Foto a sinistra: San Fili 1909 davanti al
"palazzo Ciancio alla Croce" (?)... la quarta elementare del maestro
De Franco... col maestro De Franco ovviamente sulla sinistra.
Inutile chiedere se si riconosce qualcuno tra i
fanciulli presenti nella foto... sicuramente tutti passati a... divini
superiori insegnamenti.
La foto è ripresa dalla raccolta Francesco Ciccio
Cirillo.
Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di dicembre 2010, by Pietro Perri.
Se cerchiamo su internet (ma anche sui dizionari cartacei
classici) il significato della parola “staffila” abbiamo grosse difficoltà ad
imbatterci nel significato che davamo noi studenti delle Scuole Elementari
Sanfilesi e coloro che insegnavano in tali Scuole fino alla metà degli anni
Settanta, ossia fino a circa il 1975.
Oggi “staffilata” (un derivato della "staffila") può
essere persino un tiro di pallone molto forte verso la porta o una critica
pungente o persino una censura senza possibilità di contestazione… ovvero, in
senso figurato, un colpo di staffile (sostantivo maschile).
Lo staffile (sostantivo maschile) non è altro che una “frusta
formata da una lunga e robusta striscia di cuoio assicurata ad un manico”
mentre la staffila (sostantivo femminile) pur facendo comunque un male
terribile e pur ottenendo all’incirca il medesimo risultato (punire un
sottoposto)… era tutt’altra cosa.
La staffila era uno degli strumenti di “correzione” (guida?)
utilizzato da quanti insegnavano nelle Scuole Elementari di San Fili appunto
fino a circa il 1975, ovvero fino al momento in cui la rivoluzione culturale
del 1968 non ha rivoluzionato il modo d’intendere la Scuola ed il sistema
pedagogico (pedagogia = guidare il bambino) in essa applicato.
La staffila non era uno staffile (ossia un manico cui era
assicurata una striscia di cuoio, una… frusta) e non essendo uno staffile
poteva essere formato da materiali di diversa natura ma pur sempre di materiali
unici. La staffila aveva una misura variabile come variabile era il materiale
con cui poteva essere realizzata: era lunga dai sessanta centimetri ad un
metro. Poteva essere ricavata da una canna comune (arundo donax,
ovviamente ripulita dalle foglie), da una lista di legno o da una verga (na
virga) di castagno.
In tutti i casi l’uso (il fine) era unico: realizzare un
collegamento tutt’altro che amichevole tra la mano dell’insegnante (del “signor
maestro”) con la mano dell’alunno. Un collegamento, appunto, semplicemente
correttivo. Ovviamente in tale collegamento chi ci rimetteva (in quando doveva
dare un cambio di percorso alla propria vita senza senso e senza via d’uscita)
era sempre e comunque la mano dell’alunno.
L’alunno era obbligato a tenere il braccio dritto con la mano a
pugno aperto e ad attendere, tutt’altro che in modo piacevole, che la staffila
debitamente tenuta dall’insegnante, librandosi nell’aria finisse a colpire
violentemente il palmo della mano del malcapitato.
Di staffilate, quando frequentavo le Scuole Elementari di San Fili
(1968/1972), ne ho assaggiato tantissime anch’io ma ciò che oggi ricordo e
rimpiango non sono certo le carezzevoli (?) staffilate elargitemi (a volte
anche in modo del tutto gratuito) dalla mia insegnante “signora maestra” Maria
Ruffolo ma ciò che lei mi ha insegnato con esempi teorici e col proprio esempio
di vita: mi ha insegnato l’italiano, mi ha insegnato a leggere ed a scrivere e
considerando come s’incavolano spesso e volentieri alcuni miei lettori… credo
l’abbia fatto decisamente bene.
Di questo all’insegnante “signora maestra” Maria Ruffolo gliene
sarò sempre grato.
La staffila veniva usata per “correggere” un atto di maleducazione
o ineducazione, veniva utilizzata per punire un errore di grammatica o di
ortografia (a seconda se gli errori erano segnalati in rosso o in blu
ovviamente cambiava il numero di staffilate da ricevere… in premio per il
proprio impegno di attenzione e di studio) nonché il fatto che magari non si
erano fatti i compiti per casa o semplicemente si era dimenticato un libro o un
quaderno.
Tutti, nessuno escluso (o quasi) noi alunni eravamo soggetti alla
tortura, a volte più psicologica che dolorosa, della staffila.
Ciò che ancora ricordo con terrore, infatti, non era il dolore
del… dopo staffilata (ossia del momento in cui la staffila aveva ormai colpito
il palmo della mia mano), bensì l’attesa che intercorreva tra l’alzata della
staffila ed il suo scontrarsi violento con la tenera carne della mia mano.
Nell’atto dello staffilare a volte, penso… e penso pure male,
c’era un non so che di volontà da parte dell'insegnante "signor
maestro" di umiliare l'alunno, specie se l'alunno usciva da famiglie meno
abbienti o da cui si sapeva si sarebbe avuta l'approvazione dei familiari.
La staffila, infatti, non era per tutti.
Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Gennaio 2011, by Pietro Perri.
La staffilata alle Scuole Elementari? … quasi, se non certo, una
fustigazione.
C’erano mille buone scuse, per un insegnante “signor maestro” per
utilizzare la staffila. Parliamo ovviamente, mi auguro, di periodi precedenti
il 1975.
Era, dopotutto, anche quella una forma di pedagogia tra l’altro
approvata dal novanta e più per cento dei nostri genitori di allora.
Non potevano fare altro: mettersi contro un insegnante
"signor maestro" (una vera casta) significava far giocare ai propri
figli anche il semplice diritto di concludere il primo ciclo di studi, quello
delle Scuole Elementari.
All’epoca senza quel pezzo di carta non si poteva fare niente, non
si poteva accedere neanche ad un posto semplice di bidello… occupazione oggi
ambitissima anche da soggetti plurilaureati.
La licenza elementare era, in quei fantastici (?) anni, un vero e
proprio, ambitissimo, “titolo di studio”.
A nulla, infatti, serviva lamentarci, rientrati a casa, d’aver
preso qualche staffilata nel corso della mattina. A qualcuno di noi poteva
capitare anche di buscare il resto (ovviamente con schiaffi e similari) dai
nostri genitori… altri tempi.
E com’era brutto buscare una staffilata senza capire il motivo
della stessa e magari con il signor maestro che si accorgeva troppo tardi
d’averti dato una staffilata in più e si scusava dicendo: “Non preoccuparti,
alla prossima occasione te ne darò una in meno”.
La staffila aveva anche un nome e persino, a detta di qualcuno, un
cognome, si chiamava “Margherita”.
Proprio così: si chiamava “Margherita”, di nome, “Gonfia
Le Dita”, di cognome.
Io appartengo a quella massa (?) di studenti che di staffilate ne
ha prese tantissime... almeno negli anni in cui frequentavamo le Scuole
Elementari... di San Fili (nel mio caso dal 1967 al 1972... anno più anno
meno... purtroppo la mia memoria non è più quella d'una volta).
La staffila, all'epoca, era utilizzata generosamente dai nostri
insegnanti, dai nostri "signor maestro" e/o dalla "signora
maestra".
Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Febbraio 2011, by Pietro Perri.
All'epoca (l'epoca in cui gli insegnanti delle scuole elementari
appunto erano maestri e non professori) i nostri "signor maestro" e
"signora maestra" ancor prima d'essere insegnanti di storia, di
italiano, geografia, di educazione civica (ma si insegna ancora l’educazione
civica nelle scuole elementari?) e di geografia erano anche e soprattutto...
maestri di vita.
Erano quelli i tempi (quelli vissuti dallo scrivente) del
"signor Direttore" Goffredo Iusi e dei "signor maestro"
Raffaele Perri (tra l’altro cugino di mio padre), Eugenio Aiello (vicino di
casa della mia famiglia), Eugenio Chiappetta (Socialista con la S maiuscola),
Francesco Stillo, Isidoro Apuzzo, Benito Zuccarelli e delle "signora
maestra" quale Carolina Salerno, Maria Ruffolo e Ada Trotta.
Ovviamente questi sono i nomi che rientrano nei miei ricordi e
sicuramente tantissimi, “signor maestro” e “signora maestra”, involontariamente
ed innocentemente sono stati cancellati da tali ricordi.
Tra i succitati insegnanti in tanti mi hanno riferito che il meno
terribile era proprio il “signor maestro” Raffaele Perri. Questi, forse
convinto assertore della scuola alla don Milani o alla Montessori, più che
costringere i “suoi” alunni allo studio ed al rispetto della propria missione
(perché insegnare all’epoca era una missione e non un lavoro) con la staffila…
li costringeva con allettanti iniziative quali quelle che si svolgevano, nel
doposcuola, allo storico ed indimenticabile “Centro di lettura”.
La Scuola per i “signor maestro” e le “signora maestra” degli anni
Sessanta e Settanta (1960/1980) non era una professione … era una missione e
come tale andava oltre il proprio compito “infra mura” (dentro le mura
dell’edificio scolastico).
In quegli anni la domenica e le feste comandate il lavoro della
nostra élite intellettuale (perché di questo si trattava) proseguiva con una
serie d’incontri quali quelli, decisamente indimenticabili, che si svolgevano
all’interno del Circolo di Cultura Enrico Granata.
In quei tempi anche la staffila era... maestra di vita: ... e
cumu avvrinchiava supra 'e manu!
Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Marzo 2011, by Pietro Perri.
Anche se in questo caso non siamo difronte ad una staffila, non me
la sento di tacere su un piccolo fatto che mi è accaduto, non so se alla
seconda o alla terza elementare, presso, appunto, le Scuole Elementari di San Fili.
Personaggi: la signora maestra Maria Ruffolo, il signor maestro
Francesco Stillo e… io (quel tipo di scuola mi ha insegnato tra l’altro che è
cattiva educazione, in una elencazione, quando si scrive, mettersi prima degli
altri).
L’anno? … il 1968 o il 1969.
La signora maestra Maria Ruffolo ed il signor maestro Francesco
Stillo stavano parlando fra di loro non so se del più o del meno o di fatti
inerenti il proprio lavoro. Non so per quale motivo (ovviamente parlo di un
ragazzino che poteva avere al massimo nove o dieci anni), ma qualcosa mi
costrinse ad avvicinarmi alla coppia e a chiamare più volte, inutilmente, la
signora maestra Maria Ruffolo.
Visto la mia inutile insistenza al fine di attirare la sua
attenzione mi lasciai sfuggire un fischio e nel men che non si dica il signor
maestro Francesco Stillo si lasciò sfuggire uno schiaffo che colpì, non senza
lasciarmi di stucco, il mio, all’epoca, delicato visino.
Percepii, comunque, a sommi capi il dialogo che susseguì tra la
signora maestra Maria Ruffolo ed il signor maestro Francesco Stillo.
Dialogo che riporto di seguito.
Maria Ruffolo:
“France’, perché gli hai dato questo schiaffo?”
Francesco Stillo: “Mari’, ha fischiato… per giunta a Scuola!”
Maria Ruffolo:
“Ma l’ha fatto per attirare la mia attenzione, e poi se qualcuno doveva
punirlo questo era compito mio… dopotutto è un mio alunno”.
Francesco Stillo: “Mari’, fischiare anche se per attirare l’attenzione di
qualcuno è comunque segno di cattiva educazione e nel suo caso è cattiva
educazione nei confronti del corpo docente, dell’Istituzione… quindi la
punizione poteva essere inflitta da ognuno di noi”.
Maria Ruffolo:
“Allora, Pietro, cos’è che devi dirmi?”.
Non so, non ricordo, cosa ho risposto alla signora maestra Maria
Ruffolo (una bravissima insegnante che è riuscita d’uno come il sottoscritto a
farne uno dei suoi migliori interlocutori… diversamente non trovo
giustificazione al fatto che tu, affezionato mio unico lettore, ancora legga le
mie assurde divagazioni).
Non so perché, o forse lo so benissimo, ma quello schiaffo mi ha
fatto decisamente meno male di tantissime staffilate. Forse perché tante
staffilate non avevano motivo d’essere ed invece quello schiaffo lo ricordo
ancora oggi, piacevolmente (non per il dolore cagionatomi), come una lezione di
vita e per la vita.
Oggi, infatti, quando mi sento chiamare da qualcuno con un fischio
o quanto mi rendo conto che qualcuno vuole attirare la mia attenzione con un
fischio… faccio finta di non sentirlo e proseguo per la mia strada fintanto che
lo stesso non pronuncia il mio nome o non mi da’ del signore.
Mi chiamano con un fischio? … non mi sembra né di essere una
pecora né di essere un cane.
Che gente maleducata incrocia a volte i miei passi… meriterebbe un
bello schiaffo in faccia… magari dall’erudita mano dell’indimenticabile
carissimo signor maestro Francesco Stillo.
Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Aprile 2011, by Pietro Perri.
Oggi se un insegnante o un professore si permette minimamente a
sfiorare la guancia o il palmo della mano di un proprio alunno... i rischi di
pagare la propria leggerezza amministrativamente e penalmente sono decisamente
alti.
Quando al malcapitato (ma sarà poi veramente malcapitato?) succitato insegnante o professore gli è
andata bene, comunque s’è beccato una bella strigliata, almeno ufficialmente,
dal proprio Dirigente (ex Direttori didattici di Scuole Elementari e Presidi di
Scuole Medie) o una sospensione dal lavoro. Tutto ciò quando, se il fanciullo
non è particolarmente sveglio, non si becca, per fredda e calcolata vendetta di
quest’ultimo, una bella denuncia per pedofilia.
Oggi gli alunni, ma anche i genitori degli alunni e gli stessi
insegnanti, non sono più quelli d’una volta. Oggi... la Scuola, ammettiamolo e
prendiamocene responsabilmente anche la colpa, non è più quella di una volta...
e ce ne stiamo rendendo tristemente conto quasi tutti.
La cosa è decisamente positiva per tantissimi versi e decisamente
negativa per tantissimi altri.
Si è passato, purtroppo e come al solito, da un eccesso ad un
altro.
Si è passato, anche in Italia ed anche nel Sud d’Italia, da un
punto in cui gli unici ad avere diritti erano gli insegnanti ad un punto in cui
gli unici ad avere diritti sono gli alunni (se preparati e consapevoli della
loro forza), i furbi ed i disonesti.
A farne le maggiori spese è sicuramente la formazione delle nuove
leve di questa stupenda Società sempre più sul limite del baratro.
La preparazione degli alunni? … basta guardare come scrivono e
cosa scrivono sulla nuova strada da loro quotidianamente frequentata: i social
network quale Facebook. Non solo lascia a desiderare il loro modo d’esprimersi
nella propria lingua madre (ammesso e non concesso che l’Italiano sia la loro
lingua madre), lasciano purtroppo a desiderare anche la loro preparazione
culturale e persino le loro scelte di link (n.d.r.: collegamenti internet).
Si è passati ad un punto in cui fare gli insegnanti (essere cioè
un magister, un maestro), tranne in piccoli paesi e per alcuni versi in
paesi come quello di San Fili, è tutt’altro che una condizione elitaria.
Oggi, appunto, l’insegnante e il professore sono sempre più... un
pubblico impiegato. Spesso con le stesse capacità della media dei pubblici
impiegati.
Ovviamente non è detto che la colpa di tale ridimensionamento del
proprio status sia colpa sua. Forse il tutto fa parte di un perverso disegno
chi tira le fila del nostro destino di noi italiani dell’inizio del Terzo
Millennio… dei nostri amati/odiati parlamentari.
Un popolo ignorante e senza sale nel cervello, non dimentichiamocelo,
è sempre più facile gestirlo e dirigerlo.
Ma una volta? ... una volta era tutta un’altra cosa.
Le punizioni corporali, e che punizioni, a Scuola erano all’ordine
del giorno, erano... pedagogia.
Schiaffi, vergate, staffilate, libri e quaderni sbattuti in
faccia, alunni sbattuti con la testa alla lavagna o sul banco, alunni costretti
ad inginocchiarsi per terra su un pavimento opportunamente cosparso di ceci,
altri obbligati a mettersi dietro la lavagna stando in silenzio per quasi
l’intera lezione, altri ancora posti, sempre faccia al muro, con un cappello in
testa a forma di cono da cui, lateralmente, facevano capolino due per niente
simpatiche orecchie d’asino.
Altro che il libro Cuore di Edmondo De Amicis: a San Fili la
Scuola ante 1960 (ma anche qualche anno dopo) era anche questo.
Dopotutto alcune di queste punizioni corporali, l’ho
abbondantemente detto precedentemente, le ho subite anch’io (eppure ho
frequentato le Scuole Elementari tra il 1968 ed il 1973).
Stranamente non ho subito quelle psicologiche né posso dire, e non
per vergogna, che nel periodo in cui ho frequentato io la Scuola si sia mai
parlato (o si sia semplicemente ipotizzato) all’interno della stessa di casi di
pedofilia.
Del mio periodo ne ho parlato abbondantemente negli scritti precedenti, questa volta voglio riportare, facendo un volo qualche decennio più indietro... negli anni Venti (1927/1930)... con qualche ricordo rubato all’ancora fresca, per la sua età, memoria di mia madre: Teresina Letizia Rende.
Premetto che mia madre, residente all’epoca in contrada Cucchiano di
Rende frequentava le Scuole Elementari in un edificio all’uopo adibito a Villa
Miceli.
L’edificio scolastico (se così si poteva chiamare) era sito di
fronte all’abitazione del fattore di questa nobile famiglia sanfilese.
Nelle Scuole Elementari di Villa Miceli c’erano solo le classi
dalla prima alla terza e siccome non c’era l’obbligo tassativo di andare oltre
negli studi, buona parte dei nostri genitori e nonni difficilmente
oltrepassavano la soglia tale classe.
E dopotutto, diciamo la verità, per alcuni versi (non se la
prendano a male certi insegnanti dei nostri giorni) quella terza classe delle
Scuole Elementari degli anni Venti val più di un ciclo di scuola dell’obbligo
del primo decennio del Terzo Millennio.
Alla fine di tale “ciclo dell’obbligo”, mi racconta sempre mia
madre, era previsto anche un piccolo esamino... che permetteva appunto di
accedere alla quarta classe.
Per frequentare la quarta classe chi abitava nelle campagne doveva
raggiungere il paese... a piedi. Altri tempi, oggi, anche su questo fronte.
Per leggere il seguito e tant’altro comunque… si dovrà aspettare
la prossima puntata.
Chiedo nel frattempo ai maestri ed agli insegnanti di San Fili di
non prendere tale scritto come una guerra nei loro confronti: è solo un
innocente (?) saggio.
Ovviamente gli stessi o semplicemente qualcuno di loro può
rispondere a tale scritto. La risposta sarà pubblicata in modo integrale.
Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Maggio 2011, by Pietro Perri.
Erano gli Anni Venti (1920/1930), a San Fili, non solo lungo corso
XX Settembre o a Piazza San Giovanni ma anche nelle campagne circostanti e
nella scuola.
Erano gli anni del cambiamento in particolare nella nostra
comunità, la... Comunità Sanfilese. Dopotutto da qualche anno si era da poco
aperta la possibilità per tantissimi dei nostri fanciulli studenti di poter
frequentare le scuole della provincia (licei ecc.) grazie al fatto che la
ferrovia non solo passava per San Fili ma a San Fili aveva la sua stazione
centrale nella cosiddetta linea ferroviaria Cosenza Paola.
Forse ancora non c’era l’indimenticabile littorina, quella con gli
arredamenti stile western, a coprire tale storico percorso ma sicuramente c’era
l’ancor più indimenticabile locomotiva a vapore.
E a scuola? ... le punizioni pedagogiche?
Anche all’epoca a San Fili, all’interno dell’edificio scolastico,
ad aver la meglio erano la staffila e la verga (possibilmente di castagno).
Non so chi insegnava a San Fili in quel periodo e quale erano i
metodi, coercitivi, d’insegnamento utilizzati da tali signor maestro e signora
maestra.
Mia madre, cui devo parte di questo paragrafo, ricorda ancora i
professori Domenico Scola e Alfredo Rose (suocero del caro amico prof. Cesare
Gentile).
Li ricorda in quanto insegnavano (hanno insegnato per un certo
periodo) nell’edificio all’uopo adibito in località Villa Miceli.
Ricorda di come, in qualche caso, alcuni alunni finivano per
essere sbattuti persino con la testa alla lavagna... perché in un modo o in un
altro il sapere in quella testa di zucconi doveva pur entrare. Ricorda di come
una volta la lavagna all’impatto con la testa di uno di questi alunni... si
ruppe: “Quannu propriu ‘unn’e voni”, ci sembra di sentir dire ancora a
questo scalognato insegnante, “cce pocu cchi fare”, dopotutto avevano a
che fare, questi insegnanti, con i figli non solo di contadini ma anche e
soprattutto di contadini calabresi.
Sempre mia madre ricorda di quando un insegnante si “divertiva” a
far tirare le orecchie dalle alunne agli alunni più “turdi di
comprendonio” facendo loro nel contempo dire alle vittime di questo umiliante
gioco: “Ciucciu chi si buonu sulu a mangiare ara mangiatura”.
Nella tragedia quasi simpatica diventava la tecnica usata da uno
dei due succitati insegnanti di toccare, non sempre leggermente a dire il vero,
la testa dell’alunno con una vecchia grande chiave. Il cervello, almeno
simbolicamente, si poteva in tal modo aprire.
A frequentare le scuole elementari di Villa Miceli erano i ragazzi
delle campagne circostanti (contrada Profico, contrada Cucchiano, Jizzi
e via dicendo): mia madre abitava in contrada Cucchiano.
Erano altri tempi? ... sicuramente: erano i tempi del calamaio e
dell’abbecedario, erano i tempi delle olive o dei fichi appassiti in tasca
(altro che le merendine di oggi), erano i tempi in cui persino i bisogni
bisognava andarli a fare fuori dell’aula dietro un cespuglio o dietro un
albero.
Erano altri tempi? ... sicuramente, ma altrettanto sicuramente
erano tempi a scuola s’imparava magari l’indispensabile... ma era un
indispensabile che ci sarebbe rimasto per l’intera vita. E di questo, diciamo
la verità, in parte bisognava ringraziare anche la staffila (simbolo di quegli
insegnanti che odiavano farsi chiamare professore ma pretendevano che ci si
rivolgesse a loro con il più accattivante binomio... “signor maestro”).
La staffila... maestra di vita.
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