SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: RACCONTI DEL FOCOLARE A SAN FILI: 'Ntontarieddru e ri briganti.

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venerdì 29 aprile 2022

RACCONTI DEL FOCOLARE A SAN FILI: 'Ntontarieddru e ri briganti.



A sinistra: statua di sant'Antonio abate a San Fili.

Foto archivio Francesco Ciccio Cirillo.

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Nel mese di giugno del 2000, un anziano signore della nostra comunità (Antonio Noto?), lontano discendente di un certo "Ntontarieddru", personaggio vissuto a San Fili tra la seconda metà del XVIII e la prima del XIX secolo, mi chiese, di scrivere un articolo su un suo avo.

Il tutto, ovviamente, più per una provocazione verso un certo modo, decisamente poco apprezzabile, di fare da parte degli esperti delle Belle Arti della provincia di Cosenza (non mi dispiacerebbe che mi dimostrassero gli stessi, dati alla mano, quanto mi sbaglio con tale affermazione... ma decisamente era meglio che a San Fili non ci avessero mai messo piede) che per ricordare il simpatico fatticino legato a questo suo avo.

Qual era il problema sorto, in questo caso (perché degli altri casi, vedasi gli interventi operati dalle Belle Arti su diversi edifici religiosi del paese, preferisco tacere) particolare? ... semplice: si era provveduto a restaurare la statua, custodita nell'omonima chiesa, di sant'Antonio abate.

Tutto perfetto, se non fosse per il fatto che dalla stessa sembra, a restauro finito, sia sparita una certa scritta che recitava all'incirca queste parole: "A devozione di Antonio Carpanzano e moglie", ovviamente per un certo scampato pericolo passato dal Carpanzano e di cui diremo nel prosieguo di questo simpatico racconto.

Non me ne vogliano né le Belle Arti né tantomeno il parroco del nostro paese per quanto sto dicendo... non sono qui per fare polemica alcuna con chicchessia, né penso che valga la pena di fare polemica per una semplice annotazione di devozione trascritta sul basamento della statua di un santo, ma il citato anziano signore mi ha detto d'essersi lamentato, invano, con chi di dovere per l'oltraggio subito dalla propria storica memoria familiare.

Purtroppo non posso dare torto neanche a quest'ultimo: se qualcuno mi dice che non è giusto che sulle statue di santi, conservate nelle nostre chiese, compaiano tali scritte... che spariscano tutte le scritte similari (... senza soppesare se siano le stesse più o meno "gentilizie") o che si provveda a ripristinare, senza perdere ulteriore tempo, quella citata in questo pezzo giornalistico (se è già stato fatto, scusatemi ma non ne ero a conoscenza).

Mi sembrava di secondaria importanza questo più o meno simpatico racconto (mi scuso ovviamente con Antonio Noto per averlo sottovalutato) e quindi decisi di archiviarlo in attesa di saperne qualcosa in più in merito. A qualche mese di distanza da ciò, parlando del più e del meno con l'amico Mario Oliva (in effetti mi serviva sapere qualcosa in merito ad una certa versione un po' osé della "Quadara chjina d'oro" che si trova ai piedi "du Canalicchiu") lo stesso mi tira di nuovo in ballo la storia di "Ntontariaddru e i briganti".

"Petru', merita d'esse' pubblicata", furono le sue parole.

La sua versione cambiava leggermente nei confronti della versione riferitami dal Noto... ma il filo conduttore era identico e quindi il tutto meritava d'essere preso in debita considerazione. Il fatto, seppure nelle sue varianti, era veramente successo e faceva parte dei mitici racconti dei nostri nonni seduti intorno al focolare.

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Tanti nomi dati a particolari luoghi del nostro paese (nel centro abitato e fuori dallo stesso) nascono o da particolarità degli stessi (vedasi i casi di "Chiarieddru", "a Rampa", "u Timpune", "Manca", "Destra", "u Canalicchiu" e via dicendo) o dal nome (in assenza del soprannome) del personaggio o della famiglia che è stata proprietaria nei secoli passati del luogo o di qualcosa che si trovava nello stesso (vedasi i casi de "a curv'e su' 'Ndria", "u Curciu 'e Catalanu", "Cucunatu", "u pont'e Picciune, "a curv'e Marrupiatru" ecc.).

A questa seconda schiera fa parte anche una particolare zona delle montagne circostanti il nostro pittoresco paesino: "Ntontarieddru".

Anche se serve a ben poco al fatticino che sto per raccontarvi (ossia al mitico rapimento di questo eccezionale personaggio vissuto a San Fili nel corso del XIX secolo), non guasta rinfrescare la mente dei nostri anziani su alcuni nomi di luoghi che hanno segnato in modo indelebile la loro stessa vita.

Vi dirò, conseguentemente, come si arriva alla zona denominata "Ntontariaddru".

Incamminandoci, da piazza San Giovanni, per la strada che costeggia sulla sinistra il Cinema Teatro comunale di San Fili, dopo qualche centinaia di metri si raggiunge la villa degli emigranti dove spadroneggia imperioso (si fa per dire, in quanto da' più l'impressione d'essere un povero vecchio addormentato, decisamente annoiato nel continuare ad osservare le scelleratezze dei suoi concittadini, che non ciò che per tanti secoli, a memoria dei nostri anziani, ha rappresentato per la nostra comunità) il famosissimo "Curc'e Catalanu".

In altri tempi, ossia fino all'avvento dell'Amministrazione firmata Zuccarelli, v'avrei potuto anche dire di proseguire per quella stupenda discesa che porta al ponte delle "Jumiceddre" (così denominato perché proprio dov'è stata realizzato il ponte stesso si uniscono i due principali corsi d'acqua che alimentano quel torrente che tutti conosciamo col nome di "Jume Emoli"). 

Dico "in altri tempi" poiché oggi, causa una frana che nel suddetto periodo (... senza colpa della succitata Amministrazione, s'intende!) ha distrutto buona parte della stradella che unisce "u Chianu Mulinu" (alias villa degli emigranti, alias "Curc'e Catalanu") con il ponte de "Jumiceddre"... stradella mai ricostruita... in quanto i nostri amministratori (giunta Zuccarelli - 1993/1995, commissariato Sirimarco - 1995/1996, giunta Carbotti - 1996/2000, giunta Bruno 2000/...) erano e sono impegnati, contemporaneamente, in chissà quale altra cosa.

Senza oltrepassare il ponte delle "Jumiceddre", che è uno dei tre ponti in pietra che si trovano lungo il corso del torrente Emoli, ma proseguendo per quella viuzza che si trova alla destra dello stesso, costeggiando "u scarazziaddru" (dal greco antico: luogo dove, opportunamente divise dagli agnelli, venivano e/o vengono rinchiuse le pecore) si arriva alla "Formicùla", si costeggia "u Fuassu du Chiagatu" (celebre perché ci garantisce gran parte dell'acqua, quella buona, che scorre dai rubinetti di casa nostra) e quindi si arriva alla nostra desiata meta: "a terr'e 'Ntontariaddru".

A proposito dei ponti in pietra che si trovano lungo il corso del torrente Emoli: il secondo è quello denominato "Crispini" (che ha resistito per più secoli alle intemperie della natura è alla mano malvagia dell'uomo... ma che non ha avuto la forza di resistere alla scelleratezza di quanti hanno lavorato in questi ultimi anni al fantasioso progetto di recuperare la vecchia centrale idroelettrica di San Fili), mentre il terzo, unico sopravvissuto indenne all'operato disastroso degli interventi pubblici realizzati in questi ultimi vent'anni dai nostri illuminati amministratori... sicuramente perché ancora non sanno neanche che esiste... scusatemi se non vi dico qual è né dov'è... ma preferisco, per il suo bene, che continui a restare segreto.

La terra di "Ntontariaddu" sembra, in base a quanto si tramanda da padre in figlio, ossia per notizie sentite dai nostri anziani, sia stata acquistata con i soldi "fregati" da questo simpatico personaggio, ai briganti che l'avevano rapito e da cui miracolosamente era riuscito a scappare.

Una storia, quella, del rapimento di "Ntontariaddru" e del tesoro dei briganti di cui lo stesso è venuto in possesso, che, malgrado alcune varianti, viene raccontata da più di uno dei nostri anziani. Anche questa fa parte integrante degli ormai famosi "racconti del focolare".
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A sinistra: facciata principale e sagrato della chiesa di sant'Antonio abate di San Fili.
Foto by Pietro Perri.

Siamo intorno alla fine del XVIII secolo. Le montagne intorno a San Fili erano stracolme di briganti della peggior specie e ciò le rendeva decisamente pericolose per la brava gente che, per mille ed uno motivi, era costretta ad avventurarvisi.

A quei tempi era necessario attraversarle sia per andare da un paese all'altro a trovare questo o quell'altro parente, sia perché le nostre montagne per tante famiglie significavano l'unico mezzo di sostentamento di vita che loro avevano a disposizione, sia per gli scambi commerciali che intercorrevano tra le varie comunità al di qua e al di là delle montagne stesse.

I briganti (... mi piacerebbe sapere se a tutt'oggi ci sono discendenti di questa brava gente nella nostra comunità... sapendolo, si riuscirebbe a capire meglio il comportamento degli stessi... in quanto buon sangue e difficile che menta!), consapevoli che da ognuno si potesse ricavare qualcosa, a quanti riuscivano a far cadere nella loro trappola o li spogliavano di quanto avevano in quel momento addosso, o li costringevano a promettere complicità alle loro bieche azioni (rifornimento viveri, informazioni varie ecc.) o, se erano a conoscenza che gli stessi erano detentori della benché minima proprietà, li rapivano e chiedevano un giusto riscatto ai familiari.

'Ntontariaddru (Carpanzano Antonio secondo il racconto di Antonio Noto), piccolo proprietario sanfilese, cadde in una imboscata tesagli dai briganti... più o meno nella zona detta "a Vuccaglia", un tempo coltivata e quindi fruttuosa. Da tale zona si può facilmente raggiungere Marano.

I briganti fecero arrivare ai familiari di 'Ntontariaddru le loro richieste di riscatto. Nel frattempo, ritenendo le montagne circostanti San Fili alquanto pericolose per gestire le trattative, cedettero, e quindi trasferirono, il proprio ostaggio ad una banda consorella che operava nella Sila.

Ai piedi della Sila, di fatti, si sarebbero dovuti successivamente incontrare i briganti con gli emissari della famiglia di Ntontariaddru per fare lo scambio tra il riscatto pattuito e il rapito. A portare il riscatto ai rapitori si era recato lo stesso padre di Antonio.

Volle la sorte che 'Ntontariaddru riuscì non solo a scappare, per un caso che a sentirla raccontare ad un altro anziano del paese (il mitico Mario Oliva) ha in sé del miracoloso, ai propri rapitori ma anche e soprattutto a fregar loro parte dei bottini di precedenti rapimenti.

Quella sera infatti gli uomini rimasti a guardia del rapito e del rifugio si dettero alla pazza gioia e quindi caddero facile preda di un sonno profondo... non senza però aver prima ubriacato per bene l'ostaggio (o così per lo meno credevano... si vede che non conoscevano bene i sanfilesi), avergli legato le mani dietro la schiena, i piedi e, come se ciò non bastasse, aver collegato una corda tra i piedi del rapito ed una loro mano (di modo che se si muoveva, comunque li avrebbe svegliati).

'Ntontariaddru, che nei giorni di permanenza nel rifugio aveva avuto modo di vedere dove i rapitori nascondessero le proprie ricchezze, in tale situazione, dava l'impressione d'essere veramente un salame.

Miracolosamente, dicevamo, slegatosi, senza farne accorgere ai rapitori di guardia, riuscì a scappare portandosi dietro una cospicua parte del tesoro dei briganti. Nella sua fuga ebbe tra l'altro la fortuna d'imbattersi nel padre che proprio quel giorno stava portando il riscatto ai banditi nel luogo dagli stessi convenuto.

Più veloce del vento fu il loro dietrofront col rientro a San Fili a riabbracciare i propri cari.

Secondo tali racconti (quelli di Mario Oliva e Antonio Noto), il nostro 'Ntontariaddru con quanto era riuscito ad arraffare nel covo dei briganti, comprò alcune proprietà in montagna che ancora oggi vengono indicate col nomignolo di questo scaltro personaggio, ovvero "u fuassu 'e 'Ntontariaddru".

Secondo Antonio Noto (storia, mi prega di sottolinearlo, raccontata da padre in figlio) con parte del bottino venne realizzata, a ringraziamento dello scampato pericolo, la statua di Sant'Antonio Abate che si trova custodita nell'omonima chiesetta del paese.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Come al solito le tue storie sono sempre incredibilmente interessanti, belle e divertenti! Grazie per questi tuoi particolari momenti di vita trascorsa o presente di San Fili, Grazie enza