SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: marzo 2023

A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

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Ricordo ad ogni buon file l'indirizzo di posta elettronica legata a questo sito/blog: pietroperri@sanfili.net

giovedì 23 marzo 2023

'a 'mpigliolata. (6/6)



Nella foto a sinistra:mpigliolata santufilise realizzata dall’amico e compaesano (perché chi ama San Fili e le sue tradizioni per me non può che essere un amico e compaesano) Achille Blasi. La ‘mpigliolata santufilise propostaci da Achille Blasi in una leggera variazione sul tema non è da sottovalutare. Purtroppo i tempi moderni non ci permettono e le tecniche a disposizione non ci permettono più di ricreare determinati sapori e odori. Sapori ed odori che erano ancora la normalità nella San Fili degli anni Settanta del secolo scorso.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di novembre del 2021... by Pietro Perri.

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Spero, con questo spazio dedicato alla ‘mpigliolata santufilise, di aver salvato un altro pezzettino della memoria storica della nostra Comunità e spero, con lo stesso, di non avervi annoiato eccessivamente.

Ma questo bollettino mensile (il nostro Notiziario Sanfilese) è nato anche e soprattutto con questo intento: mettere nero su bianco briciole della memoria popolare della Comunità Sanfilese nel Mondo.

Perché solo mettendo nero su bianco possiamo salvare parte del nostro patrimonio culturale (tanto purtroppo se n’è perso nel corso dei secoli), anche se pure la nostra Comunità ormai è destinata a dissolversi nel Nuovo Imperante Sistema Globale. E nel Nuovo Imperante Sistema Globale non c’è spazio per le piccole Comunità.

Tra l’altro persino alcuni alimenti finora considerati da Terzo Mondo oggi iniziano a trovare spazio sulle nostre tavole, per necessità dell’aumento della popolazione mondiale o per semplice regola di mercato.

E’ proprio di questi giorni la notizia che l’Unione Europea sta sdoganando sulle nostre tavole l’uso delle locuste come semplici croccantini in nuovi accattivanti antipasti o, seccate e macinate, da aggiungere ad altri ingredienti al fine di ottenere gustose e nutrienti farine alimentari alternative.

Il tutto con buona pace degli autori di alcuni passi dell’Antico Testamento (quelli delle famose piaghe d’Egitto in particolare) che, ovviamente, andranno debitamente riscritti.

Altro che farina di mais o di granturco che dir si voglia per preparare la nostra stupenda e profumata ‘mpigliolata santufilise. Un qualcosa che sicuramente i nostri pronipoti neanche sapranno che sia mai esistita... se appunto non la mettiamo nero su bianco.

Almeno, magari per sbaglio, continuerà a sopravvivere nell’immaginario collettivo.

Il Futuro (con la F maiuscola) lo vuole e noi apparteniamo ormai al passato (con la p minuscola).

Purtroppo per la ‘mpigliolata santufilise (quella realizzate dalle coscienziose e magiche mani delle nostre nonne tante delle quali non sono più tra noi) non vedo alcun futuro... malgrado qualche pezzettino della stessa non sfigurerebbe negli antipasti che propongono i ristoranti locali.

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Quando, tempo fa, su una delle mie pagine Facebook ho iniziato a parlare della ‘mpigliolata sanfilise ad arricchire il discorso ha contribuito anche il nostro caro compaesano (chi porta nel cuore San Fili non può che essere un nostro compaesano), da tempo a Milano, Achille Blasi.

Il caro Achille, facendomi capire anche come fosse difficile ottenere odori e sapori della nostra terra nella caotica metropoli milanese, in uno dei suoi messaggi mi propose una variante sbrigativa e moderna della ‘mpigliolata santufilise.

Una variante, questa, che - anche per chiudere questo discorso - ripropongo di seguito:

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‘MPIGLIOLATA – Torta salata      

Liberamente ispirata a “Ricetta Letizia”.

Dovrebbe essere fatta con farina di mais – in mancanza si può usare la classica “Polenta Valsugana”.

Ingredienti

500 g di polenta Valsugana
250 g di patate bollite
12,50 g di lievito di birra
2 litri di acqua
15 mezze acciughe sott’olio
30 olive nere denocciolate e tagliate a pezzetti
prezzemolo abbondante tritato
3 spicchi d’aglio tritati grossolanamente e poi schiacciati
olio di frantoio = quanto basta (ma ne occorre molto)

Con tale impasto se ne ricavano 2 teglie.

Preparazione

Schiacciare le patate bollite e condirle con prezzemolo aglio e olio - versare a pioggia la polenta nell’acqua bollente di una pentola capiente - rigirare e spegnere il fuoco - lasciare diventare tiepida la polenta rigirandola di tanto in tanto - unire le patate condite insieme con le olive e le acciughe mescolando bene - aggiungere il lievito disciolto in un po’ d’acqua - rigirare ancora - distribuire in 2 teglie su carta da forno il composto - lasciare riposare per mezz’ora per innescare la lievitazione - lasciare cuocere in forno ventilato per un’ora e 10 minuti a 180°C - spegnere e lasciare raffreddare in forno - profumi indescrivibili si diffondono per tutta la casa.

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E ricordate, cari sanfilesi, se qualcuno vi chiede qual è il piatto tipico del nostro paese non rispondete con il solito “lagana e ciceri” (al limite più che ciceri specificate cicerchie... ci farete sicuramente miglior figura).

San Fili può vantare, senza timore di sfigurare difronte a cucine locali blasonate, una cucina povera ma... ricca e saporita. Ed un esempio ne è proprio la nostra ‘mpigliolata santufilise.

Negare ciò è rinnegare il nostro passato e rinnegare il proprio passato è la cosa peggiore che può fare un essere umano e/o la comunità cui appartiene.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

mercoledì 22 marzo 2023

'a 'mpigliolata. (5/6)



Nella foto a sinistra:mpigliolata santufilise realizzata Toronto in Canada da mia cugina Rita Cundari-Maio. E’ triste doverlo ammettere ma ormai le tradizioni sanfilesi sono più vive all’estero che tra i sopravvissuti residenti nel borgo che a tanti di noi ha dato i natali e che ci ha piacevolmente cullati nel corso delle decine d’anni che ci ritroviamo ormai sulle/alle spalle.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese dei nel mese di settembre del 2021... by Pietro Perri.

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A questo punto non mi resta che riportare la ricetta seguita da mia madre (Teresina Letizia Rende, passata a miglior vita nel mese di settembre del 2019), e confrontarla magari con una ricetta moderna e veloce segnalatami tempo fa da un caro compaesano: Achille Blasi.

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A proposito, se ancora non l’avete capito (mi riferisco ovviamente ai miei cari e fedeli lettori) molti dei miei scritti altro non sono che trascrizioni dei ricordi che mi ha preziosamente trasmesso mia madre nel corso della sua lunga e preziosa esistenza. E comunque io, più che “onestamente”, non mi sono mai definito né mai sentito uno scrittore o un giornalista o un filosofo come in tanti, forse scherzosamente, mi hanno definito. Ciò che mi sono sempre sentito è quello di essere un trascrittore: un trascrittore di memoria popolare. E magari anche un pochino “sedicente storico” (come tanti miei detrattori mi hanno argutamente catalogato. Detto da alcuni di tali miei critici comunque l’ho ritenuto un complimento).

Dopotutto chi sono io se non un povero ignorante prestato alla cultura?

Inutile dire che oltre a mia madre sono tanti gli anziani del paese che nel corso dei decenni passati hanno contribuito ad arricchire le mie “trascrizioni”. Non ultimi, e sicuramente non unici, tra questi ricordo gli indimenticabili Mario Oliva, Michele Leo, Cesare Gentile o il sempreverde Marcello Speziale.

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Erano ormai decenni che avevo deciso di trascrivere la ricetta seguita da mia madre nel preparare la sua gustosissima, tradizionale ed unica ‘mpigliolata santufilise. Una ricetta nata dall’esperienza tipica della gente che nasce, cresce e che passa gran parte della propria vita nelle campagne.

Che c’entra, mi chiederete, la bontà della ‘mpigliolata santufilise con la vita agreste?

Semplice: nelle campagne, specie quando non si è neanche proprietari del suolo coltivato, per poter godere di un semplice passeggero attimo di gioia familiare, si deve cercare di sfruttare (e quindi far fruttare) al massimo... quel che la vita ci offre.

Nasce così, con l’utilizzo di pochi impagabili ingredienti, la ‘mpigliolata santufilise: un piatto ricco per gente povera. E ad arricchirlo, di quel tipico profumo e di quei tipici sapori, sono proprio degli ingredienti e degli elementi se non di scarto quantomeno marginali e/o di nicchia quali la salimora o gli scarrafuogli (ciccioli del maiale, le foglie scelte ed opportunamente seccate di castagno e l’uso del forno al legno (sostituito negli ultimi anni dal forno elettrico. Il progresso alla fine registra la vittoria almeno in una delle sue eterne battaglie verso l’annullamento delle diversità).

La ricetta della ’mpigliolata santufilise seguita da mia madre purtroppo stava per andare persa per sempre.

Purtroppo mia madre, come gran parte delle nostre anziane compaesane, per iscritto mettevano poco o niente. Spesso mettevano per iscritto il testo di un foraffascinu o di una preghiera ma quasi mai la ricetta di uno dei loro impareggiabili manicaretti.  Le ricette le avevano imparate a memoria da piccole ed a loro ciò bastava. La loro invidiabile memoria bastava  anche per tramandarle, tali ricette, alle proprie figlie o alle proprie nuore.

E per le quantità dei vari ingredienti? ... sarebbe bastata l’esperienza: così come fu per loro così come avrebbe dovuto essere per chi le avrebbe sostituite nella gestione della casa.

Atroce illusione.

Fortunatamente qualche anno prima che mia madre passasse a miglior vita una cara cugina di Toronto (in Canada), Rita Cundari sposata Maio, mi chiese, tramite Facebook, se gentilmente potevo chiedere a donna Letizia di dirmi appunto la ricetta, procedimento incluso, della sua mitica ‘mpigliolata santufilise.

Rita in quel periodo aveva avuto in regalo un paio di boccacci di salimora (o scarrafuogli o ciccioli che dir si voglia) e voleva degnamente onorarli.

Mia madre, sempre disposta a dare un aiuto e/o un consiglio a chi glielo chiedeva, non se lo fece chiedere due volte e con qualche “ad uocchiu” o “a pianzica” o “quantu sinne chiama” o “nu punu” o “na ‘nticchia” o... comunque riuscimmo a mettere tale ricetta nero su bianco.

Riporto di seguito quanto sono riuscito a carpire a mia madre in merito alla sua ricetta sulla ‘mpigliolanta santufilise e faccio ciò limitandomi ad un copia incolla dei messaggi trasmessi a mia cugina Rita tramite Facebook a seguito della sua fortunata richiesta:

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Per un chilo di farina di miglio (n.d.r.: farina di mais macinata possibilmente a pietra) mia madre consiglia un dado di lievito di birra da venticinque grammi, un pizzico di sale ed acqua quanta ne richiede l'impasto (non chiedermi però l'esatta quantità).

Impastato il tutto bisogna metterlo a lievitare vicino ad una fonte di calore ed ovviamente coperto (all'incirca per un'ora).

Una volta che è lievitato il tutto bisogna mettere nell'impasto la salimora (più o meno mezzo chilo per ogni chilo di farina (...). Impastare di nuovo il tutto ed infornare.

Il forno deve essere a 180 gradi ed il tutto dovrebbe cuocere più o meno per mezzora.

Si può aggiungere nell'impasto (assieme alla salimora) anche qualche oliva schiacciata (...).

C'è ovviamente la variante senza salimora ovvero con impasto di patate bollite o con l’aggiunta di filetti di acciughe.

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Cosa rende particolare la ricetta seguita da mia madre?

A parte le mani d’oro di mia madre (le nostre madri - per chi come me è ormai un po’ datato - o le nostre nonne avevano  comunque delle mani d’oro che sapevano trasmettere ai loro intrugli gastronomici un particolare segreto alchemico: l’amore per i propri cari) va detto che la stessa nella sua mpigliolata santufilise non combinava più farine (tipo la farina di mais e la farina bianca di frumento) ed inoltre nella teglia (anticamente na lagna) prima di versare l’impasto vi adagiava delle foglie secche e selezionate una per una di castagno. Tali foglie impedivano che l’impasto attaccasse alla teglia e di fatto sostituivano la micidiale (per gli alberi e per l’ambiente... visto la difficoltà a “differenziarla” e quindi a riciclarla) attuale carta da forno.

Oltretutto le foglie di castagno, davano alla ‘mpigliolata santufilise realizzata da mia madre un particolare profumo e sapore. Un profumo e sapore... santufilise.

L’impasto, inutile dirlo, prima di adagiarlo nella teglia non doveva presentarsi particolarmente secco prima in quanto lo stesso si doveva adagiare in modo a dir poco naturale nella teglia stessa. Così com’è inutile dire che un quid in più lo dava al tutto anche l’utilizzo del forno a legna.

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Sono sicuro che in tanti potrebbero dimostrarsi scettici nei confronti della ricetta di donna Letizia (all’anagrafe Teresina, Letizia) e sicuramente io non sarò mai in grado di dimostrare quanto gli stessi si sbaglino (dopotutto a San Fili in tanti, per quanto riguarda la ricetta della ‘mpigliolata santufilise, hanno una propria variante di famiglia).

Per quel che mi riguarda... non vi invidio!

(continua).

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

lunedì 20 marzo 2023

'a 'mpigliolata. (4/6)



Nella foto a sinistra: Pietro Perri intento a “girare” con un grosso mestolo di legno il contenuto della “quadara” (grosso pentolone in cui si cuociono pe parti grasse del maiale non utilizzate nella realizzazione degli insaccati (salsicce, soppressate e via dicendo) oltre che alle ossa cui volutamente si lascia attaccata un po’ di carne (dando vita alle “frittule calabresi”). La “quadara” si può intendere come la lavorazione degli scarti della “spazzunatura” del maiale. E tra i prodotti finali di questa lavorazione troviamo anche la “salimora” (altrimenti detta “scarafuogli” o cicoli).

Nella foto, scattata nei primissimi anni di questo millennio, compare, sulla destra, anche una dubbiosa Teresina Letizia Rende madre di Pietro Perri.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese dei mesi di luglio ed agosto del 2021... by Pietro Perri.

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Su internet, dicevamo, possiamo trovare anche qualcosa che si possa spacciare, ma ne siamo decisamente lontani anni luce, per ‘mpigliolata in generale e ‘mpigliolata santufilise in particolare.

Qualcosa che si possa spacciare per ‘mpigliolata (intesa, in questo caso, come pizza di farina di mais) ad esempio è la cosiddetta pizza gialla che ci propone il sito “Giallo Zafferano”.

Il sito internet di “Giallo Zafferano” è un sito dedicato alla cucina che spesso e volentieri visito anche io quando voglio eccellere dilettandomi ai fornelli. Onestamente me la cavicchio... in particolare nei primi piatti ed in qualche più o meno elaborato secondo. Ciò che invece non mi riesce in cucina è di riordinare il tutto e di lavare pentole, piatti e posate. Questi nobili e delicatissimi compiti li ho delegati a mia moglie e ad una lavastoviglie.

Purtroppo nessuno è perfetto... o quasi nessuno.

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Scherzi a parte diamo un’occhiata alla versione della ‘mpigliolata (pizza di mais) propostaci dal sito di “Giallo Zafferano”.

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Di seguito gli ingredienti (sufficienti per una infornata da destinare a 4 persone se il tutto è proposto come piatto unico):

1) 600 grammi di farina di mais fioretto;

2) 250 grammi di farina 0;

3) 1500 millilitri di acqua (circa, bollente);

4) mezza bustina di lievito istantaneo per preparazioni salate;

5) 4 cucchiai di olio di oliva;

6) 4 cucchiaini di sale (circa 20 grammi).

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Preparazione della pizza di granturco al forno (secondo la ricetta di GialloZafferano)

Setacciate le due farine e il lievito in una ciotola capiente. Unite anche un po’ di sale.

Intanto fate bollire dell’acqua in una pentola (nel dubbio un paio di litri di acqua, ma dovrebbe bastarne circa un litro e mezzo).

Con un mestolo iniziate ad unire l’acqua bollente alle farine, mescolando di continuo: fate attenzione a non scottarvi!!! – magari fatevi aiutare da qualcuno!

Unite ora 4 cucchiai di olio di oliva e continuate ad unire acqua fin quando non avrete un composto omogeneo e abbastanza morbido.

Stendete il composto ancora molto caldo in una teglia da forno foderata con carta forno unta con un filo di olio, considerando uno spessore di circa 1,5/2 cm: infatti poi la pizza di granturco va tagliata e farcita all’interno, in modo che i formaggi si sciolgano!

Potete aiutarvi a livellare il composto con carta da forno e un mattarello o direttamente con le dita: in questo modo rimane più “rustica”, aiutandovi con un cucchiaio di olio di oliva per evitare che l’impasto si attacchi alle mani.

Cottura

Infornate a 200°C forno statico per almeno 40 minuti, poi ventilato per asciugare e fin quando in superficie non compare una crosticina più scura.

Togliete dal forno, lasciate leggermente raffreddare, giusto per non scottarvi e tagliate a quadratoni!

Servite caldi caldi, insieme ad affettati, verdure e formaggi!!!

Variante

Potete anche provare a farla più sottile, stendendola su due teglie; in questo modo cuocerà prima e rimarrà più croccante. Non potrete farcirla all’interno ma mettere la farcitura sopra, proprio come una pizza.

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Chi ha proposto tale ricetta sul sito di “GialloZafferano” ha comunque tenuto a sottolineare che alcune ricette (magari regionali e magari l’autore si era precedentemente imbattuto nella ‘mpigliolata santufilise doc) prevedono l’utilizzo di sola farina di mais.

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Ho provato a scrivere, nell’apposito campo del motore di ricerca di Google, il termine ‘mpigliolata pretendendo da Google che utilizzasse esclusivamente tale termine e non termini similari.

Al di là dei riferimenti/collegamenti al mio blog (sanfilibypietroperri.blogspot.com) come risultato di tale ricerca sono apparsi un collegamento al sito che l’amico e compaesano Giovanni Gambaro ha dedicato anni addietro al nostro borgo (rintracciabile all’indirizzo web.tiscali.it/sanfili) ed un collegamento ad una pubblicazione a firma di Domenico Canino dedicata al vicino paese di Mendicino. In tale pubblicazione ritroviamo una variante della ricetta della ‘mpigliolata ed anche una variante della chjina.

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Nelle pagine internet che il nostro compaesano Giovanni Gambaro ha dedicato al nostro borgo, nella sezione relativa alla gastronomia (piatti e dolci tipici di San Fili), troviamo tra l’altro la sua versione della “Mpigliulata ccu alici o ccu scarafuogli” (ovvero “Mpigliolata con alici o con ciccioli di maiale”).

Ricetta che riporto di seguito:

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In una terrina ben capiente mettere la farina mista (1/3 gialla e 2/3 bianca) fino a riempirla quasi a metà.

Aggiungere 2 cubetti di lievito, un bel pizzico di sale e acqua ben calda (1/2 litro, o 3/4) fino ad ottenere un impasto molto morbido.

Coprire con panni caldi e lasciare lievitare.

Incorporare le alici ben pulite e diliscate, aggiungere un pizzico di pepe rosso e olio di oliva (1/4 abbondante).

Alternativamente si possono aggiungere salimora o scarafuogli (ciccioli di maiale) e in tal caso al posto dell'olio di oliva si userà grasso di maiale. Stendere nelle teglie sottili da pizza unte d’olio e irrorare ancora altro olio sopra la pasta. Far riposare ancora un po’ e infornare in forno ben caldo in posizione ‘solo sotto’.

Dopo 10 minuti passare a 200 gradi fino a che sarà dorata.

(continua).

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

 

domenica 19 marzo 2023

Il Signore mi Chiama - Versi di Oscar Bruno da San Fili.



Immagine a sinistra: Raffaello, Resurrezione, 1501-1502, olio su tela, 52 x 44 cm. San Paolo, Brasile, MASP Museu De Arte De São Paulo.

Foto ripresa dal web.

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Anche in occasione di questa Santa Pasqua ospito sul mio blog una realizzazione in versi del nostro compaesano Oscar Bruno dedicata dallo stesso alla resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. L’augurio di una Buona e Santa Pasqua ovviamente è dedicato non solo ai Sanfilesi nel Mondo ma a tutti gli ospiti (esseri viventi) del nostro sempre più martoriato pianeta.

Personalmente non credo nella resurrezione e quindi nella natura divina di Gesù figlio di Giuseppe e di Maria ma non posso non condividerne il grande messaggio, come uomo, che lo stesso ha lasciato all’intero genere umano. Un messaggio che malgrado tutto e malgrado i duemila vergognosi anni di storia che ci siamo lasciati alle spalle da quando ci è stato consegnato quel messaggio... ancora non riusciamo a capirlo ed a farlo nostro,
Auguri anticipatamente a tutti per una Buona e Santa Pasqua (speriamo di vera “rigenerazione” questa volta) a tutti... anche da parte mia.

Vi lascio ai versi dell’amico e compaesano Oscar Bruno:

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IL SIGNORE MI CHIAMA

(Oscar Bruno 2023)

Da che si fu di tal clemenza

Ch'il Padre fe' di Cristo una missione,

Per far del mondo una unione

Di fede, e d'altro, ch'il mondo non ha.

 

Fino a che la missione fu compiuta

Disse ai suoi: io vado al Padre,

Lascio voi e pur la Madre

Altro farete quel che vi dirò.

 

Un pane, una coppa di mie essenze

Farete per i secoli il dolce rito,

Chi segue questo, avrà il dolce invito

Tutto il Padre mio ne assolverà.

 

Questo vi dico in ultimo convito

Dove attendo la voce che udrete,

Tutto è finito, e tutto ne avrete

Le cose che vi dissi, spartite ne saran.

 

Figli d'Israele, udite ancora

Amatevi I'un I'altro com'io vi amai,

Tutto saprete quando vi parlai

Che I'alto spirito in voi scenderà.

 

Or che vi lascio nella quieta pace,

Ormai il tempo co'amor concesso

Ha fine, a quella voce farò accesso

Ed altro volto, in altro tempo, ne sarò.

 

Come luce e sale in cielo il Cristo

La terra lascia, ed anche il seguace,

Altro ne lascia, che sia tanta pace

Sol questa ne sarà, I'umil verità.

 

Or che una voce dal cielo intona,

"Voi Galilei che attoniti guardar?

Questo che in cielo sale, non po' tornar

Sol d'altra luce, e giudice sarà,

 

Tal sì che avvenne in tal tempo

Del Cristo, Dio figliol, d'umana veste,

D'amore e pace il mondo Io riveste

Sol questa la mission che ne lasciò.

 

Pasqua vuol dir, siamo fratelli,

La mano amica stringi con amore,

E chi non pensa, che forse non ha cuore

I pellegrin sarem, per dir, "pace sarà".

 

BUONA PASQUA CON AMORE...

QUESTO È IL SEGNO DEL DIO SIGNORE.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

Dedicato a Salvatore Perri... mio padre.



La foto a sinistra è stata scattata dal parroco don Franco Perrone poco don una storica nevicata che si è abbattuta sul territorio di San Fili nel febbraio del 1991. Il punto in particolare è di fronte alla casa canonica su via Marconi (nei pressi dell’edificio che ospita le scuole elementari del paese).

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"Panta rei - tutto scorre", così s'intitola un libro del filosofo napoletano Luciano de Crescenzo.

Tutto scorre e scorrendo... tutto finisce, anche la vita di un genitore che malgrado l'età e i dolori collegati alla stessa... sembrava essere eterna ed immortale. Ma il 17 settembre 2003, a circa 85 anni, è passato a miglior vita, senza lasciare rimpianti, anche lui... mio padre (e certamente anche il mio migliore "amico") Salvatore Perri... "Sarvatur'e Betta".

85 anni di cui oltre cinquanta divisi (sempre e comunque equamente) tra il lavoro nei campi, la famiglia e il suo impegno di sacrestano presso la locale chiesa del Carmine (o del Carmelo).

Ed è così che lo voglio ricordare: incurante del tempo (c'era stata all'epoca una storica nevicata) e della propria salute che ormai iniziava a non seguire più i ritmi del suo impegno sociale. Nella foto sopra, una foto scattatagli da un compaesano nel 1991 quando, strafregandosene anche dei rimproveri dei familiari, comunque volle tener fede ai propri impegni verso la "sua" chiesa.

Ed eccolo, infatti, appena uscito dalla casa del parroco del paese, felice dopo aver ricevuto dal prete stesso gli ultimi ordini per la funzione religiosa che si sarebbe tenuta da lì a pochi minuti.

"Panta rei - tutto scorre", è questo che sembra volerci dire col suo sguardo beato, col suo incedere sicuro, malgrado il bastone che non poteva più lasciare, tra la neve ed il ghiaccio, con i suoi foglietti de "la Domenica" sotto il braccio, con... tutto scorre... anche la vita di un padre! Anche la vita di mio padre!

Mio padre ha voluto morire in un mercoledì, incurante che fosse di 17, a casa propria e circondato dai propri cari. Dormendo. In un mercoledì come tanti mercoledì lasciatisi gioiosamente alle spalle: perché, il mercoledì, è il giorno che la fede cristiana dedica alla Madonna del Carmelo... e lui in devozione di mercoledì tutto avrebbe fatto... tranne che mangiare carne... era peccato... "a Madonna du Carminu" non l'avrebbe gradito!

L'ultimo saluto a Salvatore Perri, così come lui stesso aveva sempre sperato, gli è stato dato giovedì 18 settembre 2003 nella chiesa della Madonna del Carmine di San Fili.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


sabato 18 marzo 2023

'a 'mpigliolata. (3/6)



Nella foto a sinistra (by Pietro Perri): Semi di mais o granturco. Il mais era una pianta che veniva coltivata con una certa regolarità dagli agricoltori sanfilesi almeno fino alla fine degli anni Sessanta. Non era una delle colture principali ma serviva comunque a dare un guadagno marginale a chi coltivava la terra. Dai semi di mais si ricavava la farina che veniva usata sia per fare il pane che per fare la polenta o per fare la deliziosa ‘mpigliolata santufilise.

Spesso, nell’impaginare il nostro Notiziario Sanfilese, mi è capitato di avere più materiale a disposizione di quello che mi servisse in quel determinato momento.

Tale materiale mi veniva gentilmente inviato da alcuni, preziosi seppur saltuari, collaboratori.

Ho ritenuto sempre e comunque giusto dare spazio a questi collaboratori penalizzando a volte o di volta in volta alcuni miei scritti fiume e come tali programmati a puntate.

Uno di questi è sicuramente quello relativo alla ‘mpigliolata. Le prime due puntate dedicate alla ‘mpigliolata le ho pubblicate sul Notiziario Sanfilese dei mesi di febbraio e di marzo del 2018. E siccome il tema è particolarmente “gustoso”, per quanto riguarda la nostra Comunità, e visto che in questo periodo ho un po’ di tempo e spazio in più a disposizione, credo sia opportuno chiudere il cerchio su questo tema.

Oltretutto mia madre era un’artista nel preparare l’impasto, nell’infornare e nello sfornare la ‘mpigliolata. Un’artista come gran parte delle nostre anziane madri o delle nostre stupende nonne made in San Fili.

A tutte loro, non solo a mia madre, è dedicato questo mio scritto ricco di profumi, di sapori e di incancellabili ricordi.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di marzo del 2021... by Pietro Perri.

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Tra i piatti tipici (o quanto meno “tipici” fino agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso) della nostra comunità merita di essere ricordata la ‘mpigliolata. Una vera e propria leccornia, frutto di esperimenti della cucina cosiddetta “povera” (ma decisamente ed in alcune varianti stracolma di grassi non proprio buoni per chi fa una vita d’ufficio o quantomeno sedentaria), di cui si cibavano con una certa regolarità i nostri nonni.

Spulciando su internet si riesce trovare anche qualche ricetta, reinventata e/o adattata ai tempi moderni, della ‘mpigliolata sanfilese o quantomeno di qualcosa cui si può avvicinare alla stessa. Un qualcosa tipo, ad esempio, la pizza di farina gialla o farina di mais o di granturco che dir si voglia.

Ma, credetemi, con queste ricette (varianti) la ‘mpigliolata dei nostri nonni o dei nostri bisnonni ha ben poco a che dividere. Anche perché alla realizzazione di tali ricette mancano degli ingredienti che, in alcuni casi anche per ‘ncriscienza, difficilmente riusciremo a mettere assieme.

Provo ad elencare alcuni di tali ingredienti di non facile (per non sottolinearne a volte anche l’impossibilità) reperibilità: il granturco coltivato nelle nostre zone, la realizzazione della farina di granturco tramite i mulini che utilizzavano macine in pietra, la povertà (che fa apprezzare il poco che si ha a disposizione), alcuni ingredienti realizzati con metodi antichi quali la salimora (ciccioli o cicoli o scarafuagli che dir si voglia), le foglie secche di castagno raccolte nel periodo della casculata (queste rientrano nell’ambito della ‘ncriscienza ad andare a raccoglierle), l’amore (nel realizzare certe cose) delle madri o delle nonne per i propri figli o per i propri nipoti, il forno a legna.

La capacità di trasmettere tali ricette da madre in figlia. Infatti quando alle nostre nonne chiedevi quale erano le dosi per realizzare tali prelibatezze la risposta di queste assassine (mi si conceda questo francesismo almeno in questo caso) era quasi sempre la stessa: nu pizzicu, nu cucchiaru abbondante, quantu sinne piglia, ppe tri puni minteccenne, io aju fattu sempre ad uocchiu...

Quindi se proprio volete provare a rileggere le ricette “non scritte” delle nostre nonne o delle nostre bisnonne (per quelli di noi che ancora hanno la fortuna di averne qualcuna in casa) dimenticatevi di trovarvi difronte a grammi, millilitri, frazioni di comparazione ed altre diavolerie di pesi e misure dei nostri tempi.

A proposito, ho citato le foglie di castagno che, inutile dirlo, non vanno certamente frullate e messe nell’impasto della ‘mpigliolata. Le foglie di castagno, infatti, selezionate una per una nel periodo della raccolta delle castagne e lasciate essiccare sotto la pressa magari di qualche giornale (o sistemate a mo’ di pacco ed opportunamente legate assieme di modo che col tempo prendevano comunque una forma quasi piatta) sostituivano in tale frangente la carta forno da posizionare sulla teglia (‘a lagna?) su cui si sarebbe posto il prezioso impasto prima di passare il tutto in forno. In poche parole le nostre nonne e le nostre bisnonne non solo avevano anticipato l’avvento nelle nostre zone della carta da forno ma avevano fatto tutto ciò nel massimo rispetto che si potrebbe rendere alla natura stessa.

Meno inquinamento (in quanto la carta forno è un prodotto tutt’altro che facile da riciclare) e meno alberi da tagliare (magari dei castagni) per realizzare la carta forno stessa.

Cosa si potrebbe desiderare di più?

Nulla!

Eppure qualcosa in più le foglie di castagno all’intruglio che avrebbe dato in seguito vita al prodotto finito (la ‘mpigliolata appena sfornata) ce l’avrebbero dato e con tutto il cuore.

Grazie alle foglie di castagno, o per meglio dire al tannino (qualcuno mi corregga pure se sbaglio) in esse contenuto, infatti la ‘mpigliolata riusciva a prendere un aroma in più che, mischiato al resto degli ingredienti, la rendeva veramente unica.

Finché è stata viva ed attiva mia madre, ovvero fino 2016 o al 2017 non mancava anno in cui la stessa non ci facesse gradito dono almeno un paio di volte all’anno di questo suo stupendo alchemico intruglio. Un intruglio che risvegliava tutti i nostri sensi.

(continua).

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


giovedì 9 marzo 2023

Tra i suoni della settimana santa a San Fili: troccane grancasce e cancarieddri.



Nella foto a sinistra (ripresa dal web): Un esempio di troccana sanfilese. Un particolare strumento realizzato dai falegnami locali o dai loro discepoli anche a San Fili fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Tale strumento era usato “per fare rumore” per i vicoli del paese e nella Chiesa Madre in occasione del venerdì santo... in particolare dai ragazzini.

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Se il periodo di Natale (specie la magica notte) San Fili in altri tempi era allietato dal profano suono di chitarre e mandolini che accompagnavano le goliardiche strinne delle allegre compagnie di compaesani o dallo strascicante piva piva delle zampogne, nel periodo pasquale la musica era decisamente diversa: non più dolce e allegro suono di strumenti a corde o a fiato ma l'assordante suono di particolari strumenti a battente in alcuni casi o realizzati con particolari meccanismi (semplici e complicati al tempo stesso) in altri.

Si era, nel periodo di Pasqua, difatti in presenza di particolari strumenti (tipici della nostra zona ed in alcuni casi vere e proprie reminiscenze di quello che fu il glorioso tempo della Magna Grecia che presumibilmente dette origine alla comunità sanfilese) quali le troccane (toccane, battole, grancascie ecc.) e i carcarieddri. Le prime realizzate con appositi materiali dai locali falegnami (e quindi vendute in cambio di un corrispettivo che non sempre era in denaro) e le seconde realizzate in economia da amorevoli genitori in bolletta con l'uso di canne.

Una delle cose simpatiche è che un certo tipo di troccana in italiano è detta "raganella" tanto che Francesco Cesario nel suo libro "San Fili nel tempo" scriverà in merito: "Durante le cerimonie religiose del Venerdì Santo, tutte le raganelle si riunivano in Chiesa e, allo spegnersi dell’ultima candela della Via Crucis, concorrevano assordanti al frastuono dello sbattere di latte vuote, di pezzi di tavole, di bastoni contro le panche e gli scranni della Chiesa, per ricordare il terremoto (tierrimutu magnu), verificatosi appena Cristo era spirato”; ma la parola "raganella" (anfibio simile ad una piccola rana) guarda caso nel nostro dialetto è tradotta con la parola "carcarieddru" ossia la come la succitata variante economica della "troccana".

Ed alla voce "raganella" leggiamo nella "Nuovissima Enciclopedia Universale" Curcio (a dire il vero non tanto nuova adesso!): "Strumento idiofono d'uso popolare, formato da una ruota dentata che gira all'interno di una scatola cilindrica dove è fissata una linguetta; il movimento della ruota produce un suono simile al gracidare delle raganelle".

Le campane nel corso della settimana santa ossia nella settimana di Pasqua dovevano restare mute in rispetto della passione e della morte di Nostro Signore Gesù Cristo (in altri tempi ricordo che in tale periodo si coprivano nelle chiese anche le immagini sacre) ma un modo per ricordare comunque ai fedeli i vari appuntamenti religiosi doveva pur esserci. Ecco fare pertanto la sua comparsa per le vie del paese di quel particolare strumento chiamato pur sempre nel nostro dialetto "troccana" (anche se chi scrive preferirebbe "toccana", almeno in questo caso) e in italiano "battola", ovvero una tabella di legno con maniglie mobili di ferro che, agitate, fanno un gran rumore.

Scrive in un suo articolo, riferendosi ai tempi in cui si dice che anche la religione fosse religione (come se Cristo avesse un tempo, un modo, un luogo ed un orario tutto suo) l'insegnante Franca Gambaro: "… e si piangeva davvero, insieme. A segnalare l'inizio della funzione i ragazzi giravano per strada con le raganelle e le troccane al seguito di Francesco Saverio che gridava: - Nuddru ara casa, tutti ara gghijesa!".

Alla voce "Tàcca e Tàccara" sul "Vocabolario del Dialetto Calabrese" di Luigi Accattatis troviamo scritto: "s.f. Raganella, Battola, Tabella: Quella tavoletta con due battenti di ferro, che, agitandola, rende suono strepitoso, e che si suona nella settimana santa in vece delle campane || I greci ed i lat. Hanno trohlea, macchina con girella, ed anche trohilea, girella (n.d.r.: da una parola del greco primitivo col significato di "io son girato”)".

Ecco perché chi scrive chiamerebbe "toccana" o "toccara" (ricordandomi la stessa il toc toc del battente) la battola e "troccana", rifacendosi al greco "trohlea", la raganella per il suo marchingegno a girella.

Erano altri tempi, comunque, quelli in cui si faceva largo uso e sfoggio delle "troccane" a San Fili e dintorni.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

lunedì 6 marzo 2023

Figli dei semafori.



Nella foto a sinistra (ripresa dal web): Un ragazzo che chiede l’elemosina forse nei pressi di un semaforo. La domanda in ogni caso sorge spontanea: è giusto fare l’elemosina alle persone? A volte la mia ragione mi dice di no altre volte il mio cuore mi dice di si... e forse sarebbe sempre giusto seguire il mio cuore. Dopotutto, so veramente io chi mi ritrovo difronte? Quindi o glielo chiedo, e non glielo chiederò mai, o... meglio che gli faccia l’elemosina. Una parola, l’elemosina, che di per sé dovrebbe fare schifo a priori a tutti gli esseri umani.

Nel 1995, quando nel mio cuore viveva ancora un po' di spirito umano, mi chiesi anch'io se fosse giusto fare l'elemosina a chi ci tende il proprio palmo della mano, Me lo chiesi quando vidi dei bambini bussare agli sportelli della mia macchina chiedendo umilmente una moneta. Ero fermo davanti ad un semaforo nei pressi di Roges di Rende (CS). Nacque così l'articolo "Figli dei semafori" pubblicato sul quindicinale "l'occhio" anno II n. 6 del 19 marzo 1995. Articolo ovviamente a firma di Pietro Perri.

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A volte, te li ritrovi davanti, nei pressi dei semafori: qualcuno con un cartello in mano rozzamente scritto, altri con un cestello rotto che non ha bisogno di alcuna parola. Sono sporchi, forse puzzano pure, indossano abiti che tu hai smesso da anni.

Ce ne sono alcuni tenuti teneramente in braccio dalla madre: sporca anche lei, malgrado le madri siano per convenzione tutte pulite.

Aspettano, frementi, che tu ferma la macchina. Altre volte ti tagliano la strada: ti chiedi se qualcuno di loro non speri inconsciamente che tu metta fine ad una vita stupida e vigliacca.

I più grandi si scontrano col finestrino della tua auto, mostrandoti una confezione di fazzoletti... solo mille lire; i più grandi non hanno più di dieci anni, dovrebbero essere altrove, protetti da un padre.

Dicono di avere fame, in una strana lingua, si contentano di pochi spiccioli e ti ringraziano gioiosamente.

Poco distante, una parvenza di essere umano li richiama minacciosamente, ma non perché rischiavano di essere investiti: per questo sarebbero bastati due ceffoni. Il semaforo era scattato da qualche secondo ormai, ed il possibile cliente si apprestava a ripartire senza aver pagato il giusto pedaggio.

A volte li vedi girovagare per le strade ed i vicoli del tuo paese... la musica è sempre uguale: hanno fame. Qua1cuno sgancia qualche spicciolo o una brioche sfuggita all'ingordigia dei propri pargoli, da un balcone viene gettata una banconota da duemila lire.

Passando, mi sfiorano, preferisco far finta di non vedere e di non sentire, incavolandomi a morte contro un'ambigua società che continua a fare maledettamente acqua da tutte le parti... che continua, imperterrita, a non vedere e a non sentire.

Dalila Di Lazzaro invano continua a chiedere l'autorizzazione ad adottare un bambino, non è sposata, sarebbe una tragica offesa alla morale pubblica.

Dalle ceneri della sua sconfitta, migliaia di altre persone rinunciano... evitando di far diventare inutile il rosso dei semafori.

Siamo un popolo civile: sono secoli che ce ne vantiamo. Abbiamo persino istituito il "telefono azzurro"... da usare anche e soprattutto contro i genitori, che in alcuni casi cercano solo di insegnare un po' di educazione. Logica conseguenza di una errata e criminale gestione dell'informazione pubblica.

Restano per strada. Per la legge forse questi bambini non sono mai nati o sono semplicemente morti da tanto tempo. Lo spettacolo in cui ci offrono il loro corpo, dopo tutto ci costa solo qualche spicciolo.

A nessuno interessa che sono bambini... pura e semplice merce di scambio.

A nessuno interessa se domani finiranno in galera, lo portano scritto in fronte: sono solo zingari, figli di nessuno.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


domenica 5 marzo 2023

Ricordando Geri De Lio Alfredo e la sua poesia.



Nella foto a sinistra: Saverio Onofrio (a sinistra), Geri De Lio Alfredo (al centro) e Goffredo Iusi a (a destra). Siamo nel territorio di San Fili poco al di sotto del valico Crocetta agli inizi degli anni Ottanta.

Foto archivio informatico ed articolo by Pietro Perri.

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Geri De Lio Alfredo nasce a San Fili il 4 Aprile 1901.

Indubbiamente un autodidatta come ce n'erano tanti in altri tempi e pochissimi (per non dire nessuno) ai giorni nostri: frequenterà la scuola, infatti, fino alla terza elementare. Ciò non impedirà allo stesso, in ogni caso, di crearsi un dignitoso e degno spazio nella società civile di cui faceva parte.

Non a caso è stato definito da qualcuno: "un signore come ce ne sono pochi ai giorni nostri!".

Commerciante per professione, cacciatore e poeta per vocazione: si dedicò alla compravendita dell'olio fino alla fine degli anni Quaranta, gestì un negozio di generi alimentari a Paola in località "Cancello", e a cavallo degli anni Venti e Trenta nei pressi di contrada Santa Maria a San Fili ebbe una breve esperienza imprenditoriale nella realizzazione e conseguente commercializzazione di scope.

Non secondaria è stata la sua presenza nella politica locale: alle prime elezioni del dopo monarchia viene eletto nella minoranza consiliare (con il Partito Repubblicano) assieme agli altrettanto indimenticabili professori Goffredo Iusi e Isidoro Apuzzo. Dal 1970 al 1975 rivestirà, nella prima Amministrazione Rinaldi, la carica di Assessore alle Finanze del Comune di San Fili.

Agli inizi degli anni cinquanta sarà assunto al Consorzio di Bonifica con la qualifica di caposquadra e conserverà tale posto di lavoro fino alla pensione.

Ebbe diversi figli: Francesco, Delia, Giosina, Biagio, Titina ed Anna con Mazzulla Eugenia di Bucita (sua prima moglie) e Giuseppe con la già citata Orefina.

Malgrado ciò, comunque, i suoi veri amori sono stati la caccia e le montagne circostanti San Fili.

Anche Geri però, così come pochi anni prima era capitato ad un altro insigne compaesano "ammalato di sanfilismo" (mi riferisco a Ciccio Cirillo, illustre dimenticato!) lascerà questo mondo di lacrime e false speranze su un suolo a lui straniero.

Geri De Lio Alfredo muore in Inghilterra il 25 settembre 1994 (esattamente il giorno di San Cosma e Damiano) ospite, dal 1986 (anno di morte della seconda moglie Gentile Orefina), della famiglia della figlia Giosina.

Qualche tempo prima, versi premonitori, in una sua poesia dedicata a "l'emigrante calabrese" aveva scritto, riferendosi alla sua terra natia: “(...) Son nato qui, qui vorrei morire / Senza privarmi un dì luoghi miei cari.

Poesia che riporto di seguito nella sua interezza.

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L'emigrante calabrese

Di Geri De Lio Alfredo.

 

Calabria son costretto ti lasciare

In terre lontane devo espatriare

Ho l'animo ricolmo di dolore

Terra mia bella ti devo abbandonare.

 

Mi reco altrove senza meta fissa

In giro per il mondo all'avventura

Lascio i miei cari nel più gran dolore

Mi privo di quest'aria questo sole.

 

Oh ruder monti che in alto v'impennate

D'insemminati d'alberi e colori

Con valichi discese erte salite

Chi mai a voi potrà dimenticar.

 

Siete nella mia mente registrati

Con me vi porterò dovunque vado

Son certo di vedervi in tutte l'ore

Se non con gli occhi ma col mio pensier.

 

Calabria ciel che mi hai dato i natali

Perché non pensi pur darmi un lavoro?

Son nato qui, qui vorrei morire

Senza privarmi un dì luoghi miei cari.

 

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


venerdì 3 marzo 2023

L'ultimo volo della colomba - by Pietro Perri.



Nella foto a sinistra: particolare di una croce posizionata sul monte Nebo in Giordania. Nel sito/santuario in cui si trova questa croce secondo la tradizione Mosè, alla fine del suo peregrinare nel deserto, ebbe la possibilità di vedere la finalmente la Terra Promessa... pur non potendoci mettere piede. Sempre secondo la tradizione il suo corpo giace in tale sito.

Foto ed articolo by Pietro Perri.

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Chiese un giorno la colomba alla gallina: "Se Dio ci ha dato delle ali per volare, perché non dovremmo volare? Perché dovremmo vivere e morire con l'eterna paura che un animale più grande e pericoloso di noi stia sempre all'erta, sempre pronto a spezzarci le ali e fare di noi un sol boccone... quando ancora il nostro cuore pulsa sangue e voglia di vivere?"

"Non saprei", rispose la gallina, "ma per vivere io non ho bisogno di volare!"

"Dio", si chiese la colomba, "perché mi hai dato delle ali, se tutti e tutto intorno a me dice e dicono che è meglio non usarle... che è inutile, stupido e pericoloso usarle?"

Conclusa questa riflessione la colomba s'alzo in volo, s'udì un boato venire dal nulla... e la colomba cessò di vivere e di volare.

Dio, mi chiedo io, perché le hai dato delle ali per volare? ... forse perché la sua morte avvenisse in un luogo più vicino al Tuo Celeste Trono?

Ho  visto i miei fratelli di sventura terrena prendere il volo e non far più ritorno al proprio nido: qualcuno ucciso da altri uccelli per placare la propria fame, qualcuno ucciso da una bestia che per quanto mi sforzerò di capire cosa e che cosa sia... non lo capirò mai... maledetto insulso uomo.

A cosa serve avere un cervello per pensare, una bocca per parlare, un cuore per sognare se tutto, ma proprio tutto, intorno a noi ci dice che è più salutare non pensare, non parlare e non sognare? A cosa serve non vivere, così come ha scelto di non vivere la gallina?

Povera vecchia, stupida gallina: credevi d'essere intelligente... ma pur restando a pascere nella tua corte... sei finita anche tu nel pentolone a sfamare l'ingordigia di quella maledetta ed insulsa bestia chiamata uomo.

Certo non è durato molto il volo della colomba, ma perlomeno le sue ali, quelle ali che Dio le aveva dato per volare e non per smuovere la sabbia intorno ad un vermiciattolo o ad un chicco di grano, hanno provato a librarsi nel blu del cielo.

Dio, se Tu esisti come dopotutto ne sono certo, sono altrettanto certo che la colomba uccisa in volo non toccò mai terra al suo capitolare: ciò che toccò terra fu sicuramente, grazie ad un Tuo Miracoloso Sortilegio, la volgare carcassa d'una stupida gallina.

Dio, sono sicuro che quella colomba in questo momento sta svolazzando felice nei Tuoi Paradisiaci Cieli, sono sicuro che sta ringraziandoTi con i suoi empirici voli e sono sicuro che Tu Sei felice d'averle dato vita.

Ho voglia di volare anch'io, Dio, perché non saprei che altro farmele delle ali che mi hai dato: mi prudono sulle spalle.

Ho voglia di pensare, di parlare, di scrivere e di sognare: ho voglia di sentirmi grato, Dio, di quanto mi hai dato... e credo non vi sia altro modo migliore di ringraziarTi, se non quello di utilizzare i tuoi celestiali doni.

Voglio credere e sperare in un mondo migliore, perché non ho nessuna voglia di vivere e morire disperato... dammene la forza ed il coraggio, Dio, dammeli ora che ancora ho voglia di reagire, o domani mi ritroverai gallina... a cuocere nel pentolone d'un essere che non riuscirò mai a capire: maledetto insulso ambiguo uomo.

 

Morale della favola: quante volte mi è stato detto che non vale la pena lottare contro i mulini a vento, che non sarò io con le mie idee ed i miei scritti a cambiare il mondo (… non mi sono mai illuso di ciò!), che comunque tutto resterà così com’è e che magari, se non la finisco, “’ncunu prima o poi mi fara’ nu bellu paliatune!”.

Dio però mi ha dato una enorme ricchezza: la bravura nell’uso della penna (un po’ d’autoelogio non guasta mai… specie quando tardano ad arrivare gli elogi degli altri)… e Dio, a chi ci ha creato colombe, non ci vuole certamente galline.

E poi, chi ha detto che lottare contro i mulini a vento a lungo andare non paga? … don Chisciotte della Mancia (personaggio di fantasia ma, dopotutto, non tanto) con la sua mitica impresa contro “tali feroci mostri” ha finito per passare, malgrado tutto e tutti, alla storia… o no?

Finché Dio mi darà la forza ed il coraggio, voglio continuare a lottare contro i mulini a vento… semplici mulini a vento per il popolo sciocco e credulone, veri e propri mostri generati dal fiato della “Bestia Immonda” per quanti riusciamo a vedere oltre l’umana apparenza!

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!