San Fili anni Settanta (1970-1980).
Nella foto da sinistra vediamo Bartolomeo Castellano, Giuseppe Peppino Gentile, il capostazione don Rosario
Salerno, (salta) e Francesco Ciccio Nigro.
Giuseppe Gentile è stato uno tra gli ultimi dipendenti della stazione
FS di San Fili.
Foto archivio Giuseppe Gentile.
Tutta una serie di capitoli di storia di vita quotidiana dai quali traspare, per chi sa leggere tra le righe degli stessi, una realtà decisamente diversa dalle comunità circostanti... un vero e proprio piccolo mondo in miniatura, vivo e palpitante come ben pochi altri possono essere.
Qualcuno (tantissimi per essere più precisi), l'ho scritto e
riscritto, per ovvi motivi vuole distruggere, annientandone lo spirito, l'anima
portante... la memoria storica della nostra comunità. Per ovvi motivi, dicevo,
perché solo in questo modo tali soggetti possono giustificare la loro
mediocrità: propinando tale mediocrità alla cittadinanza come il toccasana
della risoluzione di tutti i problemi amministrativi, economici sociali ed
esistenziali che da qualche decennio a questa parte attanagliano il popolo
sanfilese.
Problemi, tra l'altro, creati esattamente da coloro che oggi si
presentano ai nostri occhi come gli agnelli predestinati al sacrificio... gli
innocenti, le vittime di un sistema balordo che non perdona gli altruisti e
quanti vogliono dedicarsi disinteressatamente al bene comune.
Dibattiti seri, discussioni serie con la gente... zero (qualcuno,
magari la minoranza consiliare, mi smentisca)!
Inizio con un po' di polemica questo nuovo capitolo di recupero
della memoria storica della nostra comunità: non vogliatemene... sono fatto
così!
Quello che segue è un brano tratto dal "Notiziario
Sanfilese" di Ciccio Cirillo, anno I n. 3 del mese di dicembre 1987:
* * *
Cerco di fare una breve storia, almeno per quanto io ne sappia o
che ho sentito raccontare dai più anziani, della ferrovia che passava per il
nostro paese.
Quando nel 1908, più o meno, incominciavano i lavori, fu uno dei
momenti più belli per la nostra popolazione. In un primo momento il tracciato
per la ferrovia non era per San Fili, ma esattamente per San Vincenzo la Costa.
Ma siccome al paese avevamo il Barone Miceli che conosceva i Savoia (la
famiglia reale), dietro un suo personale intervento fece spostare il tracciato
in modo che la ferrovia passasse per San Fili.
Siccome San Fili dipendeva dal distretto ferroviario di Reggio
Calabria, la maggioranza dei lavoratori erano tutti di Reggio Calabria, molti
dei quali poi sposavano nostre concittadine e stabilendosi definitivamente,
alla fine della costruzione, al paese. E siccome molti nostri paesani si
trovavano in America, le famiglie incoraggiavano congiunti di ritornare a
paese, perché cinque lire guadagnavano in America e cinque lire potevano
guadagnare al paese, 1avorando nella costruzione della ferrovia.
Quando nel 1915, se non andiamo errati, si inaugurava la ferrovia
col passaggio per il nostro paese del primo treno, fu un altro
grande evento. Tutte le autorità del paese con la musica e tutta la
popolazione erano riversati alla stazione, salutando l'arrivo del treno con
grandi applausi di giubilo. Ma cosa rappresentava la ferrovia che passava per
il nostro paese? Tutto! Il commercio, il lavoro, un maggior guadagno per tutti.
Il commercio era basato su1 legname e nel nostro paese ve ne era abbondante per
le foreste esistenti; il commercio delle castagne le quali abbondavano. Ricordo
nel periodo immediatamente la seconda guerra mondiale che Antonio Lio e
Vincenzo Speziale ne spedivano un'infinità di vagoni del frutto.
Ma più di tutto la ferrovia cambiava il corso della cultura del nostro paese. Quello che era riservato ai figli dei ricchi perché potevano sostenere le spese per mantenere i figli nei vari collegi della regione, non lo era più per qualsiasi ceto sociale. E nel nostro paese, viaggiando da San Fili a Cosenza per frequentare le scuole medie e superiori, si formò una classe di intellettuali da far invidia a qualsiasi centro scolastico (...).
La stazione ferroviaria di San Fili: tutti uguali.
Per quanto riguarda il nostro paesino, il problema della gestione
(oltre che dalla manodopera specializzata) delle grandi opere legate ai
cosiddetti "lavori pubblici", non è solo una questione d'oggi ma, a
dire il vero, è un problema di sempre.
Arrivano, cioè, i miliardi, ma se volete sapere alla fine in quali
tasche siano andati a finire... è inutile che giriate nelle tasche dei
sanfilesi... nelle tasche dei sanfilesi (e neanche in tutte), infatti,
restavano, restano e resteranno semplicemente le briciole.
Qualche giornata di manovalanza o poco più.
E' un problema di sempre e di ciò ce ne da conferma anche la
costruzione della tratta ferroviaria compresa tra Cosenza e Paola (per non dire
tra Rende e Falconara Albanese... ossia sul territorio sanfilese).
Leggiamo nel libro "San Fili nel tempo" di
Francesco Cesario: "Il tratto S. Fili-Falconara Albanese (galleria
centrale) è stato realizzato dagli appaltatori fratelli Angelo e Giuseppe
Agostinello di Sigillo (Perugia) nel 1908-10".
Molti gli operai provenienti dall'Umbria, molti i Siciliani e
pochissimi i Sanfilesi (malgrado la popolazione d'allora era quasi il doppio di
quella attuale).
Una situazione questa che, inutile far finta di niente, è una tragica realtà anche dei nostri giorni. Proviamo infatti a chiederci quanti Sanfilesi hanno realmente lavorato (ottenendone un decente ricavato) alla realizzazione delle varie opere pubbliche quali sorte a San Fili in quest'ultimo ventennio: quanti alla piscina coperta? ... quanti alla palestra? ... quanti al parco turistico? ... quanti al campo sportivo? ... quanti al ciucciodromo in località Uncino, e via dicendo.
Se i soldi transitati nelle casse del Comune di San Fili nel
suddetto lasso di tempo fossero realmente circolati nelle tasche dei Sanfilesi
(sottinteso "di tutti" e "non di pochi")... i Sanfilesi
avrebbero potuto campare di rendita per i prossimi cinquant'anni.
Per uno strano gioco del destino (qualcuno continua a dire
"per il classico gioco delle tre carte") ai Sanfilesi purtroppo per i
prossimi cinquant'anni resteranno... "si" i miliardi... ma di deficit
(che tradotto in parole povere significa tasse e tributi oltre misura, nonché
servizi sempre più scadenti e costosi).
Il tema portante di questa ricerca comunque non è lo studio della
cattiva gestione amministrativa del nostro Comune (compito istituzionalmente
delegato alle minoranze e alle opposizioni di turno) ma la "stazione
ferroviaria di San Fili" nei ricordi dei Sanfilesi... affinché il ricordo
non muoia e le nuove leve sappiano che a San Fili tanto e tanto tempo fa ci
passava anche il treno.
Il treno: simbolo, agli inizi del 1900 dell'avanzata imperante del
progresso tecnologico e scientifico. Il treno che accorciava le distanze tra i
popoli della terraferma, che accelerava l'economia, che aumentava la cultura
delle varie comunità... che lambiva San Fili e faceva di San Fili un centro
focale dell'hinterland.
Tutti al di qua della catena montuosa paolana (San Vincenzo la costa,
Montalto Uffugo ecc.) invidiavano San Fili per la fortuna che gli era capitato:
a San Fili arrivavano le merci, da San Fili partivano le merci, i Sanfilesi
potevano raggiungere facilmente la città capoluogo (circa due ore non erano poi
tanto) ed altrettanto facilmente la città di Paola con la più importante
stazione ferroviaria che li congiungeva al resto d'Italia e del mondo.
Militari, studenti, emigranti, bagnanti, ammalati... come una
amorevole madre la stazioncina al di sotto del paese abbracciava tutti: ricchi
e poveri, dotti ed incolti, furbi e meno furbi. Li abbracciava e, almeno in
parte, li rendeva uguali... almeno in parte decadevano persino le differenze
sociali: l'attesa era uguale per tutti (anche se sul treno poi ci saremmo
divisi in soggetti di prima classe e soggetti di seconda classe).
La stazione ferroviaria di San Fili: signori si chiude.
La stazione ferroviaria di San Fili ha chiuso ufficialmente i
battenti il 17 (non poteva essere altrimenti) maggio del 1987, intorno alle 17
e 30. Di servizio quel giorno c'erano il nostro compaesano Peppino Gentile (che
mi ha aiutato nella stesura di questo capitolo) e, in qualità di capostazione,
il sig. Mario Riso di Caldopiano, da poco succeduto al compianto Rosario
Salerno.
Quest'ultimo, infatti, era andato in pensione nel corso del 1986.
Alla stazione ferroviaria di San Fili risultano collegati parecchi
cognomi familiari alla nostra comunità, non ultimo quello della famiglia
Verbari.
L'ultima littorina a "timbrare il cartellino" nella
nostra storica stazioncina è passata all'incirca alle 17 e 15 di quel funesto
giorno. Peppino Gentile (in servizio presso la struttura da circa 17 anni) mi
racconta, ancora colmo di commozione per quel particolare giorno, che il
capostazione Riso l'aveva autorizzato a prendersi qualche ora di permesso per
non presenziare alla desolante cerimonia della consegna delle chiavi della
struttura e degli ingranaggi alla Polizia Ferroviaria.
Dopo quella data la stazione ferroviaria di San Fili (che oggi
ospita un ristorante) è stata visitata altre due o tre volte da locomotive a
vapore ed altri mezzi delle Ferrovie dello Stato... ma ciò più per demagogia
politica (o semplicemente perché alcuni Enti decisamente non sanno come
spendere i soldi dei contribuenti italiani) che per dimostrare alla comunità
sanfilese l'importanza di rilanciare a fini turistici e commerciali tale tratto
di strada ferrata.
Settant'anni di storia piena, quelli passati davanti alla facciata
principale della stazione ferroviaria di San Fili. Settant'anni in cui uno tra
i migliori scorci del nostro centro abitato hanno visto sporgersi dai
finestrini delle varie carrozze oltre che a numerose personalità dello
spettacolo anche Capi di Stato.
Nel corso della prima guerra mondiale (che nessuno intende un
errore così come viene intesa la seconda... chissà poi perché!) venne
accompagnato a San Fili un compaesano ferito al fronte: ad attenderlo nella
nostra stazione c'era persino la nostra ormai dimenticata storica banda
musicale.
Si era poi tra gli anni 1937 e 1938 (qualcuno più sicuro di se mi
garantisce sia stato esattamente il 30 marzo 1939) quando la cittadinanza
sanfilese festosa scese sul piazzale della stazioncina a salutare compatta il
Duce (per la cronaca Benito Mussolini) che da Paola si dirigeva verso Cosenza.
Che giornata quella giornata: ancora oggi viene ricordata con
celato orgoglio da alcuni compaesani presenti alla manifestazione.
La storia mondiale, volenti o nolenti, li aveva lambiti.
Gli alunni delle scuole elementari del paese, vestiti da balilla,
perfettamente inquadrati a mo' di plotone intenti all'unisono a salutare il
loro Duce col saluto fascista: braccio destro alzato (portato in avanti ed
indietro per più volte), mano destra aperta a dita giunte... ed un solo
grido... "Eia, Eia... Alalà!"... che, mi spiace ammetterlo, non ho
mai capito che cosa significasse (e dubito che a quei tempi l'abbiano capito
poi in tanti) o a cosa si riferisse.
E c'erano pure le studentesse, camicia bianca e gonna nera, ossia
le mitiche "piccole italiane", nel piazzale antistante la stazione.
Ci fu un saluto delle autorità e lo stesso Duce, pur non scendendo
dalla carrozza, degnò il popolo sanfilese d'un breve saluto affacciandosi dal
finestrino.
Quel giorno alcuni alunni riuscirono persino a salire sulla
locomotiva d'appoggio ed accompagnarono a Cosenza il capo dalla testa rasata.
Si dice che per l'occasione la facciata di San Fili che dà sul
Frassino fosse stata pitturata di bianco (alcuni sono pronti a smentire però
tale notizia). Una cosa è certa: sui muri di diverse abitazioni di Corso XX
Settembre ancora oggi possiamo leggere frasi inneggianti al regime o vedere
disegni che ricordano quel tanto discusso (decisamente non mi piace la parola
"discutibile") periodo.
Qualcuno dice che ci sia passata negli anni cinquanta anche la
squadra del Novara, alcuni l'Inter e qualcuno finanche la Juve... tutte squadre
dirette a Cosenza per giocare una amichevole con gli undici della Città dei
Bruzi.
Il 17 maggio del 1987 incaricati della Polfer di Cosenza, alle 17 e 30 circa ritiravano contemporaneamente le chiavi delle stazioni ferroviarie di Rende, San Fili, Falconara Albanese e San Lucido: si chiudeva un'epoca certamente indimenticabile per la nostra comunità... ma ormai dimenticata quasi da tutti!
La stazione ferroviaria di San Fili: il progresso verrà.
Un importante punto di raccolta e smistamento merci, questo ed
altro era la pittoresca stazioncina ferroviaria di San Fili fino alla fine
degli anni sessanta (1960): dai paesi limitrofi (privi di un tale patrimonio)
venivano accatastate nel piazzale antistante la cosiddetta "piccola"
enormi quantità di beni e prodotti che, caricati nei vagoni merci, venivano poi
esportati su tutto il territorio nazionale e a volte anche all'estero.
Castagne e fichi lavorati, carboni, ceramili ed altri
laterizi, mele e frutta varia di stagione, seta... e tantissimi altri prodotti
naturali e di primissima qualità frutto d'una benevola terra e delle
insuperabili mani dei nostri anziani.
Trasportati dai vagoni merci arrivavano a San Fili (in quanto
oltre all'export c'era anche l'import) vari materie grezze necessarie per il
funzionamento delle piccole industrie presenti nella zona, non ultimo il legno
che sarebbe stato portato poi ai Gesuiti dove c'era tanti anni fa uno
stabilimento per la produzione di acido tannico.
Era la nostra stazioncina, tra gli anni quaranta e gli anni
cinquanta, un via vai inarrestabile di vagoni per il trasporto merci. In tale
periodo, infatti, oltre alle locomotive passeggeri ben quattro treni merci si
fermavano nel corso della giornata a San Fili a fare il loro quotidiano carico
(due di giorno e due di notte... oltre ad eventuali treni merci a corsa
straordinaria).
Solo in primavera (stagione in cui Madre Natura preferisce
regalarci un saggio della sua innata vena artistica che non tangibili materiali
da lavorare e commercializzare) la stazioncina ferroviaria di San Fili tirava
un sospiro di sollievo in quanto tale viavai veniva temporaneamente dimezzato
ed in alcune settimane persino annullato.
Che tempi quei tempi: se all'inizio della sua storia il tratto di
ferrovia compreso tra Paola e Cosenza (via Falconara Albanese - Rende) veniva
coperto all'incirca in tre ore (un'ora e mezzo San Fili - Paola e un'ora e mezzo
San Fili - Cosenza)... coincidenze permettendo, agli inizi degli anni settanta
(1970) per percorrere tale tratto una locomotiva ci impiegava complessivamente
poco più di un'ora e venti minuti... un vero fulmine (per quei tempi)!
Interessante restano i tratti di ferrovia interessati dal terzo
binario, ovvero dalla cosiddetta cremagliera.
Ma, diciamolo onestamente, le cose più importanti che ha
commercializzato la stazioncina di San Fili, per quanto riguarda la nostra
comunità, sono certamente state (in periodi decisamente di magra, che come al
solito non penalizzavano tutti indistintamente, e di boom economico, che come
al solito non favoriva tutti indistintamente) la cultura e l'emigrazione
(quest'ultima intesa come esportazione di intelligenze e di forza lavoro).
Fino a metà anni quaranta frequentare la scuola di Cosenza (ovvero
le superiori) erano un lusso concesso decisamente a pochi (magari
intelligenti... ma pur sempre a pochi). Poche erano infatti quelle famiglie che
potevano permettersi di affrontare gli alti costi che imponeva loro far
studiare i figli all'epoca.
"Meglio un mestiere!", era facile sentir dire... ma era
un po' come fare il verso alla volpe che non poteva giungere all'uva. In alcune
famiglie poi si doveva scegliere quale dei propri giovani avrebbe continuato a
studiare e quali avrebbero dovuto sacrificarsi, per fare posto a questo,
rinunciando al diritto dell'istruzione.
In tanti non oltrepassavano l'ambito traguardo della terza
elementare (anche se la terza elementare di una volta in molti casi sembra sia
stata decisamente migliore di un diploma di oggi)... ma questo non è un punto
da trattare in questo capitolo dedicato alla stazione ferroviaria di San Fili.
Tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta la popolazione di San
Fili era arrivata a toccare le cinquemila unità... alla fine degli anni
sessanta affannava a toccarne le tremila: quanti pianti davanti alla
stazioncina di San Fili, quanti sogni non sempre realizzati, quanti fazzoletti
e quante mani alzate a mo' di saluto.
La stazione ferroviaria di San Fili: pensavamo fosse un
gioco.
Ne sono passati anni da quel periodo spensierato che amo definire
"la mia fanciullezza", ne sono passati e spero, Dio volendo, ne
passeranno ancora tantissimi.
Non so, onestamente, come passano il tempo i fanciulli del terzo
millennio (ossia quelli di oggi). La televisione dice che quando non sono
davanti a lei sono davanti ad un computer o in una sala di videogiochi... ci
credo solo in parte, ma sono sicuro che la loro vita è certamente meno avventurosa
di quella che era capitata a noi alla loro età.
Il tema conduttore, inutile dirlo, anche per questa puntata è
"la stazione ferroviaria di San Fili" e quanto ad essa collegato
(ovvero binari, gallerie, treni, locomotive ecc.).
Per noi fanciulli (anni Sessanta, anni Settanta) era ad esempio
una grossa prova di coraggio evitare di salire o di scendere per il Canalicchio
(che tra l'altro fino alla metà degli anni Sessanta era una stupenda scalinata
in pietra di fiume)... coprendo il medesimo tragitto tramite il passaggio a
piedi della galleria che collega la zona "sutta u Muragliune"
alla zona delle Volette.
Era una prova di coraggio anche perché ci saremmo potuti trovare
all'interno della galleria contemporaneamente al passaggio d'un treno o d'una
locomotiva. Sapevamo comunque (anche perché con noi qualcuno più grande c'era
sempre) che c'erano delle nicchie in cui all'occorrenza potevamo rintanarci.
Ricordo che il casellante (uscita galleria lato
"Muraglione") s'incavolava tantissimo quando ci vedeva uscire dalla
galleria e c'impediva di entrarci se ci notava nelle vicinanze. Per lui non era
una prova di coraggio la nostra, ma semplicemente una ulteriore insana e
rischiosa prova di stupidità... ma noi eravamo fanciulli, ed anche far fesso il
casellante era un'ulteriore prova della nostra destrezza.
La galleria all'interno, quasi al centro, fa una curva quasi ad
angolo retto (se ricordo bene... sono passati veramente tanti anni da allora):
era bello, oltrepassando la curva, vedere in fondo la luce alla fine della
galleria.
Era una prova di destrezza camminare in equilibrio su un solo
binario... ed era quasi impossibile mantenersi altrettanto bene in equilibrio
sul binario dentato, ovvero sulla cremagliera.
Ed era simpatico pure posare una moneta da dieci, da cinquanta o
cento lire sul binario, attendere che il treno passasse e vedere cosa ne fosse
rimasto della moneta dopo che il treno vi fosse finito sopra.
La moneta era schiacciata e solo allora ci rendevamo conto di
quando fossimo stupidi: in pochi istanti avevano perso l'opportunità di giocare
tre o quattro partite a calcio balilla: Franco e Romano Zuccarelli, infatti,
non avrebbero mai accettato una moneta schiacciata e quindi inservibile in
cambio dei relativi gettoni per le loro stupende macchinette.
Era un gioco per noi anche appostarci al di sopra dell'uscita
delle gallerie, armati di sassolini di varia dimensione, e prendere di mira il
treno o la littorina sottostante. Sassi dal cavalcavia? ... assassini? ...
rischio di colpire qualcuno (gente che si sporge incauta dai finestrini o gli
stessi conducenti)? ... a cinque o sei anni non si pensa a ciò: a cinque o sei
anni la parola morte non è neanche nel nostro vocabolario.
Un amico mi racconta di quando, lui fanciullo, con altri coetanei
s'erano messi in testa, armati di buste piene d'acqua, di spegnere il fuoco
all'interno della locomotiva a vapore... anche loro appostati al di sopra
dell'uscita della galleria nella zona Volette.
Fu un lancio simultaneo di sei o sette buste d'acqua una delle
quali centrò l'enorme tubo dal quale fuoriesce il vapore... ma la locomotiva
proseguì imperterrita e senza alcun problema il suo cammino verso Cosenza.
Malgrado la mira e la busta d'acqua l'insensata combriccola non
riuscì a bloccare lo storico mezzo.
Perché racconto tutto ciò: perché mi piacerebbe ridare un po' di
sapore alla vita dei nuovi fanciulli, perché so che ce ne sono tanti
intelligenti (impegnati, anche se in una "cultura di stato") e tanti
che sprecano il loro tempo (interminabili ore) davanti a bar o andando su è giù
per corso XX Settembre senza una giusta e prefissata meta.
Perché questi fanciulli ormai non sanno più che San Fili ha avuto
anche una stazione ferroviaria.
La stazione ferroviaria di San Fili: tutti al mare.
Tutti al mare, è il caso di dire, perché su quelle littorine che
si fermavano a San Fili tra le sei e mezza e le dieci della mattina, d'estate,
a turno effettivamente c'eravamo tutti i Sanfilesi.
Era una vera e propria impresa, la domenica mattina, riuscire a
salire su una di quelle che arrivavano alla nostra stazioncina già stracolme di
bagnanti cosentini.
A volte, ma solo a volte, il "nostro" capostazione
riusciva persino ad ottenere qualche carrozza in più esclusivamente per i
bagnanti Sanfilesi... una vera manna per quei tempi.
Personalmente ricordo la fine degli anni sessanta, quando ancora a
San Fili non c'era il problema di trovare un parcheggio per la propria macchina
(tante poche ce n'erano ancora in circolazione) e chi optava per il mezzo a
quattro ruote (volendo raggiungere la costa tirrenica) doveva sorbirsi il
tragitto della vecchia 107, passando tra l'altro per Falconara Albanese e San
Lucido.
Negli scompartimenti di seconda classe delle littorine già era un
problema entrarci i cristiani, figuriamoci poi le borse con la colazione (non
raramente qualche fetta di pane con, alla meglio, supersata o, alla
peggio, frittata d'uova e cipolla), la fiasca d'acqua, la tovaglia, una
cambiata intima (pochi, o almeno i bambini) e, per i pochi fortunati, l'ombrellone.
Qualcuno, più che l'ombrellone, si limitava a portare quello che
poteva permettersi: un normale ombrello per la pioggia o semplicemente "nu
bieddru maccaturu".
Dopo circa un'ora e mezza si raggiungeva la stazione di Paola,
contentissimi se nel tragitto non si erano dovute fare soste impreviste per
inconcepibili coincidenze.
C'erano le lunghe interminabili gallerie tra San Fili e Falconara
Albanese, le stupende campagne che venivano tagliate in due dalla tratta
ferroviaria e persino gli stupendi desolati paesaggi che sembravano appena
usciti fuori da un western di Sergio Leone.
Giunti a Paola, s'iniziava immediatamente una piccola, seppur
civile, corsa verso il mare... che decisamente era ben lungi dal definirsi
dietro l'angolo. S'usciva dalla stazione e si proseguiva, a destra, verso
quell'enorme sottopassaggio che, malgrado oltrepassato, ancora non vi dava il
piacere di farci vedere l'azzurro del mare.
In fondo, però, già si scorgeva la parte alta della
"Rotonda", punto in cui i più ci sistemavamo per il resto della
giornata. Solo in pochi s'avventuravano all'altezza degli scogli (qualche
centinaio di metri più in là.
Qualcuno, prima d'avventurarsi nel tunnel al di sotto dei binari
della stazione di Paola, si dirigeva verso qualche ortofrutticolo della zona e
comprava qualche mastodontico "milune d'acqua" che, non
raramente, sostituiva l'unico pranzo della giornata.
Al mare si ci andava per diversi motivi, oltre a quello di fare il
bagno. Si ci andava anche per fare "'e stufe" (facendosi
coprire da qualche familiare l'intero corpo con della sabbia) o per respirare
l'aria ad alto contenuto di iodio (consigliata dai dottori per diversi mali
dell'epoca).
Si partiva la mattina presto e, passata una intera giornata al
sole sulla spiaggia di Paola, si rientrava con la littorina che partiva dalla
stazione della città del miracoloso Santo tra le cinque e le sei di sera.
Si rientrava all'imbrunire, la littorina arrivava nei pressi della
originaria fontana di Pulizia (punto dove c'era il semaforo) e lanciava il suo
mitico "Tuuu, tuuu!". Passava qualche minuto (spesso
qualche minuto in più e mai qualche minuto in meno) in cui, causa la mia tenera
età, non sapevo ancora che anche per i treni c'erano i semafori da rispettare.
Qualche volta, però, vedevo scendere un controllore delle FS dalla
littorina con una bottiglia in mano: era quello un signore che conosceva
benissimo le capacità terapeutiche dell'acqua di Pulizia... ma io, purtroppo,
non riuscivo a capire come mai dovevamo perdere tanti minuti preziosi semplicemente
per garantire una corretta diuresi (non che all'epoca sapessi cosa significava
questo vocabolo, intendiamoci!) a quel signore.
Ancora qualche istante ed ecco, dietro quell'enorme muro che
mantiene in piedi Cozzo di Jorio, d'incanto prendere forma nelle nostre pupille
il fabbricato della stazioncina di San Fili.
La stazione ferroviaria di San Fili: il dramma
dell'emigrazione.
La stazione ferroviaria di San Fili è stata, non bisogna
dimenticarlo, anche involontaria testimone di quel tristissimo dramma familiare
conosciuto da tutti col nome di "emigrazione": se negli anni
cinquanta la popolazione sanfilese toccava le cinquemila anime, alla fine degli
anni sessanta si era rimasti in poco meno di tremila.
I treni prediletti per iniziare la triste avventura del distacco
familiare erano quelli della notte... l'Italia, l'Europa ed il resto del mondo
aspettavano a braccia aperte i nostri speranzosi compaesani. Qualcuno partiva
in avanscoperta e solo successivamente richiamava il resto della famiglia,
altri s'avventuravano (informati da qualche pioniere locale) con tutto il
nucleo familiare: sapevano benissimo in tanti quello che lasciavano, in pochi
quello che avrebbero effettivamente trovato.
Il boom economico, se boom economico c'è stato, tra gli anni cinquanta
e gli anni sessanta, sia a San Fili che nella Penisola Italiana, questo si è
verificato anche grazie e soprattutto al fatto che in tanti hanno lasciato in
mano a pochi la miseria che c'era da spartire al paese... per non parlare dei
famosi pacchi e delle rimesse in dollari.
Agli inizi degli anni ottanta partecipai con altri giovani (...
che ci crediate o no, sono stato giovane anch'io) ad una indagine sulla
situazione dei nuclei familiari presenti a San Fili, incentrata in modo
particolare sulla condizione degli anziani nel nostro paese. Una delle cose che
mi colpì di più in quell'occasione, furono le risposte di tanti anziani alla
domanda se avevano figli e dove gli stessi risiedevano.
Molti di loro avevano figli che risiedevano all'estero e che non
vedevano ormai da venti o trent'anni: non tutti potevano permettersi un
biglietto per il rientro in patria e per riabbracciare i loro anziani
genitori... e quanto si sarebbero potuto permettere questo lusso: o non c'erano
più i loro genitori, o loro non avevano più la forza materiale e morale per
rientrare al paese natio.
Partivano con il treno di notte e con il treno di notte
rientravano. Partivano con una valigia non raramente ottenuta con pezzi di
cartone opportunamente piegati e legati... qualcuno rientrava con una valigia
di pelle... giungeva alla piccola stazione di San Fili e via per quelle salite
irte e senza senso (per chi non era partito, ma colma di ricordi e sentimento
per gli emigranti) verso il centro abitato: la cosiddetta "rampa",
"Chiarieddru" o quella scalinata che dalle attuali Scuole
Materne porta dritto dritto "mmianz'u puontu".
Oggi i tempi sono leggermente cambiati. Il problema
dell'emigrazione si è drasticamente ridotto, anche se la mancanza di lavoro
continua a farsi sentire a San Fili, e nulla toglie che l'emigrazione possa
riprendere a breve, seppure non con tanto clamore come negli anni post-bellici,
nel nostro paese.
Oggi, comunque, ad essere testimone di questo dramma secolare non
è più la stazioncina di San Fili ma gli autobus che portano i nostrani
emigranti a Castiglione Cosentino o a Paola, oppure (nel migliore dei casi)
qualche compaesano che armato di buon cuore accompagna con la propria macchina,
gli amici in partenza, all'aeroporto di Lametia Terme.
La stazione ferroviaria di San Fili: un crack annunciato!
Inutile dirlo e ribadirlo, ma sappiamo tutti bene che il concetto
di "linee di collegamento" all'interno di un determinato territorio
(strade, ferrovie ecc.) è sinonimo di progresso (economico sociale ecc.). La
stazione ferroviaria di San Fili non si discosta per niente da tale concetto,
ma...!
Con la stazione ferroviaria, infatti, San Fili meglio si collega
non solo con Cosenza (ossia il capoluogo di provincia) ma anche e soprattutto
col resto del mondo. O, per dirla meglio, rafforza quel collegamento ottimale
che all'epoca era rappresentato dalla borbonica "militare" (ossia da
quella che ancora oggi familiarmente definiamo "la vecchia 107"),
strada realizzata, appunto, sotto il Regno dei Borboni, nella prima metà del
XIX secolo.
Il progresso, però, gestito male dai governanti di turno e dagli
indigeni non sempre (quasi mai a dire il vero) debitamente maturi ed
intelligenti, spesso e volentieri finisce, col passare dei decenni, per
rivelarsi una vera e propria catastrofe sociale (ambientale, economica ecc.).
Il progresso infatti a volte finisce per privilegiare zone
decisamente distanti dalla zona interessata a danno di quest'ultima. Mi spiego
(con la speranza di esserne all'altezza... ma purtroppo solo un semplice perito
commerciale!): lo sfruttamento delle risorse naturali di una regione d'Italia
(esempio la Calabria), che può essere individuata nella manovalanza, non
raramente ha significato la ricchezza e lo sviluppo economico non di questa
regione d'Italia bensì di altre (Piemonte, Lombardia ecc.), giusto?
Un po' come succede oggi con gli Stati Africani e il resto del
mondo: lo sfruttamento delle risorse naturali presenti in tali Stati sta
garantendo la sopravvivenza (decisamente sprecona, insensata e pertanto senza
futuro... se non belligerante!) dei paesi super industrializzati presenti nel
resto del globo terrestre (America Settentrionale, Europa ecc.).
Se non c'erano le navi, gli aerei e tutti i mezzi di comunicazione
presenti ai giorni nostri, l'Africa magari avrebbe avuto un processo di
sviluppo più lento, ma sicuramente meno dannoso e forse anche meno tinto di
rosso del sangue degli africani stessi.
Cosa c'entra questo discorso con San Fili? ... proviamo a vedere
le ricchezze economiche che aveva San Fili agli inizi del 1900 e vediamo, ora
che il 1900 ce lo siamo lasciati alle spalle, quello che è rimasto in mano alla
nostra piccola comunità: briciole e per giunta senza valore rilevante!
Proprio così: ci siamo illusi che una ricchezza immediata (ben
aldilà del sano concetto definito "investimento produttivo") e come
tale effimera, potesse garantire a tutti il benessere eterno. Qualcuno (a volte
un sanfilese, a volte neanche tale), è vero, si è relativamente arricchito...
ma a danno della comunità e di se stesso. Tutto ciò grazie anche e soprattutto
alle vie di collegamento (gestite, in quanto pur sempre ricchezza, malissimo
dalla nostra comunità) che hanno baciato San Fili nel corso del XX secolo.
Un esempio? ... l'addio alla produzione e alla commercializzazione
delle castagne. Ad un certo periodo della nostra storia, infatti, ci siamo resi
conto stupidamente che era più semplice dedicarci al commercio del legname che
ci veniva da questa divina pianta e non al frutto della stessa.
Meglio soldi pochi maledetti e subito, al posto di avere a che
fare con un bracciantato sempre più esigente, hanno pensato i proprietari
terrieri; meglio un posto dietro una scrivania o, quanto tutto manca, con una
scopa da spazzino in mano, hanno pensato i membri del bracciantato storico.
Oggi, in una crisi di lavoro imperante e generalizzata, mi viene
quasi da ridere quanto vedo ex potenziali proprietari terrieri... con una
ramazza in mano, ed ex potenziali membri del bracciantato agricolo, in piazza
San Giovanni, filosofeggiare, per giunta goffamente, sulla politica locale e
nazionale (per giunta mossi da simpatia per questo o per quell'altro
politico... veramente ridicoli!).
Oggi, se avessimo saputo sfruttare in altri tempi quello che la
fortuna e Dio ci avevano incautamente dato... San Fili presumibilmente non
conoscerebbe la parola disoccupazione, se non per sentirla dire quotidianamente
in televisione.
La stazione ferroviaria di San Fili e... la sanità!
La stazione ferroviaria di San Fili (ma anche gli sbocchi delle
gallerie ricadenti sul territorio), in altri tempi non erano solo sinonimo di
partenza e di arrivi, di lacrime di gioia e di lacrime di disperazione... in
quanto partire è e resta comunque "un po' morire".
La stazione ferroviaria di San Fili era anche un'ottima terapia
per la soluzione di alcuni mali legati a problemi respiratori (parliamo
giustamente di mali minori, e non del terribile flagello quale fu la tbc.
Malattia questa, figlia d'una carente alimentazione, che negli anni precedenti
il 1970 era di casa non solo a San Fili ma in buona parte del sud Italia).
Quando una mamma si lamentava della persistente tosse che colpiva
il suo bambino, non raramente qualche dottore del nostro comune finiva per
dirle, e non del tutto senza ragione: "Signo', dumane 'mmatinu, e ppe
nu pocu de juorni, portatilu ara stazione e faciticce respira' u vapore da
locomotiva!".
Il vapore della locomotiva infatti era considerato un vero e
proprio toccasana per i polmoni... quasi, se non superiore, al pari d'un bagno
turco... e a costo zero!
Non raramente si vedevano mamme con i propri bambini al di sopra
della bocca della galleria che sbucava alle Volette... aspettavano l'uscita
della locomotiva a vapore, trepidanti e pronte a dire al proprio bambino:
"Figlio respira, respira che ti fa bene!".
Mi racconta l'amico Peppino Gentile (reperto storico vivente di
quello che fu la leggendaria stazione ferroviaria di San Fili) che spesso,
quando la locomotiva a vapore arrivava a San Fili e si fermava magari per fare
rifornimento, si vedeva venire incontro qualche donna con i bambini al fianco.
La donna, un po' vergognandosi, gli chiedeva se poteva mantenere i
figlioli lì vicino per far loro respirare un po' di vapore della locomotiva.
"Signo', ppe tuttu u tiempu chi ce resta u trenu... sempre
stannuvi attientu però!".
E sottovoce rivolgendosi al macchinista: "Faccella na
sbruffateddra de cchiù, ca fa bene ara salute di picciriddri!".
Era questo uno dei tanti metodi curativi dei bei giorni che
furono. Personalmente non so se facesse bene veramente il vapore della
locomotiva (ma se lo dicevano i dottori sanfilesi d'una volta, senza offendere
quelli di oggi s'intende... suscettibili come sono nei riguardi di chi scrive,
ci metterei la mano sul fuoco senza alcuna paura di scottarmi), ma sicuramente
non faceva male come alcune cure che ci vengono prescritte ai giorni nostri.
Cure che se ti curano un malanno, te ne assicurano altri cento
peggiori.
Magari non serviva a niente come cura... ma il quadretto nel
complesso era tanto bello, romantico e pittoresco... è l'uomo, per esistere, ha
bisogno anche di sana poesia. Poesia che San Fili, in altri tempi, poteva,
magari utilizzando la stazioncina ferroviaria, esportare non solo in Italia, ma
in tutto il resto del mondo.
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