SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: La stazione ferroviaria di San Fili.

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giovedì 15 settembre 2022

La stazione ferroviaria di San Fili.



San Fili anni Settanta (1970-1980).
Nella foto da sinistra vediamo Bartolomeo Castellano, Giuseppe Peppino Gentile, il capostazione don Rosario Salerno, (salta) e Francesco Ciccio Nigro.
Giuseppe Gentile è stato uno tra gli ultimi dipendenti della stazione FS di San Fili.
Foto archivio Giuseppe Gentile.

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Tutta una serie di capitoli di storia di vita quotidiana dai quali traspare, per chi sa leggere tra le righe degli stessi, una realtà decisamente diversa dalle comunità circostanti... un vero e proprio piccolo mondo in miniatura, vivo e palpitante come ben pochi altri possono essere.

Qualcuno (tantissimi per essere più precisi), l'ho scritto e riscritto, per ovvi motivi vuole distruggere, annientandone lo spirito, l'anima portante... la memoria storica della nostra comunità. Per ovvi motivi, dicevo, perché solo in questo modo tali soggetti possono giustificare la loro mediocrità: propinando tale mediocrità alla cittadinanza come il toccasana della risoluzione di tutti i problemi amministrativi, economici sociali ed esistenziali che da qualche decennio a questa parte attanagliano il popolo sanfilese.

Problemi, tra l'altro, creati esattamente da coloro che oggi si presentano ai nostri occhi come gli agnelli predestinati al sacrificio... gli innocenti, le vittime di un sistema balordo che non perdona gli altruisti e quanti vogliono dedicarsi disinteressatamente al bene comune.

Dibattiti seri, discussioni serie con la gente... zero (qualcuno, magari la minoranza consiliare, mi smentisca)!
Inizio con un po' di polemica questo nuovo capitolo di recupero della memoria storica della nostra comunità: non vogliatemene... sono fatto così!
Quello che segue è un brano tratto dal "Notiziario Sanfilese" di Ciccio Cirillo, anno I n. 3 del mese di dicembre 1987:

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Cerco di fare una breve storia, almeno per quanto io ne sappia o che ho sentito raccontare dai più anziani, della ferrovia che passava per il nostro paese.
Quando nel 1908, più o meno, incominciavano i lavori, fu uno dei momenti più belli per la nostra popolazione. In un primo momento il tracciato per la ferrovia non era per San Fili, ma esattamente per San Vincenzo la Costa. Ma siccome al paese avevamo il Barone Miceli che conosceva i Savoia (la famiglia reale), dietro un suo personale intervento fece spostare il tracciato in modo che la ferrovia passasse per San Fili.

Siccome San Fili dipendeva dal distretto ferroviario di Reggio Calabria, la maggioranza dei lavoratori erano tutti di Reggio Calabria, molti dei quali poi sposavano nostre concittadine e stabilendosi definitivamente, alla fine della costruzione, al paese. E siccome molti nostri paesani si trovavano in America, le famiglie incoraggiavano congiunti di ritornare a paese, perché cinque lire guadagnavano in America e cinque lire potevano guadagnare al paese, 1avorando nella costruzione della ferrovia.

Quando nel 1915, se non andiamo errati, si inaugurava la ferrovia col passaggio per il nostro paese del primo treno, fu un altro grande evento. Tutte le autorità del paese con la musica e tutta la popolazione erano riversati alla stazione, salutando l'arrivo del treno con grandi applausi di giubilo. Ma cosa rappresentava la ferrovia che passava per il nostro paese? Tutto! Il commercio, il lavoro, un maggior guadagno per tutti. Il commercio era basato su1 legname e nel nostro paese ve ne era abbondante per le foreste esistenti; il commercio delle castagne le quali abbondavano. Ricordo nel periodo immediatamente la seconda guerra mondiale che Antonio Lio e Vincenzo Speziale ne spedivano un'infinità di vagoni del frutto.

Ma più di tutto la ferrovia cambiava il corso della cultura del nostro paese. Quello che era riservato ai figli dei ricchi perché potevano sostenere le spese per mantenere i figli nei vari collegi della regione, non lo era più per qualsiasi ceto sociale. E nel nostro paese, viaggiando da San Fili a Cosenza per frequentare le scuole medie e superiori, si formò una classe di intellettuali da far invidia a qualsiasi centro scolastico (...).

La stazione ferroviaria di San Fili: tutti uguali.

Per quanto riguarda il nostro paesino, il problema della gestione (oltre che dalla manodopera specializzata) delle grandi opere legate ai cosiddetti "lavori pubblici", non è solo una questione d'oggi ma, a dire il vero, è un problema di sempre.
Arrivano, cioè, i miliardi, ma se volete sapere alla fine in quali tasche siano andati a finire... è inutile che giriate nelle tasche dei sanfilesi... nelle tasche dei sanfilesi (e neanche in tutte), infatti, restavano, restano e resteranno semplicemente le briciole.
Qualche giornata di manovalanza o poco più.
E' un problema di sempre e di ciò ce ne da conferma anche la costruzione della tratta ferroviaria compresa tra Cosenza e Paola (per non dire tra Rende e Falconara Albanese... ossia sul territorio sanfilese).

Leggiamo nel libro "San Fili nel tempo" di Francesco Cesario: "Il tratto S. Fili-Falconara Albanese (galleria centrale) è stato realizzato dagli appaltatori fratelli Angelo e Giuseppe Agostinello di Sigillo (Perugia) nel 1908-10".
Molti gli operai provenienti dall'Umbria, molti i Siciliani e pochissimi i Sanfilesi (malgrado la popolazione d'allora era quasi il doppio di quella attuale).

Una situazione questa che, inutile far finta di niente, è una tragica realtà anche dei nostri giorni. Proviamo infatti a chiederci quanti Sanfilesi hanno realmente lavorato (ottenendone un decente ricavato) alla realizzazione delle varie opere pubbliche quali sorte a San Fili in quest'ultimo ventennio: quanti alla piscina coperta? ... quanti alla palestra? ... quanti al parco turistico? ... quanti al campo sportivo? ... quanti al ciucciodromo in località Uncino, e via dicendo.

Se i soldi transitati nelle casse del Comune di San Fili nel suddetto lasso di tempo fossero realmente circolati nelle tasche dei Sanfilesi (sottinteso "di tutti" e "non di pochi")... i Sanfilesi avrebbero potuto campare di rendita per i prossimi cinquant'anni.
Per uno strano gioco del destino (qualcuno continua a dire "per il classico gioco delle tre carte") ai Sanfilesi purtroppo per i prossimi cinquant'anni resteranno... "si" i miliardi... ma di deficit (che tradotto in parole povere significa tasse e tributi oltre misura, nonché servizi sempre più scadenti e costosi).

Il tema portante di questa ricerca comunque non è lo studio della cattiva gestione amministrativa del nostro Comune (compito istituzionalmente delegato alle minoranze e alle opposizioni di turno) ma la "stazione ferroviaria di San Fili" nei ricordi dei Sanfilesi... affinché il ricordo non muoia e le nuove leve sappiano che a San Fili tanto e tanto tempo fa ci passava anche il treno.

Il treno: simbolo, agli inizi del 1900 dell'avanzata imperante del progresso tecnologico e scientifico. Il treno che accorciava le distanze tra i popoli della terraferma, che accelerava l'economia, che aumentava la cultura delle varie comunità... che lambiva San Fili e faceva di San Fili un centro focale dell'hinterland.

Tutti al di qua della catena montuosa paolana (San Vincenzo la costa, Montalto Uffugo ecc.) invidiavano San Fili per la fortuna che gli era capitato: a San Fili arrivavano le merci, da San Fili partivano le merci, i Sanfilesi potevano raggiungere facilmente la città capoluogo (circa due ore non erano poi tanto) ed altrettanto facilmente la città di Paola con la più importante stazione ferroviaria che li congiungeva al resto d'Italia e del mondo.

Militari, studenti, emigranti, bagnanti, ammalati... come una amorevole madre la stazioncina al di sotto del paese abbracciava tutti: ricchi e poveri, dotti ed incolti, furbi e meno furbi. Li abbracciava e, almeno in parte, li rendeva uguali... almeno in parte decadevano persino le differenze sociali: l'attesa era uguale per tutti (anche se sul treno poi ci saremmo divisi in soggetti di prima classe e soggetti di seconda classe).

 La stazione ferroviaria di San Fili: signori si chiude.

La stazione ferroviaria di San Fili ha chiuso ufficialmente i battenti il 17 (non poteva essere altrimenti) maggio del 1987, intorno alle 17 e 30. Di servizio quel giorno c'erano il nostro compaesano Peppino Gentile (che mi ha aiutato nella stesura di questo capitolo) e, in qualità di capostazione, il sig. Mario Riso di Caldopiano, da poco succeduto al compianto Rosario Salerno.
Quest'ultimo, infatti, era andato in pensione nel corso del 1986.

Alla stazione ferroviaria di San Fili risultano collegati parecchi cognomi familiari alla nostra comunità, non ultimo quello della famiglia Verbari.

L'ultima littorina a "timbrare il cartellino" nella nostra storica stazioncina è passata all'incirca alle 17 e 15 di quel funesto giorno. Peppino Gentile (in servizio presso la struttura da circa 17 anni) mi racconta, ancora colmo di commozione per quel particolare giorno, che il capostazione Riso l'aveva autorizzato a prendersi qualche ora di permesso per non presenziare alla desolante cerimonia della consegna delle chiavi della struttura e degli ingranaggi alla Polizia Ferroviaria.

Dopo quella data la stazione ferroviaria di San Fili (che oggi ospita un ristorante) è stata visitata altre due o tre volte da locomotive a vapore ed altri mezzi delle Ferrovie dello Stato... ma ciò più per demagogia politica (o semplicemente perché alcuni Enti decisamente non sanno come spendere i soldi dei contribuenti italiani) che per dimostrare alla comunità sanfilese l'importanza di rilanciare a fini turistici e commerciali tale tratto di strada ferrata.

Settant'anni di storia piena, quelli passati davanti alla facciata principale della stazione ferroviaria di San Fili. Settant'anni in cui uno tra i migliori scorci del nostro centro abitato hanno visto sporgersi dai finestrini delle varie carrozze oltre che a numerose personalità dello spettacolo anche Capi di Stato.

Nel corso della prima guerra mondiale (che nessuno intende un errore così come viene intesa la seconda... chissà poi perché!) venne accompagnato a San Fili un compaesano ferito al fronte: ad attenderlo nella nostra stazione c'era persino la nostra ormai dimenticata storica banda musicale.

Si era poi tra gli anni 1937 e 1938 (qualcuno più sicuro di se mi garantisce sia stato esattamente il 30 marzo 1939) quando la cittadinanza sanfilese festosa scese sul piazzale della stazioncina a salutare compatta il Duce (per la cronaca Benito Mussolini) che da Paola si dirigeva verso Cosenza.

Che giornata quella giornata: ancora oggi viene ricordata con celato orgoglio da alcuni compaesani presenti alla manifestazione.
La storia mondiale, volenti o nolenti, li aveva lambiti.

Gli alunni delle scuole elementari del paese, vestiti da balilla, perfettamente inquadrati a mo' di plotone intenti all'unisono a salutare il loro Duce col saluto fascista: braccio destro alzato (portato in avanti ed indietro per più volte), mano destra aperta a dita giunte... ed un solo grido... "Eia, Eia... Alalà!"... che, mi spiace ammetterlo, non ho mai capito che cosa significasse (e dubito che a quei tempi l'abbiano capito poi in tanti) o a cosa si riferisse.

E c'erano pure le studentesse, camicia bianca e gonna nera, ossia le mitiche "piccole italiane", nel piazzale antistante la stazione.
Ci fu un saluto delle autorità e lo stesso Duce, pur non scendendo dalla carrozza, degnò il popolo sanfilese d'un breve saluto affacciandosi dal finestrino.
Quel giorno alcuni alunni riuscirono persino a salire sulla locomotiva d'appoggio ed accompagnarono a Cosenza il capo dalla testa rasata.

Si dice che per l'occasione la facciata di San Fili che dà sul Frassino fosse stata pitturata di bianco (alcuni sono pronti a smentire però tale notizia). Una cosa è certa: sui muri di diverse abitazioni di Corso XX Settembre ancora oggi possiamo leggere frasi inneggianti al regime o vedere disegni che ricordano quel tanto discusso (decisamente non mi piace la parola "discutibile") periodo.

Qualcuno dice che ci sia passata negli anni cinquanta anche la squadra del Novara, alcuni l'Inter e qualcuno finanche la Juve... tutte squadre dirette a Cosenza per giocare una amichevole con gli undici della Città dei Bruzi.

Il 17 maggio del 1987 incaricati della Polfer di Cosenza, alle 17 e 30 circa ritiravano contemporaneamente le chiavi delle stazioni ferroviarie di Rende, San Fili, Falconara Albanese e San Lucido: si chiudeva un'epoca certamente indimenticabile per la nostra comunità... ma ormai dimenticata quasi da tutti!

La stazione ferroviaria di San Fili: il progresso verrà.

Un importante punto di raccolta e smistamento merci, questo ed altro era la pittoresca stazioncina ferroviaria di San Fili fino alla fine degli anni sessanta (1960): dai paesi limitrofi (privi di un tale patrimonio) venivano accatastate nel piazzale antistante la cosiddetta "piccola" enormi quantità di beni e prodotti che, caricati nei vagoni merci, venivano poi esportati su tutto il territorio nazionale e a volte anche all'estero.

Castagne e fichi lavorati, carboni, ceramili ed altri laterizi, mele e frutta varia di stagione, seta... e tantissimi altri prodotti naturali e di primissima qualità frutto d'una benevola terra e delle insuperabili mani dei nostri anziani.

Trasportati dai vagoni merci arrivavano a San Fili (in quanto oltre all'export c'era anche l'import) vari materie grezze necessarie per il funzionamento delle piccole industrie presenti nella zona, non ultimo il legno che sarebbe stato portato poi ai Gesuiti dove c'era tanti anni fa uno stabilimento per la produzione di acido tannico.

Era la nostra stazioncina, tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta, un via vai inarrestabile di vagoni per il trasporto merci. In tale periodo, infatti, oltre alle locomotive passeggeri ben quattro treni merci si fermavano nel corso della giornata a San Fili a fare il loro quotidiano carico (due di giorno e due di notte... oltre ad eventuali treni merci a corsa straordinaria).

Solo in primavera (stagione in cui Madre Natura preferisce regalarci un saggio della sua innata vena artistica che non tangibili materiali da lavorare e commercializzare) la stazioncina ferroviaria di San Fili tirava un sospiro di sollievo in quanto tale viavai veniva temporaneamente dimezzato ed in alcune settimane persino annullato.

Che tempi quei tempi: se all'inizio della sua storia il tratto di ferrovia compreso tra Paola e Cosenza (via Falconara Albanese - Rende) veniva coperto all'incirca in tre ore (un'ora e mezzo San Fili - Paola e un'ora e mezzo San Fili - Cosenza)... coincidenze permettendo, agli inizi degli anni settanta (1970) per percorrere tale tratto una locomotiva ci impiegava complessivamente poco più di un'ora e venti minuti... un vero fulmine (per quei tempi)!

Interessante restano i tratti di ferrovia interessati dal terzo binario, ovvero dalla cosiddetta cremagliera.

Ma, diciamolo onestamente, le cose più importanti che ha commercializzato la stazioncina di San Fili, per quanto riguarda la nostra comunità, sono certamente state (in periodi decisamente di magra, che come al solito non penalizzavano tutti indistintamente, e di boom economico, che come al solito non favoriva tutti indistintamente) la cultura e l'emigrazione (quest'ultima intesa come esportazione di intelligenze e di forza lavoro).

Fino a metà anni quaranta frequentare la scuola di Cosenza (ovvero le superiori) erano un lusso concesso decisamente a pochi (magari intelligenti... ma pur sempre a pochi). Poche erano infatti quelle famiglie che potevano permettersi di affrontare gli alti costi che imponeva loro far studiare i figli all'epoca.

"Meglio un mestiere!", era facile sentir dire... ma era un po' come fare il verso alla volpe che non poteva giungere all'uva. In alcune famiglie poi si doveva scegliere quale dei propri giovani avrebbe continuato a studiare e quali avrebbero dovuto sacrificarsi, per fare posto a questo, rinunciando al diritto dell'istruzione.

In tanti non oltrepassavano l'ambito traguardo della terza elementare (anche se la terza elementare di una volta in molti casi sembra sia stata decisamente migliore di un diploma di oggi)... ma questo non è un punto da trattare in questo capitolo dedicato alla stazione ferroviaria di San Fili.

Tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta la popolazione di San Fili era arrivata a toccare le cinquemila unità... alla fine degli anni sessanta affannava a toccarne le tremila: quanti pianti davanti alla stazioncina di San Fili, quanti sogni non sempre realizzati, quanti fazzoletti e quante mani alzate a mo' di saluto.

 

La stazione ferroviaria di San Fili: pensavamo fosse un gioco.

 

Ne sono passati anni da quel periodo spensierato che amo definire "la mia fanciullezza", ne sono passati e spero, Dio volendo, ne passeranno ancora tantissimi.

Non so, onestamente, come passano il tempo i fanciulli del terzo millennio (ossia quelli di oggi). La televisione dice che quando non sono davanti a lei sono davanti ad un computer o in una sala di videogiochi... ci credo solo in parte, ma sono sicuro che la loro vita è certamente meno avventurosa di quella che era capitata a noi alla loro età.

Il tema conduttore, inutile dirlo, anche per questa puntata è "la stazione ferroviaria di San Fili" e quanto ad essa collegato (ovvero binari, gallerie, treni, locomotive ecc.).

Per noi fanciulli (anni Sessanta, anni Settanta) era ad esempio una grossa prova di coraggio evitare di salire o di scendere per il Canalicchio (che tra l'altro fino alla metà degli anni Sessanta era una stupenda scalinata in pietra di fiume)... coprendo il medesimo tragitto tramite il passaggio a piedi della galleria che collega la zona "sutta u Muragliune" alla zona delle Volette.

Era una prova di coraggio anche perché ci saremmo potuti trovare all'interno della galleria contemporaneamente al passaggio d'un treno o d'una locomotiva. Sapevamo comunque (anche perché con noi qualcuno più grande c'era sempre) che c'erano delle nicchie in cui all'occorrenza potevamo rintanarci.

Ricordo che il casellante (uscita galleria lato "Muraglione") s'incavolava tantissimo quando ci vedeva uscire dalla galleria e c'impediva di entrarci se ci notava nelle vicinanze. Per lui non era una prova di coraggio la nostra, ma semplicemente una ulteriore insana e rischiosa prova di stupidità... ma noi eravamo fanciulli, ed anche far fesso il casellante era un'ulteriore prova della nostra destrezza.

La galleria all'interno, quasi al centro, fa una curva quasi ad angolo retto (se ricordo bene... sono passati veramente tanti anni da allora): era bello, oltrepassando la curva, vedere in fondo la luce alla fine della galleria.

Era una prova di destrezza camminare in equilibrio su un solo binario... ed era quasi impossibile mantenersi altrettanto bene in equilibrio sul binario dentato, ovvero sulla cremagliera.

Ed era simpatico pure posare una moneta da dieci, da cinquanta o cento lire sul binario, attendere che il treno passasse e vedere cosa ne fosse rimasto della moneta dopo che il treno vi fosse finito sopra.

La moneta era schiacciata e solo allora ci rendevamo conto di quando fossimo stupidi: in pochi istanti avevano perso l'opportunità di giocare tre o quattro partite a calcio balilla: Franco e Romano Zuccarelli, infatti, non avrebbero mai accettato una moneta schiacciata e quindi inservibile in cambio dei relativi gettoni per le loro stupende macchinette.

Era un gioco per noi anche appostarci al di sopra dell'uscita delle gallerie, armati di sassolini di varia dimensione, e prendere di mira il treno o la littorina sottostante. Sassi dal cavalcavia? ... assassini? ... rischio di colpire qualcuno (gente che si sporge incauta dai finestrini o gli stessi conducenti)? ... a cinque o sei anni non si pensa a ciò: a cinque o sei anni la parola morte non è neanche nel nostro vocabolario.

Un amico mi racconta di quando, lui fanciullo, con altri coetanei s'erano messi in testa, armati di buste piene d'acqua, di spegnere il fuoco all'interno della locomotiva a vapore... anche loro appostati al di sopra dell'uscita della galleria nella zona Volette.

Fu un lancio simultaneo di sei o sette buste d'acqua una delle quali centrò l'enorme tubo dal quale fuoriesce il vapore... ma la locomotiva proseguì imperterrita e senza alcun problema il suo cammino verso Cosenza.

Malgrado la mira e la busta d'acqua l'insensata combriccola non riuscì a bloccare lo storico mezzo.

Perché racconto tutto ciò: perché mi piacerebbe ridare un po' di sapore alla vita dei nuovi fanciulli, perché so che ce ne sono tanti intelligenti (impegnati, anche se in una "cultura di stato") e tanti che sprecano il loro tempo (interminabili ore) davanti a bar o andando su è giù per corso XX Settembre senza una giusta e prefissata meta.

Perché questi fanciulli ormai non sanno più che San Fili ha avuto anche una stazione ferroviaria.

 

La stazione ferroviaria di San Fili: tutti al mare.

 

Tutti al mare, è il caso di dire, perché su quelle littorine che si fermavano a San Fili tra le sei e mezza e le dieci della mattina, d'estate, a turno effettivamente c'eravamo tutti i Sanfilesi.

Era una vera e propria impresa, la domenica mattina, riuscire a salire su una di quelle che arrivavano alla nostra stazioncina già stracolme di bagnanti cosentini.

A volte, ma solo a volte, il "nostro" capostazione riusciva persino ad ottenere qualche carrozza in più esclusivamente per i bagnanti Sanfilesi... una vera manna per quei tempi.

Personalmente ricordo la fine degli anni sessanta, quando ancora a San Fili non c'era il problema di trovare un parcheggio per la propria macchina (tante poche ce n'erano ancora in circolazione) e chi optava per il mezzo a quattro ruote (volendo raggiungere la costa tirrenica) doveva sorbirsi il tragitto della vecchia 107, passando tra l'altro per Falconara Albanese e San Lucido.

Negli scompartimenti di seconda classe delle littorine già era un problema entrarci i cristiani, figuriamoci poi le borse con la colazione (non raramente qualche fetta di pane con, alla meglio, supersata o, alla peggio, frittata d'uova e cipolla), la fiasca d'acqua, la tovaglia, una cambiata intima (pochi, o almeno i bambini) e, per i pochi fortunati, l'ombrellone.

Qualcuno, più che l'ombrellone, si limitava a portare quello che poteva permettersi: un normale ombrello per la pioggia o semplicemente "nu bieddru maccaturu".

Dopo circa un'ora e mezza si raggiungeva la stazione di Paola, contentissimi se nel tragitto non si erano dovute fare soste impreviste per inconcepibili coincidenze.

C'erano le lunghe interminabili gallerie tra San Fili e Falconara Albanese, le stupende campagne che venivano tagliate in due dalla tratta ferroviaria e persino gli stupendi desolati paesaggi che sembravano appena usciti fuori da un western di Sergio Leone.

Giunti a Paola, s'iniziava immediatamente una piccola, seppur civile, corsa verso il mare... che decisamente era ben lungi dal definirsi dietro l'angolo. S'usciva dalla stazione e si proseguiva, a destra, verso quell'enorme sottopassaggio che, malgrado oltrepassato, ancora non vi dava il piacere di farci vedere l'azzurro del mare.

In fondo, però, già si scorgeva la parte alta della "Rotonda", punto in cui i più ci sistemavamo per il resto della giornata. Solo in pochi s'avventuravano all'altezza degli scogli (qualche centinaio di metri più in là.

Qualcuno, prima d'avventurarsi nel tunnel al di sotto dei binari della stazione di Paola, si dirigeva verso qualche ortofrutticolo della zona e comprava qualche mastodontico "milune d'acqua" che, non raramente, sostituiva l'unico pranzo della giornata.

Al mare si ci andava per diversi motivi, oltre a quello di fare il bagno. Si ci andava anche per fare "'e stufe" (facendosi coprire da qualche familiare l'intero corpo con della sabbia) o per respirare l'aria ad alto contenuto di iodio (consigliata dai dottori per diversi mali dell'epoca).

Si partiva la mattina presto e, passata una intera giornata al sole sulla spiaggia di Paola, si rientrava con la littorina che partiva dalla stazione della città del miracoloso Santo tra le cinque e le sei di sera.

Si rientrava all'imbrunire, la littorina arrivava nei pressi della originaria fontana di Pulizia (punto dove c'era il semaforo) e lanciava il suo mitico "Tuuu, tuuu!". Passava qualche minuto (spesso qualche minuto in più e mai qualche minuto in meno) in cui, causa la mia tenera età, non sapevo ancora che anche per i treni c'erano i semafori da rispettare.

Qualche volta, però, vedevo scendere un controllore delle FS dalla littorina con una bottiglia in mano: era quello un signore che conosceva benissimo le capacità terapeutiche dell'acqua di Pulizia... ma io, purtroppo, non riuscivo a capire come mai dovevamo perdere tanti minuti preziosi semplicemente per garantire una corretta diuresi (non che all'epoca sapessi cosa significava questo vocabolo, intendiamoci!) a quel signore.

Ancora qualche istante ed ecco, dietro quell'enorme muro che mantiene in piedi Cozzo di Jorio, d'incanto prendere forma nelle nostre pupille il fabbricato della stazioncina di San Fili.

 

La stazione ferroviaria di San Fili: il dramma dell'emigrazione.

 

La stazione ferroviaria di San Fili è stata, non bisogna dimenticarlo, anche involontaria testimone di quel tristissimo dramma familiare conosciuto da tutti col nome di "emigrazione": se negli anni cinquanta la popolazione sanfilese toccava le cinquemila anime, alla fine degli anni sessanta si era rimasti in poco meno di tremila.

I treni prediletti per iniziare la triste avventura del distacco familiare erano quelli della notte... l'Italia, l'Europa ed il resto del mondo aspettavano a braccia aperte i nostri speranzosi compaesani. Qualcuno partiva in avanscoperta e solo successivamente richiamava il resto della famiglia, altri s'avventuravano (informati da qualche pioniere locale) con tutto il nucleo familiare: sapevano benissimo in tanti quello che lasciavano, in pochi quello che avrebbero effettivamente trovato.

Il boom economico, se boom economico c'è stato, tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, sia a San Fili che nella Penisola Italiana, questo si è verificato anche grazie e soprattutto al fatto che in tanti hanno lasciato in mano a pochi la miseria che c'era da spartire al paese... per non parlare dei famosi pacchi e delle rimesse in dollari.

Agli inizi degli anni ottanta partecipai con altri giovani (... che ci crediate o no, sono stato giovane anch'io) ad una indagine sulla situazione dei nuclei familiari presenti a San Fili, incentrata in modo particolare sulla condizione degli anziani nel nostro paese. Una delle cose che mi colpì di più in quell'occasione, furono le risposte di tanti anziani alla domanda se avevano figli e dove gli stessi risiedevano.

Molti di loro avevano figli che risiedevano all'estero e che non vedevano ormai da venti o trent'anni: non tutti potevano permettersi un biglietto per il rientro in patria e per riabbracciare i loro anziani genitori... e quanto si sarebbero potuto permettere questo lusso: o non c'erano più i loro genitori, o loro non avevano più la forza materiale e morale per rientrare al paese natio.

Partivano con il treno di notte e con il treno di notte rientravano. Partivano con una valigia non raramente ottenuta con pezzi di cartone opportunamente piegati e legati... qualcuno rientrava con una valigia di pelle... giungeva alla piccola stazione di San Fili e via per quelle salite irte e senza senso (per chi non era partito, ma colma di ricordi e sentimento per gli emigranti) verso il centro abitato: la cosiddetta "rampa", "Chiarieddru" o quella scalinata che dalle attuali Scuole Materne porta dritto dritto "mmianz'u puontu".

Oggi i tempi sono leggermente cambiati. Il problema dell'emigrazione si è drasticamente ridotto, anche se la mancanza di lavoro continua a farsi sentire a San Fili, e nulla toglie che l'emigrazione possa riprendere a breve, seppure non con tanto clamore come negli anni post-bellici, nel nostro paese.

Oggi, comunque, ad essere testimone di questo dramma secolare non è più la stazioncina di San Fili ma gli autobus che portano i nostrani emigranti a Castiglione Cosentino o a Paola, oppure (nel migliore dei casi) qualche compaesano che armato di buon cuore accompagna con la propria macchina, gli amici in partenza, all'aeroporto di Lametia Terme.

 

La stazione ferroviaria di San Fili: un crack annunciato!

 

Inutile dirlo e ribadirlo, ma sappiamo tutti bene che il concetto di "linee di collegamento" all'interno di un determinato territorio (strade, ferrovie ecc.) è sinonimo di progresso (economico sociale ecc.). La stazione ferroviaria di San Fili non si discosta per niente da tale concetto, ma...!

Con la stazione ferroviaria, infatti, San Fili meglio si collega non solo con Cosenza (ossia il capoluogo di provincia) ma anche e soprattutto col resto del mondo. O, per dirla meglio, rafforza quel collegamento ottimale che all'epoca era rappresentato dalla borbonica "militare" (ossia da quella che ancora oggi familiarmente definiamo "la vecchia 107"), strada realizzata, appunto, sotto il Regno dei Borboni, nella prima metà del XIX secolo.

Il progresso, però, gestito male dai governanti di turno e dagli indigeni non sempre (quasi mai a dire il vero) debitamente maturi ed intelligenti, spesso e volentieri finisce, col passare dei decenni, per rivelarsi una vera e propria catastrofe sociale (ambientale, economica ecc.).

Il progresso infatti a volte finisce per privilegiare zone decisamente distanti dalla zona interessata a danno di quest'ultima. Mi spiego (con la speranza di esserne all'altezza... ma purtroppo solo un semplice perito commerciale!): lo sfruttamento delle risorse naturali di una regione d'Italia (esempio la Calabria), che può essere individuata nella manovalanza, non raramente ha significato la ricchezza e lo sviluppo economico non di questa regione d'Italia bensì di altre (Piemonte, Lombardia ecc.), giusto?

Un po' come succede oggi con gli Stati Africani e il resto del mondo: lo sfruttamento delle risorse naturali presenti in tali Stati sta garantendo la sopravvivenza (decisamente sprecona, insensata e pertanto senza futuro... se non belligerante!) dei paesi super industrializzati presenti nel resto del globo terrestre (America Settentrionale, Europa ecc.).

Se non c'erano le navi, gli aerei e tutti i mezzi di comunicazione presenti ai giorni nostri, l'Africa magari avrebbe avuto un processo di sviluppo più lento, ma sicuramente meno dannoso e forse anche meno tinto di rosso del sangue degli africani stessi.

Cosa c'entra questo discorso con San Fili? ... proviamo a vedere le ricchezze economiche che aveva San Fili agli inizi del 1900 e vediamo, ora che il 1900 ce lo siamo lasciati alle spalle, quello che è rimasto in mano alla nostra piccola comunità: briciole e per giunta senza valore rilevante!

Proprio così: ci siamo illusi che una ricchezza immediata (ben aldilà del sano concetto definito "investimento produttivo") e come tale effimera, potesse garantire a tutti il benessere eterno. Qualcuno (a volte un sanfilese, a volte neanche tale), è vero, si è relativamente arricchito... ma a danno della comunità e di se stesso. Tutto ciò grazie anche e soprattutto alle vie di collegamento (gestite, in quanto pur sempre ricchezza, malissimo dalla nostra comunità) che hanno baciato San Fili nel corso del XX secolo.

Un esempio? ... l'addio alla produzione e alla commercializzazione delle castagne. Ad un certo periodo della nostra storia, infatti, ci siamo resi conto stupidamente che era più semplice dedicarci al commercio del legname che ci veniva da questa divina pianta e non al frutto della stessa.

Meglio soldi pochi maledetti e subito, al posto di avere a che fare con un bracciantato sempre più esigente, hanno pensato i proprietari terrieri; meglio un posto dietro una scrivania o, quanto tutto manca, con una scopa da spazzino in mano, hanno pensato i membri del bracciantato storico.

Oggi, in una crisi di lavoro imperante e generalizzata, mi viene quasi da ridere quanto vedo ex potenziali proprietari terrieri... con una ramazza in mano, ed ex potenziali membri del bracciantato agricolo, in piazza San Giovanni, filosofeggiare, per giunta goffamente, sulla politica locale e nazionale (per giunta mossi da simpatia per questo o per quell'altro politico... veramente ridicoli!).

Oggi, se avessimo saputo sfruttare in altri tempi quello che la fortuna e Dio ci avevano incautamente dato... San Fili presumibilmente non conoscerebbe la parola disoccupazione, se non per sentirla dire quotidianamente in televisione.

 

La stazione ferroviaria di San Fili e... la sanità!

 

La stazione ferroviaria di San Fili (ma anche gli sbocchi delle gallerie ricadenti sul territorio), in altri tempi non erano solo sinonimo di partenza e di arrivi, di lacrime di gioia e di lacrime di disperazione... in quanto partire è e resta comunque "un po' morire".

La stazione ferroviaria di San Fili era anche un'ottima terapia per la soluzione di alcuni mali legati a problemi respiratori (parliamo giustamente di mali minori, e non del terribile flagello quale fu la tbc. Malattia questa, figlia d'una carente alimentazione, che negli anni precedenti il 1970 era di casa non solo a San Fili ma in buona parte del sud Italia).

Quando una mamma si lamentava della persistente tosse che colpiva il suo bambino, non raramente qualche dottore del nostro comune finiva per dirle, e non del tutto senza ragione: "Signo', dumane 'mmatinu, e ppe nu pocu de juorni, portatilu ara stazione e faciticce respira' u vapore da locomotiva!".

Il vapore della locomotiva infatti era considerato un vero e proprio toccasana per i polmoni... quasi, se non superiore, al pari d'un bagno turco... e a costo zero!

Non raramente si vedevano mamme con i propri bambini al di sopra della bocca della galleria che sbucava alle Volette... aspettavano l'uscita della locomotiva a vapore, trepidanti e pronte a dire al proprio bambino: "Figlio respira, respira che ti fa bene!".

Mi racconta l'amico Peppino Gentile (reperto storico vivente di quello che fu la leggendaria stazione ferroviaria di San Fili) che spesso, quando la locomotiva a vapore arrivava a San Fili e si fermava magari per fare rifornimento, si vedeva venire incontro qualche donna con i bambini al fianco.

La donna, un po' vergognandosi, gli chiedeva se poteva mantenere i figlioli lì vicino per far loro respirare un po' di vapore della locomotiva.

"Signo', ppe tuttu u tiempu chi ce resta u trenu... sempre stannuvi attientu però!".

E sottovoce rivolgendosi al macchinista: "Faccella na sbruffateddra de cchiù, ca fa bene ara salute di picciriddri!".

Era questo uno dei tanti metodi curativi dei bei giorni che furono. Personalmente non so se facesse bene veramente il vapore della locomotiva (ma se lo dicevano i dottori sanfilesi d'una volta, senza offendere quelli di oggi s'intende... suscettibili come sono nei riguardi di chi scrive, ci metterei la mano sul fuoco senza alcuna paura di scottarmi), ma sicuramente non faceva male come alcune cure che ci vengono prescritte ai giorni nostri.

Cure che se ti curano un malanno, te ne assicurano altri cento peggiori.

Magari non serviva a niente come cura... ma il quadretto nel complesso era tanto bello, romantico e pittoresco... è l'uomo, per esistere, ha bisogno anche di sana poesia. Poesia che San Fili, in altri tempi, poteva, magari utilizzando la stazioncina ferroviaria, esportare non solo in Italia, ma in tutto il resto del mondo.


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