San Fili
1958: Antonio Gentile, uno degli ultimi ceramilari di San Fili. Foto pubblicata
sul quindicinale "L'Occhio" di domenica 28 gennaio 1996 a corredo di
un articolo di Pietro Perri.
E' stato
detto e ribadito centinaia di volte i primi dati storicamente provati
sull'esistenza di San Fili (in quanto "Terra di Sancti Felicis") risalgono
appena all'undicesimo secolo dopo Cristo. E' bello però trovare, in questa
pittoresca realtà della periferia cosentina (16 chilometri di distanza non sono
poi così tanti), tutta una serie di piccoli frammenti d'usi, costumi e
tradizioni che portano la mente degli studiosi ad individuare nelle colonie
elleniche le origini di piccole comunità quale quella sanfilese.
Passi pure
per la "lagana" (tagliatelle), per il torrente Emoli
ed il suo "armonioso" nome, oltre ad alcune vie quali "Cuozz'e
Juria" (Cozzo di Iorio) che ci riportano ad etimologie
prettamente greche: ecco trovarci a scoprire, non senza una punta di celato
orgoglio, che anche la divulgazione dell'arte della ceramica (dal greco keramidòs, argilloso)
nel bacino del Mediterraneo, è opera di questo avanzato popolo dell'Egeo. Un
popolo, quello greco, che fu primo in tutto.
Parlare di
Greci e parlare di Mediterraneo, significa parlare di Magna Grecia e quindi
della Calabria: siamo tra il 700 e il 550 avanti Cristo (ossia
1600 anni prima che venisse scritta quella bellissima locuzione che è la "Terra
di Sancti Felicis").
Nell'arte
della ceramica (intendendo con ciò la lavorazione tramite cottura dell'argilla)
rientra anche l'operato "du ceramilaru" (e "u
ceramile", guarda caso, conserva quasi intatta la pronuncia della
sua originaria parola ellenica).
Allora: San
Fili fu veramente una colonia greca? ... i più fantasiosi tra noi schiavi della
parola e della penna, hanno posto in questa zona persino i resti della
leggendaria Pandosia (mitica terra di Pan, dio dei boschi e non solo). Per una
volta, comunque, non diamo conclusioni avventate e lasciamo agli storici ed
agli archeologi il compito di verificare questa ennesima verità.
Fatto sta
che l'argilla di San Fili si presenta di ottima qualità con il suo stupendo
colore grigio e l'adattabilità alle forme che le si vogliono dare, specie nel
campo dei laterizi (mattuni, ceramili e mianzi
mattuni): la zona "de Tierriforti" in montagna
(dove è ancora possibile ammirare i resti dell'altoforno o "carcara in
cui si cuoceva l'argilla lavorata) e quella di Pulizia a valle ne sono
l'evidente dimostrazione. Un vero greco se ne sarebbe subito accorto.
"U
ceramilaru de Tierriforti produrrà laterizi fino al 1935 circa. Un
punto strategico quello, in quanto dallo stesso era molto facile poter
smerciare parte della produzione anche nei comuni di Falconara Albanese e San
Lucido, trasportando la. stessa con degli asini e dei muli, o portandola
direttamente le donne sulla testa.
Agli inizi
degli anni Trenta ci si rese conto che era più economico utilizzare i vagoni
merci della stazioncina di San Fili, ed è così che parte in grande stile la
zona de "i ceramilari 'e Pulizia".
I "ceramilari
de Santu Fili" sfornavano, ma solo per uso familiare o per gli
amici, anche lanceddre, nappe (ciotole in creta dove si
facevano bere le galline), pascarieddri; piacureddre e fischietti per
i ragazzi. Gli oggetti di uso domestico (lanceddre, pignate e pignatieddri,
gavatuni e gavatunieddri, salaturi e grandi piatti
detti "rennitani") venivano infatti realizzati dai
ceramisti della vicina Rende.
La
produzione dei ceramili di San Fili.
Si era tra
la metà di aprile e l'inizio di maggio, quando i "ceramilari 'e Pulizia"
aprivano i cancelli alla propria maestranza: nel frattempo, però, le nostre
brave donne avevano assicurato da diversi giorni, ormai, le enormi cataste
"de fascine 'e frasche" che avrebbero alimentato il fuoco
delle carcare.
Scavata
l'argilla, si spandeva sull'aia per farla asciugare al sole.
La stessa
durante il giorno veniva ripetutamente rimossa con zappe, pale e rastrelli per
favorirne i processi di essiccazione e polverizzazione: si preparava
adeguatamente, cioè, a quella fase detta "della spugnatura".
Raccolta
dall'aia, l'argilla essiccata e polverizzata veniva riposta in apposite vasche
e nelle stesse veniva coperta d'acqua, iniziava così, appunto, la "spugnatura"
(ossia la si rendeva molle, gommosa e quindi facilmente lavorabile).
Nelle vasche
veniva pestata a piedi nudi per circa un'ora al fine di amalgamarla il meglio
possibile.
Tale lavoro
era fatto fare ai principianti del mestiere, spesso veri e propri ragazzini.
Tolta dalle
vasche, la maestranza la metteva nelle forme per ricavarne i famosi "ceramili",
i mattoni, i mezzi mattoni (usati come mattonelle, attualmente ricercatissimi...
invano) e tutti gli altri prodotti del ceramilaro.
Ancora umidi
i ceramili ed i mattoni venivano tolti dalle forme e messi ad asciugare al sole
per quattro o cinque giorni.
Una fase,
questa, che meno piaceva a chi lavorava nei "ceramilari"
dell'epoca: durante l'asciugamento, infatti, era un grossissimo problema se
malauguratamente veniva a piovere. Sarebbero bastate poche gocce d'acqua per
rovinare irrimediabilmente il lavoro di una diecina di giorni e di una
cinquantina di persone.
Non c'era
scusa che tenesse: spesso di notte o quando si era intenti a pranzare, si
doveva tutti correre sull'aia a raccogliere il prodotto messo ad asciugare e
portarlo al riparo nella "caseddra".
Tutto il
resto poteva benissimo attendere e quindi essere rinviato ad un tempo migliore.
A questo
punto i ceramili ed i mattoni venivano accatastati all'interno della carcara,
sistemandoli in modo tale da sfruttare al meglio lo spazio a disposizione:
prima i mattoni, poi, al di sopra, i mezzi mattoni ed infine i ceramili.
Complessivamente
sette o ottomila pezzi avevano trovato la loro giusta collocazione all'interno
della carcara che li avrebbe ospitati per ben tre giorni: il
primo giorno, alle undici di sera si accendeva il fuoco che continuava a
bruciare senza sosta alcuna fino alla stessa ora del giorno successivo, gli
altri due giorni erano necessari a garantire un raffreddamento graduale del
prodotto stesso.
I ceramili
ed i mattoni di San Fili erano pronti per essere collocati sul mercato.
In
quell'articolo si fa riferimento alle "Carrere" quale luogo in fui
fino al 1935 operavano i ceramilari del paese: qualcuno mi ha fatto giustamente
notare che non si tratta della zona delle "Carrere" bensì di quella
detta "Terriforti".
San Fili
anni Cinquanta (1950 - 1960). U ceramilaru de Pulizia. Foto
archivio Francesco (Ciccio) Cirillo.
La
commercializzazione dei ceramili di San Fili.
Anche il
vate aveva fatto il proprio dovere: sembra che tra la gente che prestava la
propria opera all'interno dei "ceramilari 'e Santu Fili", vi
fosse qualcuno che si dedicasse alla poesia.
Circola voce
infatti che ancora oggi sui tetti delle nostre case si possa avere la fortuna
d'imbattersi in "canali" e "coperchi" che
riportano incavati gli alti versi di questo nostro dimenticato paesano.
I ceramili
ed i mattoni che erano riusciti a raggiungere l'interno della carcara (ossia
quelli che non erano stati rovinati dalla pioggia quando erano posti ad
asciugare sull'aia; quelli che erano scampati alla furia barbara di un gruppo
di giovani che per fare un vile dispetto ai proprietari si divertivano,
inosservati, a rompere i ceramili saltandovi sopra; quelli che non erano caduti
dalle mani stanche e provate degli operai dei ceramilari), i
ceramili che giunti a giusta cottura nella carcara ne erano
usciti dopo ben tre giorni fuori, trionfanti nei colori dell'arcobaleno che
sembravano acquarellati da una divinità greca, erano pronti per essere posti
sul mercato.
A questo
punto i ceramili, i mattoni e i mezzi mattoni dovevano essere portati dalla
zona del ceramilaro (Pulizia) alle zone di vero e proprio
smistamento: per San Fili, Bucita, San Vincenzo si trasportavano nei pressi
della Chiesa di Santa Maria degli Angeli dove ad attendere gli addetti a questo
lavoro, c'era un carro su cui sarebbe stato caricato il materiale. Il resto
doveva essere trasportato, sulla testa delle nostre brave donne, alla locale
stazione ferroviaria, la cosiddetta "Piccola", punto d'attesa per il
vagone merci. Era questo, il trasporto alla "Piccola", un lavoro che
veniva fatto di sera. Ogni donna ne portava ben quindici per ogni viaggio e la
stessa veniva remunerata in base al numero di viaggi che avrebbe totalizzato.
Un occhio di
riguardo si aveva per le fanciulle e le donne che sembravano alquanto deboli,
alle stesse si permetteva di portare il medesimo numero di ceramili suddivisi
in due viaggi, anche se alla fine, gli stessi venivano sommati e per valere il
viaggio avrebbero dovuto comunque assicurare il trasporto di quindici pezzi.
La cosa non
era semplice, specie se si pensa che ogni ceramile, per essere considerato
tale, doveva raggiungere un peso di circa cinque chilogrammi.
Situazione
peggiore toccava alle donne delle contrade Cucchiano e Profico, membri di
quelle famiglie che non potevano permettersi di pagare il proprietario di un
carro e bestie da tiro per il trasporto del prezioso materiale.
La giornata
nei "ceramilari 'e Santu Fili" era stata
decisamente lunga: iniziata all'alba, era finita all'imbrunire.
Circa
sessanta persone, in ogni caso, per quel giorno pur non arricchendosi (cosa
impensabile per quei tempi di magra), si erano assicurate un pezzo di pane da
mettere sotto i denti. Unica sosta della giornata era quella del pranzo: una
intera ora in cui ci si sarebbe anche potuti riposare un pochino... intorno al
tavolo, più che di mangiare, c'era odore di festa, di rispetto e di amicizie
secolari.
Il cibo
preferito da quanti lavoravano all'interno dei ceramilari (tra
l'altro questo offriva la vita e la ditta) era composto principalmente da
insalata di pomodori, patate bollite e cipolle: intorno al grande piatto
chiamato "catanzarise" stavano sedute sette o otto persone,
ognuna delle quali, quasi facendo a gara col compagno che le era a fianco, si
affrettava a mangiare più che poteva.
Tutti
infilzavano con la forchetta e inzuppavano il pane contemporaneamente nel
grande piatto.
Un buon
bicchiere di vino di produzione locale e qualche minuto di più che meritato
riposo all'ombra di un ulivo (magari osservando estasiati lo stupendo e
maestoso sorbo che ancora si trova, quasi eterno, nella zona dei "ceramilari
'e Pulizia") completavano l'affresco.
Anche per i
"ceramilari 'e Santu Fili", come già per i magazzini delle
castagne, la lavorazione dei fichi, le carcare per la calce e
mille altre forme di artigianato locale, era giunto il fatidico 1960, che
chiudeva questo magico capitolo.
San Fili non
può che essere grata anche alla famiglia dei Gentile, con i loro degni
rappresentanti Antonio ed i cugini Salvatore e Giovanni, per averle regalato
questa pagina di stupenda ed indimenticabile storia.
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