SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: La staffila... maestra di vita.

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venerdì 16 settembre 2022

La staffila... maestra di vita.



Foto a sinistra: San Fili 1909 davanti al "palazzo Ciancio alla Croce" (?)... la quarta elementare del maestro De Franco... col maestro De Franco ovviamente sulla sinistra.

Inutile chiedere se si riconosce qualcuno tra i fanciulli presenti nella foto... sicuramente tutti passati a... divini superiori insegnamenti.

La foto è ripresa dalla raccolta Francesco Ciccio Cirillo.

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Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di dicembre 2010, by Pietro Perri.

Se cerchiamo su internet (ma anche sui dizionari cartacei classici) il significato della parola “staffila” abbiamo grosse difficoltà ad imbatterci nel significato che davamo noi studenti delle Scuole Elementari Sanfilesi e coloro che insegnavano in tali Scuole fino alla metà degli anni Settanta, ossia fino a circa il 1975.

Oggi “staffilata” (un derivato della "staffila") può essere persino un tiro di pallone molto forte verso la porta o una critica pungente o persino una censura senza possibilità di contestazione… ovvero, in senso figurato, un colpo di staffile (sostantivo maschile).

Lo staffile (sostantivo maschile) non è altro che una “frusta formata da una lunga e robusta striscia di cuoio assicurata ad un manico” mentre la staffila (sostantivo femminile) pur facendo comunque un male terribile e pur ottenendo all’incirca il medesimo risultato (punire un sottoposto)… era tutt’altra cosa.

La staffila era uno degli strumenti di “correzione” (guida?) utilizzato da quanti insegnavano nelle Scuole Elementari di San Fili appunto fino a circa il 1975, ovvero fino al momento in cui la rivoluzione culturale del 1968 non ha rivoluzionato il modo d’intendere la Scuola ed il sistema pedagogico (pedagogia = guidare il bambino) in essa applicato.

La staffila non era uno staffile (ossia un manico cui era assicurata una striscia di cuoio, una… frusta) e non essendo uno staffile poteva essere formato da materiali di diversa natura ma pur sempre di materiali unici. La staffila aveva una misura variabile come variabile era il materiale con cui poteva essere realizzata: era lunga dai sessanta centimetri ad un metro. Poteva essere ricavata da una canna comune (arundo donax, ovviamente ripulita dalle foglie), da una lista di legno o da una verga (na virga) di castagno.

In tutti i casi l’uso (il fine) era unico: realizzare un collegamento tutt’altro che amichevole tra la mano dell’insegnante (del “signor maestro”) con la mano dell’alunno. Un collegamento, appunto, semplicemente correttivo. Ovviamente in tale collegamento chi ci rimetteva (in quando doveva dare un cambio di percorso alla propria vita senza senso e senza via d’uscita) era sempre e comunque la mano dell’alunno.

L’alunno era obbligato a tenere il braccio dritto con la mano a pugno aperto e ad attendere, tutt’altro che in modo piacevole, che la staffila debitamente tenuta dall’insegnante, librandosi nell’aria finisse a colpire violentemente il palmo della mano del malcapitato.

Di staffilate, quando frequentavo le Scuole Elementari di San Fili (1968/1972), ne ho assaggiato tantissime anch’io ma ciò che oggi ricordo e rimpiango non sono certo le carezzevoli (?) staffilate elargitemi (a volte anche in modo del tutto gratuito) dalla mia insegnante “signora maestra” Maria Ruffolo ma ciò che lei mi ha insegnato con esempi teorici e col proprio esempio di vita: mi ha insegnato l’italiano, mi ha insegnato a leggere ed a scrivere e considerando come s’incavolano spesso e volentieri alcuni miei lettori… credo l’abbia fatto decisamente bene.
Di questo all’insegnante “signora maestra” Maria Ruffolo gliene sarò sempre grato.

La staffila veniva usata per “correggere” un atto di maleducazione o ineducazione, veniva utilizzata per punire un errore di grammatica o di ortografia (a seconda se gli errori erano segnalati in rosso o in blu ovviamente cambiava il numero di staffilate da ricevere… in premio per il proprio impegno di attenzione e di studio) nonché il fatto che magari non si erano fatti i compiti per casa o semplicemente si era dimenticato un libro o un quaderno.
Tutti, nessuno escluso (o quasi) noi alunni eravamo soggetti alla tortura, a volte più psicologica che dolorosa, della staffila.

Ciò che ancora ricordo con terrore, infatti, non era il dolore del… dopo staffilata (ossia del momento in cui la staffila aveva ormai colpito il palmo della mia mano), bensì l’attesa che intercorreva tra l’alzata della staffila ed il suo scontrarsi violento con la tenera carne della mia mano.

Nell’atto dello staffilare a volte, penso… e penso pure male, c’era un non so che di volontà da parte dell'insegnante "signor maestro" di umiliare l'alunno, specie se l'alunno usciva da famiglie meno abbienti o da cui si sapeva si sarebbe avuta l'approvazione dei familiari.
La staffila, infatti, non era per tutti.

Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Gennaio 2011, by Pietro Perri.

La staffilata alle Scuole Elementari? … quasi, se non certo, una fustigazione.
C’erano mille buone scuse, per un insegnante “signor maestro” per utilizzare la staffila. Parliamo ovviamente, mi auguro, di periodi precedenti il 1975.
Era, dopotutto, anche quella una forma di pedagogia tra l’altro approvata dal novanta e più per cento dei nostri genitori di allora.

Non potevano fare altro: mettersi contro un insegnante "signor maestro" (una vera casta) significava far giocare ai propri figli anche il semplice diritto di concludere il primo ciclo di studi, quello delle Scuole Elementari.

All’epoca senza quel pezzo di carta non si poteva fare niente, non si poteva accedere neanche ad un posto semplice di bidello… occupazione oggi ambitissima anche da soggetti plurilaureati.
La licenza elementare era, in quei fantastici (?) anni, un vero e proprio, ambitissimo, “titolo di studio”.

A nulla, infatti, serviva lamentarci, rientrati a casa, d’aver preso qualche staffilata nel corso della mattina. A qualcuno di noi poteva capitare anche di buscare il resto (ovviamente con schiaffi e similari) dai nostri genitori… altri tempi.

E com’era brutto buscare una staffilata senza capire il motivo della stessa e magari con il signor maestro che si accorgeva troppo tardi d’averti dato una staffilata in più e si scusava dicendo: “Non preoccuparti, alla prossima occasione te ne darò una in meno”.

La staffila aveva anche un nome e persino, a detta di qualcuno, un cognome, si chiamava “Margherita”.
Proprio così: si chiamava Margherita”, di nome, “Gonfia Le Dita”, di cognome.

Io appartengo a quella massa (?) di studenti che di staffilate ne ha prese tantissime... almeno negli anni in cui frequentavamo le Scuole Elementari... di San Fili (nel mio caso dal 1967 al 1972... anno più anno meno... purtroppo la mia memoria non è più quella d'una volta).
La staffila, all'epoca, era utilizzata generosamente dai nostri insegnanti, dai nostri "signor maestro" e/o dalla "signora maestra".

Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Febbraio 2011, by Pietro Perri.

All'epoca (l'epoca in cui gli insegnanti delle scuole elementari appunto erano maestri e non professori) i nostri "signor maestro" e "signora maestra" ancor prima d'essere insegnanti di storia, di italiano, geografia, di educazione civica (ma si insegna ancora l’educazione civica nelle scuole elementari?) e di geografia erano anche e soprattutto... maestri di vita.

Erano quelli i tempi (quelli vissuti dallo scrivente) del "signor Direttore" Goffredo Iusi e dei "signor maestro" Raffaele Perri (tra l’altro cugino di mio padre), Eugenio Aiello (vicino di casa della mia famiglia), Eugenio Chiappetta (Socialista con la S maiuscola), Francesco Stillo, Isidoro Apuzzo, Benito Zuccarelli e delle "signora maestra" quale Carolina Salerno, Maria Ruffolo e Ada Trotta.

Ovviamente questi sono i nomi che rientrano nei miei ricordi e sicuramente tantissimi, “signor maestro” e “signora maestra”, involontariamente ed innocentemente sono stati cancellati da tali ricordi.

Tra i succitati insegnanti in tanti mi hanno riferito che il meno terribile era proprio il “signor maestro” Raffaele Perri. Questi, forse convinto assertore della scuola alla don Milani o alla Montessori, più che costringere i “suoi” alunni allo studio ed al rispetto della propria missione (perché insegnare all’epoca era una missione e non un lavoro) con la staffila… li costringeva con allettanti iniziative quali quelle che si svolgevano, nel doposcuola, allo storico ed indimenticabile “Centro di lettura”.

La Scuola per i “signor maestro” e le “signora maestra” degli anni Sessanta e Settanta (1960/1980) non era una professione … era una missione e come tale andava oltre il proprio compito “infra mura” (dentro le mura dell’edificio scolastico).

In quegli anni la domenica e le feste comandate il lavoro della nostra élite intellettuale (perché di questo si trattava) proseguiva con una serie d’incontri quali quelli, decisamente indimenticabili, che si svolgevano all’interno del Circolo di Cultura Enrico Granata.
In quei tempi anche la staffila era... maestra di vita: ... e cumu avvrinchiava supra 'e manu!

Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Marzo 2011, by Pietro Perri.

Anche se in questo caso non siamo difronte ad una staffila, non me la sento di tacere su un piccolo fatto che mi è accaduto, non so se alla seconda o alla terza elementare, presso, appunto, le Scuole Elementari di San Fili.

Personaggi: la signora maestra Maria Ruffolo, il signor maestro Francesco Stillo e… io (quel tipo di scuola mi ha insegnato tra l’altro che è cattiva educazione, in una elencazione, quando si scrive, mettersi prima degli altri).
L’anno? … il 1968 o il 1969.

La signora maestra Maria Ruffolo ed il signor maestro Francesco Stillo stavano parlando fra di loro non so se del più o del meno o di fatti inerenti il proprio lavoro. Non so per quale motivo (ovviamente parlo di un ragazzino che poteva avere al massimo nove o dieci anni), ma qualcosa mi costrinse ad avvicinarmi alla coppia e a chiamare più volte, inutilmente, la signora maestra Maria Ruffolo.

Visto la mia inutile insistenza al fine di attirare la sua attenzione mi lasciai sfuggire un fischio e nel men che non si dica il signor maestro Francesco Stillo si lasciò sfuggire uno schiaffo che colpì, non senza lasciarmi di stucco, il mio, all’epoca, delicato visino.

Percepii, comunque, a sommi capi il dialogo che susseguì tra la signora maestra Maria Ruffolo ed il signor maestro Francesco Stillo.
Dialogo che riporto di seguito.

Maria Ruffolo: “France’, perché gli hai dato questo schiaffo?
Francesco Stillo: “Mari’, ha fischiato… per giunta a Scuola!
Maria Ruffolo: “Ma l’ha fatto per attirare la mia attenzione, e poi se qualcuno doveva punirlo questo era compito mio… dopotutto è un mio alunno”.
Francesco Stillo: “Mari’, fischiare anche se per attirare l’attenzione di qualcuno è comunque segno di cattiva educazione e nel suo caso è cattiva educazione nei confronti del corpo docente, dell’Istituzione… quindi la punizione poteva essere inflitta da ognuno di noi”.
Maria Ruffolo: “Allora, Pietro, cos’è che devi dirmi?”.

Non so, non ricordo, cosa ho risposto alla signora maestra Maria Ruffolo (una bravissima insegnante che è riuscita d’uno come il sottoscritto a farne uno dei suoi migliori interlocutori… diversamente non trovo giustificazione al fatto che tu, affezionato mio unico lettore, ancora legga le mie assurde divagazioni).

Non so perché, o forse lo so benissimo, ma quello schiaffo mi ha fatto decisamente meno male di tantissime staffilate. Forse perché tante staffilate non avevano motivo d’essere ed invece quello schiaffo lo ricordo ancora oggi, piacevolmente (non per il dolore cagionatomi), come una lezione di vita e per la vita.

Oggi, infatti, quando mi sento chiamare da qualcuno con un fischio o quanto mi rendo conto che qualcuno vuole attirare la mia attenzione con un fischio… faccio finta di non sentirlo e proseguo per la mia strada fintanto che lo stesso non pronuncia il mio nome o non mi da’ del signore.

Mi chiamano con un fischio? … non mi sembra né di essere una pecora né di essere un cane.
Che gente maleducata incrocia a volte i miei passi… meriterebbe un bello schiaffo in faccia… magari dall’erudita mano dell’indimenticabile carissimo signor maestro Francesco Stillo.

Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Aprile 2011, by Pietro Perri.

Oggi se un insegnante o un professore si permette minimamente a sfiorare la guancia o il palmo della mano di un proprio alunno... i rischi di pagare la propria leggerezza amministrativamente e penalmente sono decisamente alti.

Quando al malcapitato (ma sarà poi veramente malcapitato?)  succitato insegnante o professore gli è andata bene, comunque s’è beccato una bella strigliata, almeno ufficialmente, dal proprio Dirigente (ex Direttori didattici di Scuole Elementari e Presidi di Scuole Medie) o una sospensione dal lavoro. Tutto ciò quando, se il fanciullo non è particolarmente sveglio, non si becca, per fredda e calcolata vendetta di quest’ultimo, una bella denuncia per pedofilia.

Oggi gli alunni, ma anche i genitori degli alunni e gli stessi insegnanti, non sono più quelli d’una volta. Oggi... la Scuola, ammettiamolo e prendiamocene responsabilmente anche la colpa, non è più quella di una volta... e ce ne stiamo rendendo tristemente conto quasi tutti.
La cosa è decisamente positiva per tantissimi versi e decisamente negativa per tantissimi altri.
Si è passato, purtroppo e come al solito, da un eccesso ad un altro.

Si è passato, anche in Italia ed anche nel Sud d’Italia, da un punto in cui gli unici ad avere diritti erano gli insegnanti ad un punto in cui gli unici ad avere diritti sono gli alunni (se preparati e consapevoli della loro forza), i furbi ed i disonesti.
A farne le maggiori spese è sicuramente la formazione delle nuove leve di questa stupenda Società sempre più sul limite del baratro.

La preparazione degli alunni? … basta guardare come scrivono e cosa scrivono sulla nuova strada da loro quotidianamente frequentata: i social network quale Facebook. Non solo lascia a desiderare il loro modo d’esprimersi nella propria lingua madre (ammesso e non concesso che l’Italiano sia la loro lingua madre), lasciano purtroppo a desiderare anche la loro preparazione culturale e persino le loro scelte di link (n.d.r.: collegamenti internet).

Si è passati ad un punto in cui fare gli insegnanti (essere cioè un magister, un maestro), tranne in piccoli paesi e per alcuni versi in paesi come quello di San Fili, è tutt’altro che una condizione elitaria.

Oggi, appunto, l’insegnante e il professore sono sempre più... un pubblico impiegato. Spesso con le stesse capacità della media dei pubblici impiegati.

Ovviamente non è detto che la colpa di tale ridimensionamento del proprio status sia colpa sua. Forse il tutto fa parte di un perverso disegno chi tira le fila del nostro destino di noi italiani dell’inizio del Terzo Millennio… dei nostri amati/odiati parlamentari.

Un popolo ignorante e senza sale nel cervello, non dimentichiamocelo, è sempre più facile gestirlo e dirigerlo.
Ma una volta? ... una volta era tutta un’altra cosa.
Le punizioni corporali, e che punizioni, a Scuola erano all’ordine del giorno, erano... pedagogia.

Schiaffi, vergate, staffilate, libri e quaderni sbattuti in faccia, alunni sbattuti con la testa alla lavagna o sul banco, alunni costretti ad inginocchiarsi per terra su un pavimento opportunamente cosparso di ceci, altri obbligati a mettersi dietro la lavagna stando in silenzio per quasi l’intera lezione, altri ancora posti, sempre faccia al muro, con un cappello in testa a forma di cono da cui, lateralmente, facevano capolino due per niente simpatiche orecchie d’asino.

Altro che il libro Cuore di Edmondo De Amicis: a San Fili la Scuola ante 1960 (ma anche qualche anno dopo) era anche questo.
Dopotutto alcune di queste punizioni corporali, l’ho abbondantemente detto precedentemente, le ho subite anch’io (eppure ho frequentato le Scuole Elementari tra il 1968 ed il 1973).

Stranamente non ho subito quelle psicologiche né posso dire, e non per vergogna, che nel periodo in cui ho frequentato io la Scuola si sia mai parlato (o si sia semplicemente ipotizzato) all’interno della stessa di casi di pedofilia.

Del mio periodo ne ho parlato abbondantemente negli scritti precedenti, questa volta voglio riportare, facendo un volo qualche decennio più indietro... negli anni Venti (1927/1930)... con qualche ricordo rubato all’ancora fresca, per la sua età, memoria di mia madre: Teresina Letizia Rende.

Premetto che mia madre, residente all’epoca in contrada Cucchiano di Rende frequentava le Scuole Elementari in un edificio all’uopo adibito a Villa Miceli.
L’edificio scolastico (se così si poteva chiamare) era sito di fronte all’abitazione del fattore di questa nobile famiglia sanfilese.

Nelle Scuole Elementari di Villa Miceli c’erano solo le classi dalla prima alla terza e siccome non c’era l’obbligo tassativo di andare oltre negli studi, buona parte dei nostri genitori e nonni difficilmente oltrepassavano la soglia tale classe.

E dopotutto, diciamo la verità, per alcuni versi (non se la prendano a male certi insegnanti dei nostri giorni) quella terza classe delle Scuole Elementari degli anni Venti val più di un ciclo di scuola dell’obbligo del primo decennio del Terzo Millennio.

Alla fine di tale “ciclo dell’obbligo”, mi racconta sempre mia madre, era previsto anche un piccolo esamino... che permetteva appunto di accedere alla quarta classe.
Per frequentare la quarta classe chi abitava nelle campagne doveva raggiungere il paese... a piedi. Altri tempi, oggi, anche su questo fronte.

Per leggere il seguito e tant’altro comunque… si dovrà aspettare la prossima puntata.
Chiedo nel frattempo ai maestri ed agli insegnanti di San Fili di non prendere tale scritto come una guerra nei loro confronti: è solo un innocente (?) saggio.
Ovviamente gli stessi o semplicemente qualcuno di loro può rispondere a tale scritto. La risposta sarà pubblicata in modo integrale.

Dal "Notiziario Sanfilese" del mese di Maggio 2011, by Pietro Perri.

Erano gli Anni Venti (1920/1930), a San Fili, non solo lungo corso XX Settembre o a Piazza San Giovanni ma anche nelle campagne circostanti e nella scuola.

Erano gli anni del cambiamento in particolare nella nostra comunità, la... Comunità Sanfilese. Dopotutto da qualche anno si era da poco aperta la possibilità per tantissimi dei nostri fanciulli studenti di poter frequentare le scuole della provincia (licei ecc.) grazie al fatto che la ferrovia non solo passava per San Fili ma a San Fili aveva la sua stazione centrale nella cosiddetta linea ferroviaria Cosenza Paola.

Forse ancora non c’era l’indimenticabile littorina, quella con gli arredamenti stile western, a coprire tale storico percorso ma sicuramente c’era l’ancor più indimenticabile locomotiva a vapore.
E a scuola? ... le punizioni pedagogiche?
Anche all’epoca a San Fili, all’interno dell’edificio scolastico, ad aver la meglio erano la staffila e la verga (possibilmente di castagno).

Non so chi insegnava a San Fili in quel periodo e quale erano i metodi, coercitivi, d’insegnamento utilizzati da tali signor maestro e signora maestra.
Mia madre, cui devo parte di questo paragrafo, ricorda ancora i professori Domenico Scola e Alfredo Rose (suocero del caro amico prof. Cesare Gentile).
Li ricorda in quanto insegnavano (hanno insegnato per un certo periodo) nell’edificio all’uopo adibito in località Villa Miceli.

Ricorda di come, in qualche caso, alcuni alunni finivano per essere sbattuti persino con la testa alla lavagna... perché in un modo o in un altro il sapere in quella testa di zucconi doveva pur entrare. Ricorda di come una volta la lavagna all’impatto con la testa di uno di questi alunni... si ruppe: “Quannu propriu ‘unn’e voni”, ci sembra di sentir dire ancora a questo scalognato insegnante, “cce pocu cchi fare”, dopotutto avevano a che fare, questi insegnanti, con i figli non solo di contadini ma anche e soprattutto di contadini calabresi.

Sempre mia madre ricorda di quando un insegnante si “divertiva” a far tirare le orecchie dalle alunne agli alunni più “turdi di comprendonio” facendo loro nel contempo dire alle vittime di questo umiliante gioco: “Ciucciu chi si buonu sulu a mangiare ara mangiatura”.

Nella tragedia quasi simpatica diventava la tecnica usata da uno dei due succitati insegnanti di toccare, non sempre leggermente a dire il vero, la testa dell’alunno con una vecchia grande chiave. Il cervello, almeno simbolicamente, si poteva in tal modo aprire.

A frequentare le scuole elementari di Villa Miceli erano i ragazzi delle campagne circostanti (contrada Profico, contrada Cucchiano, Jizzi e via dicendo): mia madre abitava in contrada Cucchiano.

Erano altri tempi? ... sicuramente: erano i tempi del calamaio e dell’abbecedario, erano i tempi delle olive o dei fichi appassiti in tasca (altro che le merendine di oggi), erano i tempi in cui persino i bisogni bisognava andarli a fare fuori dell’aula dietro un cespuglio o dietro un albero.

Erano altri tempi? ... sicuramente, ma altrettanto sicuramente erano tempi a scuola s’imparava magari l’indispensabile... ma era un indispensabile che ci sarebbe rimasto per l’intera vita. E di questo, diciamo la verità, in parte bisognava ringraziare anche la staffila (simbolo di quegli insegnanti che odiavano farsi chiamare professore ma pretendevano che ci si rivolgesse a loro con il più accattivante binomio... “signor maestro”).
La staffila... maestra di vita.

 

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