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Imbocco della galleria nei pressi di San Fili dalla parte del viadotto Emoli II - Foto rica- vata da Google Maps. |
Il Blog di Pietro Perri dedicato a San Fili (uno dei più bei paesi della provincia di Cosenza) e ai Sanfilesi nel Mondo.
A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.
lunedì 22 luglio 2019
La chiusura dei viadotti Emoli I ed Emoli II ovvero... brutte prove tecniche di trasmissione.
venerdì 24 maggio 2019
A San Fili trattano così i platani e le altre piante per “motivi di sicurezza”?
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Un platano recentemente
decapitato lungo corso XX
Settembre a San Fili.
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sabato 27 aprile 2019
San Fili, i cani randagi e i proprietari (dei cani di proprietà o adottati) incivili. (2)
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Cani randagi in mezzo alla strada
nell’area antistante l’entrata del
campo sportivo “Dante De Lio”
in contrada Frassino del Comune di
San Fili.
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domenica 21 aprile 2019
Buona Pasqua di cuore a tutti i SANFILESI NEL MONDO ed ai lettori di questo blog.
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Cristo Redentore (Michelangelo Buonarroti - basilica santa Maria sopra Minerva - Roma) |
venerdì 15 marzo 2019
San Fili e dintorni ovvero... ‘a cicuòria (la cicoria).
Nell’immagine a
sinistra: pianta di cicoria selvatica con fiore. Immagine ripresa dal web.
Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre
2018... by Luigi “Gigino” Iantorno.
San Fili e dintorni ovvero... ‘a cicuòria
(la cicoria).
Di Luigi Gigino Iantorno.
Il passato, sia per quanto riguarda i ricordi belli che per quanto
riguarda i ricordi brutti, è impossibile cancellarlo del tutto dalla propria
memoria.
Il passato sembra scomparso dalla propria memoria eppure con
l’andare avanti negli anni eccoci di botto catapultatici dritti dritti ai primi
anni della nostra vita.
Eccoci... ragazzini. Teneramente attaccati alle gonne delle nostre
affettuose e protettive madri.
Ed ero proprio un ragazzino, o forse non più di un fanciullo,
quando una mattina mia madre mi portò con sé, lungo la strada provinciale che
da San Fili saliva verso il valico Crocetta, in cerca di una prelibatezza
culinaria.
Quella mattina di tanti e tanti anni fa (si era negli anni
Cinquanta), io e mia madre andavamo in cerca di cicuòrie ossia di
cicorie. Ed andavamo a raccoglierle in una zona famosa per la presenza delle
stesse. Eravamo diretti verso la discesa per la Falconara.
Il bivio per Falconara Albanese, per chi ancora non lo sapesse, si
trova, lungo la ex provinciale 107, poco al di sotto del valico Crocetta.
A quel tempo si andava a raccogliere le cicorie muniti di capienti
sacchi. Ed un capiente sacco si portava dietro quella mattina anche mia madre.
Dopotutto se per raccogliere delle cicorie bisognava fare una
camminata di circa sei o sette chilometri, opportunamente abbreviati da
provvidenziali scurtaturi (scorciatoie) quali quello conosciuto con il
nome di “scurtaturu de monachelle”.
Inutile dire che se nel corso del cammino ci si imbatteva in
qualche pianticina di cicoria la stessa la si raccoglieva, tagliandola alla
base e lasciando la radice nel terreno, e la si gettava nel sacco.
Essendo un ragazzino quella zona era del tutto nuova ai miei occhi
ed il cammino mi sembrava lunghissimo.
Finalmente giungemmo in uno spiazzo dove potemmo raccogliere un
bel po’ di cicorie ma non tanto da riempire il sacco che mia madre si era
portato dietro.
Eravamo comunque giunti in alta montagna... al bivio per Falconara
Albanese. Se avessimo proseguito salendo verso la cima della montagna saremmo
in breve giunti al valico Crocetta e quindi all’inizio della discesa verso la
cittadina di Paola.
La nostra meta non era però quella e quindi proseguimmo lungo la
strada che portava a Falconara Albanese. Passammo la zona denominata
sant’Angelo e finalmente giungemmo ad un’altra zona, poco dopo questa,
denominata Peschiera.
Nella zona denominata Peschiera facemmo amicizia con una famiglia
che abitava da quelle parti. Questa bravissima famiglia ci indicò, in un pezzo
di terreno di sua proprietà, un punto in cui avremmo potuto raccogliere ottime
cicorie ed in abbondanza.
Nel volgere di pochissimo tempo riempimmo fino all’orlo il sacco
che mia madre si era portato dietro.
Potevamo quindi fare ritorno a casa.
Questa volta il cammino era tutto in discesa ma, malgrado ciò,
comunque per niente facile.
E se non era un cammino facile per me sicuramente non lo era
neanche per mia madre che doveva farlo portando tra l’altro il sacco strapieno
di cicorie sulla testa. E sicuramente, data la mia età e la mia costituzione
fisica, io non potevo minimamente esserle d’aiuto.
Passo dopo passo, in ogni caso, dopo un po’ di tempo giungemmo in
paese... a San Fili.
All’entrare nel paese tanta gente nel vedere mia madre con quel
grosso sacco in testa iniziò ad avvicinarsi ed a chiedere con legittima
curiosità: “Marie’, chi puorti?”
Quando mia madre mostrò loro il ben di dio che eravamo riusciti a
raccogliere in quella proficua giornata furono in tanti a chiederle se gliene
vendesse un po’. Cosa, quest’ultima, che a mia madre non dispiacque per niente.
Inutile dire che non riuscimmo ad esaudire tutte le richieste
tanta era la gente interessata al prezioso, dal puto di vista alimentare,
contenuto del nostro sacco. E poi un po’ di cicuòrie era giusto quel
giorno che li portassimo a casa anche noi.
Le cicorie, ma non solo le cicorie, per quei tempi erano una
risorsa alimentare di rispetto. Oggi purtroppo, anche nelle nostre zone, sono
classificabili come un mero “guliu” ovvero una prelibatezza per palati
sopraffini.
Eppure la cicoria selvatica è una pianta che opportunamente
rivalutata potrebbe ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto nella ristorazione
locale e quindi diventare una fonte di reddito aggiuntivo per tante famiglie
oggi in difficoltà.
Oltretutto la cicoria oltre a prestarsi a più impieghi in cucina
ha diversi principi curativi (quindi può trovare impiego in erboristeria) e può
essere utilizzata quale ingrediente base per preparazioni alcoliche.
Personalmente, in cucina, la gradisco sbollentata e condita ad
insalata (o, sempre dopo essere stata sbollentata, passata in un tegame con un
po’ d’olio e dell’aglio) o messa a cuocere mischiata con della carne di maiale
e patate.
Noto con piacere comunque che, ai nostri giorni, in alcuni
fruttivendoli della provincia si vendono delle accattivanti cicorie selvatiche.
*
* *
Il territorio sanfilese e quello dei Comuni circostanti è comunque
ricchissimo di molte pianticine selvatiche commestibili. Tra queste, le più
note, ricordiamo il cardo selvatico o cardune, l’aneto o finuocchiu
‘e timpa, il crescione d’acqua o scavune (pron. sc-kavune),
la vitalba o vitarva, il lampagione o ‘a cipuddra cursunara e via
dicendo.
Tutta roba che farebbe sicuramente impazzire di gioia i più
celebri chef internazionali.
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro
affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para
bellum”!
lunedì 25 febbraio 2019
San Fili e Alberto Moravia.
Nella foto a sinistra: Alberto Moravia nel
1931. Foto ripresa dal web.
Nella foto sotto (sempre a sinistra): il
sanfilese Salvatore Oliva negli anni Trenta.
Articolo
e note pubblicati sul Notiziario Sanfilese del mese di Febbraio 2019... by
Pietro Perri.
* * *
San Fili e Alberto Moravia.
Nota di Pietro Perri.
* * *
Difficile,
per non dire impossibile, parlare di letteratura italiana del Novecento senza
citare il nome ed il cognome di Alberto Moravia.
In
ogni caso, seppur aiutandoci con la solita enciclopedia impareggiabile (per il
cosiddetto “copia/incolla” informatico) online Wikipedia, vediamo di
rinfrescarci un po’ la memoria su chi è stato questo mostro della penna prima e
della macchina da scrivere dopo:
«Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle (Roma, 28
novembre 1907 – Roma, 26 settembre 1990), è stato uno scrittore, giornalista,
saggista, drammaturgo, reporter di viaggio e critico cinematografico italiano.
Considerato uno dei più importanti romanzieri del XX secolo, ha
esplorato nelle sue opere i temi della sessualità moderna, dell'alienazione
sociale e dell'esistenzialismo.
Salì alla ribalta nel 1929 con il romanzo Gli indifferenti e pubblicò
nella sua lunga carriera più di trenta romanzi. I temi centrali dell'opera di
Moravia sono l'aridità morale, l'ipocrisia della vita contemporanea e la
sostanziale incapacità degli uomini di raggiungere la felicità. La sua
scrittura è rinomata per lo stile semplice e austero, caratterizzato dall'uso
di un vocabolario comune inserito in una sintassi elegante ed elaborata.
(...) Dal 1930 iniziò a collaborare con La Stampa, allora diretta
da Curzio Malaparte e nel 1933 fondò, insieme a Mario Pannunzio, la rivista
"Caratteri", che vedrà la luce per soli quattro numeri. Collaborò poi
alla rivista Oggi (sulle cui pagine uscirà, nel 1940, Cosma e i briganti).
Sempre nel 1933 iniziò a collaborare con la "Gazzetta del Popolo",
diretta da Ermanno Amicucci, uno dei futuri firmatari del Manifesto per la
difesa della razza, ma il regime fascista avversò la sua opera vietando le
recensioni a Le ambizioni sbagliate, sequestrando La mascherata e vietando la
pubblicazione di Agostino.
(...) Alberto Moravia ricevette 15 candidature al premio Nobel per
la letteratura dal 1949 al 1966, senza riuscire mai a vincerlo. A candidarlo,
fra gli altri, furono anche il futuro vincitore del Nobel Eyvind Johnson nel
1960 e la scrittrice italiana Maria Bellonci nel 1966.»
*
* *
Ma, vi chiederete voi, cosa c’entra Alberto Moravia con San Fili e
con il Notiziario Sanfilese (ovvero con il bollettino dell’Associazione
culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili?
Certo non molto ma il solo fatto di leggere, anche se quasi di
sfuggita o quasi per sbaglio o magari perché non ne ha proprio potuto fare a
meno, il nome del nostro paesino in un suo seppur banale scritto (una semplice
nota di viaggio pubblicata su un quotidiano nazionale) non può comunque che
farci piacere e giustificare anche la presenza di questo suo scritto sul
nostro... “bollettino”.
Il breve racconto o “appunto di viaggio” uscito a firma di un
giovanissimo (aveva appena 28 anni) ma già affermato Alberto Moravia in cui
compare per ben due volte il nome di San Fili prende il titolo di “Costa della
Calabria” e compare sulla “Gazzetta del Popolo” il 3 luglio del 1935.
Di seguito non riportiamo l’intero pezzo ma solo la parte finale,
quella, appunto, che ci riguarda da vicino in quanto Comunità Sanfilese. E’
questo il breve resoconto del tratto che percorrerà con la sua automobile
compreso tra la cittadina di Paola e San Fili.
Ma leggiamolo assieme:
Costa della Calabria.
Estratto da un articolo apparso, a firma dello scrittore Alberto
Moravia, sulla “Gazzetta del Popolo” del 3 luglio del 1935.
(...)
Quindi dopo Paola lasciammo il mare per dirigerci alla volta di
Cosenza.
Era ormai il tramonto e per una strada in ripida spirale dovevamo
salire fino al passo di San Fili onde valicare la giogaia di monti che separa
Cosenza dal mare. A misura che salivamo, il mare si scopriva ai nostri piedi
deserto, freddo, torbido, sparso delle gialle luci sfasciate del tramonto
nubiloso. Una nuvola lunga e affusolata, della forma di un osso di seppia
sbarrava l'orizzonte, aveva nel mezzo una fessura e tra i bordi più chiari di
questa fessura saettavano verso l'alto i raggi gloriosi del sole tramontante.
Tutto il cielo in fuga pareva fermato da questa immobile raggiera; presto il
sole si sarebbe spento e con esso le sue radiose spade di fredda luce e le nubi
in libertà avrebbero cozzato l'una contro l'altra sopra la distesa agitata
delle acque, tonando e lampeggiando. Volevamo arrivare sul valico prima che si
facesse notte, ma a novecento metri entrammo in un fitto banco di nebbia, e fu
giocoforza rallentare e procedere a passo d'uomo. A folate, come se una bocca
gelata ci avesse alitato in faccia, la nebbia silenziosa c'investiva; tra una
folata e l'altra, vedevamo i grigi fantasmi degli abeti fare nella caligine i
loro gesti desolati e lentamente scomparire dietro il ciglio della strada, nel
bianco e vuoto vapore; la luce dei fari si ripiegava su se stessa come
sbattendo contro uno specchio appannato; il motore rantolava piano ascendendo
l'erta, e questo, insieme con il cigolio metallico della ghiaia schiacciata
dalle ruote, era il solo rumore del gran silenzio nebbioso. Dalla strada nuda
sospesa sull'abisso passammo nel folto di una foresta di abeti, e quasi non ce
ne accorgemmo. Un cavallo mi scalpitò allato mentre mi sporgevo dal finestrino
aguzzando gli occhi nella foschia, e non vidi che la gamba del cavaliere, in
pantalone di velluto e stivale, stretta contro la sella; tutto il resto, uomo e
animale, non era che un'ombra tra le altre, vere e finte, che la nebbia
trasportava nel suo seno. Poi, tutto ad un tratto, dopo un'ultima folata più
densa, l'aria si sgombrò, limpida e notturna, e a valle, contro il nero profilo
di altri monti lontani, apparvero le luminarie di San Fili.
Alberto Moravia.
*
* *
“e non vidi che la gamba del cavaliere (...) stretta contro la
sella”.
Una domanda sorse spontanea... e fu leggenda sanfilese.
I primi sanfilesi che si trovarono a leggere le stupende righe che
Alberto Moravia alla nostra bellissima catena paolana ed in particolare al
tratto di strada (vecchia strada statale 107) che collega il nostro paesino con
la cittadina di Paola arrivati al punto in cui in tale brano si legge “Un
cavallo mi scalpitò allato mentre mi sporgevo dal finestrino aguzzando gli
occhi nella foschia, e non vidi che la gamba del cavaliere, in pantalone di
velluto e stivale, stretta contro la sella; tutto il resto, uomo e animale, non
era che un'ombra tra le altre, vere e finte, che la nebbia trasportava nel suo
seno” non poterono fare a meno di chiedersi chi era l’ombroso cavaliere in
cui s’imbatte l’illustre scrittore.
E fu allora che, tra i Sanfilesi (come se fosse l’unico cavaliere
all’epoca a frequentare il valico Crocetta), si pensò al compaesano Salvatore
Oliva (nella foto a sinistra).
Una domanda sorse spontanea... e fu leggenda sanfilese.
*
* *
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro
Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
domenica 17 febbraio 2019
C’erano una volta le suriciare (trappole per catturare uccelli).
Di seguito l’articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di
dicembre 2018... a firma dell’amico Luigi “Gigino” Intorno.
Le foto a corredo di questo post sono riprese dal web. Le stesse propongono un esempio di "suriciare" (trappole per la cattura degli uccelli di piccolo taglio). In altri tempi a San Fili venivano realizzate direttamente dai ragazzi più esperti ovviamente in tale campo.
* *
*
Ricordo quando ero ancora un giovanottino della fine degli anni cinquanta o
al massimo dell’inizio degli anni sessanta del secolo scorso che molti miei
compaesani venivano nella zona Coste di San Fili (dove la mia famiglia aveva la
sua abitazione) e si metteva con tanta pazienza ad “armare” (ovvero
posizionando ed azionando i relativi ingranaggi) delle trappole (suriciare)
per uccelli.
Si era in pieno inverno e quelli erano tempi di magra. Quindi, per quei
tempi, riuscire a catturare un certo numero di uccelli, per lo più passeri,
poteva essere un buon modo per assicurarsi una variante gastronomica in tavola.
D’inverno anche gli uccelli avevano problemi a trovare del cibo e quindi
era facile che cadessero vittime delle trappole posizionate dai cacciatori
locali. Una situazione, quella della ricerca del cibo da parte di uccelli non
migranti, che si accentuava nei periodi in cui faceva particolarmente freddo ed
ancor più quando veniva a nevicare dalle nostre parti e quindi, a causa della
coltre bianca che ricopriva il tutto, tali uccelli non potevano rovistare
direttamente sul terreno.
Alle trappole venivano attaccate, come esca, delle olive nere (quindi ben
visibili anche ad una certa distanza), miglio o briciole di pane (meglio se la
scorza) cui gli uccelli che vivono liberi vanno particolarmente ghiotti.
La maggior parte delle trappole venivano posizionate nei punti in cui la
neve lasciava qualche piccolo spazio libero. Tali spazi illudevano appunto gli
uccelli che ci fosse qualcosa da beccare sul terreno non pensando che in quel
punto invece avrebbero trovato ad accoglierli la morte grazie alle trappole
armate da noi sanfilesi.
L’ingranaggio delle trappole (suriciare) scattava inesorabile e
difficilmente l’uccello ne usciva illeso. Erano poche, infatti, le trappole
che, come si diceva in quei casi, “scattavano a vuoto.
Tra quanti, tra sanfilesi, in quei giorni partecipavano con le loro
trappole alla grande cattura degli uccelli nasceva una vera e propria sfida a
chi riusciva a portare a casa il numero, e la qualità, più consistente. In
alcuni casi, tra l’altro, se la giornata di caccia era andata particolarmente
bene, si accendeva un fuoco sul posto e parte degli uccelli catturati venivano
consumati sul posto in allegra compagnia.
Una parte veniva portata a casa magari al fine di insaporire altre pietanze
della nostra cucina come le patate ‘mpacchiuse o la polenta. Anche
perché da sola la carne del passero offriva ben poco di nutriente.
Non mancavano comunque tra i cacciatori improvvisati quanti si dedicavano a
questo hobby non per acchiappare gli uccelli per mangiarseli ma speravano di
prenderne qualcuno vivo ed in accettabili condizioni da portare a casa ed
allevare gli stessi in una gabbietta.
C’erano più zone di caccia intorno a San Fili e quasi ogni cacciatore aveva
la propria.
Le suriciare (trappole d’altri tempi per acchiappare uccelli ed altri animali di piccolo taglio) erano degli infernali ingranaggi in ferro muniti di una molla che quasi
mai lasciavano possibilità di fuga, e di vita, alle prede cui miravano. Non
raramente tali ingranaggi venivano realizzati direttamente dagli utilizzatori.
* * *
Inutile dire che per saziare una sola persona ce ne volevano tantissimi
uccelli specie se della grandezza di un semplice passero. Quello cui mi viene
da pensare comunque è il fatto di come ci lamentavamo, e continuiamo a
lamentarci, della presenza di mosche, zanzare ed altri fastidiosi insetti che
regolarmente disturbano la nostra quiete quotidiana.
Purtroppo non tutti eravamo a conoscenza, e molti non lo sono neanche oggi,
di quanto siano preziosi questi piccoli stupendi esseri, mi riferisco agli
uccelli, per tenere sotto controllo il numero degli insetti dannosi che
convivono assieme a noi.
I passeri e tanti altri piccoli uccelli, infatti, si cibano anche di
insetti e quindi contribuiscono a garantire un giusto equilibrio per
l’ecosistema circostante. Dovremmo rispettarli di più, magari dando di tanto in
tanto qualcosa da mangiare per alleviare le loro difficoltà di sopravvivenza in
periodi difficili come i mesi invernali e realizzare, come fanno in tante altre
parti del mondo, appositi piccoli ricoveri.
E poi, diciamo la verità, è bello a volte fermarsi un pochino per strada o
in campagna e farsi rapire dal loro armonico cinguettio.
Oltretutto mi sembra di notare ultimamente che persino i passeri non hanno
più paura dell’uomo così come l’avevano ai tempi in cui io ero ancora un
semplice ragazzino.
A volte oggi li vedo persino avvicinarsi, anche se a debita distanza, a noi
esseri umani con la speranza che gli gettiamo vicino qualcosa da mangiare.
E forse anche la maggior parte dei cacciatori ancora in attività si sono
finalmente resi conto che non vale la pena uccidere un piccolo essere come
appunto un passero o un pettirosso.
Luigi Gigino Iantorno.
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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
mercoledì 30 gennaio 2019
San Fili, i cani randagi e i proprietari (dei cani di proprietà o adottati) incivili.
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Cani randagi in contrada Frassino. |