SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: ARTIGIANATO E COMMERCIO A SAN FILI: E carcar'e Santu Fili.

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mercoledì 4 maggio 2022

ARTIGIANATO E COMMERCIO A SAN FILI: E carcar'e Santu Fili.



Foto a sinistra: San Fili anni Quaranta (1930-1940) - le carcare a Polveracchio. 

Foto del maestro De Franco - Archivio Francesco (Ciccio) Cirillo.


Il patrimonio fotografico raccolto in decenni di preziosa esistenza dal compianto Francesco (Ciccio) Cirillo è decisamente inestimabile sia per San Fili che per la Calabria intera. Purtroppo di tale patrimonio se ne sono impossessati dei privati e, come tante belle cos
e, sta finendo per sparire nel dimenticatoio generale.

Personalmente quel poco di cui sono riuscito a venire in possesso lo sto mettendo a disposizione di tutti... perché è un patrimonio di tutti. 

Anche per onorare la memoria del compianto amico Francesco (Ciccio) Cirillo.

Ed ovviamente un grazie al maestro De Franco per aver consegnato la San Fili dei primi del Novecento ai suoi posteri.

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facilmente raggiungibile dalla superstrada che congiunge Paola con Cosenza, ma fino ad una cinquantina di anni orsono (quando ancora non era servito dalla "truscia"), le cose decisamente non erano così semplici.

Se da una parte ciò rendeva difficili gli interscambi (sia economici che culturali) con le realtà urbane confinanti, da un altro punto di vista era garantita la conservazione di alcune tradizioni e la comunità sanfilese era costretta a rendersi il più autonoma possibile.

Prendiamo il caso dell'edilizia: San Fili era una vera e propria ricchezza nel campo. La calce, ad esempio, veniva prodotta in loco nelle famose "carcare" (restano ancora vivi i nomi di alcune zone come "u Carcarune", vicino i mulini ad acqua di Bruno e Costantino, oppure quella situata "sutta u girune de Panarieddru", vicino al bivio per Falconara, ed un'altra ancora è ricordata "ara petra da cavuce" nei pressi della località Macchia Posta). 

Gli operai delle "carcare" cuocevano una pietra particolare per produrre la calce e la stessa veniva quindi venduta alle varie imprese edili. 

Dette imprese la mettevano a bagno in grosse vasche rudimentali (tale processo veniva detto "a spugnatura"). Si aveva in tal modo la calce liquida, di colore bianco con striature marroncino (secondo alcuni, migliore di quella di adesso). La calce in queste vasche bolliva ed era decisamente pericoloso finirci dentro. A questa calce, in fase di uso, veniva mischiato un cemento particolare detto "puzzolane".

"U Carcarune" funzionò fino agli inizi degli anni sessanta mentre "a petra a cavuce" era già in disuso intorno agli anni 50. Queste ultime due "carcare" appartenevano a Donn'Oscaru Gentile mentre quella sita "sutta u girune de Panarieddru" era di proprietà dei Miceli.

C'è da dire infine che tale calce veniva usata anche per pitturare le abitazioni. I contadini, inoltre, usavano dare "na manu de cavuce" anche ai ricoveri degli animali considerandola un ottimo disinfettante, insostituibile inoltre per bloccare in agricoltura per bloccare l'aumento di alcuni parassiti di piante da frutto.

Dalle varie "carcare" (così era chiamato l'altoforno in cui per quarantotto ininterrotte ore era messa a cuocere la pietra), la calce (in pietra cotta) veniva trasportata con i muli in sacchi di canapa.

La comparsa del trasporto su quattro ruote, con una maggiore economicità e praticità, distrusse l'industria della calce locale: il progresso iniziava a fare la sua entrata trionfale per le strade di San Fili.

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