Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre
2021... a firma di Pietro Perri.
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La luce elettrica a San Fili. (5)
(di Pietro Perri)
(continua dal mese di agosto 2021)
«Chi aveva reso
possibile tutto ciò, in particolare Giuseppe ed Alfredo (padre e figlio)
Cannataro, lo meritava. Dopotutto San Fili fu uno dei primi comuni (se non il
primo) della provincia di Cosenza ad apprezzare i piaceri della luce
elettrica... sicuramente prima della città dei Bruzi».
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Un prezioso contributo
alla storia della luce elettrica a San Fili lo dette sul quindicinale l’occhio,
nell’uscita del mese di marzo del 1996, l’insegnante Franca Napolitano, vedova
del compianto professor Francesco Gambaro, con un suo articolo dal titolo “La
centrale idroelettrica: ieri ed oggi”.
Articolo che ripropongo
di seguito:
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La centrale idroelettrica: ieri ed oggi.
(articolo apparso sul
quindicinale l’occhio di domenica 11 febbraio 1996 a firma di Franca Napolitano)
Nel gennaio 1925 fu data
l'illuminazione elettrica in Piazza San Giovanni, a San Fili.
E' quanto si legge in
una relazione dettagliata e appassionante dell'ing. Alfredo Cannataro, che fu
l'ideatore e l'artefice della centrale idroelettrica.
Non era la prima volta
che i Sanfilesi assistevano a tale "prodigio". La prima illuminazione
con lampadine a carbone fu inaugurata già nel 1904.
I bambini, di sera,
accoglievano l'accensione della luce elettrica con grida e battimani
appollaiati su una catasta di travi. Grosse corde di rame portavano la corrente
in tutte le vie del paese.
L'ingegnoso Giuseppe
Cannataro, padre dell'ing. Alfredo, aveva ideato e realizzato "la magia"
utilizzando l'acqua dell'Emoli dopo aver costruito una turbina artigianale a
corrente continua (senza alternatore).
Dalla suddetta relazione
apprendiamo che la prima idea dell'impianto sorse tra la fine di giugno ed il
luglio 1923 e di primo acchito si pensò di impiantare la Centrale nel mulino di
Palazia, derivando in prossimità dello scarico di Francesco Luchetta (Filuzzo),
facendo percorrere al canale un nuovo tracciato. Fu studiato e redatto il
progetto.
Verso la fine di
settembre del 1923 si fecero gli approcci verso i proprietari per la cessione
del suolo. Nei primi giorni di ottobre iniziarono gli scavi per il canale di
scarico in proprietà di Andrea Astone e subito dopo quelli di riattamento del
vecchio fabbricato.
Occorreva dare l'energia
a costo di qualunque sacrificio per ottenere soddisfazione morale e continuare,
rafforzato, il lavoro di Giuseppe Cannataro per la precedente Centrale.
La prima spesa
preventiva fu di centomila lire per poter dare la luce in paese anche con un
impianto non completo. I primi lavori vennero eseguiti da pochi operai e
durarono per tutta la primavera e parte dell'estate del 1924.
Nel luglio furono
montate le macchine della Centrale: turbina, regolatore automatico, alternatore
e condotta forzata; lavoro al quale partecipò materialmente lo stesso ingegnere
per risparmiare sui costi.
Tra vicissitudini e
mille difficoltà anche economiche i lavori continuarono per tutto il 1924.In
dicembre fu stesa la linea dalla Centrale a piazza San Giovanni e nel mese di
gennaio del 1925 fu data l'illuminazione in piazza.
Ci pare interessante
citare qualche dato tecnico.
La portata dell'Emoli,
all'epoca, oscillava fra i circa 500 litri al secondo in inverno ed i circa 180
in estate. Il canale di derivazione per condurre l'acqua alla turbina, lungo in
tutto 475 metri, progettato per un carico medio di 150 litri al secondo fu
realizzato incassando in terra un rivestimento in muratura. Il salto finale era
di 33 metri e consentiva di ricavare una potenza nominale di 66 Hp da impiegare
per energia elettrica.
La bolletta per una
lampadina da 10 candele per un mese costava 4 lire e 12 centesimi. La centrale
fu condotta per alcuni anni a gestione familiare dai nonni dell'ingegnere
Aniceto Costa e Francesca Cannataro, dalla madre Rosina e dalle sorelle Delia
ed Irma.
Il padre Giuseppe,
emigrato in America, collaborava inviando fondi sempre necessari.
D'altronde si deve
comprendere come, a quei tempi, il pagamento delle bollette era un fatto
piuttosto improvvisato che spesso avveniva in natura con prodotti
dell'agricoltura locale.
In seguito la Centrale
fu rilevata dalla Società Elettrica delle Calabrie che la ricostruì poco più a
valle.
Nel 1988,
dall'Amministrazione Comunale in carica, fu presentato un progetto per la
riattivazione della centralina idroelettrica sul torrente Emoli, elaborato
dall'Ing. Celentani e dall'Ing. Nasta. Dalla loro presentazione si evince come
lo sfruttamento dell'energia idroelettrica abbia enormi potenzialità, anche
nelle sue forme cosiddette minori, come sarebbe nel caso di San Fili.
D'altronde è noto come
l'Italia, grazie ad una favorevole morfologia del territorio, sia particolarmente
adatta a questa fonte di energia pulita, ecologica, non inquinante. Chissà che
un giorno anche questo progetto non si trasformi in realtà, continuando una
tradizione antica per San Fili quanto l'elettricità.
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Il surriportato articolo
a firma di Franca Napolitano è in ogni caso consultabile anche nel sito web che
Giovanni, il figlio della signora Franca e del compianto Francesco Gambaro, ha
dedicato al nostro borgo. Tale sito si trova all’indirizzo internet
http://web.tiscali.it/sanfili/
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In questa puntata
dell’articolo fiume dedicato alla “Luce elettrica a San Fili” ho citato più
volte il quindicinale l’occhio. Questo periodico, voluto e diretto dalla
bravissima giornalista Marisa Fallico, ha contribuito tantissimo al recupero
della memoria storica del nostro borgo.
Anche di tale stupenda
avventura, perché ciò è stata, prima o poi dovrò parlarne.
(continua)
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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato
Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis
pacem para bellum”!
Nota alla foto allegata a questo post: San Fili, 1946. Romano, Franco e Mirella Zuccarelli con la madre Francesca Lio davanti all’alloggio riservato, all’epoca, ai guardiani della centrale idroelettrica di San Fili. L’alloggio era ricavato all’interno di un mulino ad acqua al di sotto della villetta degli emigranti (curciu de Catalanu - Chjan’u mulinu).
La foto era allegata all’articolo di Franca Napolitano pubblicato sul quindicinale l’occhio di domenica 11 febbraio 1996.