Nella foto a sinistra: particolare dell’ara dedicata
ai fratelli Attilio ed Emilio Bandiera nel vallone di Rovito di Cosenza dove
gli stessi furono fucilati nel 1844. Sulla lapide compare anche il nome del
sanfilese Santo Cesario anche lui fucilato in quello stesso punto pochi giorni
prima dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera.
Tutti (forse)
martiri per l’Unità d’Italia. In effetti la sommossa cosentina aveva ben poco
da spartite con le mire degli avventurieri “unionisti” ma ne fu comunque la
scintilla.
Foto di
Pietro Perri.
Martedì
3 agosto 2004, dopo 160 dalla sommossa cosentina del 15 marzo 1844,
dall’arresto e dalla fucilazione nel Vallone di Rovito del patriota Santo
Cesario, finalmente San Fili ed i Sanfilesi si sono decisi a riconoscere
degnamente l’eroico atto di questo loro sfortunato compaesano.
Di
tutto ciò va dato merito in particolar modo a chi scrive e all’amico Antonio
Asta (che si sono prodigati per circa un anno in ricerche storiche e a
ripercorrere, sul territorio, i passi dei rivoltosi del 15 marzo 1844) ma anche
e soprattutto all’allora sindaco di San Fili avv. Luigi Bruno (e
all'Amministrazione comunale dallo stesso diretta) che, comprendendo
l'importanza del caso, ha messo a disposizione degli ideatori del convegno di
giorno 3 agosto 2004 l'intera macchina comunale.
Di seguito viene riportato un articolo - resoconto di tale giornata pubblicato mercoledì 11 agosto su “Il Quotidiano” di Cosenza.
Varate
le iniziative per commemorare Santo Cesario
San
Fili ricorda il suo eroe
Il patriota fu fucilato nel vallone di Rovito.
SAN
FILI - Gli sarà intitolata una piazza del suo centro natale e, intanto, la sua
figura sarà studiata e approfondita anche nelle scuole: Santo Cesario, il
patriota di S. Fili fucilato nel Vallone di Rovito l'11 luglio 1844, insieme
agli altri condannati per l'antisommossa cosentina del 15 marzo, ritorna
all'attenzione dei suoi concittadini dopo 160 di oblio. Una dimenticanza
imperdonabile, cui l'attuale amministrazione comunale, capeggiata dall'avvocato
Luigi Bruno, ha voluto porre rimedio nella ricorrenza dell'importante
anniversario, lanciando un pacchetto d'iniziative, di concerto con la Pro Loco
e alcuni intellettuali del territorio. Si è avviato così un programma che punta
ad una rivalutazione delle risorse storiche e culturali del centro del
cosentino, che ha preso il via con un convegno celebratosi nei giorni scorsi.
“Sante
Cesario e l'insurrezione cosentina del 1844, ovvero un contributo sanfilese
all'Unità d'Italia” è stato proprio il tema che ha riunito lo studioso Pietro
Perri, moderatore dei lavori, il vicesindaco Maria Rosaria Oriolo, il
presidente della Pro Loco Franco Sangermano, la giornalista Anita Frugiuele, il
prorettore Unical Francesco Altimari, il presidente della Lega Autonomie Locali
Antonio Acri, accolti dal sindaco Bruno e dal capogruppo consiliare avvocatessa
Mazzulla.
Nei
locali della biblioteca comunale, in cui si è contestualmente inaugurata la
bella mostra “Vedute di Calabria” delle opere dell'artista albanese Shpend
Bengu, al quale in conclusione è stata consegnata una targa, il pomeriggio è
quindi scivolato lungo quella rinomata ma triste giornata del 15 marzo 1844 quando,
sulla scia dell'avversione per la società borbonica, i patrioti cosentini
insorsero nella piazza chiamata dell'intendenza.
Un
tentativo di rivoluzione che vide il contributo di molti cittadini del
circondario e della provincia e, tra essi, il ventisettenne Cesario. Piccolo
proprietario terriero, già padre di tre bimbi, il giovane aveva aderito
all'ideale liberale di Unità d'Italia che infuocava la Penisola cui ha compiuto
la puntuale ricostruzione storica ed ideologica Maria Rosaria Oriolo, e al
progetto di un moto che doveva interessare tutto il Meridione, tatticamente
preordinato dal vertice della Giovane Italia cosentina Domenico Frugiuele, per
quanto riguardava 1a provincia di Calabria Citra.
Una
rivoluzione che invece abortì malamente, lasciando sul terreno della breve
battaglia alcuni cadaveri e destinando alla fucilazione quanti furono
processati e condannati a morte. La stessa sorte che, come ha ricordato Perri
nella sua ricca esposizione, di lì a pochi giorni sarà toccata anche ai
fratelli Bandiera e compagni, giunti in Calabria per unirsi ai combattenti del
15 marzo e processati a loro volta con gli stessi criteri. Un metodo questo,
che è stato tecnicamente illustrata negli aspetti più interessanti da Anita
Frugiuele, che faceva capo ad una normativa penale più feroce per i reati di
lesa maestà di cui furono accusati e prevedeva l'applicazione di commissioni
militari per il giudizio.
Sottolineata
da letture di brani dell'epoca e da documenti autentici ad opera del poeta ed
attore Antonio Asta, la giornata si è qualificata dunque come un momento di
riflessione ed approfondimento, definito da Antonio Acri "prova tecnica di
federalismo" per un comune che ha versata sangue per l'Unità d'Italia e
guarda con orrore ai discorsi secessionisti attuali
a.f.
* * *
Di seguito è riportata la relazione introduttiva tenuta da Pietro Perri (lo scrivente) al convegno del 3 agosto 2004 tenutosi nella Biblioteca comunale “Goffredo Iusi” San Fili). Oltre ad alcuni stralci di documenti storici letti nel corso del convegno stesso.
Santo Cesario: cenni sulla famiglia.
Santo
Cesario nasce a San Fili il 29 marzo del 1817 e muore, a poco più di 27 anni,
fucilato, a Cosenza, nel Vallone di Rovito, l'11 luglio del 1844.
Figlio
di Vincenzo (di professione vaticale, ossia un guidatore di carri e bestie da
soma) e di Rosa Blasi. Viene alla luce in una casa sita nella Strada Croce di
San Fili.
Di
lui e della sua famiglia si sa ben poco, se non che, per quei tempi, era
comunque una famiglia benestante.
Sappiamo
che Sante Cesario sposa Aquila Parise di Castelfranco (attuale Castrolibero),
nipote del sacerdote Pietro Parise.
Di quest'ultimo qualcuno ha detto: "sacerdote, questi, sicuramente non per vocazione se si pensa che, secondo chi l'ha conosciuto, fosse più avvezzo all'uso delle armi da fuoco che alla lettura e contemplazione dei Vangeli".
Santo Cesario e la Gran Corte Criminale di Calabria
Citeriore.
Di
Santo Cesario sappiamo anche che sarà menzionato, non certo positivamente,
nelle indagini e nel processo in merito all'omicidio del padre.
Il
padre Vincenzo, infatti, verrà ucciso il 22 maggio 1838 (a circa 50 anni d'età)
in località "Vallone Cupo" di San Lucido.
Accusati
dell'omicidio sono Allevato Pasquale (per aver commissionato il fatto su
istigazione del sacerdote Pietro Parise), Curti Ferdinando e Iusi Lelio (in qualità
di autori dell'omicidio).
Nel
corso delle indagini alcuni indizi di correità erano scaturiti a carico di
Santo Cesario. Semplici indizi, in quanto nulla, a fine processo, sarà
addebitato al nostro eroe risorgimentale. Anche se lo stesso verrà rimesso in
libertà provvisoria in attesa di "nuovi lumi".
Trent'anni
di ferri vennero comminati a Curti Ferdinando e a Iusi Lelio. Quest'ultimo,
qualche anno dopo, rimesso in libertà si arruolerà nella Gendarmeria.
Alla
morte del padre, e quindi all'età di 21 anni, Santo, designato unico erede,
divenne proprietario di case e terreni.
Se
il soprannome del Cesario è “Guerra”, ci sarà anche un perché, fatto sta
che ritroviamo il Santo implicato in un altro omicidio, appena tre anni dopo, e
questa volta nelle vesti di unico imputato.
A
farne le spese fu Paolo Curti di anni 18 da San Fili. Questi, venne trovato
ucciso a stilettate la notte del 24 ottobre 1841. Tra i presunti assassini,
considerato i possibili moventi (ovvero l'omicidio del padre per mano di
Ferdinando Curti avvenuto qualche anno prima), si pensò subito a Santo Cesario.
Il 3 giugno 1842 la Gran Corte Criminale di Calabria Citeriore scagionava a pieni voti (con la formula, questa volta, del "non costa") Santo Cesario dall'imputazione dell'omicidio di Paolo Curti.
Santo Cesario: uomo non da poco e comunque dall'ottima
dialettica.
Malgrado
subisse l'influenza dello zio acquisito, in ogni caso, Santo Cesario non doveva
essere né un soggetto da poco né tantomeno un ignorante o un soggetto privo di
dialettica e di personalità. Assieme allo zio acquisito, infatti, nel 1844 sarà
uno degli organizzatori, a Castelfranco, della sommossa cosentina del 15 marzo.
Sommossa questa, finita in malo modo, è quasi il caso di dire, ancor prima di
iniziare, ma che avrà ripercussioni che andranno ben oltre i confini della
Calabria Citeriore. Ad essa, infatti, si collega la tragica, anch'essa breve
(per alcuni versi anche stupida) e sfortunata, spedizione dei fratelli Attilio
ed Emilio Bandiera.
Ad
accusarlo di ciò, oltre ovviamente ai fatti, (di far proseliti per la
sommossa), saranno gli interrogatori di Saverio Aiello di Castelfranco e
Gennaro Rovella di Rende, i quali dichiarano che andarono a Settimo per
istigazione l'uno di Giuseppe Mazzei di Casole e l'altro di Santo Cesario da
San Fili.
Se
non vogliamo dare credito alle illazioni e ad i vari "si dice, non
possiamo non affermare, alla luce degli scritti, che Santo Cesario è e resta un
eroe del Risorgimento italiano: un eroe vero.
Non c'è fase della sommossa cosentina del 15 marzo 1844, infatti, in cui il suo nome non venga regolarmente citato.
Santo Cesario: anche la sua vicenda conferma il detto
"nemo profeta in patria".
Se
San Fili, comunque, finora non ha saputo tributargli un giusto riconoscimento
(quasi sentendosi offeso d'avergli dato i natali) questo certamente non è stato
il caso di Castelfranco, attuale comune di Castrolibero.
E'
vergognoso, per noi sanfilesi, infatti dover leggere sulla “Guida Turistica
Area Pandosia” del “Consorzio Pro Loco Re Alarico”, in merito ai cenni storici
sulla città di Castrolibero, il seguente passo: “Sede di una vendita carbonara
capeggiata dai fratelli Parise, Castelfranco partecipò attivamente ai moti
rivoluzionari della prima metà dell'800. Nel 1844 un suo cittadino (e ripeto,
un suo cittadino), Santo Cesario, nato a San Fili ma residente a Castelfranco,
venne fucilato nel vallone di Rovito per aver partecipato al moto
rivoluzionario dell'15 marzo 1844”.
Le
pagine sanfilesi, nella citata guida, trattano diversamente l'argomento “15
marzo 1844 e Santo Cesario”. Tre miseri righi per la precisione: “Importante è
stata la partecipazione di numerosi Sanfilesi e Bucitesi alla carboneria e alle
insurrezioni del 1844 e del 1848”. Per i nomi (o almeno il nome del più
illustre, dell'eroe risorgimentale Santo Cesario)? ... si rimanda il lettore
alle pagine relative al comune di Castrolibero! ... in quelle di San Fili non
abbiamo spazio per gli uomini illustri che hanno fatto, col loro sangue, la
storia d'Italia e del nostro paese.
E'
vero: "nemo profeta in patria". Regola a cui non scampa neanche l'eroe
risorgimentale Santo Cesario.
Persino
il Granata (personaggio sanfilese che eccelle in tutto) in un suo componimento
dedicato ai moti insurrezionali cosentini del 1844 (per la cronaca
"Passeggiando lungo la villa di Cosenza - Reminiscenze del 15 marzo
1844") cita il Salfi (che cade in Piazza dell'Intendenza), cita il
Corigliano (che neanche fu presente in Piazza dell'Intendenza), cita il Raho
(morto suicida mancandogli il coraggio di subire la fucilazione?) giunto sul
luogo dell'esecuzione in una bara, cita il Villacci (che ha paura di bagnarsi i
piedi oltrepassando il ruscello che preannuncia la sua morte)... non cita il
Camodeca, non cita il Franzese e, cosa ancor più grave, non cita il compaesano
Santo Cesario.
Il Granata non cita, seppur non fucilati ma comunque partecipi della sommossa, gli altri sanfilesi Cribari, Allevato e Parisi. Tale cosa non sfuggi giustamente neanche a Goffredo Iusi.
Santo Cesario nella città dei Bruzi.
Facendo una passeggiata a Cosenza, non possono non sfuggire ben tre punti in cui si legge, quasi a caratteri cubitali, il nome di Santo Cesario (ovviamente abbinato al nome degli altri sfortunati "eroi" legati all'insurrezione cosentina del 1844): vallone di Rovito (mausoleo ai fratelli Bandiera e agli insorti del 1844); piazza 15 Marzo (piedistallo della statua della Libertà); Duomo di Cosenza (cappella del Santissimo Sacramento, appartenuta all'Arciconfraternita Orazione e Morte).
Santo Cesario da San Fili, in un periodo dove ormai
ben si sapeva che a nulla serviva nulla... c'è!
Malgrado
il Sud (la Calabria) fosse tutt'altro facile da raggiungere, sembra che fin dal
1835 la Giovine Italia aveva attecchito e messo salde radici a Cosenza. Due
tentativi di rivolta, che precedettero di poco quello del 1844, furono
organizzati invano, uno nel 1837 ed uno datato 27 ottobre 1843.
A
cosa miravano gli insorti? ... l'Italia doveva essere unica ed indivisibile.
Quale doveva essere la futura forma di governo? ... tutto andava bene, si sarebbe
visto poi. Qualcuno azzarda persino l'idea di una Monarchia costituzionale con
a capo il Borbone, e non è detto che ciò non sia vero. Dopotutto è strano,
malgrado l'enfasi riportata nei pochi libri scritti e pubblicati in merito ai
"massacri cosentini" del 1844, che vi siano state così ben poche
teste a cadere.
21
persone riconosciute colpevoli di attentato alla Corona e quindi condannate a
morte... solo sei esecuzioni, per volere della Corona, portate a termine.
Come
mai solo sei esecuzioni su 21 condanne a morte? ... come mai tutta questa “Pietà
Reale”?
In altri tempi (1799 a Napoli con Francesco I e il 1837 con lo stesso Ferdinando II) il numero dei giustiziati fu decisamente più alto.
Santo Cesario protagonista dei moti insurrezionali
cosentini del 15 marzo 1844.
Nel
mese di febbraio 1844, il comitato rivoluzionario della Calabria Citeriore si
riunì per decidere modi e data della rivolta. Qualcuno (Pietro De Roberto)
consigliò di aspettare novembre mettendosi d'accordo con le altre provincie per
sollevarsi contemporaneamente. Prevalse la proposta di Nicola Corigliano
(ossia, per uno strano gioco del destino, dell'unico dei sei destinati alla
fucilazione che non prese parte alla battaglia di Piazza dell'intendenza), era
deciso: il 15 marzo.
Malgrado
ciò, e malgrado svariate avvisaglie che facevano prevedere il fallimento
dell'impresa, oltre 80 persone si ritrovarono, il 14 marzo, in contrada Settimo
di Rende ed 8 nel casino Puntieri a Montechierico.
Santo
Cesario, detto Guerra, confessa lui stesso di aver partecipato ad una riunione
in casa di Pietro Filice e poi essere, con il Filice ed altri compagni,
congiuntosi ai rivoltosi di Settimo. Negherà solo di aver resistito, all'atto
dell'arresto (avvenuto il 17 marzo), alla forza pubblica facendo fuoco sulla
stessa.
Tra
gli ottanta di Settimo compaiono anche Allevato Pasquale di San Fili (dimorante
a Marano Marchesato), Francesco Parisi di San Fili (dimorante in Cerzeto),
Cribari Antonio di Bucita (dimorante a San Benedetto) e lo stesso Cesareo Santo
di San Fili (dimorante a Castelfranco)
I
cospiratori del gruppo di Settimo (eroi risorgimentali cosentini) si ritrovano
in contrada Coda della Volpe (al cancello dei Maddaloni) a bivaccare. Di tanto
in tanto sparano dei razzi per segnalare la propria presenza agli altri
cospiratori cosentini, quelli riuniti a Montechierico (il Corigliano ed altri 7
rivoltosi), i quali danno loro pronta risposta.
La
maggioranza armati di fucile, il resto di scuri ed improvvisate armi.
Da
Coda della Volpe si avviano alla taverna di Maria Teresa Basile, (piccola casa
nei pressi della stazione ferroviaria di Rende-San Fili - stiamo parlando di
fine '800).
Alle
prime luci dell'alba, la comitiva s'incammina verso Cosenza., oltrepassando
prima l'Emoli e poi il Campagnano. A capo della comitiva era il Salfi,
Francesco Salfi.
Abbandonati lungo il percorso da parte dei radunati di Settimo, i congiurati speravano di trovare aiuti ed incoraggiamenti almeno in città: la città, però, come scrive Biagio Miraglia, non si mosse!
"...
Essa giacea nel sonno:
La
ridestàro col potente grido.
Si
aprivano i balconi, ed il terrore
Tosto
li racchiudeva. Ahimè, Cosenza
Il
sonno dello schiavo ancor t'è dolce
Come il sonno diletto del mattino! ..."
In piazza dell'Intendenza.
Qui
inizia a sorgere qualche dubbio in merito allo svolgimento legittimo
dell'intera vicenda, qualcosa, infatti, inizia a non quadrare. Ma dopotutto...
non è forse gran parte del periodo risorgimentale italiano che dà una tale
impressione?
Qualcosa,
ovviamente, era nell'aria da tempo, se si considera che a scopo cautelativo
giorno 13 marzo, ossia appena due giorni prima, erano stati arrestati 7
presunti cospiratori. Quindi, le forze dell'ordine sapevano di ciò ch'era
nell'aria. E sicuramente anche i "cospiratori" sapevano che le forze
dell'ordine sapevano che giorno 15 ci sarebbe stata la rivolta
Stranamente
gli insorti entrarono in Piazza dell'Intendenza senza che la forza pubblica
tradisse alcuna preparazione alla difesa: persino il portone del palazzo
dell'Intendenza era aperto (subito chiuso e sprangato). L'Intendente era il
barone Villani di Battifarano.
Per varie vicissitudini, comunque, degli oltre cento previsti, appena una cinquantina si ritrovarono in piazza dell'Intendenza (attuale piazza XV Marzo) a Cosenza. Tra questi il bucitese Cribari Antonio, Francesco Parisi e Santo Cesario (ritorna il nome di Sante Cesario) di San Fili.
Morte del capitano Galluppi e scontro tra rivoltosi e
gendarmi.
Squilla
la tromba della gendarmeria a cavallo ed un drappello di soldati, comandati dal
capitano Galluppi, irrompe nella piazza. Giunge anche la gendarmeria a piedi.
Il
Galluppi sembra lavorare per scongiurare un vero e proprio corpo a corpo che
sarebbe finito certamente nel sangue tanto che qualcuno si chiese se non fosse
a conoscenza, e magari ne fosse pure partecipe, della congiura.
Purtroppo
un albanese, un certo Tavolaro, pensando che stesse avventandosi sul Salfi (col
quale semplicemente discuteva) tira un colpo di fucile alla testa del Galluppi
che cade a terra.
A
questo punto i gendarmi non vedono altra possibilità di sedare la rivolta se
non di rispondere senza mezzi termini al fuoco. Di fatti la morte del Galluppi
(forse una quinta colonna della rivolta) segnerà l'inizio della fine della
rivolta stessa.
Quasi
subito troviamo a terra il Salfi, Musacchio, Coscarella, De Filippis e, secondo
alcune versioni, lo stesso uccisore del Galluppi.
Del
Galluppi qualcuno dirà: "vittima del proprio dovere, non della
libertà".
In
breve nella piazza non restò alcun rivoltoso. Sul luogo del combattimento si
trovò la bandiera tricolore portata da Settimo, tre fucili ed uno stile.
Inutile
dire che in piazza dell'Intendenza, il 15 marzo 1844, ritroviamo, certamente
non nascosto ed inattivo, l'eroe risorgimentale Santo Cesario.
Gli
arresti sono immediati ed in breve tempo si giunge anche alla esemplare
conclusione del relativo processo.
A base di tutto e a determinare l'andamento del processo si può dire siano state le dichiarazione rilasciate dagli arrestati Antonio Raho e Raffaele Camodeca (entrambi tra i fucilati dell'11 luglio 1844).
Ventuno condanne, sei esecuzioni.
Ad
essere condannati a morte (pena capitale col terzo grado di pubblico esempio -
tale consisteva nel trasporto del condannato al luogo dell'esecuzione, a piedi
nudi, vestito di nero e con un velo nero sul volto) in prima istanza furono in
21. Tra questi, oltre al Cesario, figura un altro sanfilese: Francesco Parise
di anni 24, ferraio, domiciliato in Cerzeto. La sentenza fu emessa il 10 Giugno
alle ore 6.
21
condannati a morte, ma una lettera, riservata e personale, giunge da Napoli con
l'ordine di non fucilarne più di sei, solo sei, neanche uno in più. Scegliendo
tra i 21 i sei che più si erano distinti nell'intera vicenda.
I
6 fucilati (o destinati alla fucilazione) sono accusati quasi tutti di
cospirazione, esecuzione ed atti prossimi ad essa per eccitare alla ribellione
i sudditi del regno ad armarsi avverso all'autorità reale. Questi, secondo
l'accusa, avevano resistito alla "energica repressione" della Reale
Gendarmeria, uccidendone un ufficiale ed un gendarme, e ferendo due altri
leggermente.
Accusato e scagionato: Antonio Cribari di Bucita, mulattiere di anni 24.
Santo Cesario riposa all'interno del Duomo di Cosenza.
Abbiamo
detto chi era Santo Cesario, senza tralasciare anche alcuni dubbi episodi della
sua vita; abbiamo parlato dell'impegno per la riuscita e della forte presenza
del Cesario nella vicenda dei moti insurrezionali del 1844 (cosa che di fatti
ne fa un eroe risorgimentale). Non abbiamo parlato però di dove si trovano
attualmente le spoglie di Santo Cesario e di buona parte dei suoi compagni di
sventura.
Inutile
dire che non si trovano (non è sepolto) nel cimitero di San Fili. E tutto ciò,
ovviamente, a 160 della vicenda, a suo onore, tutto ciò, e non certamente ad
onore dei sanfilesi.
Sanfilesi
che, finora, non gli hanno dedicato neanche una via o una piazza. 160 anni di
oblio, comunque, anche se in alcuni casi lontanamente giustificabili (il
mistero del componimento Granata, ad esempio), sono veramente tanti!
Le
spoglie di Santo Cesario, infatti, riposano, e non certamente in modo anonimo,
all'interno del Duomo di Cosenza.
Entrando
dalla porta principale del Duomo, costeggiando la navata sinistra e proseguendo
verso l'altare maggiore, non dopo aver tanto camminato, ci ritroviamo, sulla
sinistra, davanti alla cappella del Santissimo Sacramento, cappella che per una
strana, fortuita per il Cesario e i compagni, combinazione apparteneva
all'Arciconfraternita della Morte e Orazione.
Arciconfraternita
che aveva tra i suoi fini quello di dare debita sepoltura ai poveri ed ai
condannati a morte.
Sulla
pala dell'altare della cappella è posta l'immagine della Madonna delle Grazie.
A
destra dell'altare, sono tumulate le ossa di alcuni patrioti calabresi, quelli
fucilati assieme (o con qualche giorno di differenza) ai fratelli Attilio ed
Emilio Bandiera.
Alcuni resti sono stati traslati nelle città d'origine, riposano ancora nella cappella i resti mortali di Francesco Salfi e Nicola Corigliano di Cosenza, Michele Musacchio, Giuseppe de Filippis e Francesco Coscarella di San Benedetto Ullano, Giuseppe Franzese di Cerzeto, Raffaele Camodeca di Castroregio, Pietro Villacci di Napoli, di Antonio Raho di Cosenza e di Santo Cesario di San Fili.
Un capitolo ancora aperto.
Qualche
giorno dopo il convegno, quando il capitolo "Santo Cesario eroe del
Risorgimento Italiano" sembrava essere stato definitivamente archiviato,
il veleno (oltre l'ignoranza galoppante) che caratterizza alcuni sanfilesi o
presunti tali, tenta di gettare nuovamente discredito sull'eroico e sfortunato
compaesano.
A
questo punto diventa legittimo chiedersi realmente perché 160 di oblio (tabù)
sul nome di Santo Cesario da parte dei sanfilesi, e le motivazioni, logiche e
possibili, che riaffiorano sono ben poche: le misere (popolari, per la
precisione) origini di Santo Cesario. Dopotutto Santo Cesario era il figlio di
un vaticale per nulla discendente o lontanamente collegato alle famiglie
nobiliari o gentilizie sanfilesi. Chi vorrebbe, infatti, come eroe cittadino il
figlio di un vaticale... quasi un “mulattiere”?
la
scarcerazione, subitanea ed anche strana, e l’entrata nella Gendarmeria di uno
degli assassini del padre (ossia di Lelio Iusi). Dopotutto, avranno pensato i
sanfilesi, è meglio tenerci amico un gendarme vivo che un eroe risorgimentale
morto.
Non
trova appiglio, infatti, l'ipotesi di trovarci di fronte ad un criminale.
Oltretutto
nel primo processo in cui viene coinvolto Santo Cesario si rasenta l'assurdo
accettando l'ipotesi che lo stesso era indiziato nell'omicidio del padre in
quanto nipote acquisito del sacerdote Pietro Parise, il quale Pietro Parise
avrebbe istigato Allevato Pasquale a commissionare a Ferdinando Curti e a Lelio
Iusi l'omicidio di Vincenzo Cesario padre di Santo.
Solo
un ignorante, senza prove inconfutabili, potrebbe dar credito ad una tale
ipotesi. I giudici dell’epoca pensarono bene di soprassedere.
Senza
tanti giri di parole e conoscendo il soggetto... avrebbe fatto prima, il Santo
Cesario, e sicuramente con migliore figura, se veramente avesse voluto
ucciderlo, ad ucciderlo direttamente il padre.
Per
quel che mi riguarda io preferisco leggere diversamente il dramma esistenziale
dell’eroe risorgimentale Santo Cesario. Un povero giovane che ad appena
ventun’anni si vide privare anche dell’affetto paterno da una masnada di
prezzolati assassini.
Fatto
sta che a fine processo le manette scattarono (e credo sia più che giusto
ricordare questi nomi e magari anche i cognomi) nei confronti di Ferdinando
Curti e Lelio Iusi. Per Santo Cesario un semplice rinvio a “nuovi lumi”, di
fatti un’archiviazione bell'e buona.
Del
secondo caso, quello che vede il Santo Cesario implicato nel processo per
l'omicidio di Paolo Curti, preferisco non parlarne in quanto il nostro eroe
sarà prosciolto con la formula del “non costa”, ossia viene considerato
dai giudici completamente estraneo al fatto.
Persino
l’Intendente di Cosenza barone Villani di Battifarano nel vano tentativo di
screditare agli occhi dei suoi superiori la figura di Santo Cesario, in una
“informativa” all’uopo realizzata, non può fare a meno del mettere in risalto il
“si dice” dei compaesani dell’eroe del Risorgimento Italiano: “Santo
Cesario, di S. Fili, domiciliato a Castelfranco. Dopo la morte del padre spiegò
animo atroce e costume perverso. Si vuole che abbia avuto parte nell'omicidio
in persona del genitore, ed il pubblico lo reputa uccisore del
suo compaesano D. Paolo Curto, quantunque fosse stato liberato dalla
Gran Corte Criminale col non costa….”.
E
il Battifarano aveva più di un giustificabile motivo per screditare Santo
Cesario, motivi che mancano completamente ai suoi compaesani di allora e più
che di allora… oserei dire di adesso!
Restano
in pratica i “si dice” di un popolo in alcuni casi citato come “...
largu 'e vucca e strittu de manu!”,
Nel
preparare la relazione per il convegno del 3 Agosto 2004 abbiamo dato una
approfondita spulciatina anche al libro dello storico Mario Spizzirri “I
Sanfilesi e la Gran Corte Criminale di Calabria Citeriore dal 1815 al 1862”:
quanti nomi (e cognomi) di sanfilesi vengono citati in tale libro. Cronache che
farebbero impallidire, se non passare per angioletto, lo stesso “leggendario”
pluriomicida sanfilese noto come “u Surd'e Carlucciu”.
Assieme
all’amico Antonio Asta, che mi ha assistito non poco nelle ricerche che hanno
dato via alla mia relazione, tra l’altro non abbiamo potuto fare a meno di
chiederci come mai questo stupendo libro dello storico Spizzirri sia così poco
circolato a San Fili e come mai la Biblioteca di San Fili non ne conservi una
copia.
Pietro Perri.
* * *
Da “Passeggiando lungo la villa di Cosenza -
Reminiscenze del 15 marzo 1844”.
Di Enrico Granata.
"Attico
sale il labbro, il cuor leone,
pari
a duce di liberi giganti
che
scossero il torpor della prigione,
il
lauro al capo ed il supplizio innanti:
«bello
e dolce è il morir pel patrio tetto»
sereno
incedi, Corigliano, e canti.
E
al tuo Villacci, polso a polso stretto,
che
il piede scalzo in una gora infuse,
celiasti:
Via, non lorderemo il letto!
Ultima
celia! un rombo la confuse
con
tonfi dello storico vallone
che
tanto italo sangue al mar profuse.
Oh,
viene anch'esso Raho e non pedone,
chè
stancossi per via. Chiude il corteo
una
bara, in cui spento lo si pone.
Ansia
di un - nuovo al mondo! - empio trofeo;
dunque,
efferato Maramaldo, il dritto
nel
morto uccide i ruderi del reo."
* * *
U Vaddrune de Ruvitu
Versi dedicati a Santo Cesario fucilato nel Vallone di
Rovito l'11 Luglio 1844.
Di Antonio Asta.
"A
Santu Fili, u Vaddrune De Ruvitu e' riscordatu
Ma
ddra' nu figliu cc'è statu fucilatu,
Santu
Cesario de nume facìa
È
muortu ppe' ra Patria chi cridìa.
Ccu
quattru cumpagni è statu ammazzatu
Ppè
manu du Burbone sceleratu,
ntu
juru de l'anni u sancu âu spisu
ppè
l'unure d'Italia avire difisu.
Viva
l'Italia su' muorti gridannu
Quannu
i surdati de Re Ferdinannu
i
griddri âu vasciatu, sparannu, sparannu.
E
giuvane vite su' state spezzate
senza
dulure, senza pietate.
Iddri
su' muorti ppe' juorni cchju' miegli
ppe'
nun more de fame e mamme e ri figli,
ma
a ra Calabria nente è cangiatu
cchju'
pieji de prima nui simu restati.
I
Borboni cridiamu ch'eranu muorti
ma
stamuni attienti su tutti risuorti.
Nu
Santu Cesario chju' nun ce sta'
pregamu
u Segnure e cumu va' va'."
* * *
MINISTERO
E REAL SEGRETERIA DI STATO
DI GRAZIA E GIUSTIZIA
Ripartimento 3
Carico 1
RISERVATA A LUI SOLO.
Al sig. Procuratore Generale
Presso la Gran Corte Criminale in Cosenza
Napoli,
17 giugno 1844
Le
comunico per di lei intelligenza la seguente determinazione partecipata al
Comandante le armi in codesta Provincia colla data di oggi.
"La
Commissione militare ch'è occupata del giudizio degli imputati degli
avvenimenti de' 15 marzo scorso in cotesta Provincia, giudicherà costoro
secondo la Legge in vigore. Nondimeno quando cotesta Commessione Militare
pronunziasse sentenza di morte contro sei tra quegli imputati, lascerà
libero il corso alla giustizia e farà eseguire la condanna. Nel caso che la
Commessione condannasse a morte un numero maggiore di sei imputati, la
Commessione ne farà una classificazione, ed il giudicato avrà esecuzione pei sei
condannati a morte che verranno designati dalla Commessione medesima nella
stessa sentenza.
Per
gli altri condannati a morte sospenderà, nel mio particolar nome, la esecuzione
e farà rapporto. La Commessione nella classificazione porrà mente a sospendere
la esecuzione della sentenza di morte per quelli che hanno meno spinta la
rivolta. Darà conoscenza di questa determinazione al Relatore della Commessione
militare, ed avrà cura che sulla medesima si porti il maggior segreto. Mi farà
conoscere l'arrivo della presente.
Il Ministro Segretario di Stato
di Grazia e Giustizia
N. Parisio
* * *
Da "La sommossa cosentina del 15 marzo '44"
Del dottor Giuseppe Storino
Editore Luigi Aprea - Cosenza 1898
La
triste sentenza di morte fu eseguita l'undici luglio. Nel Vallone di Rovito.
Alle
sei della sera del 10, Pietro Villacci, Nicola Corigliano, Sante Cesario,
Raffaele Camodeca, Antonio Raho e Giuseppe Franzese furono condotti nella
cappella del carcere. Un canonico, D. Nicola B..., padre di uno de' condannati,
con pietosa insania, fornì loro del tabacco avvelenato, e Antonio Raho lo fiutò
avidamente, e cadde in mezzo a' compagni; gli altri preferirono ricever la
morte dalla mano del carnefice, perché più proficuo fosse il loro martirio.
Nelle
prime ore del mattino furono condotti al supplizio: tristissimo spettacolo, cui
faceva contrasto la loro saldezza d'animo e la loro intrepidità.
Il
Villacci voleva scansare un rigagnolo, per non bagnarsi; ma il Corigliano: E
che? hai paura di prendere stasera un raffreddore?
Caddero,
salutando con lo sguardo rivolto al cielo, la patria diletta, e forse in quel
momento intravedevano per essa migliori destini.
Il
maggiore di essi aveva trent'anni, il più giovane era Raffaele Camodeca.
* * *
Da "Storia di Cosenza", di Luigi Caruso - edizioni di Storia Patria.
Nel
conflitto morirono il capitano di Gendarmeria Galluppi, Francesco Salfi,
Michele Musacchio, Francesco Coscarella e Giuseppe De Filippis.
Il
commissario di polizia Lubrano chiamato a giudicare 75 cospiratori cosentini
fece il resto!
Il
martirio della nostra gente non fu vano, anzi si accostò a quello di mezza
Europa. Un nuovo motto si era creato e veniva da tutti pronunciato con amare
lagrime: “...non avere più a che fare col Re di Napoli”.
Il
seme della libertà bagnato col sangue dei nostri martiri non bastò a placare
l'orgia borbonica. Ancora vendette per saziare il felino che siede sull'ironico
scanno! Oh sventura del nostro piccolo lido!
Non
piangere Bruzio: ormai si appresta l'ora del tuo riscatto! Lo sappiamo che lo
squallore non ti desta meraviglia, per il tuo lungo soffrire. Ma ora devi
resistere, devi vantarti del tuo coraggio, devi farti apprezzare per la tua
forza. Non piangere, sei ormai un uomo e tu sai che gli uomini non piangono!
Ecco i tuoi compagni che per te s'immolarono l'11 Luglio 1844: Pietro Villaci,
Nicola Corigliano, Raffaele Camodeca, Giuseppe Franzese, Santo Cesario, Antonio
Raho, giovani, baldi e con l'Italia nei loro petti.
* * *
Da un articolo apparso sul giornale “La Libertà” del 13 Giugno 1867 dal titolo “Trasporto delle Ceneri de’ Bandiera d del Moro in Venezia":
“(…) Arrivato il convoglio funebre presso San Fili, vide quel piccolo paese brillare
d’infinite fiaccole: per le strade lunghe file di torce a vento, su’ balconi e
le finestre lucerne variopinte e vagamente disposte. San Fili parea un
quartiere d’una grande città in una sera di festa. All’entrata del paese si
trovò la Guardia Nazionale tutta schierata lungo la via; una gran calca di
gente di ogni classe si facea intorno al carro funebre desiderosa di vederlo:
la Commissione provinciale allora lo fe’ scoprire a’ loro occhi, e dalla
Guardia Nazionale di San Fili diede l’onore di guardare il carro durante la
fermata del convoglio. Il sindaco intanto ed un’eletta schiera di cittadini
venne ad invitare le varie commissioni del seguito e l’ufficialità della
Guardia Nazionale di Cosenza a favorire nella casa comunale ove si trovò ogni
maniera di rinfreschi apparecchiati da quel patriottico municipio: rinfreschi
ancora furono offerti a tutta la bassa forza delle due compagnie della Guardia
Nazionale di Cosenza ed alla banda, che crede’ ringraziare il paese, facendogli
sentire i suoi concerti. Il convoglio venne infine accompagnato per lungo
tratto dalla Guardia Nazionale di San Fili. Quanti son tornati di là non
possono insomma elogiare abbastanza l’accoglienza fatta da quel piccolo paese
al funebre corteggio de’ Bandiera e di Moro. E noi ci compiacciamo con
quell’egregio Sindaco sig. Gentile e con quanti lo coadiuvarono della loro
esemplare operosità, del loro patriottismo”.
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