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venerdì 15 marzo 2019

San Fili e dintorni ovvero... ‘a cicuòria (la cicoria).



Nell’immagine a sinistra: pianta di cicoria selvatica con fiore. Immagine ripresa dal web.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre 2018... by Luigi “Gigino” Iantorno.

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San Fili e dintorni ovvero... ‘a cicuòria (la cicoria).

Di Luigi Gigino Iantorno.

Il passato, sia per quanto riguarda i ricordi belli che per quanto riguarda i ricordi brutti, è impossibile cancellarlo del tutto dalla propria memoria.

Il passato sembra scomparso dalla propria memoria eppure con l’andare avanti negli anni eccoci di botto catapultatici dritti dritti ai primi anni della nostra vita.

Eccoci... ragazzini. Teneramente attaccati alle gonne delle nostre affettuose e protettive madri.

Ed ero proprio un ragazzino, o forse non più di un fanciullo, quando una mattina mia madre mi portò con sé, lungo la strada provinciale che da San Fili saliva verso il valico Crocetta, in cerca di una prelibatezza culinaria.

Quella mattina di tanti e tanti anni fa (si era negli anni Cinquanta), io e mia madre andavamo in cerca di cicuòrie ossia di cicorie. Ed andavamo a raccoglierle in una zona famosa per la presenza delle stesse. Eravamo diretti verso la discesa per la Falconara.

Il bivio per Falconara Albanese, per chi ancora non lo sapesse, si trova, lungo la ex provinciale 107, poco al di sotto del valico Crocetta.

A quel tempo si andava a raccogliere le cicorie muniti di capienti sacchi. Ed un capiente sacco si portava dietro quella mattina anche mia madre.

Dopotutto se per raccogliere delle cicorie bisognava fare una camminata di circa sei o sette chilometri, opportunamente abbreviati da provvidenziali scurtaturi (scorciatoie) quali quello conosciuto con il nome di “scurtaturu de monachelle”.

Inutile dire che se nel corso del cammino ci si imbatteva in qualche pianticina di cicoria la stessa la si raccoglieva, tagliandola alla base e lasciando la radice nel terreno, e la si gettava nel sacco.

Essendo un ragazzino quella zona era del tutto nuova ai miei occhi ed il cammino mi sembrava lunghissimo.

Finalmente giungemmo in uno spiazzo dove potemmo raccogliere un bel po’ di cicorie ma non tanto da riempire il sacco che mia madre si era portato dietro.

Eravamo comunque giunti in alta montagna... al bivio per Falconara Albanese. Se avessimo proseguito salendo verso la cima della montagna saremmo in breve giunti al valico Crocetta e quindi all’inizio della discesa verso la cittadina di Paola.

La nostra meta non era però quella e quindi proseguimmo lungo la strada che portava a Falconara Albanese. Passammo la zona denominata sant’Angelo e finalmente giungemmo ad un’altra zona, poco dopo questa, denominata Peschiera.

Nella zona denominata Peschiera facemmo amicizia con una famiglia che abitava da quelle parti. Questa bravissima famiglia ci indicò, in un pezzo di terreno di sua proprietà, un punto in cui avremmo potuto raccogliere ottime cicorie ed in abbondanza.

Nel volgere di pochissimo tempo riempimmo fino all’orlo il sacco che mia madre si era portato dietro.

Potevamo quindi fare ritorno a casa.

Questa volta il cammino era tutto in discesa ma, malgrado ciò, comunque per niente facile.

E se non era un cammino facile per me sicuramente non lo era neanche per mia madre che doveva farlo portando tra l’altro il sacco strapieno di cicorie sulla testa. E sicuramente, data la mia età e la mia costituzione fisica, io non potevo minimamente esserle d’aiuto.

Passo dopo passo, in ogni caso, dopo un po’ di tempo giungemmo in paese... a San Fili.

All’entrare nel paese tanta gente nel vedere mia madre con quel grosso sacco in testa iniziò ad avvicinarsi ed a chiedere con legittima curiosità: “Marie’, chi puorti?

Quando mia madre mostrò loro il ben di dio che eravamo riusciti a raccogliere in quella proficua giornata furono in tanti a chiederle se gliene vendesse un po’. Cosa, quest’ultima, che a mia madre non dispiacque per niente.

Inutile dire che non riuscimmo ad esaudire tutte le richieste tanta era la gente interessata al prezioso, dal puto di vista alimentare, contenuto del nostro sacco. E poi un po’ di cicuòrie era giusto quel giorno che li portassimo a casa anche noi.

Le cicorie, ma non solo le cicorie, per quei tempi erano una risorsa alimentare di rispetto. Oggi purtroppo, anche nelle nostre zone, sono classificabili come un mero “guliu” ovvero una prelibatezza per palati sopraffini.

Eppure la cicoria selvatica è una pianta che opportunamente rivalutata potrebbe ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto nella ristorazione locale e quindi diventare una fonte di reddito aggiuntivo per tante famiglie oggi in difficoltà.

Oltretutto la cicoria oltre a prestarsi a più impieghi in cucina ha diversi principi curativi (quindi può trovare impiego in erboristeria) e può essere utilizzata quale ingrediente base per preparazioni alcoliche.

Personalmente, in cucina, la gradisco sbollentata e condita ad insalata (o, sempre dopo essere stata sbollentata, passata in un tegame con un po’ d’olio e dell’aglio) o messa a cuocere mischiata con della carne di maiale e patate.

Noto con piacere comunque che, ai nostri giorni, in alcuni fruttivendoli della provincia si vendono delle accattivanti cicorie selvatiche.

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Il territorio sanfilese e quello dei Comuni circostanti è comunque ricchissimo di molte pianticine selvatiche commestibili. Tra queste, le più note, ricordiamo il cardo selvatico o cardune, l’aneto o finuocchiu ‘e timpa, il crescione d’acqua o scavune (pron. sc-kavune), la vitalba o vitarva, il lampagione o ‘a cipuddra cursunara e via dicendo.

Tutta roba che farebbe sicuramente impazzire di gioia i più celebri chef internazionali.

 

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


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