Nella foto a sinistra: ‘mpigliolata
santufilise realizzata Toronto in Canada da mia cugina Rita Cundari-Maio.
E’ triste doverlo ammettere ma ormai le tradizioni sanfilesi sono più vive
all’estero che tra i sopravvissuti residenti nel borgo che a tanti di noi ha
dato i natali e che ci ha piacevolmente cullati nel corso delle decine d’anni
che ci ritroviamo ormai sulle/alle spalle.
Articolo pubblicato sul
Notiziario Sanfilese dei nel mese di settembre del 2021... by Pietro Perri.
A questo punto non mi resta che riportare
la ricetta seguita da mia madre (Teresina Letizia Rende, passata a
miglior vita nel mese di settembre del 2019), e confrontarla magari con una
ricetta moderna e veloce segnalatami tempo fa da un caro compaesano: Achille
Blasi.
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A proposito, se ancora non l’avete capito
(mi riferisco ovviamente ai miei cari e fedeli lettori) molti dei miei scritti
altro non sono che trascrizioni dei ricordi che mi ha preziosamente trasmesso
mia madre nel corso della sua lunga e preziosa esistenza. E comunque io, più
che “onestamente”, non mi sono mai definito né mai sentito uno scrittore o un
giornalista o un filosofo come in tanti, forse scherzosamente, mi hanno
definito. Ciò che mi sono sempre sentito è quello di essere un trascrittore: un
trascrittore di memoria popolare. E magari anche un pochino “sedicente
storico” (come tanti miei detrattori mi hanno argutamente catalogato. Detto
da alcuni di tali miei critici comunque l’ho ritenuto un complimento).
Dopotutto chi sono io se non un povero
ignorante prestato alla cultura?
Inutile dire che oltre a mia madre sono
tanti gli anziani del paese che nel corso dei decenni passati hanno contribuito
ad arricchire le mie “trascrizioni”. Non ultimi, e sicuramente non unici, tra
questi ricordo gli indimenticabili Mario Oliva, Michele Leo, Cesare Gentile o
il sempreverde Marcello Speziale.
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Erano ormai decenni che avevo deciso di
trascrivere la ricetta seguita da mia madre nel preparare la sua gustosissima,
tradizionale ed unica ‘mpigliolata santufilise. Una ricetta nata
dall’esperienza tipica della gente che nasce, cresce e che passa gran parte
della propria vita nelle campagne.
Che c’entra, mi chiederete, la bontà della
‘mpigliolata santufilise con la vita agreste?
Semplice: nelle campagne, specie quando
non si è neanche proprietari del suolo coltivato, per poter godere di un
semplice passeggero attimo di gioia familiare, si deve cercare di sfruttare (e
quindi far fruttare) al massimo... quel che la vita ci offre.
Nasce così, con l’utilizzo di pochi
impagabili ingredienti, la ‘mpigliolata santufilise: un piatto ricco per
gente povera. E ad arricchirlo, di quel tipico profumo e di quei tipici sapori,
sono proprio degli ingredienti e degli elementi se non di scarto quantomeno
marginali e/o di nicchia quali la salimora o gli scarrafuogli (ciccioli
del maiale, le foglie scelte ed opportunamente seccate di castagno e l’uso del
forno al legno (sostituito negli ultimi anni dal forno elettrico. Il progresso
alla fine registra la vittoria almeno in una delle sue eterne battaglie verso
l’annullamento delle diversità).
La ricetta della ’mpigliolata santufilise
seguita da mia madre purtroppo stava per andare persa per sempre.
Purtroppo mia madre, come gran parte delle
nostre anziane compaesane, per iscritto mettevano poco o niente. Spesso
mettevano per iscritto il testo di un foraffascinu o di una preghiera ma
quasi mai la ricetta di uno dei loro impareggiabili manicaretti. Le ricette le
avevano imparate a memoria da piccole ed a loro ciò bastava. La loro
invidiabile memoria bastava anche per tramandarle, tali ricette, alle proprie
figlie o alle proprie nuore.
E per le quantità dei vari ingredienti?
... sarebbe bastata l’esperienza: così come fu per loro così come avrebbe
dovuto essere per chi le avrebbe sostituite nella gestione della casa.
Atroce illusione.
Fortunatamente qualche anno prima che mia
madre passasse a miglior vita una cara cugina di Toronto (in Canada), Rita
Cundari sposata Maio, mi chiese, tramite Facebook, se gentilmente potevo
chiedere a donna Letizia di dirmi appunto la ricetta, procedimento incluso,
della sua mitica ‘mpigliolata santufilise.
Rita in quel periodo aveva avuto in regalo
un paio di boccacci di salimora (o scarrafuogli o ciccioli che
dir si voglia) e voleva degnamente onorarli.
Mia madre, sempre disposta a dare un aiuto
e/o un consiglio a chi glielo chiedeva, non se lo fece chiedere due volte e con
qualche “ad uocchiu” o “a pianzica” o “quantu sinne chiama”
o “nu punu” o “na ‘nticchia” o... comunque riuscimmo a mettere
tale ricetta nero su bianco.
Riporto di seguito quanto sono riuscito a
carpire a mia madre in merito alla sua ricetta sulla ‘mpigliolanta
santufilise e faccio ciò limitandomi ad un copia incolla dei messaggi
trasmessi a mia cugina Rita tramite Facebook a seguito della sua fortunata
richiesta:
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Per un chilo di farina di miglio (n.d.r.: farina
di mais macinata possibilmente a pietra) mia madre consiglia un dado di
lievito di birra da venticinque grammi, un pizzico di sale ed acqua quanta ne
richiede l'impasto (non chiedermi però l'esatta quantità).
Impastato il tutto bisogna metterlo a
lievitare vicino ad una fonte di calore ed ovviamente coperto (all'incirca per
un'ora).
Una volta che è lievitato il tutto bisogna
mettere nell'impasto la salimora (più o meno mezzo chilo per ogni chilo
di farina (...). Impastare di nuovo il tutto ed infornare.
Il forno deve essere a 180 gradi ed il
tutto dovrebbe cuocere più o meno per mezzora.
Si può aggiungere nell'impasto (assieme
alla salimora) anche qualche oliva schiacciata (...).
C'è ovviamente la variante senza salimora ovvero
con impasto di patate bollite o con l’aggiunta di filetti di acciughe.
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Cosa rende particolare la ricetta seguita
da mia madre?
A parte le mani d’oro di mia madre (le
nostre madri - per chi come me è ormai un po’ datato - o le nostre nonne
avevano comunque delle mani d’oro che sapevano trasmettere ai loro
intrugli gastronomici un particolare segreto alchemico: l’amore per i propri
cari) va detto che la stessa nella sua ‘mpigliolata santufilise non
combinava più farine (tipo la farina di mais e la farina bianca di frumento) ed
inoltre nella teglia (anticamente na lagna) prima di versare l’impasto
vi adagiava delle foglie secche e selezionate una per una di castagno. Tali
foglie impedivano che l’impasto attaccasse alla teglia e di fatto sostituivano
la micidiale (per gli alberi e per l’ambiente... visto la difficoltà a
“differenziarla” e quindi a riciclarla) attuale carta da forno.
Oltretutto le foglie di castagno, davano
alla ‘mpigliolata santufilise realizzata da mia madre un particolare
profumo e sapore. Un profumo e sapore... santufilise.
L’impasto, inutile dirlo, prima di
adagiarlo nella teglia non doveva presentarsi particolarmente secco prima in
quanto lo stesso si doveva adagiare in modo a dir poco naturale nella teglia
stessa. Così com’è inutile dire che un quid in più lo dava al tutto anche
l’utilizzo del forno a legna.
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Sono sicuro che in tanti potrebbero
dimostrarsi scettici nei confronti della ricetta di donna Letizia (all’anagrafe
Teresina, Letizia) e sicuramente io non sarò mai in grado di dimostrare quanto
gli stessi si sbaglino (dopotutto a San Fili in tanti, per quanto riguarda la
ricetta della ‘mpigliolata santufilise, hanno una propria variante di
famiglia).
Per quel che mi riguarda... non vi
invidio!
(continua).
* *
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Un caro abbraccio a
tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
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