SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: Serpenti succhialatte e dintorni.

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venerdì 22 aprile 2022

Serpenti succhialatte e dintorni.



A sinistra: Eracle bambino uccide un serpente nella culla.

Musei capitolini (foto ripresa dal web).

Tanto e tanto tempo fa (non poi tanto a dire il vero visto che siamo nella prima metà del XX secolo) a San Fili circolavano non solo serpenti giganteschi ma anche serpenti sucalatte (succhia latte).

Era il tempo in cui entrare in una casa, vista le migliaia di fori che c’erano nei muri, per una serpe era cosa decisamente facile.

Tra le varie visitatrici, rettili, delle case dei nostri nonni, sembra ce ne fossero alcune che adoravano succhiare il latte dal seno delle donne… rubando il prezioso alimento ai piccoli in fasce che proprio per questo motivo avevano grossi problemi a mettere su carne e quindi a crescere come madre natura impone.

Sembra che tali serpi, per niente assassine (dopotutto era nel loro interesse preservare sia la vita della donna che doveva allattare che del bimbo che doveva essere allattato) a dire il vero, ipnotizzando (e quindi addormentando) le balie in fase di allattamento e iniziando a succhiare dal capezzolo delle stesse, per tener buono il bambino mettevano nella bocca di quest’ultimo, a mo’ di ciuccetto, la propria coda.

Sarà vero? … c’è chi dice si!

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Si era nel periodo compreso tra le due grandi guerre: la prima e la seconda Guerra Mondiale.

Un periodo questo caratterizzato da una gravissima crisi economica (tutte le grandi guerre sono precedute o da una gravissima crisi economica… o da grandi interessi economici… o da entrambi, ma sempre problemi a sfondo economico).

Quando c’è crisi in giro, tranne chi sta bene, tutti stanno decisamente male… specie i ceti meno abbienti.

San Fili, in quel periodo, era la regola che confermava la regola… non l’eccezione.

Quello che però caratterizzava i paesini come San Fili nel succitato periodo storico era che… a tutto dava una giustificazione… se non logica comunque misteriosamente (sovrumanamente) accettabile.

E’ in tali periodi, infatti, che soggetti quali u monachieddhru, o u tesoru da scisa du canalicchiju cc uri diavuli pronti a ti fricare l’anima ccu tutt’u riestu, streghe e magare, jocca d’oro ccuri prucini ‘ntuornu… nei paesini come San Fili diventano padroni assoluti dell’intera comunità.

Tutti, grandi e piccini, sono fatti e tenuti prigionieri da tali stupende entità sovrannaturali.

A tutto, dicevamo, si arriva a dare una giustificazione più o meno plausibile… persino al fatto di un neonato che pur succhiando senza sosta al seno decisamente secco (privo di latte), della madre non riesce a mettere un grammo di carne addosso. Anche per fatti simili, in tali periodi, c’è una spiegazione logica.

Una spiegazione logica? … si… se entriamo nel modo delle favole di Fedro o di qualche autore a lui familiare, ovviamente.

Ecco allora scoprire che per le vie poco illuminate del paesino di San Fili (non solo allora ma anche oggi), a notte fonda, si aggira nientepopodimeno che… il serpente sucalatte.

A scanso d’equivoci, e per giustizia di fatti nell’individuare una giusta paternità a certe dicerie, comunque ritengo giusto sottolineare che tale storiella non è una esclusiva del paese di San Fili ma era conosciuta in più centri abitati della provincia di Cosenza e quasi certamente dell’intera Calabria. Persino Luigi Accattatis la riporta nel suo “Dizionario del Dialetto Calabrese” (pubblicato tra gli anni 1895/1987), almeno nella sua prima parte.

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Il fatto che sto per raccontare… mi è stato raccontato da una gentile signora cui era stato raccontato dalla madre cui… inutile continuare: prima o poi a qualcuno che l’ha raccontato per prima sicuramente si arriverà… e forse si arriverà anche ai diretti protagonisti della tanto strana quanto accattivante vicenda. E se non si ci arriverà? … questo nuovo fatto poco interessa alla nostra storia.

Quello che dobbiamo chiarire, per meglio capirci, è l’ambientazione: sia relativamente all’epoca in cui si è svolto che al luogo dove si è svolto.

Il luogo, anche senza dirlo… si sarebbe capito comunque, è una viuzza della nostra amata/odiata San Fili… forse in località Cuozz’e juri (Cozzo dei fiori o Cozzo di Iorio?), stupendo toponimo che qualche acculturato compaesano agli inizi degli anni Ottanta - 1980 - o nel secondo lustro degli anni Settanta - 1970 - ha voluto tramutare in “Cozzo di Iorio”… purtroppo a vincere dalle nostre parti è sempre la cultura degli ignoranti) mentre l’epoca in cui si svolge tale storia forse agli inizi del XX secolo ma comunque non dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. O era nel corso dell’Ottocento? … boh, comunque anche di ciò, alla fine, poco ci interessa.

In quegli anni si abitava in case piene di buchi, spesso composte da non più di due stanze poste una sull’altra (in cui tra l’altro in quella inferiore - ‘ntri catuoji- venivano allevati maiali, muli, asini e galline) in cui non raramente era facile trovarsi girovagare nella propria abitazione anche animali non invitati a far parte del proprio nucleo familiare allargato quali topi, lucertole, serpi e company.

In quella zona ed in quel periodo abitava anche donna Filomena con in figlio (non si sa di chi... dopotutto ancora oggi è facile individuare la madre ma non altrettanto facile individuare il padre… e siamo nell’era, sanitariamente parlando, del DNA) appena nato. Oggi è difficile dire se donna Filomena fosse o meno sposata… troppo tempo è passato da allora.

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Donna Filume’… ma stu picciriddru de crisce propriu nu’nne vo sapì?”, disse mostrando evidente preoccupazione donna Genueffa prendendo in braccio il piccolo Tuture.

Proprio così: il guaio è che più passavano i giorni e meno il bambino, malgrado stesse quasi sempre attaccato al seno della madre, sembrava mettere carne addosso. Anzi… deperiva di giorno in giorno… così come di giorno in giorno deperiva la madre.

Che fine faceva il latte di donna Filomena? … possibile che fosse così poco nutriente? … bisognava investigare in merito.

Fuossi u serpente ca si suca u latte?”, chiese donna Genueffa, una delle magare del paese.

Nu metudu ppe ru capire cc’eni!”, gli rispose zu Franciscu presente alla conversazione.

Detto fatto: il pavimento dell’intera stanza fu coperta da una coltre (due o tre millimetri abbondanti) di bianca farina.

Per tutto l’intero pomeriggio e fino a sera inoltrata donna Genueffa e zu Franciscu stettero nelle vicinanze della casa di donna Filomena in attesa che si sentisse qualche bisbiglio o altro che potesse mettere sul chi va là i presenti.

Visto che tutto sembrava inutile, lasciata donna Filomena da sola sul letto col piccolo Tuture, se ne ritornarono quatti quatti alle loro abitazioni.

Nel mentre donna Filomena scopriva il suo seno per allattare il piccolo Tuture… cadendo immantinente in un sonno dolcissimo e profondo.

La mattina successiva sulla farina sparsa per terra si vedeva una lunga e continua striscia a zigzag… il serpente sucalatte aveva colpito ancora… e quella ne era la prova evidente.

Inutile dire che sarebbe stata l’ultima volta: scoperto il foro da cui si immetteva nella stanza e chiuso lo stesso con qualche pietra ed un po’ di calce… al malcapitato non restava che cercare un’altra madre in fase di allattamento ed un altro bimbo da ammaliare con la propria coda.

Per quanto riguarda donna Filomena ed il piccolo Tuture, un po’ di brodo ottenuto con qualche piccolo colombo avrebbe risolto il tutto.

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La storia è vera? Le mie informatrici sono pronte a metterci la mano sul fuoco… personalmente no!

In un periodo così segnato dalla fame, infatti, la farina serviva a ben altro che a spargerla sul pavimento per avere la certezza che il serpente sucalatte facesse visita alla nostra povera compaesana.

Ma anche questa favola fa parte del patrimonio folcloristico culturale della nostra stupenda (?) comunità. La Comunità Sanfilese.

Ed è giusto che io la riportassi… affinché, anche su questo tema, il ricordo non muoia.

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