Foto a
sinistra ripresa dal web.
Articolo di Pietro Perri.
*
* *
La storia
che questa volta ti voglio raccontare, non ha tempi e se li ha... sono tempi
d’altri tempi: prima del 1900, certamente. La storia ha titolo "u
surd’e Carlucciu": sicario di professione, leggenda per vocazione.
Viveva a San
Fili, u surd’e Carlucciu, e, almeno per quei tempi, era certamente
una persona, oltre che di buona forchetta, che sapeva rispettare la tavola cui
era invitato a presenziare.
Molti, mi ha
raccontato mio nonno che a sua volta gli aveva raccontato il padre che a sua
volta gli aveva raccontato il nonno, l’invitavano a pranzo o a cena: un
boccone, a quei tempi, non si negava a nessuno. Erano, appunto, altri tempi.
Un vero
signore, u surd’e Carlucciu, un sanfilese di quelli che in giro non
se ne trovano più. Un vero signore e come tale incapace di restare in debito
con qualcuno. All’ultimo boccone, infatti, non poteva fare a meno di chiedere
al proprio commensale: "Avissiti, per casu, ‘ncunu chi vi vo’ male o
chi v’ha fattu ‘ncuna cosa de bruttu? ... ca dumane chissu, nun camina cchiu’!".
...
qualcuno, pensando che scherzasse, gli faceva nome e cognome del proprio
avversario: il secondo giorno a San Fili c’era nuovo lavoro per il becchino.
Una testa era stata troncata di netto ad un nostro compaesano.
Altri,
consapevoli di quanto si diceva intorno alla figura de u surd’e
Carlucciu, misuravano adeguatamente le parole.
U surd’e
Carlucciu, si diceva
e si dice ancora, avesse sotto il mantello un’affilatissima piccola accetta (na
‘ccetta scugnata, per la precisione), una destrezza da prestigiatore ed una
capacità di gestirla quasi chirurgicamente: gli bastava un solo colpo e la
testa del malcapitato sarebbe rotolata per terra.
Anche fra
cento persone quasi nessuno si sarebbe accorto di niente. Anche fra cento
persone, si sarebbe visto solo la testa cadere da una parte ed il corpo
dall’altra... quasi nessuno si sarebbe accorto di niente... quasi.
Una donna,
in quel lontano giorno del Signore, se ne accorse ed ebbe la scelleratezza di
gridarlo ai quattro venti, mettendo la parola fine ad una storia che avrebbe
potuto continuare ancora per diversi anni.
Erano sulla
scala della Chiesa Madre, all’uscita della Santa Messa, e quanto tutti
guardavano atterriti quel corpo cadere per terra e la testa del malcapitato
contare gli scalini della scala stessa, ecco che si sente una donna gridare:
"E’ statu u surd’e Carlucciu, l’aju vistu, è statu u surd’e Carlucciu!".
Già i
carabinieri avevano agguantato il galantuomo che questi, voltandosi verso la
donna, ebbe il tempo di dire con disprezzo: "Maria Gra’, n’aju tagliatu
vinti capu, ma ti giuru ca si iasciu vivu da galera... cu ra tua su vint’unu!".
Non mantenne
la promessa, ma non per sua colpa... non usci vivo dalla galera (quando vi era
entrato aveva ormai oltrepassato la terza, se non la quarta, giovinezza).
Del
protagonista di questa stupenda storia, resta ancora nella mente dei nostri
anziani il tramandato ricordo di quanto questi disse al giudice nel momento che
il giudice lo condannò a vent’anni di galera.
Vent’anni, a
lui che ne aveva forse ottanta.
"Signor
giudice, senz’offesa, chiri chi puazzu fare e fazzu, chiri chi nun puazzu fare
vorrà dire ca e faciti vussuria!"
Non so
quanto ci sia di vero e quanto di leggendario in questo racconto, ma...
credetemi, non ho potuto fare a meno di riportarlo. Era questo uno dei tanti
racconti che i nostri bisnonni, in assenza della televisione, raccontavano ai
familiari seduti a cerchio intorno al focolare.
Erano storie... d’altri tempi.
Nessun commento:
Posta un commento