore e più poderoso lavoro ch'egli abbia concepito. Ai saggi scientifici di poesia del Granata si accompagnano quelli di pittura, bozzetti drammatici, commedie ecc.

San Fili per opera del Granata ebbe un teatro filodrammatico. Rimane il solo titolo di una azione drammatica in due quadri: "Ubaldo Giannini e il maestro di scherma"

(…).

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Inutile dire che di quest'illustre sanfilese, sorte non certamente diversa da quella capitata ad altri meritevoli compaesani, si sta via via perdendo il ricordo (...).

Al di là delle polemiche di rito, non sarebbe male riaprire quello che fu lo storico "Circolo Enrico Granata" di San Fili, un luogo che, grazie a personaggi del calibro del prof. Goffredo Iusi, per tanti anni è riuscito ad imporsi all'attenzione della comunità culturale dell'intera provincia di Cosenza.


giovedì 27 ottobre 2022

Vera Lettera di Nostro Signore Gesù Cristo.



Foto a sinistra: San Fili - facciata principale della Chiesa dello Spirito Santo. La foto è leggermente distorta in quanto fatta con un grandangolare... d’altri tempi.

Foto Pietro Perri.

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Articolo tratta dal bollettino del "San Fili Fraternity Club" - anno 27, n. 2, febbraio 1987 con aggiunta di una breve nota di presentazione a firma dello scrivente Pietro Perri.

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Forse non tutti sanno che in tempi remoti i morti venivano sepolti in fosse comuni (cripte) nelle chiese del paese.

Usanza questa che tante gravi conseguenze ha portato alle comunità ante-Napoleone Bonaparte (fu infatti grazie a questo spettacolare e per tanti versi ambiguo condottiero, e uomo politico, se finalmente si capì ch'era poco igienico tenersi "i morti in casa"... ossia seppellirli nel centro abitato all'interno delle Chiese).

L'idea di quella “buonaparte” di Napoleone, come tutti sappiamo, ovviamente non piacque a tanti benpensanti dell'epoca. Non ultimo tra questi il famoso Ugo Foscolo che non ci mise granché a rispondere "con le rime" al provvedimento bonapartista con i suoi arcinoti "Sepolcri"... tanto per restare in tema. I Sepolcri (1806), infatti, sono stati suggeriti dal decreto bonapartista che vietava le sepolture nelle Chiese e nelle cappelle.

La Calabria, si sa, fa parte dell'Italia (in altri tempi più che dell'Italia faceva parte del Regno delle due Sicilie) almeno sulla carta... perché nella realtà sembriamo più africani che europei. Cosenza, si sa... forse un po' di meno, fa parte della Calabria. San Fili, mi auguro che qualcuno lo sappia, fa parte della provincia di Cosenza.

Perché questo discorso? ... perché da quando Napoleone conquistò (? ... non fu certamente un grande sforzo!) l'Italia, e passò per giunta a miglior vita, a quando San Fili si fornì di un cimitero. Passarono molto più d'una cinquantina d'anni. Secondo la tradizione orale il primo morto ad avere accesso in quel di "Santa Maria", inteso come cimitero sanfilese, fu una guardia di finanza.

Correva l'anno 1891.

Effettivamente ci eravamo da tempo lasciati alle spalle l'inizio della seconda metà del XIX secolo (1850).

Comunque grazie al convento dei "frati Ritiranti" che sorgeva nella zona di Santa Maria, i morti nella zona erano da tempo di casa. T'invito, a tal fine, caro avventore, a leggere sempre nelle pagine di questo blog, nella sezione dedicata a "I racconti del focolare a San Fili" la simpatica storiella dal titolo "Vorra sapire si la morta è morta".

Seppure si perse l'usanza di seppellire i morti nelle chiese del paese, a San Fili, in ogni caso non ci si preoccupò per niente di prelevare i cadaveri in esse presenti e dargli miglior sepoltura nel costruendo cimitero.

Tali restarono indisturbati per oltre una centinaia d'anni... e siamo agli inizi degli anni Settanta (1970) quando finalmente s'iniziò a dare un'occhiata alle cripte della Chiesa Madre e ci volle gli inizi degli anni Ottanta (1980) per dare un'occhiata anche alle cripte della Chiesa dello Spirito Santo (ossia alla chiesa dedicata a san Francesco di Paola).

In quell'occasione...

“(...) in un borsello di pezza, rimasto intatto tra le ossa delle mani di una donna è stata rinvenuta la Vera lettera di nostro Signore Gesù Cristo: un documento di fede religiosa, sentita e vissuta tra speranze e timore in promessa di bene, nella gioia del paradiso, e in terrore del male, nelle pene dell'inferno.

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«Vera Lettera di Nostro Signore Gesù Cristo, per mano dell'Angelo Custode ad una fanciulla chiamata Brigida, nove miglia distante di San Marcello di Francia, stampata a lettera di oro, trovata ai piedi di un Crocifisso ove, era la Fanciulla, che da sette anni non aveva parlato, e subito che sentì la suddetta lettera parlò e disse tre volte Gesù e Maria.

«La domenica ch'è festa di precetto, andate alla Chiesa e pregate Iddio che vi perdona i vostri peccati. Io vi ho lasciato sei giorni per lavorare ed il settimo per riposare, dovete in quel giorno udire la Messa ed ascoltare i divini uffici e prediche, e fare l'elemosina ai poveri secondo la vostra possibilità che avete, e sarete da me riempiti di bene, altrimenti la mia malevolezza sarà sopra dei vostri figli e della roba, se poi digiunerete cinque venerdì all'anno in onore delle mie cinque piaghe che ebbi sopra la Croce, vi farò molte grazie che domandate.

«Tutti quelli che mormoreranno contro la mia Santa Lettera, e che diranno non essere uscita dalla mia Santa Bocca saranno da me discacciati, ed anche a quelli che la terranno celata e non la pubblicheranno, quelli che la paleseranno e leggeranno diranno essere uscita dalla mia Santa Bocca se avranno tanti peccati per quante gocce di acqua sono nel mare, da me saranno perdonati. Se qualche donna non potrà partorire, ponendosi questa Santa Lettera addosso subito partorirà. Tutti quelli che ubbidiranno ai miei Sacramenti goderanno per una eternità la Santa Gloria del Paradiso.

«Ebbi trenta pugni in bocca quando fui in casa di Anna e cascai tre volte: ebbi 105 colpi ed i soldati che mi portarono furono otto, le gocce di sangue che versai furono 3800, a quella persona che mi dirà ogni giorno due Pater, Ave e Gloria per tre anni continui si concederanno 5 grazie:

La prima = Non le farò provare le pene del purgatorio.»

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La versione della "Vera Lettera di Nostro Signore Gesù Scritto" è stata copiata, dall'originale in pessime condizioni, da Ciccio Cirillo - il Sanfilese d'America - e pubblicata sul bollettino del mese di febbraio 1987 del "San Fili Fraternity Club", in uno spazio dedicato tra l'altro all'amico Goffredo Jusi. Entrambi, il Cirillo ed il Jusi, passeranno prematuramente a miglior vita all'inizio degli anni novanta (1990). Di entrambi questo sito se ne occupa nelle pagine dedicate ai personaggi.


giovedì 20 ottobre 2022

C’erano una volta i fichi di San Fili... ed anche l’azienda della famiglia Giorno. (4)



Foto a sinistra: Collocamento dei fichi sui “cannizzi”. Scatto (by Pietro Perri) rubato nei primi anni di questo Millennio a San Fili nei pressi del bivio per la frazione Bucita.

L'articolo riportato di seguito è statu pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di ottobre 2020... a firma di Pietro Perri.

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Continua dal Notiziario Sanfilese del mese di settembre 2020.

«All’interno del Padiglione Italia della frutta presente nel vasto complesso delle costruzioni riservato alle produzioni agricole nell’area in cui si svolgeva l’Esposizione Internazionale del 1935 di Bruxelles si respirava anche un po’ di aria della nostra San Fili.»

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Ritroviamo il nome di Ettore Giorno e qualche notizia sulla sua ditta per la lavorazione e la commercializzazione dei fichi di San Fili su due articoli apparsi sulla rivista (mi sembra fosse un settimanale) “Calabria Fascista”. Entrambi, sembra, pubblicati il 13 gennaio del 1934.

Dico “sembra” in quanto per il momento mi sto rifacendo ad un trascritto e quindi non posso affermare l’esattezza di tale dato. Mi riservo comunque quanto prima di verificare lo stesso presso la Biblioteca Civica di Cosenza dove copia di tale rivista dovrebbe essere tuttora gelosamente conservata.

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Il primo dei due articoli s’intitola
“Un Encomiabile gesto”
e di seguito ne riporto il contenuto:

 

«La Ditta Ettore Giorno da San Fili, con gesto veramente encomiabile, ha messo a disposizione di S.E. il Prefetto di Cosenza un notevole quantitativo di fichi imbottiti confezionati in eleganti pacchetti, per essere destinati agli enti locali di beneficenza in occasione delle feste - natalizie.

S.E. il Prefetto ha destinato detti pacchetti ai seguenti Istituti del capoluogo, tenendo presente il numero dei ricoverati negli Istituti stessi: Ricovero Umberto I, Ospizio delle Fanciulle, Orfanotrofio Vittorio Emanuele II, Asilo di Santa Teresa del Bambino Gesù, Istituto della Divina Provvidenza.»

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Il secondo dei due articoli s’intitola:
“Una ditta che si distingue”
ed anche in questo caso ne riporto di seguito il testo:

 

«S.E. il Grande Uff. Dott. Roberto Rizzi, Prefetto della Provincia ed il Comm. Ing. Gino Mancini, Segretario Federale dei Fasci di Combattimento accompagnati dal Questore di Cosenza Comm. Benigni, dal Cent. Alfonso Luvarà, Segretario Generale dei Sindacati Fascisti dell'Agricoltura e dal cav. Francesco Piro, hanno visitato in San Fili la Ditta Ettore Giorno, una Azienda davvero modello specializzatasi nella manifattura dei fichi secchi imbottiti, in eleganti e squisite confezioni ormai dovunque conosciuta.

Il titolare della Ditta sig. Ettore Giorno, con squisita signorilità, ha accompagnato gli illustri ospiti nella visita attraverso i vari reparti ed ha loro minutamente spiegato il metodo di lavorazione, improntato a sani criteri tecnici ed igienici che rende dovunque apprezzatissimo questo prodotto quasi esclusivamente calabrese.

Il camerata Giorno, tipico esempio della tenace laboriosità calabrese, ha saputo, da autentico operaio, attraverso lunghi anni di lavoro assiduo ed onesto, migliorare progressivamente la propria azienda, aumentandone man mano la capacità produttiva, perfezionandone l'attrezzatura tecnica, e riuscendo a far affermare i propri prodotti anche in lontani mercati, oltre che d'Europa, dell’America Settentrionale e Meridionale; è riuscito insomma, attraverso la dirittura della propria attività, a creare una salda, vitalissima azienda, che dà lavoro a numerosi operai, e nel contempo a far espandere ed affermarsi un prodotto tipicamente calabrese, qual è quello dei fichi secchi.

Questo per quanto riguarda la figura di lavoratore del camerata Giorno, che per tale attività ha meritato numerosi premi, benemerenze, ecc. ed ha ricevuto diversi attestati, oltre che da Enti ed alte personalità, anche dalla Casa Reale, cui ripetute volte ha inviato saggi della sua produzione.

Quanto alla figura morale e politica del camerata Giorno, è superfluo dire ch'egli ha sempre dimostrato di essere un degno italiano ed un fascista fedelissimo.

Allo scoppio della Grande Guerra egli, che trovavasi nel Brasile, si affrettò a tornare in Patria per compiere il suo dovere di soldato; si guadagnò due Croci di Guerra.

E' iscritto al Partito dal 18 novembre 1922, ed ha disimpegnato e disimpegna tuttavia numerosi incarichi in organizzazioni ed in enti economici del Regime.

Basti un esempio per dimostrare la tempra di fascista e d'italiano del camerata Giorno: or sono due anni una ditta francese di Marsiglia, già da tempo importante cliente del Giorno, gli ordinò un ingente quantitativo di fichi, condizionando però la commissione al patto che dall'involucro dei singoli pacchi e pacchetti venisse tolta la fascia tricolore che li avvolge e che ne costituisce ormai come la marca di fabbrica; il Giorno rispose con una lettera vibrante d'italianità, rifiutando sdegnosamente la commissione.

S.E. Rizzi ed il Comm. Mancini, entusiasti della proficua attività del Giorno hanno esternato allo stesso la loro ammirazione.

Sopraggiunto il Podestà di San Fili. Prof. Cesario rese doveroso omaggio alle Autorità per 1'onore che rendevano in favore della ridente cittadina.»

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Anche al solo scopo di chiudere con questa uscita del Notiziario Sanfilese (ovvero il bollettino dell’Associazione culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili) il discorso su “C’erano una volta i fichi di San Fili... ed anche l’azienda della famiglia Giorno” voglio riportare, malgrado non del tutto pertinente al tema portante, un articolo apparso il 6 Febbraio del 1936 sulla rivista “Cronaca di Calabria”.

Un articolo che comunque cita il nostro esimio concittadino Ettore Giorno.

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Titolo dell’articolo è:
“L'on. Malusardi a San Fili”
ed eccone di seguito il testo:

 

«In occasione della commemorazione della morte del compianto Quadrumviro S.E. Michele Bianchi, proveniente da Belmonte Calabro è passato da questo comune, verso l'ore 13, l’on. Malusardi, membro del Direttorio Nazionale del Partito, accompagnato da S.E. Bellini, dal Federale, dal dott. Luvarà e dalle altre autorità della provincia.

Il cav. Ettore Giorno, industriale tipo ben noto anche all'Estero, fascista della prima ora, ha ricevuto l'on. Malusardi nel suo salone ricchissimo di benemerenze e di attestati.

Al ritorno da Cosenza, verso le ore 20:l5 l'on. Malusardi è stato nuovamente ricevuto dal cennato cav. Giorno e poscia si è portato nei locali del Fascio ove si era riunita una moltitudine di fascisti che sfidando l'imperversare della tempesta ha voluto sentire 1a sua simpatica voce ed il suo commosso saluto. Molto si è congratulato col prefato camerata cav. Giorno e con l'instancabile e giovanissimo segretario politico prof. Rinaldi Francesco che continuamente raccoglie stima da parte dei superiori tutti la riconoscenza profonda della intera popolazione.»

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La lavorazione e la commercializzazione (ovviamente a portata “industriale”) dei fichi di San Fili, storicamente parlando, negli anni Cinquanta o verso la fine degli anni Quaranta del secolo scorso sarà rilevata dalla famiglia Lio (murgheddrina) per poi scomparire definitivamente verso la fine degli anni Sessanta... e ricomparire agli inizi di questo millennio grazie alla famiglia Rao.

Lo scrivente ha parlato abbondantemente della lavorazione e della commercializzazione dei fichi a San Fili anche con quattro articoli pubblicati, verso la fine del secolo scorso, sul quindicinale “l’occhio” (giornale a tiratura locale mirante principalmente al recupero delle tradizioni e della memoria popolare. Tale giornale era diretto dalla giornalista Marisa Fallico).

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

C’erano una volta i fichi di San Fili... ed anche l’azienda della famiglia Giorno. (3)



Foto a sinistra: Esposizione Internazionale di Bruxelles 1935.

Padiglione Agricoltura Italia.

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Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre 2020... a firma di Pietro Perri.

Continua dal Notiziario Sanfilese del mese di Agosto 2020.

«Grazie ad Ettore Giorno ed all’azienda da lui gestita i fichi di San Fili (debitamente lavorati ed opportunamente confezionati) non solo riescono ad arrivare con una certa regolarità sul tavolo dei nostri monarchi (malgrado tutto dei buongustai quelli della Casa Savoia) ma riusciranno a raggiungere, in occasione dell’Esposizione Internazionale del 1935, la città di Bruxelles e quindi ad essere ospitati nel relativo padiglione riservato all’Italia in occasione di tale prestigioso evento.»

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All’interno del Padiglione Italia della frutta presente nel vasto complesso delle costruzioni riservato alle produzioni agricole nell’area in cui si svolgeva l’Esposizione Internazionale del 1935 di Bruxelles si respirava anche un po’ di aria della nostra San Fili.

In tale padiglione, infatti erano presenti, grazie alla famiglia Giorno ed alla loro azienda di confezionamento e commercializzazione, anche i nostri preziosi, profumati e gustosi fichi.

Se è un po’ difficile capire (ovviamente con i dati che ho personalmente in possesso) come abbiano fatto i fichi di San Fili a ritagliarsi un proprio, seppure meritato, spazio all’interno di questo evento internazionale ciò che non è difficile capire invece è perché proprio questo frutto e non altri.

Gli organizzatori del padiglione riservato all’agricoltura, ai suoi prodotti, alle tecniche ed alle attrezzature utilizzate, infatti, avevano necessità di poter garantire la presenza di prodotti della terra accattivanti, gustosi e non facilmente deperibili. Cosa, questa, non facilmente ottenibile se si considera la distanza, per quei tempi, tra l’Italia ed il Belgio oltre che all’assenza dei moderni metodi di conservazione dei prodotti alimentari

Ed ecco che ad avere la meglio in tale situazione finirono per essere la ricchezza alimentare dei mesi di magra dei nostri progenitori.

Per San Fili... appunto i fichi lavorati in più modi ed opportunamente conservati: fichi bianchi, fichi infornati, paddruni, crocette e chi più ne ha più ne metta.

Erano forse quelli gli anni in cui i fichi di San Fili si facevano un nome e con tale nome diventavano “marchio di qualità”.

Una domanda sorge spontanea: esistono ancora, in commercio, i famosi fichi di San Fili?

Sembrerebbe proprio di si. E con “si” non intendo riferirmi a qualche famiglia sanfilese che ancora ne produce un minimo quantitativo per il fabbisogno ed il piacere di se stessa o di qualche fortunato amico ma intendo un minimo di produzione destinata comunque, anche se come prodotto di nicchia, al grande mercato nazionale.

Circa un mese addietro, infatti, una nostra compaesana che da tempo manca dal nostro paese commentando un mio post pubblicato sul social network Facebook ad un certo punto chiedeva, appunto se si lavorassero e si commercializzassero ancora i fichi sanfilesi o... quelli che lei da qualche anno a questa parte, in particolare nel periodo natalizio, trova in alcuni negozi della capitale sono una truffa? ... una truffa nel senso che chi li commercializza utilizza in modo improprio il nome di San Fili?

Inutile dire che sulle prime qualche dubbio nel leggere tale affermazione era sorto anche a me e, cercando di restringere il campo, provai a vedere chi poteva ancora lavorare e commercializzare i fichi a San Fili... ed ovviamente chi poteva onorarci, utilizzando il nome del nostro borgo, facendo ciò.

Foto a sinistra: Fichi secchi lavorati e posti in commercio dall'azienda "Dolci Pensieri di Calabria"... di San Fili.

L’unica azienda che mi venne in mente, in quanto era difficile pensare ad una singola famiglia in grado di fare qualcosa del genere, fu la “Dolci Pensieri di Calabria” di Carbone Carmelina.

Chiesi qualche ulteriore informazione alla nostra cara compaesana e questa mi confermò quanto da me ipotizzato: i fichi di San Fili, grazie appunto all’azienda “Dolci Pensieri di Calabria”, sono ritornati ad oltrepassare, ed alla grande, il perimetro del nostro territorio comunale.

Cosa, questa, che non può che farci enorme piacere.

Una fetta del futuro di San Fili potrebbe infatti ripartire proprio dalla lavorazione e commercializzazione dei nostri (almeno sulla carta) fichi.

(continua).

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

C’erano una volta i fichi di San Fili... ed anche l’azienda della famiglia Giorno. (2)


Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di agosto 2020... a firma di Pietro Perri.

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Continua dal Notiziario Sanfilese del mese di Luglio 2020.

«Chissà, forse quando per la prima volta pubblicai questa notizia non facevo altro che scrivere una pagina di storia della nostra bella Comunità Sanfilese... inventandola di sana pianta.

Forse effettivamente quella famiglia Giorno (...) a San Fili non era mai esistita.

Forse... o forse, si?»

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La famiglia Giorno, quella appunto dell’azienda della lavorazione dei fichi presente a San Fili almeno fino alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso è esistita eccome.

Che fine abbia fatto successivamente alla fine degli anni Quaranta tale famiglia, visto che i pochi che ricordano la stessa (tra cui il nostro sempreverde Marcello Speziale) non sono stati in grado di dirmelo, a noi poco importa.

Personalmente non sono, né mi ci sento, uno storico (malgrado in tanti mi qualificano come tale... anche se, bontà loro in quanto per me è comunque un onore, in modo dispregiativo) e se riporto queste notizie è solo per dare lo spunto ad altri per lavorarci seriamente su.

Chissà, prima o poi gli “altri” - sono sicuro che ce ne sono tanti - usciranno dalla loro calda, accogliente, protettiva camera, anche nella nostra stupenda (sempre amata/odiata) Comunità. E daranno anche loro un onesto contributo affinché San Fili, il nostro borgo, possa tornare a risorgere e a ritagliarsi nuovamente un ruolo nell’hinterland cosentino.

Sveliamo, però ora, un altro mistero su questa “famiglia Giorno” e l’azienda per la lavorazione, il confezionamento e la commercializzazione dei fichi dalla stessa gestita all’interno dell’abitato di San Fili ed in particolare nella parte sottostante del palazzo di proprietà della medesima.

Il palazzo, abbiamo detto, era quello che fino alla fine del secolo scorso ha ospitato la locale Stazione dei Carabinieri, che ha ospitato il Circolo di cultura Enrico Granata e che ora ospita la Biblioteca comunale (o ciò che ne resta) intitolata al professor Goffredo Iusi.

L’altro mistero che vorrei svelare questa volta è il nome della persona che, magari grazie anche al fatto di essere al posto giusto nel momento giusto, ha reso grande tale azienda e quindi il nome stesso della propria famiglia: Ettore.

Ettore Giorno.

Grazie ad Ettore Giorno ed all’azienda da lui gestita i fichi di San Fili (debitamente lavorati ed opportunamente confezionati) non solo riescono ad arrivare con una certa regolarità sul tavolo dei nostri monarchi (malgrado tutto dei buongustai quelli della Casa Savoia) ma riusciranno a raggiungere, in occasione dell’Esposizione Internazionale del 1935, la città di Bruxelles e quindi ad essere ospitati nel relativo padiglione riservato all’Italia in occasione di tale prestigioso evento.

San Fili (CS) è proprio il caso di dire... c’era.

Chissà, forse è proprio grazie all’azienda sanfilese di fichi gestita dal nostro “dimenticato” compaesano Ettore Giorno (mi è impossibile per il momento poter affermare se fosse o meno stata aperta dallo stesso) se ancora in tanti, non solo in provincia di Cosenza, ricordano i famosi fichi di San Fili e sfruttano, spesso in modo improprio, tale nostro “marchio di qualità”.

Perché, volenti o nolenti, il qualificativo “fichi di San Fili” continua ad essere un “marchio di qualità” malgrado di fichi di San Fili (paddruni ecc.) è da decenni che non se ne vedono più in circolazione.

Un esempio?

*     *     *

Cercando su internet notizie sui “fichi di San Fili” oltre alla chicca su Ettore Giorno e sulla partecipazione dei (mi si consenta) nostri fichi all’Esposizione Internazionale di Bruxelles del 1935 mi sono imbattuto anche in una pagina che reclamizzava una, sicuramente gustosa, accattivante torta di fichi... Sanfilesi.

Cosa dite? ... che si tratta di una semplice omonimia in quanto esistono più San Fili e più Sanfilesi sparsi per il mondo?

Nulla di più sbagliato... o di più giusto che dir si voglia.

Sul sito di un’azienda di un paese dell’Alto Ionio cosentino, infatti, il prodotto incriminato (anche se momentaneamente non disponibile) è tutt’ora reclamizzato tra l’altro con la seguente descrizione: “Dolce di natale tipico di San Fili (CS) realizzato con mandorle, miele e fichi secchi del cosentino.

Un dolce che parla delle tradizioni autunnali e natalizie della provincia di Cosenza in cui si era soliti gustare questa torta di fichi secchi durante le feste natalizie. Ad impreziosire ogni morso, delle mandorle, miele e miscela di aromi che le danno un gusto inconfondibile.

Il prodotto è artigianale, 100% naturale, realizzato secondo tradizione senza l'utilizzo di conservanti”.

Inutile dire che l’unica torta, o dolce tipico, che ricordi tutt’ora la tradizione sanfilese (ovviamente con l’uso dei fichi o di suoi derivati) è la nostra adorata ed insostituibile chjina.

Ma quando si apprezza e si porta avanti, in positivo, il nome del nostro territorio e della nostra Comunità ciò non può che farci piacere.

Quindi grazie anche a questa amorevole azienda dell’Alto Ionio cosentino.

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Fatta questa breve digressione sulla tradizionale torta di fichi sanfilesi (ingredienti: fichi secchi di Calabria 33%; mandorle 28%; miele; zucchero; farina di grano duro; miscela di spezie) di cui quasi certamente neanche i sanfilesi erano ancora a conoscenza, è giusto ritornare al nostro tema portante (almeno per questa parte di articolo) e quindi alla partecipazione dell’azienda di Ettore Giorno da San Fili all’Esposizione Internazionale di Bruxelles del 1935.

Nel citato opuscoletto realizzato dall’Istituto Poligrafico dello Stato in ricordo della partecipazione dell’Italia all’Esposizione Internazionale di Bruxelles del 1935 ad un certo punto, ed esattamente a pagina 99, scopriamo che venne persino assegnata una medaglia d’argento (in virtù proprio del suo materiale apporto) all’azienda ETTORE GIORNO di San Fili (CS). La nostra azienda viene segnalata, con tale prestigiosa onorificenza, nel “GRUPPO VI - Classe 43”... ma non chiedetemi cosa significa. Non sono uno storico, non sono del settore e non intendo diventare né l’uno né dell’altro.

Chi comunque, provetto navigatore della rete, volesse scaricarsi (in formato PDF) l’opuscoletto di cui ho fatto menzione in queste pagine può fare un salto all’indirizzo internet:

https://digit.biblio.polito.it/4253/

Comunque qualcosa, di tale opuscoletto sarà pubblicato prossimamente sul nostro Notiziario Sanfilese.

(continua).

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

C’erano una volta i fichi di San Fili... ed anche l’azienda della famiglia Giorno. (1)



La foto sinistra è stata ripresa dal web.

L’articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di luglio 2020... a firma di Pietro Perri.

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Sui fichi di San Fili e sulla loro raccolta, lavorazione, conservazione e commercializzazione ne ho parlato abbondantemente in una serie dei miei tanti articoli (almeno quattro) sul recupero della memoria popolare apparsi in particolare, nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, sul quindicinale l’occhio (n.d.r.: giornale a diffusione locale voluto e diretto dalla bravissima giornalista Marisa Fallico).

In tale articolo citavo, su suggerimento dell’indimenticato amico Mario Oliva, l’azienda di raccolta e lavorazione (selezione, confezionamento e commercializzazione) di tali prelibatezze locali gestita dalla famiglia Giorno.

Parliamo degli anni Trenta/Quaranta del secolo scorso e quindi di un periodo decisamente anteriore all’azienda gestita (sempre a San Fili e sempre in relazione alla selezione, al confezionamento ed alla commercializzazione degli ancor famosi fichi locali) dalla famiglia Lio (murgheddrini). Con la famiglia Lio infatti ci ritroviamo già negli anni Cinquanta/Sessanta.

Sarebbe quasi da ipotizzare che la famiglia Lio sia subentrata in tutto, su tale attività, e per tutto alla famiglia Giorno. Purtroppo quando ho provato a chiedere in giro a qualche anziano sanfilese se avesse conosciuto tale famiglia e se avesse mai lavorato (qualcuno di loro o qualcuno dei propri anziani familiari) nell’azienda dagli stessi gestita e quindi se fosse a conoscenza di che fine avesse fatto tale famiglia sembra che tutti cadessero dalle nuvole.

Tutti, appunto, tranne che l’amico Mario Oliva (preziosa fonte di tanti miei scritti di cui purtroppo ho dovuto fare prematuramente a meno).

Nel mio articolo pubblicato sul citato quindicinale l’occhio nel mese di settembre del 1999 tra l’altro leggiamo:

*     *     *

«Una storia non tanto breve, dicevo, anche e soprattutto perché pur essendo la famiglia Lio l'ultima famiglia a commercializzare i fichi di San Fili, certamente non fu la prima.

Un'altra famiglia rimasta famosa a San Fili per tale commercio fu la famiglia Giorno, proprietaria all'epoca dello stabile dove attualmente alloggia la locale stazione dei Carabinieri (n.d.r.: all’epoca in cui scrissi l’articolo. In tale stabile infatti oggi è ospitata la biblioteca comunale intitolata al prof. Goffredo Iusi).

Nelle stanze a piano terra del loro stabile, i Giorno avevano i locali adibiti allo stabilimento e per la lavorazione (impacchettamento ecc.) delle varie leccornie che a San Fili venivano prodotte con l'utilizzo dei fichi.

Tale famiglia, per la bontà del prodotto posto sul mercato, fu nominata "fornitrice ufficiale", di fichi lavorati, della reale Casa Savoia. Un'onorificenza questa che dava il diritto all'illustre famiglia sanfilese di riportare tale dicitura sull'etichetta applicata sulla confezione del prodotto stesso».

*     *     *

I fichi di San Fili che pubblicai sul quindicinale l’occhio li raccolsi in un unico documento che poi riproposi nel mio sito web “San Fili by Pietro Perri” prima e poi su questo blog.

Ed è grazie a questa pubblicazione sulla rete che un giorno di tanti anni fa fui contattato da una giornalista, di cui non ricordo il nome, che collaborava con la rivista “Calabria Produttiva”.

Questa giornalista mi chiese se poteva utilizzare (ovviamente citandomi) alcune informazioni riportate nella mia pagina dedicata ai fichi di San Fili e, in particolare, se avessi altre informazioni o notizie documentate in relazione all’azienda della famiglia Giorno ed a quanto riportavo in merito alla stessa nei rapporti con la Casa Savoia e con il diritto riconosciutale di fregiarsi della dicitura, sulle proprie confezioni di fichi lavorati, “Fornitrice ufficiale della Real Casa Savoia”.

Risposi “si” alla prima domanda e “no” alla seconda. Ciò che io scrivo (o trascrivo dalla memoria dei nostri anziani) sono sempre stato convinto che non appartiene a me ma appartiene alla Comunità Sanfilese e quindi al Mondo. Per quanto riguarda il discorso sulla famiglia Giorno invece sono stato costretto a rispondere che navigavo nel buio assoluto.

Tranne ciò che mi rivelò l’indimenticato Mario Oliva nulla sapevo e quindi nulla potevo dire di più. E se non fosse perché reputavo degno di fiducia il caro Mario... ci mancava poco che non iniziassi a pensare che la memoria dello stesso non avesse preso un bruttissimo abbaglio (considerato che nessuno, sembra, a San Fili ricordasse tale azienda e tale famiglia).

Fatto sta che qualche mese dopo uscì in edicola il tanto atteso numero della rivista “Calabria Produttiva” dove, in un articolo dedicato alla coltivazione, raccolta, lavorazione e commercializzazione dei fichi nella nostra regione, veniva citato anche il mio nome e l’azienda della famiglia Giorno di San Fili.

Sul numero 3 del 2003 della rivista “Calabria Produttiva” (di cui a sinistra riporto la copertina) leggiamo:

*     *     *

«La tradizione parla di risultati notevoli, narrando il caso della famiglia Giorno di San Fili, comune dell’entroterra cosentino, che vanta un prestigioso passato nella confezione dei fichi e dei palluni (sic!) in particolare. Come ci segnala il cultore di storia e tradizioni locali, Pietro Perri, pare che la famiglia Giorno, grazie alla raffinatezza dei suoi prodotti, fosse nominata “fornitrice ufficiale” della Real Casa Savoia, onorificenza che dava il diritto a riportare tale dicitura sull’etichetta dei prodotti. Oggi non ci sono casati illustri a conferire imprimatur così prestigiosi ma legislazioni nazionali e comunitarie che, attraverso opportuni provvedimenti, attribuiscono una sorte di certificato di nascita e d’identità ai prodotti tipici di un territorio.»

*     *     *

Chissà, forse quando per la prima volta pubblicai questa notizia non facevo altro che scrivere una pagina di storia della nostra bella Comunità Sanfilese... inventandola di sana pianta.

Forse effettivamente quella famiglia Giorno (che pare nulla avesse a che fare con il caro indimenticato prof. Maurilio) a San Fili non era mai esistita.

Forse... o forse, si?

(continua).

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

I fichi di San Fili.


A sinistra Mario Oliva negli anni Sessanta del XX secolo intento a mettere a posto una...spasera di fichi supr'a nnu cannizzu.

Articolo di Pietro Perri.

*     *     *

Il fico, frutto antico come il mondo antico era ben conosciuto ed apprezzato dai Greci, dagli Asiatici e dagli stessi Ebrei dell'Antico Testamento.

L'origine di San Fili più volte, seppur fantasiosamente (essendoci solo degli indizi e non delle documentazioni comprovabili) l'abbiamo indirizzato verso un'origine greca. Fantasiosamente ma fino ad un certo punto, se si considera che i comuni circostanti sono tutti o quasi d'origine greca, ed alcune "arti" (ceramilari ecc.) praticate dagli avi dei residenti discendono dalla scuola ellenica.

I fichi, un frutto, nelle sue mille ed una varietà, di una squisitezza unica.

Presso gli antichi, inoltre, il lattice del fico era utilizzato per la preparazione dei formaggi e per intenerire la carne. Le foglie di fico, inoltre, sembra che puliscano perfettamente pentole ed utensili diversi... comunque il loro materiale residuo non inquina, così come succede con gli attuali detersivi.

Ricchi di zucchero, proteine, lipidi, fosforo (questo, forse, giustifica l'intelligenza dei sanfilesi dei bei tempi che furono), calcio e oligoelementi, nonché vitamina PP e C associata a vitamina A e B: cosa si può chiedere di più da un semplice frutto?

I Sanfilesi dei bei tempi che furono (periodo ante 1970, visto che con l'avvento di tale anno si chiude, non solo per San Fili, un'epoca) apprezzavano moltissimo questo frutto, tanto da consumarlo e conservarlo in decine di modi diversi, non ultimo i famosi fichi bianchi (ficu jianche) o secchi: "appassulate ara chjanta e siccate aru sule supra nu cannizzu". Vengono (o venivano) a tal punto appiattite per bene e quindi riposte in un boccaccio o in un vasetto.

Ottime, le ficu jianche sanfilesi, da mangiare direttamente.

Bollite, una volta venivano utilizzate per ricavarne uno sciroppo naturale per la tosse.

Vere e proprie leccornie, con l'utilizzo dei fichi secchi, a San Fili erano comunque ottenute tramite la cottura in forno delle stesse: siamo in un periodo in cui, nelle campagne sanfilesi, ogni abitazione rurale (ma a volte anche fabbricati del centro abitato) aveva a sua disposizione un forno a legna costruito a ridosso o all'interno della stessa.

Chi non aveva un forno a disposizione, comunque, non aveva certo da preoccuparsi molto, potendo utilizzare, dietro un giusto corrispettivo, uno dei tre forni pubblici che c'erano nel paese.

Dal forno uscivano le gustose "crucette" (quattro fichi aperte a meta, opportunamente incrociate al cui interno venivano messe delle noci e quindi infornate), le famose "jette" (fichi bianche infilate in una listella di canna, bloccate ai margini della listella con un particolare sistema ricavato da un pezzo della canna stessa e quindi infornate), i famosi "paddruni de ficu" e gli stessi fichi bianchi cotti al forno "ntra na lagna".

E' opportuno sottolineare che per i "paddruni de ficu" e per i fichi cotti al forno (per la serie "na vota un si jiettava nente") si utilizzavano i fichi di scarto del "cannizzu" ossia quelli che, dopo essiccati, presentavano qualche macchia esterna o risultavano rovinati in modo rilevante dagli insetti o dagli uccelli (api e company).

Le crucette venivano conservate per l'inverno in boccacci mentre ficu 'nfurnate e jette venivano riposte dentro casciuni o vancariaddri dove prima si era sistemato un foglio di carta oliata. Tali prodotti, è bene precisarlo, data la loro dolcezza era necessario mangiarli col pane.

A cuocere dentro il forno a legna troviamo anche le famose "ficu scantate". ossia il vero e proprio scarto dei fichi bianchi ovvero dei cannizzi. Si tratta dei fichi piccoli e quindi non lavorabili diversamente. Tali fichi venivano lasciate "a riposare" nel forno (quello stesso forno appena utilizzato per le ficu 'nfurnate) per l'intera nottata.

Le ficu 'nfurnate nel forno, a cuocere, c'erano state invece all'incirca quattro ore.

E poi diciamocelo pure: mangiare un bel fico appena colto dalla pianta, non dispiace nemmeno. Attenzione però se salite sulla pianta per raccogliere i fichi: copritevi bene le braccia... il suo latte, altamente irritante, non perdona.

Malgrado, e a dispetto della fama che si era creato intorno al proprio nome, San Fili non ha mai garantito una produzione ottimale di fichi, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Eppure persino una delle contrade del nostro paese, quasi certamente in onore a questo imparagonabile frutto, arriva a prendere il nome di "Prufico".

I fichi direttamente prodotti nelle zone più o meno umide (il vento e l'acqua a San Fili grazie a Dio non ci è mai mancati... almeno finora!), infatti, sono buoni più che altro per ricavarne miele, ficu 'nfurnate e similari: tutto, cioè, tranne che fichi secchi o bianchi.

Le piante di fico pur essendo, tramite le radici, veri e propri vampiri insaziabili d'acqua, poco gradiscono sul loro frutto l'acqua piovana. Bastano poche gocce, quando il frutto è quasi giunto a maturazione, per ottenere delle pessime "ficu trisingate" (aperte a fiore) ovvero a "vucca spalancata".

C'è comunque da sottolineare che nel momento in cui noi parliamo di territorio di San Fili (o dei sanfilesi), anche se i confini politici non ci sono del tutto favorevoli, non possiamo, né potevamo in altri tempi, non considerare nello stesso alcune località (appartenenti a comuni limitrofi al nostro) quali contrada Cucchiano e parte del territorio di San Vincenzo la Costa (zona "du Palazzieddru", dei "Gralati" e via dicendo). Contrade queste in cui diversi nostri concittadini da secoli hanno avuto proprietà terriere,

Buona parte del territorio di San Vincenzo la costa (incluso le succitate), di fatto, sono impareggiabili per questo e tanti altri tipi di piantagione (ulivi ecc.); ed è proprio da tali zone che ci veniva garantita buona parte dei fichi che noi sanfilesi (grazie più che altro alle fortunate vie di comunicazione che attraversavano il nostro comune) lavoravamo e quindi commercializzavamo in modo encomiabile.

Quanti bei nomi di questo stupendo albero vanno via via perdendosi nella memoria dei nostri anziani: ficu truiana, paravisu (ottima da mangiare appena colta ma utilizzata anche per alimentare maiali e galline), culumbru, vajaneddra, viscuvile e paulineddra. Ficu nivura, lattarula, cu ra lacrima, senza lacrima e sanguinara. Fichi di primavera (profico o caprifico), d'estate e d'estate inoltrata.

Un bene inestimabile, quello della memoria storica (spesso semplicemente dal punto di vista popolare), che se non facciamo qualcosa per recuperarlo al più presto, della irreparabile perdita dovremmo farcene una colpa per l'intero resto della nostra esistenza. Alla memoria storica dei nostri anziani, tra l'altro, è legata la sopravvivenza della nostra stessa comunità in quanto, come mi piace sempre più sottolineare, non può esistere una comunità o un popolo che dir si voglia se allo stesso non gli si dà una valida ragione per esistere e tale ragione non può che essere la propria memoria storica.

Un'altra delle squisitezze che riuscivano a ricavare (usanza che non si è del tutto persa) le mani d'oro dei sanfilesi dai fichi era il "miele" o, come lo chiamano forse più giustamente i polentoni, il "vino cotto di fichi".

Il miele di fichi è alla base della tradizione dolciaria sanfilese, con esso (amalgamandolo con la neve) si ottiene un gustosissimo gelato naturale chiamato "scirubetta". Il miele di fichi lo troviamo a carnevale nella "chjina", a Natale ci imbeviamo i "turdiddri" (alcuni amano inzupparci persino i "cuddruriaddri" ancora caldi) e in prossimità di San Giuseppe lo ritroviamo nei "mustazzuali" (farina impastata col miele e quindi messa a cuocere in forno, di quest'ultimo dolce comunque a San Fili si è un po' persa la memoria).

Per fare il miele di fichi si utilizzano fichi bianchi e neri possibilmente in pari misura (ne bastano quattro o cinque chili dell'uno e dell'altro tipo), ben maturi e dolci. Possibilmente non aperti a fiore (a vucca spalancata), ovvero non raccolti dopo una giornata di pioggia.

I fichi vanno tagliati a metà e quindi messi, coperti d'acqua, a bollire in un pentolone (na quadara) per circa cinque o sei ore a fuoco lento e rimestando quasi ininterrottamente.

Giunti a questo punto bisogna colare il tutto in un secondo pentolone filtrando la parte liquida con l'aiuto di una tela di garza (una volta si usava, per quest'operazione, mettere il magico intruglio in un sacco di tela di lino), così facendo si separa la parte liquida dai semi e dalle bucce.

Si rimette il tutto sul fuoco, si fa asciugare un paio d'orette ed ecco ottenuto il tanto desiderato "mele 'e ficu".

Per la serie "tutto si produceva e nulla si gettava" nella laboriosa cittadina di San Fili ai bei tempi che furono, c'è da dire che il residuo della lavorazione del miele di fichi (semi e bucce) finiva in pasto ai maiali ed alle galline (quando lo stesso, passato al forno, non finiva nelle bocche dei nostri anziani).

Per quanto riguarda il lino poi, seppure in minima quantità, lo stesso veniva coltivato dai contadini sanfilesi.

Poco utilizzata, e quindi prodotta dalle nostre massaie, era la marmellata di fichi.

Fichi e olive nere erano alla base, negli anni antecedenti il periodo del boom economico italiano, delle colazioni degli scolari (e non solo di loro) sanfilesi.

I fichi bianchi, frutto della pianta di fico denominata "ficottata", necessitavano di non poco lavoro ed attentissima cura: appena colti erano posti ad asciugare al sole su un particolare piano denominato "cannizzu" in quanto ottenuto con un minuzioso intreccio di canne. Su tale "cannizzu" i fichi venivano quasi costantemente girati su se stessi finché non prendevano completamente la loro caratteristica colorazione "bianca".

A parte ciò c'è da rilevare che i "cannizzi" con sopra i fichi erano lasciati all'aperto anche di notte, stando in ogni modo attenti che non venisse a piovere in quanto la pioggia avrebbe danneggiato l'intero prodotto. Al primo sentore di ciò il bracciante (coltivatore o colono che fosse) doveva scattare giù dal letto e mettere a riparo il prodotto.

Resta, a conclusione di questa breve ricerca sulla storia popolare del nostro paese, da fare un breve ma doveroso cenno sull'industria della lavorazione dei fichi a San Fili: quello stupendo, per niente breve, periodo che ha reso tanto famosi i nostri (?) fichi.

Gestita fino alla fine degli anni sessanta dalla famiglia Lio, ancora oggi l'industria della lavorazione dei fichi di San Fili è ricordata con sommo piacere. Lo stabilimento si trovava sotto lo stesso Palazzo Lio (quel fabbricato che costeggia la "Rampa". In tale stabilimento, dove per conto della ditta "La Vittoria" di Cosenza, i fichi bianchi, pervenuti dalle campagne circostanti il territorio sanfilese, venivano scelti, appiattiti e messi in cestini (formette di legno rivestite all'interno da carta oleata), ulteriormente pressati, in quantità di circa mezzo chilo.

Alle dipendenze dei Lio lavoravano, limitatamente al periodo interessato dal commercio dei fichi bianchi, all'incirca una quarantina di persone. Molte di queste erano donne e tantissime erano signorine impegnate più che altro a... farsi il corredo.

C'erano anche delle persone che giravano per le campagne circostanti il nostro paese all'incetta di fichi bianchi per conto degli stabilimenti di trasformazione di San Fili. A Cucchiano (anni '50, anni '60) c'era, a raccogliere i fichi bianchi nei vari poderi, per conto della ditta "La Vittoria", ad esempio, un certo Pietru 'e Santu.

Una storia non tanto breve, dicevo, anche e soprattutto perché pur essendo la famiglia Lio l'ultima famiglia a commercializzare i fichi di San Fili, certamente non fu la prima.

Un'altra famiglia rimasta famosa a San Fili per tale commercio fu la famiglia Giorno, proprietaria all'epoca dello stabile dove attualmente alloggia la locale stazione dei Carabinieri.

Nelle stanze a piano terra del loro stabile, i Giorno avevano i locali adibiti allo stabilimento e per la lavorazione (impacchettamento ecc.) delle varie leccornie che a San Fili venivano prodotte con l'utilizzo dei fichi.

Tale famiglia, per la bontà del prodotto posto sul mercato, fu nominata "fornitrice ufficiale", di fichi lavorati, della reale Casa Savoia. Un'onorificenza questa che dava il diritto all'illustre famiglia sanfilese di riportare tale dicitura sull'etichetta applicata sulla confezione del prodotto stesso.

Da sottolineare che i cestini in cui venivano riposte le varie delizie del palato, venivano prodotti "in loco" con verghe di castagno intrecciate dalle mani d'oro dei nostri antenati.

Purtroppo, se fino a qualche tempo fa in un negozio di Corso Mazzini a Cosenza potevo notare, ridendoci sopra (consapevole che al nostro paese tale "tradizione secolare" era completamente scomparsa da circa un ventennio), su alcune confezioni di fichi lavorati una strana e dubbia etichetta riportante la scritta "fichi di San Fili" non posso fare a meno di dirti, caro amico lettore, come mi sia venuto un groppo in gola qualche mese addietro, facendo una gita nei pressi di Scalea... notai, in un bar, delle etichette, su confezioni di fichi conservati, che ricordavano con una certa violenza d'immagine il passato glorioso della nostra cittadina.

Su tali confezioni di fichi, infatti, non compariva più il nome di San Fili ma quelli di Scalea e zone limitrofe: un vero schiaffo non solo alla memoria storica di San Fili ma anche alla nostra "incapacità" di creare nuove e reali forme d'occupazione. Quello che la gente San Fili, amministratori in prima linea seguiti a ruota libera dai benpensanti locali, si sforza di dimenticare (forse considerando il tutto un passato tragicamente inglorioso) per altre comunità calabresi sta diventando la soluzione naturale ad uno dei peggiori drammi dei nostri anni: la disoccupazione.

Era giusto concludere questa breve carrellata su "i fichi di San Fili" dando il meritato spazio ad una leccornia ottenuta con la lavorazione degli stessi: i famosi "paddruni 'e ficu".

Ottenuti facendo asciugare nel forno fichi, precedentemente infornati, racchiusi in foglie della stessa pianta a mo' di pallone... i "paddruni 'e ficu" vengono tutt'oggi ricordati, assieme ai locali capiccuaddri, vinu uagliu buanu e sazizze, oltre che per la loro bontà, anche e soprattutto per il fatto che quando si doveva "jire a trovare 'ncunu" si sapeva che erano sempre e comunque bene accetti.

Parliamo giustamente d'altri tempi, così come d'altri tempi parla l'amico Gigino Aloe nella sua poesia "palloni de ficu", poesia di seguito riportata:


Ogni paisi tena pe tradizione

i cunserva' i prodotti di stagione.


Chini fa l'uva chini fa i pircochi

San Fili da millanni fa ri ficu.


I sicca a ru suli cu i cannizzi

e pue li mburna pe li da bellizza.


I fa a crucette cu i nuci i l'annu prima

pue li cunfeziona e i manda intr'i cestini.


Si ficu fannu u giru i tuttu u munnu

e l'annu dopu i circanu i rivonnuu.


Quannu a San Fili vena n'emigratu

sinn'inchia i valigie c'ha purtatu.


Quannu finita a festa si ricoglia

iddru s'ammuccia e i caccia pe na voglia.


Fatti a palluni ntri foglie ammucciati

hannu sarvatu studenti e malati.


Pe putiri raggiungia nu traguardu

quannu li mandi aumenta lu riguardu.


Un c'è chirurgu c'un l'ha ricevuti

pe sarvare nu poveru malatu.


Cumu rigalu custa pocu o nenti

però è assai graditu di la genti.


Quannu ti fa nimicu u capufficiu

quattru paddruni i ficu e ci fa paci!


Erano questi i tempi del libro "Cuore" del De Amicis, oggi se non sganci la "mazzetta", non solo il chirurgo non t'opera... rischi persino di non entrare in ospedale (qualcosa comunque dicono stia iniziando a cambiare, speriamo non in peggio!). La "mazzetta" serve per il posto di lavoro e il capufficio (spesso figlio di poveri arricchiti, razza tanto odiata da Bertoldo, dimentichi delle proprie origini) non s'addolcisce certo con quattro "paddruni 'e ficu"... non gliene basta na camionata! ... ma forse alcuni personaggi della nostra epoca gradirebbero di più una balla di fieno, bestie quali sono!