Nella foto a sinistra (by Pietro
Perri): Semi di mais o granturco. Il mais era una pianta che veniva coltivata
con una certa regolarità dagli agricoltori sanfilesi almeno fino alla fine
degli anni Sessanta. Non era una delle colture principali ma serviva comunque a
dare un guadagno marginale a chi coltivava la terra. Dai semi di mais si
ricavava la farina che veniva usata sia per fare il pane che per fare la
polenta o per fare la deliziosa ‘mpigliolata santufilise.
(...)
Mia madre (Rende Teresina Letizia - 1921/2019) era un’artista nel preparare
l’impasto, nell’infornare e nello sfornare la ‘mpigliolata. Un’artista
come gran parte delle nostre anziane madri o delle nostre stupende nonne made
in San Fili.
A tutte loro, non solo a mia madre, è dedicato questo
mio scritto ricco di profumi, di sapori e di incancellabili ricordi.
Articolo pubblicato sul Notiziario
Sanfilese del mese di marzo del 2021... by Pietro Perri.
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Tra i piatti tipici (o quanto meno “tipici” fino agli
inizi degli anni Ottanta del secolo scorso) della nostra comunità merita di
essere ricordata la ‘mpigliolata. Una vera e propria leccornia, frutto
di esperimenti della cucina cosiddetta “povera” (ma decisamente ed in alcune
varianti stracolma di grassi non proprio buoni per chi fa una vita d’ufficio o
quantomeno sedentaria), di cui si cibavano con una certa regolarità i nostri
nonni.
Spulciando su internet si riesce trovare anche qualche
ricetta, reinventata e/o adattata ai tempi moderni, della ‘mpigliolata sanfilese
o quantomeno di qualcosa cui si può avvicinare alla stessa. Un qualcosa tipo,
ad esempio, la pizza di farina gialla o farina di mais o di granturco che dir
si voglia.
Ma, credetemi, con queste ricette (varianti) la ‘mpigliolata
dei nostri nonni o dei nostri bisnonni ha ben poco a che dividere. Anche
perché alla realizzazione di tali ricette mancano degli ingredienti che, in
alcuni casi anche per ‘ncriscienza, difficilmente riusciremo a mettere
assieme.
Provo ad elencare alcuni di tali ingredienti di non
facile (per non sottolinearne a volte anche l’impossibilità) reperibilità: il
granturco coltivato nelle nostre zone, la realizzazione della farina di
granturco tramite i mulini che utilizzavano macine in pietra, la povertà (che
fa apprezzare il poco che si ha a disposizione), alcuni ingredienti realizzati
con metodi antichi quali la salimora (ciccioli o cicoli o scarafuagli
che dir si voglia), le foglie secche di castagno raccolte nel periodo della casculata
(queste rientrano nell’ambito della ‘ncriscienza ad andare a
raccoglierle), l’amore (nel realizzare certe cose) delle madri o delle nonne
per i propri figli o per i propri nipoti, il forno a legna.
La capacità di trasmettere tali ricette da madre in
figlia. Infatti quando alle nostre nonne chiedevi quale erano le dosi per
realizzare tali prelibatezze la risposta di queste assassine (mi si conceda
questo francesismo almeno in questo caso) era quasi sempre la stessa: nu
pizzicu, nu cucchiaru abbondante, quantu sinne piglia, ppe tri
puni minteccenne, io aju fattu sempre ad uocchiu...
Quindi se proprio volete provare a rileggere le
ricette “non scritte” delle nostre nonne o delle nostre bisnonne (per quelli di
noi che ancora hanno la fortuna di averne qualcuna in casa) dimenticatevi di
trovarvi difronte a grammi, millilitri, frazioni di comparazione ed altre
diavolerie di pesi e misure dei nostri tempi.
A proposito, ho citato le foglie di castagno che,
inutile dirlo, non vanno certamente frullate e messe nell’impasto della ‘mpigliolata.
Le foglie di castagno, infatti, selezionate una per una nel periodo della
raccolta delle castagne e lasciate essiccare sotto la pressa magari di qualche
giornale (o sistemate a mo’ di pacco ed opportunamente legate assieme di modo
che col tempo prendevano comunque una forma quasi piatta) sostituivano in tale
frangente la carta forno da posizionare sulla teglia (‘a lagna?) su cui
si sarebbe posto il prezioso impasto prima di passare il tutto in forno. In
poche parole le nostre nonne e le nostre bisnonne non solo avevano anticipato
l’avvento nelle nostre zone della carta da forno ma avevano fatto tutto ciò nel
massimo rispetto che si potrebbe rendere alla natura stessa.
Meno inquinamento (in quanto la carta forno è un
prodotto tutt’altro che facile da riciclare) e meno alberi da tagliare (magari
dei castagni) per realizzare la carta forno stessa.
Cosa si potrebbe desiderare di più?
Nulla!
Eppure qualcosa in più le foglie di castagno
all’intruglio che avrebbe dato in seguito vita al prodotto finito (la ‘mpigliolata
appena sfornata) ce l’avrebbero dato e con tutto il cuore.
Grazie alle foglie di castagno, o per meglio dire al
tannino (qualcuno mi corregga pure se sbaglio) in esse contenuto, infatti la ‘mpigliolata
riusciva a prendere un aroma in più che, mischiato al resto degli
ingredienti, la rendeva veramente unica.
Finché è stata viva ed attiva mia madre, ovvero fino
2016 o al 2017 non mancava anno in cui la stessa non ci facesse gradito dono
almeno un paio di volte all’anno di questo suo stupendo alchemico intruglio. Un
intruglio che risvegliava tutti i nostri sensi.
(continua).
Un caro abbraccio a tutti dal sempre
vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem
para bellum”!
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