Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del
mese di dicembre 2018... a firma dell’amico Luigi “Gigino” Intorno.
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Ricordo quando ero ancora un giovanottino della fine degli anni Cinquanta o
al massimo dell’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso che molti miei
compaesani venivano nella zona Coste di San Fili (dove la mia famiglia aveva la
sua abitazione) e si metteva con tanta pazienza ad “armare” (ovvero
posizionando ed azionando i relativi ingranaggi) delle trappole (suriciare) per uccelli.
Si era in pieno inverno e quelli erano tempi di magra. Quindi, per quei
tempi, riuscire a catturare un certo numero di uccelli, per lo più passeri,
poteva essere un buon modo per assicurarsi una variante gastronomica in tavola.
D’inverno anche gli uccelli avevano problemi a trovare del cibo e quindi
era facile che cadessero vittime delle trappole posizionate dai cacciatori
locali. Una situazione, quella della ricerca del cibo da parte di uccelli non
migranti, che si accentuava nei periodi in cui faceva particolarmente freddo ed
ancor più quando veniva a nevicare dalle nostre parti e quindi, a causa della
coltre bianca che ricopriva il tutto, tali uccelli non potevano rovistare
direttamente sul terreno.
Alle trappole venivano attaccate, come esca, delle olive nere (quindi ben
visibili anche ad una certa distanza), miglio o briciole di pane (meglio se la
scorza) cui gli uccelli che vivono liberi vanno particolarmente ghiotti.
La maggior parte delle trappole venivano posizionate nei punti in cui la neve
lasciava qualche piccolo spazio libero. Tali spazi illudevano appunto gli
uccelli che ci fosse qualcosa da beccare sul terreno non pensando che in quel
punto invece avrebbero trovato ad accoglierli la morte grazie alle trappole
armate da noi sanfilesi.
L’ingranaggio delle trappole (suriciare) scattava inesorabile e
difficilmente l’uccello ne usciva illeso. Erano poche, infatti, le trappole
che, come si diceva in quei casi, “scattavano a vuoto.
Tra quanti, tra sanfilesi, in quei giorni partecipavano con le loro
trappole alla grande cattura degli uccelli nasceva una vera e propria sfida a
chi riusciva a portare a casa il numero, e la qualità, più consistente. In
alcuni casi, tra l’altro, se la giornata di caccia era andata particolarmente
bene, si accendeva un fuoco sul posto e parte degli uccelli catturati venivano
consumati sul posto in allegra compagnia.
Una parte veniva portata a casa magari al fine di insaporire altre pietanze
della nostra cucina come le patate ‘mpacchiuse o la polenta. Anche perché da
sola la carne del passero offriva ben poco di nutriente.
Non mancavano comunque tra i cacciatori improvvisati quanti si dedicavano a
questo hobby non per acchiappare gli uccelli per mangiarseli ma speravano di
prenderne qualcuno vivo ed in accettabili condizioni da portare a casa ed
allevare gli stessi in una gabbietta.
C’erano più zone di caccia intorno a San Fili e quasi ogni cacciatore aveva
la propria.
Le suriciare (trappole d’altri tempi per acchiappare uccelli e non solo)
erano degli degli infernali ingranaggi in ferro muniti di una molla che quasi
mai lasciavano possibilità di fuga, e di vita, alle prede cui miravano. Non
raramente tali ingranaggi venivano realizzati direttamente dagli utilizzatori.
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Inutile dire che per saziare una sola persona cene volevano tantissimi
uccelli specie se della grandezza di un semplice passero. Quello cui mi viene
da pensare comunque è il fatto di come ci lamentavamo, e continuiamo a
lamentarci, della presenza di mosche, zanzare ed altri fastidiosi insetti che
regolarmente disturbano la nostra quiete quotidiana.
Purtroppo non tutti eravamo a conoscenza, e molti non lo sono neanche oggi,
di quanto siano preziosi questi piccoli stupendi esseri, mi riferisco agli
uccelli, per tenere sotto controllo il numero degli insetti dannosi che
convivono assieme a noi.
I passeri e tanti altri piccoli uccelli, infatti, si cibano anche di
insetti e quindi contribuiscono a garantire un giusto equilibrio per
l’ecosistema circostante. Dovremmo rispettarli di più, magari dando di tanto in
tanto qualcosa da mangiare per alleviare le loro difficoltà di sopravvivenza in
periodi difficili come i mesi invernali e realizzare, come fanno in tante altre
parti del mondo, appositi piccoli ricoveri.
E poi, diciamo la verità, è bello a volte fermarsi un pochino per strada o
in campagna e farsi rapire dal loro armonico cinguettio.
Oltretutto mi sembra di notare ultimamente che persino i passeri non hanno
più paura dell’uomo così come l’avevano ai tempi in cui io ero ancora un
semplice ragazzino.
A volte oggi li vedo persino avvicinarsi, anche se a debita distanza, a noi
esseri umani con la speranza che gli gettiamo vicino qualcosa da mangiare.
E forse anche la maggior parte dei cacciatori ancora in attività si sono
finalmente resi conto che non vale la pena uccidere un piccolo essere come
appunto un passero o un pettirosso.
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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
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