SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: febbraio 2019

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lunedì 25 febbraio 2019

San Fili e Alberto Moravia.



Nella foto a sinistra: Alberto Moravia nel 1931. Foto ripresa dal web.

Nella foto sotto (sempre a sinistra): il sanfilese Salvatore Oliva negli anni Trenta.

Articolo e note pubblicati sul Notiziario Sanfilese del mese di Febbraio 2019... by Pietro Perri.

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San Fili e Alberto Moravia.

Nota di Pietro Perri.

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Difficile, per non dire impossibile, parlare di letteratura italiana del Novecento senza citare il nome ed il cognome di Alberto Moravia.

In ogni caso, seppur aiutandoci con la solita enciclopedia impareggiabile (per il cosiddetto “copia/incolla” informatico) online Wikipedia, vediamo di rinfrescarci un po’ la memoria su chi è stato questo mostro della penna prima e della macchina da scrivere dopo:

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«Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle (Roma, 28 novembre 1907 – Roma, 26 settembre 1990), è stato uno scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, reporter di viaggio e critico cinematografico italiano.

Considerato uno dei più importanti romanzieri del XX secolo, ha esplorato nelle sue opere i temi della sessualità moderna, dell'alienazione sociale e dell'esistenzialismo.

Salì alla ribalta nel 1929 con il romanzo Gli indifferenti e pubblicò nella sua lunga carriera più di trenta romanzi. I temi centrali dell'opera di Moravia sono l'aridità morale, l'ipocrisia della vita contemporanea e la sostanziale incapacità degli uomini di raggiungere la felicità. La sua scrittura è rinomata per lo stile semplice e austero, caratterizzato dall'uso di un vocabolario comune inserito in una sintassi elegante ed elaborata.

(...) Dal 1930 iniziò a collaborare con La Stampa, allora diretta da Curzio Malaparte e nel 1933 fondò, insieme a Mario Pannunzio, la rivista "Caratteri", che vedrà la luce per soli quattro numeri. Collaborò poi alla rivista Oggi (sulle cui pagine uscirà, nel 1940, Cosma e i briganti). Sempre nel 1933 iniziò a collaborare con la "Gazzetta del Popolo", diretta da Ermanno Amicucci, uno dei futuri firmatari del Manifesto per la difesa della razza, ma il regime fascista avversò la sua opera vietando le recensioni a Le ambizioni sbagliate, sequestrando La mascherata e vietando la pubblicazione di Agostino.

(...) Alberto Moravia ricevette 15 candidature al premio Nobel per la letteratura dal 1949 al 1966, senza riuscire mai a vincerlo. A candidarlo, fra gli altri, furono anche il futuro vincitore del Nobel Eyvind Johnson nel 1960 e la scrittrice italiana Maria Bellonci nel 1966.»

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Ma, vi chiederete voi, cosa c’entra Alberto Moravia con San Fili e con il Notiziario Sanfilese (ovvero con il bollettino dell’Associazione culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili?

Certo non molto ma il solo fatto di leggere, anche se quasi di sfuggita o quasi per sbaglio o magari perché non ne ha proprio potuto fare a meno, il nome del nostro paesino in un suo seppur banale scritto (una semplice nota di viaggio pubblicata su un quotidiano nazionale) non può comunque che farci piacere e giustificare anche la presenza di questo suo scritto sul nostro... “bollettino”.

Il breve racconto o “appunto di viaggio” uscito a firma di un giovanissimo (aveva appena 28 anni) ma già affermato Alberto Moravia in cui compare per ben due volte il nome di San Fili prende il titolo di “Costa della Calabria” e compare sulla “Gazzetta del Popolo” il 3 luglio del 1935.

Di seguito non riportiamo l’intero pezzo ma solo la parte finale, quella, appunto, che ci riguarda da vicino in quanto Comunità Sanfilese. E’ questo il breve resoconto del tratto che percorrerà con la sua automobile compreso tra la cittadina di Paola e San Fili.

Ma leggiamolo assieme:

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Costa della Calabria.

Estratto da un articolo apparso, a firma dello scrittore Alberto Moravia, sulla “Gazzetta del Popolo” del 3 luglio del 1935.

(...)

Quindi dopo Paola lasciammo il mare per dirigerci alla volta di Cosenza.

Era ormai il tramonto e per una strada in ripida spirale dovevamo salire fino al passo di San Fili onde valicare la giogaia di monti che separa Cosenza dal mare. A misura che salivamo, il mare si scopriva ai nostri piedi deserto, freddo, torbido, sparso delle gialle luci sfasciate del tramonto nubiloso. Una nuvola lunga e affusolata, della forma di un osso di seppia sbarrava l'orizzonte, aveva nel mezzo una fessura e tra i bordi più chiari di questa fessura saettavano verso l'alto i raggi gloriosi del sole tramontante. Tutto il cielo in fuga pareva fermato da questa immobile raggiera; presto il sole si sarebbe spento e con esso le sue radiose spade di fredda luce e le nubi in libertà avrebbero cozzato l'una contro l'altra sopra la distesa agitata delle acque, tonando e lampeggiando. Volevamo arrivare sul valico prima che si facesse notte, ma a novecento metri entrammo in un fitto banco di nebbia, e fu giocoforza rallentare e procedere a passo d'uomo. A folate, come se una bocca gelata ci avesse alitato in faccia, la nebbia silenziosa c'investiva; tra una folata e l'altra, vedevamo i grigi fantasmi degli abeti fare nella caligine i loro gesti desolati e lentamente scomparire dietro il ciglio della strada, nel bianco e vuoto vapore; la luce dei fari si ripiegava su se stessa come sbattendo contro uno specchio appannato; il motore rantolava piano ascendendo l'erta, e questo, insieme con il cigolio metallico della ghiaia schiacciata dalle ruote, era il solo rumore del gran silenzio nebbioso. Dalla strada nuda sospesa sull'abisso passammo nel folto di una foresta di abeti, e quasi non ce ne accorgemmo. Un cavallo mi scalpitò allato mentre mi sporgevo dal finestrino aguzzando gli occhi nella foschia, e non vidi che la gamba del cavaliere, in pantalone di velluto e stivale, stretta contro la sella; tutto il resto, uomo e animale, non era che un'ombra tra le altre, vere e finte, che la nebbia trasportava nel suo seno. Poi, tutto ad un tratto, dopo un'ultima folata più densa, l'aria si sgombrò, limpida e notturna, e a valle, contro il nero profilo di altri monti lontani, apparvero le luminarie di San Fili.

Alberto Moravia.

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“e non vidi che la gamba del cavaliere (...) stretta contro la sella”.

Una domanda sorse spontanea... e fu leggenda sanfilese.

I primi sanfilesi che si trovarono a leggere le stupende righe che Alberto Moravia alla nostra bellissima catena paolana ed in particolare al tratto di strada (vecchia strada statale 107) che collega il nostro paesino con la cittadina di Paola arrivati al punto in cui in tale brano si legge “Un cavallo mi scalpitò allato mentre mi sporgevo dal finestrino aguzzando gli occhi nella foschia, e non vidi che la gamba del cavaliere, in pantalone di velluto e stivale, stretta contro la sella; tutto il resto, uomo e animale, non era che un'ombra tra le altre, vere e finte, che la nebbia trasportava nel suo seno” non poterono fare a meno di chiedersi chi era l’ombroso cavaliere in cui s’imbatte l’illustre scrittore.

E fu allora che, tra i Sanfilesi (come se fosse l’unico cavaliere all’epoca a frequentare il valico Crocetta), si pensò al compaesano Salvatore Oliva (nella foto a sinistra).

Una domanda sorse spontanea... e fu leggenda sanfilese.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


domenica 17 febbraio 2019

C’erano una volta le suriciare (trappole per catturare uccelli).


Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di dicembre 2018... a firma dell’amico Luigi “Gigino” Intorno.
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Ricordo quando ero ancora un giovanottino della fine degli anni Cinquanta o al massimo dell’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso che molti miei compaesani venivano nella zona Coste di San Fili (dove la mia famiglia aveva la sua abitazione) e si metteva con tanta pazienza ad “armare” (ovvero posizionando ed azionando i relativi ingranaggi) delle trappole (suriciare) per uccelli.
Si era in pieno inverno e quelli erano tempi di magra. Quindi, per quei tempi, riuscire a catturare un certo numero di uccelli, per lo più passeri, poteva essere un buon modo per assicurarsi una variante gastronomica in tavola.
D’inverno anche gli uccelli avevano problemi a trovare del cibo e quindi era facile che cadessero vittime delle trappole posizionate dai cacciatori locali. Una situazione, quella della ricerca del cibo da parte di uccelli non migranti, che si accentuava nei periodi in cui faceva particolarmente freddo ed ancor più quando veniva a nevicare dalle nostre parti e quindi, a causa della coltre bianca che ricopriva il tutto, tali uccelli non potevano rovistare direttamente sul terreno.
Alle trappole venivano attaccate, come esca, delle olive nere (quindi ben visibili anche ad una certa distanza), miglio o briciole di pane (meglio se la scorza) cui gli uccelli che vivono liberi vanno particolarmente ghiotti.
La maggior parte delle trappole venivano posizionate nei punti in cui la neve lasciava qualche piccolo spazio libero. Tali spazi illudevano appunto gli uccelli che ci fosse qualcosa da beccare sul terreno non pensando che in quel punto invece avrebbero trovato ad accoglierli la morte grazie alle trappole armate da noi sanfilesi.
L’ingranaggio delle trappole (suriciare) scattava inesorabile e difficilmente l’uccello ne usciva illeso. Erano poche, infatti, le trappole che, come si diceva in quei casi, “scattavano a vuoto.
Tra quanti, tra sanfilesi, in quei giorni partecipavano con le loro trappole alla grande cattura degli uccelli nasceva una vera e propria sfida a chi riusciva a portare a casa il numero, e la qualità, più consistente. In alcuni casi, tra l’altro, se la giornata di caccia era andata particolarmente bene, si accendeva un fuoco sul posto e parte degli uccelli catturati venivano consumati sul posto in allegra compagnia.
Una parte veniva portata a casa magari al fine di insaporire altre pietanze della nostra cucina come le patate ‘mpacchiuse o la polenta. Anche perché da sola la carne del passero offriva ben poco di nutriente.
Non mancavano comunque tra i cacciatori improvvisati quanti si dedicavano a questo hobby non per acchiappare gli uccelli per mangiarseli ma speravano di prenderne qualcuno vivo ed in accettabili condizioni da portare a casa ed allevare gli stessi in una gabbietta.
C’erano più zone di caccia intorno a San Fili e quasi ogni cacciatore aveva la propria.
Le suriciare (trappole d’altri tempi per acchiappare uccelli e non solo) erano degli degli infernali ingranaggi in ferro muniti di una molla che quasi mai lasciavano possibilità di fuga, e di vita, alle prede cui miravano. Non raramente tali ingranaggi venivano realizzati direttamente dagli utilizzatori.
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Inutile dire che per saziare una sola persona cene volevano tantissimi uccelli specie se della grandezza di un semplice passero. Quello cui mi viene da pensare comunque è il fatto di come ci lamentavamo, e continuiamo a lamentarci, della presenza di mosche, zanzare ed altri fastidiosi insetti che regolarmente disturbano la nostra quiete quotidiana.
Purtroppo non tutti eravamo a conoscenza, e molti non lo sono neanche oggi, di quanto siano preziosi questi piccoli stupendi esseri, mi riferisco agli uccelli, per tenere sotto controllo il numero degli insetti dannosi che convivono assieme a noi.
I passeri e tanti altri piccoli uccelli, infatti, si cibano anche di insetti e quindi contribuiscono a garantire un giusto equilibrio per l’ecosistema circostante. Dovremmo rispettarli di più, magari dando di tanto in tanto qualcosa da mangiare per alleviare le loro difficoltà di sopravvivenza in periodi difficili come i mesi invernali e realizzare, come fanno in tante altre parti del mondo, appositi piccoli ricoveri.
E poi, diciamo la verità, è bello a volte fermarsi un pochino per strada o in campagna e farsi rapire dal loro armonico cinguettio.
Oltretutto mi sembra di notare ultimamente che persino i passeri non hanno più paura dell’uomo così come l’avevano ai tempi in cui io ero ancora un semplice ragazzino.
A volte oggi li vedo persino avvicinarsi, anche se a debita distanza, a noi esseri umani con la speranza che gli gettiamo vicino qualcosa da mangiare.
E forse anche la maggior parte dei cacciatori ancora in attività si sono finalmente resi conto che non vale la pena uccidere un piccolo essere come appunto un passero o un pettirosso.
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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!