Nell’immagine a
sinistra: pianta di cicoria selvatica con fiore. Immagine ripresa dal web.
Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre
2018... by Luigi “Gigino” Iantorno.
San Fili e dintorni ovvero... ‘a cicuòria
(la cicoria).
Di Luigi Gigino Iantorno.
Il passato, sia per quanto riguarda i ricordi belli che per quanto
riguarda i ricordi brutti, è impossibile cancellarlo del tutto dalla propria
memoria.
Il passato sembra scomparso dalla propria memoria eppure con
l’andare avanti negli anni eccoci di botto catapultatici dritti dritti ai primi
anni della nostra vita.
Eccoci... ragazzini. Teneramente attaccati alle gonne delle nostre
affettuose e protettive madri.
Ed ero proprio un ragazzino, o forse non più di un fanciullo,
quando una mattina mia madre mi portò con sé, lungo la strada provinciale che
da San Fili saliva verso il valico Crocetta, in cerca di una prelibatezza
culinaria.
Quella mattina di tanti e tanti anni fa (si era negli anni
Cinquanta), io e mia madre andavamo in cerca di cicuòrie ossia di
cicorie. Ed andavamo a raccoglierle in una zona famosa per la presenza delle
stesse. Eravamo diretti verso la discesa per la Falconara.
Il bivio per Falconara Albanese, per chi ancora non lo sapesse, si
trova, lungo la ex provinciale 107, poco al di sotto del valico Crocetta.
A quel tempo si andava a raccogliere le cicorie muniti di capienti
sacchi. Ed un capiente sacco si portava dietro quella mattina anche mia madre.
Dopotutto se per raccogliere delle cicorie bisognava fare una
camminata di circa sei o sette chilometri, opportunamente abbreviati da
provvidenziali scurtaturi (scorciatoie) quali quello conosciuto con il
nome di “scurtaturu de monachelle”.
Inutile dire che se nel corso del cammino ci si imbatteva in
qualche pianticina di cicoria la stessa la si raccoglieva, tagliandola alla
base e lasciando la radice nel terreno, e la si gettava nel sacco.
Essendo un ragazzino quella zona era del tutto nuova ai miei occhi
ed il cammino mi sembrava lunghissimo.
Finalmente giungemmo in uno spiazzo dove potemmo raccogliere un
bel po’ di cicorie ma non tanto da riempire il sacco che mia madre si era
portato dietro.
Eravamo comunque giunti in alta montagna... al bivio per Falconara
Albanese. Se avessimo proseguito salendo verso la cima della montagna saremmo
in breve giunti al valico Crocetta e quindi all’inizio della discesa verso la
cittadina di Paola.
La nostra meta non era però quella e quindi proseguimmo lungo la
strada che portava a Falconara Albanese. Passammo la zona denominata
sant’Angelo e finalmente giungemmo ad un’altra zona, poco dopo questa,
denominata Peschiera.
Nella zona denominata Peschiera facemmo amicizia con una famiglia
che abitava da quelle parti. Questa bravissima famiglia ci indicò, in un pezzo
di terreno di sua proprietà, un punto in cui avremmo potuto raccogliere ottime
cicorie ed in abbondanza.
Nel volgere di pochissimo tempo riempimmo fino all’orlo il sacco
che mia madre si era portato dietro.
Potevamo quindi fare ritorno a casa.
Questa volta il cammino era tutto in discesa ma, malgrado ciò,
comunque per niente facile.
E se non era un cammino facile per me sicuramente non lo era
neanche per mia madre che doveva farlo portando tra l’altro il sacco strapieno
di cicorie sulla testa. E sicuramente, data la mia età e la mia costituzione
fisica, io non potevo minimamente esserle d’aiuto.
Passo dopo passo, in ogni caso, dopo un po’ di tempo giungemmo in
paese... a San Fili.
All’entrare nel paese tanta gente nel vedere mia madre con quel
grosso sacco in testa iniziò ad avvicinarsi ed a chiedere con legittima
curiosità: “Marie’, chi puorti?”
Quando mia madre mostrò loro il ben di dio che eravamo riusciti a
raccogliere in quella proficua giornata furono in tanti a chiederle se gliene
vendesse un po’. Cosa, quest’ultima, che a mia madre non dispiacque per niente.
Inutile dire che non riuscimmo ad esaudire tutte le richieste
tanta era la gente interessata al prezioso, dal puto di vista alimentare,
contenuto del nostro sacco. E poi un po’ di cicuòrie era giusto quel
giorno che li portassimo a casa anche noi.
Le cicorie, ma non solo le cicorie, per quei tempi erano una
risorsa alimentare di rispetto. Oggi purtroppo, anche nelle nostre zone, sono
classificabili come un mero “guliu” ovvero una prelibatezza per palati
sopraffini.
Eppure la cicoria selvatica è una pianta che opportunamente
rivalutata potrebbe ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto nella ristorazione
locale e quindi diventare una fonte di reddito aggiuntivo per tante famiglie
oggi in difficoltà.
Oltretutto la cicoria oltre a prestarsi a più impieghi in cucina
ha diversi principi curativi (quindi può trovare impiego in erboristeria) e può
essere utilizzata quale ingrediente base per preparazioni alcoliche.
Personalmente, in cucina, la gradisco sbollentata e condita ad
insalata (o, sempre dopo essere stata sbollentata, passata in un tegame con un
po’ d’olio e dell’aglio) o messa a cuocere mischiata con della carne di maiale
e patate.
Noto con piacere comunque che, ai nostri giorni, in alcuni
fruttivendoli della provincia si vendono delle accattivanti cicorie selvatiche.
*
* *
Il territorio sanfilese e quello dei Comuni circostanti è comunque
ricchissimo di molte pianticine selvatiche commestibili. Tra queste, le più
note, ricordiamo il cardo selvatico o cardune, l’aneto o finuocchiu
‘e timpa, il crescione d’acqua o scavune (pron. sc-kavune),
la vitalba o vitarva, il lampagione o ‘a cipuddra cursunara e via
dicendo.
Tutta roba che farebbe sicuramente impazzire di gioia i più
celebri chef internazionali.
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro
affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para
bellum”!
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