Nella foto a
sinistra: ‘mpigliolata
santufilise realizzata Toronto in Canada da mia cugina Rita Cundari-Maio. E’
triste doverlo ammettere ma ormai le tradizioni sanfilesi sono più vive all’estero
che tra i sopravvissuti residenti nel borgo che a tanti di noi ha dato i natali
e che ci ha piacevolmente cullati nel corso delle decine d’anni che ci
ritroviamo ormai sulle/alle spalle.
Articolo
pubblicato sul Notiziario Sanfilese dei nel mese di settembre del 2021... by
Pietro Perri.
* * *
A
questo punto non mi resta che riportare la ricetta seguita da mia madre
(Teresina Letizia Rende, passata a miglior vita nel mese di settembre del
2019), e confrontarla magari con una ricetta moderna e veloce segnalatami tempo
fa da un caro compaesano: Achille Blasi.
* * *
A
proposito, se ancora non l’avete capito (mi riferisco ovviamente ai miei cari e
fedeli lettori) molti dei miei scritti altro non sono che trascrizioni dei
ricordi che mi ha preziosamente trasmesso mia madre nel corso della sua lunga e
preziosa esistenza. E comunque io, più che “onestamente”, non mi sono mai
definito né mai sentito uno scrittore o un giornalista o un filosofo come in
tanti, forse scherzosamente, mi hanno definito. Ciò che mi sono sempre sentito
è quello di essere un trascrittore: un trascrittore di memoria popolare. E
magari anche un pochino “sedicente storico” (come tanti miei detrattori
mi hanno argutamente catalogato. Detto da alcuni di tali miei critici comunque
l’ho ritenuto un complimento).
Dopotutto
chi sono io se non un povero ignorante prestato alla cultura?
Inutile
dire che oltre a mia madre sono tanti gli anziani del paese che nel corso dei decenni
passati hanno contribuito ad arricchire le mie “trascrizioni”. Non ultimi, e
sicuramente non unici, tra questi ricordo gli indimenticabili Mario Oliva,
Michele Leo, Cesare Gentile o il sempreverde Marcello Speziale.
* * *
Erano
ormai decenni che avevo deciso di trascrivere la ricetta seguita da mia madre
nel preparare la sua gustosissima, tradizionale ed unica ‘mpigliolata
santufilise. Una ricetta nata dall’esperienza tipica della gente che nasce,
cresce e che passa gran parte della propria vita nelle campagne.
Che
c’entra, mi chiederete, la bontà della ‘mpigliolata santufilise con la
vita agreste?
Semplice:
nelle campagne, specie quando non si è neanche proprietari del suolo coltivato,
per poter godere di un semplice passeggero attimo di gioia familiare, si deve
cercare di sfruttare (e quindi far fruttare) al massimo... quel che la vita ci
offre.
Nasce
così, con l’utilizzo di pochi impagabili ingredienti, la ‘mpigliolata
santufilise: un piatto ricco per gente povera. E ad arricchirlo, di quel
tipico profumo e di quei tipici sapori, sono proprio degli ingredienti e degli
elementi se non di scarto quantomeno marginali e/o di nicchia quali la salimora
o gli scarrafuogli (ciccioli del maiale, le foglie scelte ed
opportunamente seccate di castagno e l’uso del forno al legno (sostituito negli
ultimi anni dal forno elettrico. Il progresso alla fine registra la vittoria
almeno in una delle sue eterne battaglie verso l’annullamento delle diversità).
La
ricetta della ’mpigliolata santufilise seguita da mia madre purtroppo
stava per andare persa per sempre.
Purtroppo
mia madre, come gran parte delle nostre anziane compaesane, per iscritto
mettevano poco o niente. Spesso mettevano per iscritto il testo di un foraffascinu
o di una preghiera ma quasi mai la ricetta di uno dei loro impareggiabili
manicaretti. Le ricette le avevano
imparate a memoria da piccole ed a loro ciò bastava. La loro invidiabile
memoria bastava anche per tramandarle,
tali ricette, alle proprie figlie o alle proprie nuore.
E
per le quantità dei vari ingredienti? ... sarebbe bastata l’esperienza: così
come fu per loro così come avrebbe dovuto essere per chi le avrebbe sostituite
nella gestione della casa.
Atroce
illusione.
Fortunatamente
qualche anno prima che mia madre passasse a miglior vita una cara cugina di
Toronto (in Canada), Rita Cundari sposata Maio, mi chiese, tramite Facebook, se
gentilmente potevo chiedere a donna Letizia di dirmi appunto la ricetta,
procedimento incluso, della sua mitica ‘mpigliolata santufilise.
Rita
in quel periodo aveva avuto in regalo un paio di boccacci di salimora (o
scarrafuogli o ciccioli che dir si voglia) e voleva degnamente onorarli.
Mia
madre, sempre disposta a dare un aiuto e/o un consiglio a chi glielo chiedeva,
non se lo fece chiedere due volte e con qualche “ad uocchiu” o “a
pianzica” o “quantu sinne chiama” o “nu punu” o “na
‘nticchia” o... comunque riuscimmo a mettere tale ricetta nero su bianco.
Riporto
di seguito quanto sono riuscito a carpire a mia madre in merito alla sua
ricetta sulla ‘mpigliolanta santufilise e faccio ciò limitandomi ad un
copia incolla dei messaggi trasmessi a mia cugina Rita tramite Facebook a
seguito della sua fortunata richiesta:
* * *
Per
un chilo di farina di miglio (n.d.r.: farina di mais macinata possibilmente
a pietra) mia madre consiglia un dado di lievito di birra da venticinque
grammi, un pizzico di sale ed acqua quanta ne richiede l'impasto (non chiedermi
però l'esatta quantità).
Impastato
il tutto bisogna metterlo a lievitare vicino ad una fonte di calore ed
ovviamente coperto (all'incirca per un'ora).
Una
volta che è lievitato il tutto bisogna mettere nell'impasto la salimora
(più o meno mezzo chilo per ogni chilo di farina (...). Impastare di nuovo il
tutto ed infornare.
Il
forno deve essere a 180 gradi ed il tutto dovrebbe cuocere più o meno per
mezzora.
Si
può aggiungere nell'impasto (assieme alla salimora) anche qualche oliva
schiacciata (...).
C'è
ovviamente la variante senza salimora ovvero con impasto di patate
bollite o con l’aggiunta di filetti di acciughe.
* * *
Cosa
rende particolare la ricetta seguita da mia madre?
A
parte le mani d’oro di mia madre (le nostre madri - per chi come me è ormai un
po’ datato - o le nostre nonne avevano
comunque delle mani d’oro che sapevano trasmettere ai loro intrugli
gastronomici un particolare segreto alchemico: l’amore per i propri cari) va
detto che la stessa nella sua ‘mpigliolata santufilise non
combinava più farine (tipo la farina di mais e la farina bianca di frumento) ed
inoltre nella teglia (anticamente na lagna) prima di versare l’impasto
vi adagiava delle foglie secche e selezionate una per una di castagno. Tali
foglie impedivano che l’impasto attaccasse alla teglia e di fatto sostituivano
la micidiale (per gli alberi e per l’ambiente... visto la difficoltà a
“differenziarla” e quindi a riciclarla) attuale carta da forno.
Oltretutto
le foglie di castagno, davano alla ‘mpigliolata santufilise realizzata
da mia madre un particolare profumo e sapore. Un profumo e sapore... santufilise.
L’impasto,
inutile dirlo, prima di adagiarlo nella teglia non doveva presentarsi
particolarmente secco prima in quanto lo stesso si doveva adagiare in modo a
dir poco naturale nella teglia stessa. Così com’è inutile dire che un quid in
più lo dava al tutto anche l’utilizzo del forno a legna.
* * *
Sono
sicuro che in tanti potrebbero dimostrarsi scettici nei confronti della ricetta
di donna Letizia (all’anagrafe Teresina, Letizia) e sicuramente io non sarò mai
in grado di dimostrare quanto gli stessi si sbaglino (dopotutto a San Fili in
tanti, per quanto riguarda la ricetta della ‘mpigliolata santufilise,
hanno una propria variante di famiglia).
Per
quel che mi riguarda... non vi invidio!
(continua).
* * *
Un
caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
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