A sinistra: Eracle bambino uccide un serpente nella culla.
Musei capitolini (foto ripresa dal web).
Tanto
e tanto tempo fa (non poi tanto a dire il vero visto che siamo nella prima metà
del XX secolo) a San Fili circolavano non solo serpenti giganteschi ma anche
serpenti sucalatte (succhia latte).
Era
il tempo in cui entrare in una casa, vista le migliaia di fori che c’erano nei
muri, per una serpe era cosa decisamente facile.
Tra
le varie visitatrici, rettili, delle case dei nostri nonni, sembra ce ne
fossero alcune che adoravano succhiare il latte dal seno delle donne… rubando
il prezioso alimento ai piccoli in fasce che proprio per questo motivo avevano
grossi problemi a mettere su carne e quindi a crescere come madre natura
impone.
Sembra
che tali serpi, per niente assassine (dopotutto era nel loro interesse
preservare sia la vita della donna che doveva allattare che del bimbo che
doveva essere allattato) a dire il vero, ipnotizzando (e quindi addormentando)
le balie in fase di allattamento e iniziando a succhiare dal capezzolo delle
stesse, per tener buono il bambino mettevano nella bocca di quest’ultimo, a mo’
di ciuccetto, la propria coda.
Sarà
vero? … c’è chi dice si!
* * *
Si
era nel periodo compreso tra le due grandi guerre: la prima e la seconda Guerra
Mondiale.
Un
periodo questo caratterizzato da una gravissima crisi economica (tutte le
grandi guerre sono precedute o da una gravissima crisi economica… o da grandi
interessi economici… o da entrambi, ma sempre problemi a sfondo economico).
Quando
c’è crisi in giro, tranne chi sta bene, tutti stanno decisamente male… specie i
ceti meno abbienti.
San
Fili, in quel periodo, era la regola che confermava la regola… non l’eccezione.
Quello
che però caratterizzava i paesini come San Fili nel succitato periodo storico
era che… a tutto dava una giustificazione… se non logica comunque
misteriosamente (sovrumanamente) accettabile.
E’
in tali periodi, infatti, che soggetti quali u monachieddhru, o u
tesoru da scisa du canalicchiju cc uri diavuli pronti a ti fricare l’anima ccu
tutt’u riestu, streghe e magare, jocca d’oro ccuri prucini
‘ntuornu… nei paesini come San Fili diventano padroni assoluti dell’intera
comunità.
Tutti,
grandi e piccini, sono fatti e tenuti prigionieri da tali stupende entità
sovrannaturali.
A
tutto, dicevamo, si arriva a dare una giustificazione più o meno plausibile…
persino al fatto di un neonato che pur succhiando senza sosta al seno
decisamente secco (privo di latte), della madre non riesce a mettere un grammo
di carne addosso. Anche per fatti simili, in tali periodi, c’è una spiegazione
logica.
Una
spiegazione logica? … si… se entriamo nel modo delle favole di Fedro o di
qualche autore a lui familiare, ovviamente.
Ecco
allora scoprire che per le vie poco illuminate del paesino di San Fili (non
solo allora ma anche oggi), a notte fonda, si aggira nientepopodimeno che… il
serpente sucalatte.
A
scanso d’equivoci, e per giustizia di fatti nell’individuare una giusta
paternità a certe dicerie, comunque ritengo giusto sottolineare che tale
storiella non è una esclusiva del paese di San Fili ma era conosciuta in più
centri abitati della provincia di Cosenza e quasi certamente dell’intera
Calabria. Persino Luigi Accattatis la riporta nel suo “Dizionario del Dialetto
Calabrese” (pubblicato tra gli anni 1895/1987), almeno nella sua prima parte.
* * *
Il
fatto che sto per raccontare… mi è stato raccontato da una gentile signora cui
era stato raccontato dalla madre cui… inutile continuare: prima o poi a
qualcuno che l’ha raccontato per prima sicuramente si arriverà… e forse si
arriverà anche ai diretti protagonisti della tanto strana quanto accattivante
vicenda. E se non si ci arriverà? … questo nuovo fatto poco interessa alla
nostra storia.
Quello
che dobbiamo chiarire, per meglio capirci, è l’ambientazione: sia relativamente
all’epoca in cui si è svolto che al luogo dove si è svolto.
Il
luogo, anche senza dirlo… si sarebbe capito comunque, è una viuzza della nostra
amata/odiata San Fili… forse in località Cuozz’e juri (Cozzo dei fiori o
Cozzo di Iorio?), stupendo toponimo che qualche acculturato compaesano agli
inizi degli anni Ottanta - 1980 - o nel secondo lustro degli anni Settanta -
1970 - ha voluto tramutare in “Cozzo di Iorio”… purtroppo a vincere dalle
nostre parti è sempre la cultura degli ignoranti) mentre l’epoca in cui si
svolge tale storia forse agli inizi del XX secolo ma comunque non dopo la fine
della seconda Guerra Mondiale. O era nel corso dell’Ottocento? … boh, comunque
anche di ciò, alla fine, poco ci interessa.
In
quegli anni si abitava in case piene di buchi, spesso composte da non più di
due stanze poste una sull’altra (in cui tra l’altro in quella inferiore - ‘ntri
catuoji- venivano allevati maiali, muli, asini e galline) in cui non
raramente era facile trovarsi girovagare nella propria abitazione anche animali
non invitati a far parte del proprio nucleo familiare allargato quali topi,
lucertole, serpi e company.
In
quella zona ed in quel periodo abitava anche donna Filomena con in figlio (non
si sa di chi... dopotutto ancora oggi è facile individuare la madre ma non
altrettanto facile individuare il padre… e siamo nell’era, sanitariamente
parlando, del DNA) appena nato. Oggi è difficile dire se donna Filomena fosse o
meno sposata… troppo tempo è passato da allora.
* * *
“Donna
Filume’… ma stu picciriddru de crisce propriu nu’nne vo sapì?”, disse
mostrando evidente preoccupazione donna Genueffa prendendo in braccio il
piccolo Tuture.
Proprio
così: il guaio è che più passavano i giorni e meno il bambino, malgrado stesse
quasi sempre attaccato al seno della madre, sembrava mettere carne addosso.
Anzi… deperiva di giorno in giorno… così come di giorno in giorno deperiva la
madre.
Che
fine faceva il latte di donna Filomena? … possibile che fosse così poco
nutriente? … bisognava investigare in merito.
“Fuossi
u serpente ca si suca u latte?”, chiese donna Genueffa, una delle
magare del paese.
“Nu
metudu ppe ru capire cc’eni!”, gli rispose zu Franciscu presente
alla conversazione.
Detto
fatto: il pavimento dell’intera stanza fu coperta da una coltre (due o tre
millimetri abbondanti) di bianca farina.
Per
tutto l’intero pomeriggio e fino a sera inoltrata donna Genueffa e zu
Franciscu stettero nelle vicinanze della casa di donna Filomena in attesa
che si sentisse qualche bisbiglio o altro che potesse mettere sul chi va là i
presenti.
Visto
che tutto sembrava inutile, lasciata donna Filomena da sola sul letto col
piccolo Tuture, se ne ritornarono quatti quatti alle loro abitazioni.
Nel
mentre donna Filomena scopriva il suo seno per allattare il piccolo Tuture…
cadendo immantinente in un sonno dolcissimo e profondo.
La
mattina successiva sulla farina sparsa per terra si vedeva una lunga e continua
striscia a zigzag… il serpente sucalatte aveva colpito ancora… e quella
ne era la prova evidente.
Inutile
dire che sarebbe stata l’ultima volta: scoperto il foro da cui si immetteva
nella stanza e chiuso lo stesso con qualche pietra ed un po’ di calce… al
malcapitato non restava che cercare un’altra madre in fase di allattamento ed
un altro bimbo da ammaliare con la propria coda.
Per
quanto riguarda donna Filomena ed il piccolo Tuture, un po’ di brodo
ottenuto con qualche piccolo colombo avrebbe risolto il tutto.
La
storia è vera? Le mie informatrici sono pronte a metterci la mano sul fuoco…
personalmente no!
In
un periodo così segnato dalla fame, infatti, la farina serviva a ben altro che
a spargerla sul pavimento per avere la certezza che il serpente sucalatte
facesse visita alla nostra povera compaesana.
Ma
anche questa favola fa parte del patrimonio folcloristico culturale della
nostra stupenda (?) comunità. La Comunità Sanfilese.
Ed è giusto che io la riportassi… affinché, anche su questo tema, il ricordo non muoia.
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