Quella che
stiamo per raccontarvi è una storia successa tra la fine del XVIII secolo e
l'inizio del XIX: vera o falsa non si sa', fatto sta che era uno dei pezzi
forti che i nostri nonni raccontavano quando, in assenza del televisore,
l'intera famiglia si riuniva attorno al focolare.
In questa
storia c'è di tutto: il ricordo di qualche passo dei "Promessi
Sposi", del "Decamerone" e persino del "Giulietta e
Romeo" di Shakespeare; morti apparenti, amori senza confini, frati poco
legati alla loro promessa di castità, la classica dabbenaggine di qualche
comparsa e persino il ritornello d'una canzone popolare che ricorda tanto il
motivetto de "la ballata da baronessa di Carini".
E' questa
una di quelle classiche storie che restavano impresse nella memoria dei bambini
dell'era pre-computerana... ed è giusto che venga salvata.
Tanto ma
tanto tempo fa, la nostra Chiesa del Ritiro non era il semplice coronamento
d'una vita di stenti di tanti Sanfilesi, ma anche e soprattutto una chiesa
conventuale di spicco nell'intera provincia cosentina.
Un convento
che, a sentir quanto riferiscono le solite malelingue, non solo per un certo
periodo fu luogo di rifugio e ristoro per alcuni briganti e reazionari, ma
anche e soprattutto per alcuni frati dalla dubbia moralità.
In quanto chiesa,
comunque, aveva al suo interno la sua bella cripta che funzionava, come in
tutte le altre chiese del paese, anche da fossa comune. La gente, spesso
lasciando i propri averi ai religiosi, sperando magari di conquistarsi un
posticino al sole nella vita ventura, a secondo del santo o della santa cui si
rivolgeva, poteva, di volta in volta, esprimere il desiderio d'essere
seppellito in questo o in quell'altro edificio consacrato.
Si dice, qui
lo dico e qui lo nego, d'un frate ospite del succitato convento, debitamente
ricambiato, pazzamente innamoratosi d'una paesana per giunta coniugata. Un
amore (quello profano) a prima vista impossibile, ma... ben si sa che la
necessità, anche in casi come questi, può aguzzare l'ingegno.
Detto fatto:
uno strano intruglio bevuto dalla donna, la sopraggiunta morte e la promessa
fattasi fare precedentemente dal marito d'essere seppellita nella cripta della
chiesa di Santa Maria degli Angeli.
Passa
qualche tempo ed un compare della sventurata coppia che aveva un pezzo di terra
nei pressi della sacra costruzione, scorge da una finestra una donna dalle
familiari sembianze intenta a pettinarsi. Poco dopo un frate che le si
avvicina, l'abbraccia e la bacia.
Sarà stato
il vino di quella mattina a fargli "u spirdu", diversamente tutto
ciò non si capirebbe: la comare, infatti, era ben morta e seppellita.
La seconda
mattina il fatto si ripete e così anche la terza, tanto che lo sventurato si
decide ad andare dal marito della donna a raccontargli l'accaduto... sicuro
d'essere preso per pazzo: come si sarebbe potuto mettere in dubbio il funesto
evento e la indiscussa moralità dei religiosi?
La quarta
mattina a lavorare quel pezzo di terra oltre al compare c'era anche
l'inconsolabile vedovo e altri due amici di famiglia: tutta gente per bene,
onesta e devota... e anche quella mattina, alla stessa finestra, riecco la
familiare figura femminile di nuovo intenta a pettinarsi.
Non c'erano
dubbi: la morta... morta non era ma viva e vegeta.
Cosa fare:
denunciare il tutto alle forze dell'ordine (col rischio d'essere presi per
pazzi), o far finta di niente facendola far franca all'adultera ed al suo
amante?
Per il
momento era necessario in ogni caso mettere sull'avviso i due lestofanti sul
fatto che comunque loro sapevano e che a tempo debito avrebbero messo in chiaro
più d'una cosettina.
La sera
stessa il "fu vedovo" sempre più inconsolabile con un gruppo di
amici, zampogne sulle spalle, si recano nei pressi del convento ed intonano,
evidentemente rivolto al frate, il seguente ritornello:
"Vorra'
sapire si la morta è morta / o puramente si la morta è viva, / ca ma de dare
cuntu de la morta, / ca da finestra tua l'e vista viva".
Sicuri
d'aver dato una sonora lezione al frate ed all'adultera mogliettina e messisi
le zampogne in spalla, si apprestavano a rientrare all'abitato... se non che,
sempre a mo' di ritornello, si sentì una strana voce (maschile) prendere forma
dalla finestra incriminata, recitare la seguente strofa:
"Finché
su vivu io, la morta è morta. / Quannu su muartu io, la morta è viva".
(Con
variante della seconda affermazione "Quannu su muartu io, si vive è
viva.").
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