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Cani randagi in mezzo alla strada
nell’area antistante l’entrata del
campo sportivo “Dante De Lio”
in contrada Frassino del Comune di
San Fili.
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Il Blog di Pietro Perri dedicato a San Fili (uno dei più bei paesi della provincia di Cosenza) e ai Sanfilesi nel Mondo.
A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.
sabato 27 aprile 2019
San Fili, i cani randagi e i proprietari (dei cani di proprietà o adottati) incivili. (2)
domenica 21 aprile 2019
Buona Pasqua di cuore a tutti i SANFILESI NEL MONDO ed ai lettori di questo blog.
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Cristo Redentore (Michelangelo Buonarroti - basilica santa Maria sopra Minerva - Roma) |
venerdì 15 marzo 2019
San Fili e dintorni ovvero... ‘a cicuòria (la cicoria).
Nell’immagine a
sinistra: pianta di cicoria selvatica con fiore. Immagine ripresa dal web.
Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre
2018... by Luigi “Gigino” Iantorno.
San Fili e dintorni ovvero... ‘a cicuòria
(la cicoria).
Di Luigi Gigino Iantorno.
Il passato, sia per quanto riguarda i ricordi belli che per quanto
riguarda i ricordi brutti, è impossibile cancellarlo del tutto dalla propria
memoria.
Il passato sembra scomparso dalla propria memoria eppure con
l’andare avanti negli anni eccoci di botto catapultatici dritti dritti ai primi
anni della nostra vita.
Eccoci... ragazzini. Teneramente attaccati alle gonne delle nostre
affettuose e protettive madri.
Ed ero proprio un ragazzino, o forse non più di un fanciullo,
quando una mattina mia madre mi portò con sé, lungo la strada provinciale che
da San Fili saliva verso il valico Crocetta, in cerca di una prelibatezza
culinaria.
Quella mattina di tanti e tanti anni fa (si era negli anni
Cinquanta), io e mia madre andavamo in cerca di cicuòrie ossia di
cicorie. Ed andavamo a raccoglierle in una zona famosa per la presenza delle
stesse. Eravamo diretti verso la discesa per la Falconara.
Il bivio per Falconara Albanese, per chi ancora non lo sapesse, si
trova, lungo la ex provinciale 107, poco al di sotto del valico Crocetta.
A quel tempo si andava a raccogliere le cicorie muniti di capienti
sacchi. Ed un capiente sacco si portava dietro quella mattina anche mia madre.
Dopotutto se per raccogliere delle cicorie bisognava fare una
camminata di circa sei o sette chilometri, opportunamente abbreviati da
provvidenziali scurtaturi (scorciatoie) quali quello conosciuto con il
nome di “scurtaturu de monachelle”.
Inutile dire che se nel corso del cammino ci si imbatteva in
qualche pianticina di cicoria la stessa la si raccoglieva, tagliandola alla
base e lasciando la radice nel terreno, e la si gettava nel sacco.
Essendo un ragazzino quella zona era del tutto nuova ai miei occhi
ed il cammino mi sembrava lunghissimo.
Finalmente giungemmo in uno spiazzo dove potemmo raccogliere un
bel po’ di cicorie ma non tanto da riempire il sacco che mia madre si era
portato dietro.
Eravamo comunque giunti in alta montagna... al bivio per Falconara
Albanese. Se avessimo proseguito salendo verso la cima della montagna saremmo
in breve giunti al valico Crocetta e quindi all’inizio della discesa verso la
cittadina di Paola.
La nostra meta non era però quella e quindi proseguimmo lungo la
strada che portava a Falconara Albanese. Passammo la zona denominata
sant’Angelo e finalmente giungemmo ad un’altra zona, poco dopo questa,
denominata Peschiera.
Nella zona denominata Peschiera facemmo amicizia con una famiglia
che abitava da quelle parti. Questa bravissima famiglia ci indicò, in un pezzo
di terreno di sua proprietà, un punto in cui avremmo potuto raccogliere ottime
cicorie ed in abbondanza.
Nel volgere di pochissimo tempo riempimmo fino all’orlo il sacco
che mia madre si era portato dietro.
Potevamo quindi fare ritorno a casa.
Questa volta il cammino era tutto in discesa ma, malgrado ciò,
comunque per niente facile.
E se non era un cammino facile per me sicuramente non lo era
neanche per mia madre che doveva farlo portando tra l’altro il sacco strapieno
di cicorie sulla testa. E sicuramente, data la mia età e la mia costituzione
fisica, io non potevo minimamente esserle d’aiuto.
Passo dopo passo, in ogni caso, dopo un po’ di tempo giungemmo in
paese... a San Fili.
All’entrare nel paese tanta gente nel vedere mia madre con quel
grosso sacco in testa iniziò ad avvicinarsi ed a chiedere con legittima
curiosità: “Marie’, chi puorti?”
Quando mia madre mostrò loro il ben di dio che eravamo riusciti a
raccogliere in quella proficua giornata furono in tanti a chiederle se gliene
vendesse un po’. Cosa, quest’ultima, che a mia madre non dispiacque per niente.
Inutile dire che non riuscimmo ad esaudire tutte le richieste
tanta era la gente interessata al prezioso, dal puto di vista alimentare,
contenuto del nostro sacco. E poi un po’ di cicuòrie era giusto quel
giorno che li portassimo a casa anche noi.
Le cicorie, ma non solo le cicorie, per quei tempi erano una
risorsa alimentare di rispetto. Oggi purtroppo, anche nelle nostre zone, sono
classificabili come un mero “guliu” ovvero una prelibatezza per palati
sopraffini.
Eppure la cicoria selvatica è una pianta che opportunamente
rivalutata potrebbe ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto nella ristorazione
locale e quindi diventare una fonte di reddito aggiuntivo per tante famiglie
oggi in difficoltà.
Oltretutto la cicoria oltre a prestarsi a più impieghi in cucina
ha diversi principi curativi (quindi può trovare impiego in erboristeria) e può
essere utilizzata quale ingrediente base per preparazioni alcoliche.
Personalmente, in cucina, la gradisco sbollentata e condita ad
insalata (o, sempre dopo essere stata sbollentata, passata in un tegame con un
po’ d’olio e dell’aglio) o messa a cuocere mischiata con della carne di maiale
e patate.
Noto con piacere comunque che, ai nostri giorni, in alcuni
fruttivendoli della provincia si vendono delle accattivanti cicorie selvatiche.
*
* *
Il territorio sanfilese e quello dei Comuni circostanti è comunque
ricchissimo di molte pianticine selvatiche commestibili. Tra queste, le più
note, ricordiamo il cardo selvatico o cardune, l’aneto o finuocchiu
‘e timpa, il crescione d’acqua o scavune (pron. sc-kavune),
la vitalba o vitarva, il lampagione o ‘a cipuddra cursunara e via
dicendo.
Tutta roba che farebbe sicuramente impazzire di gioia i più
celebri chef internazionali.
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro
affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para
bellum”!
lunedì 25 febbraio 2019
San Fili e Alberto Moravia.
Nella foto a sinistra: Alberto Moravia nel
1931. Foto ripresa dal web.
Nella foto sotto (sempre a sinistra): il
sanfilese Salvatore Oliva negli anni Trenta.
Articolo
e note pubblicati sul Notiziario Sanfilese del mese di Febbraio 2019... by
Pietro Perri.
* * *
San Fili e Alberto Moravia.
Nota di Pietro Perri.
* * *
Difficile,
per non dire impossibile, parlare di letteratura italiana del Novecento senza
citare il nome ed il cognome di Alberto Moravia.
In
ogni caso, seppur aiutandoci con la solita enciclopedia impareggiabile (per il
cosiddetto “copia/incolla” informatico) online Wikipedia, vediamo di
rinfrescarci un po’ la memoria su chi è stato questo mostro della penna prima e
della macchina da scrivere dopo:
«Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle (Roma, 28
novembre 1907 – Roma, 26 settembre 1990), è stato uno scrittore, giornalista,
saggista, drammaturgo, reporter di viaggio e critico cinematografico italiano.
Considerato uno dei più importanti romanzieri del XX secolo, ha
esplorato nelle sue opere i temi della sessualità moderna, dell'alienazione
sociale e dell'esistenzialismo.
Salì alla ribalta nel 1929 con il romanzo Gli indifferenti e pubblicò
nella sua lunga carriera più di trenta romanzi. I temi centrali dell'opera di
Moravia sono l'aridità morale, l'ipocrisia della vita contemporanea e la
sostanziale incapacità degli uomini di raggiungere la felicità. La sua
scrittura è rinomata per lo stile semplice e austero, caratterizzato dall'uso
di un vocabolario comune inserito in una sintassi elegante ed elaborata.
(...) Dal 1930 iniziò a collaborare con La Stampa, allora diretta
da Curzio Malaparte e nel 1933 fondò, insieme a Mario Pannunzio, la rivista
"Caratteri", che vedrà la luce per soli quattro numeri. Collaborò poi
alla rivista Oggi (sulle cui pagine uscirà, nel 1940, Cosma e i briganti).
Sempre nel 1933 iniziò a collaborare con la "Gazzetta del Popolo",
diretta da Ermanno Amicucci, uno dei futuri firmatari del Manifesto per la
difesa della razza, ma il regime fascista avversò la sua opera vietando le
recensioni a Le ambizioni sbagliate, sequestrando La mascherata e vietando la
pubblicazione di Agostino.
(...) Alberto Moravia ricevette 15 candidature al premio Nobel per
la letteratura dal 1949 al 1966, senza riuscire mai a vincerlo. A candidarlo,
fra gli altri, furono anche il futuro vincitore del Nobel Eyvind Johnson nel
1960 e la scrittrice italiana Maria Bellonci nel 1966.»
*
* *
Ma, vi chiederete voi, cosa c’entra Alberto Moravia con San Fili e
con il Notiziario Sanfilese (ovvero con il bollettino dell’Associazione
culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili?
Certo non molto ma il solo fatto di leggere, anche se quasi di
sfuggita o quasi per sbaglio o magari perché non ne ha proprio potuto fare a
meno, il nome del nostro paesino in un suo seppur banale scritto (una semplice
nota di viaggio pubblicata su un quotidiano nazionale) non può comunque che
farci piacere e giustificare anche la presenza di questo suo scritto sul
nostro... “bollettino”.
Il breve racconto o “appunto di viaggio” uscito a firma di un
giovanissimo (aveva appena 28 anni) ma già affermato Alberto Moravia in cui
compare per ben due volte il nome di San Fili prende il titolo di “Costa della
Calabria” e compare sulla “Gazzetta del Popolo” il 3 luglio del 1935.
Di seguito non riportiamo l’intero pezzo ma solo la parte finale,
quella, appunto, che ci riguarda da vicino in quanto Comunità Sanfilese. E’
questo il breve resoconto del tratto che percorrerà con la sua automobile
compreso tra la cittadina di Paola e San Fili.
Ma leggiamolo assieme:
Costa della Calabria.
Estratto da un articolo apparso, a firma dello scrittore Alberto
Moravia, sulla “Gazzetta del Popolo” del 3 luglio del 1935.
(...)
Quindi dopo Paola lasciammo il mare per dirigerci alla volta di
Cosenza.
Era ormai il tramonto e per una strada in ripida spirale dovevamo
salire fino al passo di San Fili onde valicare la giogaia di monti che separa
Cosenza dal mare. A misura che salivamo, il mare si scopriva ai nostri piedi
deserto, freddo, torbido, sparso delle gialle luci sfasciate del tramonto
nubiloso. Una nuvola lunga e affusolata, della forma di un osso di seppia
sbarrava l'orizzonte, aveva nel mezzo una fessura e tra i bordi più chiari di
questa fessura saettavano verso l'alto i raggi gloriosi del sole tramontante.
Tutto il cielo in fuga pareva fermato da questa immobile raggiera; presto il
sole si sarebbe spento e con esso le sue radiose spade di fredda luce e le nubi
in libertà avrebbero cozzato l'una contro l'altra sopra la distesa agitata
delle acque, tonando e lampeggiando. Volevamo arrivare sul valico prima che si
facesse notte, ma a novecento metri entrammo in un fitto banco di nebbia, e fu
giocoforza rallentare e procedere a passo d'uomo. A folate, come se una bocca
gelata ci avesse alitato in faccia, la nebbia silenziosa c'investiva; tra una
folata e l'altra, vedevamo i grigi fantasmi degli abeti fare nella caligine i
loro gesti desolati e lentamente scomparire dietro il ciglio della strada, nel
bianco e vuoto vapore; la luce dei fari si ripiegava su se stessa come
sbattendo contro uno specchio appannato; il motore rantolava piano ascendendo
l'erta, e questo, insieme con il cigolio metallico della ghiaia schiacciata
dalle ruote, era il solo rumore del gran silenzio nebbioso. Dalla strada nuda
sospesa sull'abisso passammo nel folto di una foresta di abeti, e quasi non ce
ne accorgemmo. Un cavallo mi scalpitò allato mentre mi sporgevo dal finestrino
aguzzando gli occhi nella foschia, e non vidi che la gamba del cavaliere, in
pantalone di velluto e stivale, stretta contro la sella; tutto il resto, uomo e
animale, non era che un'ombra tra le altre, vere e finte, che la nebbia
trasportava nel suo seno. Poi, tutto ad un tratto, dopo un'ultima folata più
densa, l'aria si sgombrò, limpida e notturna, e a valle, contro il nero profilo
di altri monti lontani, apparvero le luminarie di San Fili.
Alberto Moravia.
*
* *
“e non vidi che la gamba del cavaliere (...) stretta contro la
sella”.
Una domanda sorse spontanea... e fu leggenda sanfilese.
I primi sanfilesi che si trovarono a leggere le stupende righe che
Alberto Moravia alla nostra bellissima catena paolana ed in particolare al
tratto di strada (vecchia strada statale 107) che collega il nostro paesino con
la cittadina di Paola arrivati al punto in cui in tale brano si legge “Un
cavallo mi scalpitò allato mentre mi sporgevo dal finestrino aguzzando gli
occhi nella foschia, e non vidi che la gamba del cavaliere, in pantalone di
velluto e stivale, stretta contro la sella; tutto il resto, uomo e animale, non
era che un'ombra tra le altre, vere e finte, che la nebbia trasportava nel suo
seno” non poterono fare a meno di chiedersi chi era l’ombroso cavaliere in
cui s’imbatte l’illustre scrittore.
E fu allora che, tra i Sanfilesi (come se fosse l’unico cavaliere
all’epoca a frequentare il valico Crocetta), si pensò al compaesano Salvatore
Oliva (nella foto a sinistra).
Una domanda sorse spontanea... e fu leggenda sanfilese.
*
* *
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro
Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
domenica 17 febbraio 2019
C’erano una volta le suriciare (trappole per catturare uccelli).
Di seguito l’articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di
dicembre 2018... a firma dell’amico Luigi “Gigino” Intorno.
Le foto a corredo di questo post sono riprese dal web. Le stesse propongono un esempio di "suriciare" (trappole per la cattura degli uccelli di piccolo taglio). In altri tempi a San Fili venivano realizzate direttamente dai ragazzi più esperti ovviamente in tale campo.
* *
*
Ricordo quando ero ancora un giovanottino della fine degli anni cinquanta o
al massimo dell’inizio degli anni sessanta del secolo scorso che molti miei
compaesani venivano nella zona Coste di San Fili (dove la mia famiglia aveva la
sua abitazione) e si metteva con tanta pazienza ad “armare” (ovvero
posizionando ed azionando i relativi ingranaggi) delle trappole (suriciare)
per uccelli.
Si era in pieno inverno e quelli erano tempi di magra. Quindi, per quei
tempi, riuscire a catturare un certo numero di uccelli, per lo più passeri,
poteva essere un buon modo per assicurarsi una variante gastronomica in tavola.
D’inverno anche gli uccelli avevano problemi a trovare del cibo e quindi
era facile che cadessero vittime delle trappole posizionate dai cacciatori
locali. Una situazione, quella della ricerca del cibo da parte di uccelli non
migranti, che si accentuava nei periodi in cui faceva particolarmente freddo ed
ancor più quando veniva a nevicare dalle nostre parti e quindi, a causa della
coltre bianca che ricopriva il tutto, tali uccelli non potevano rovistare
direttamente sul terreno.
Alle trappole venivano attaccate, come esca, delle olive nere (quindi ben
visibili anche ad una certa distanza), miglio o briciole di pane (meglio se la
scorza) cui gli uccelli che vivono liberi vanno particolarmente ghiotti.
La maggior parte delle trappole venivano posizionate nei punti in cui la
neve lasciava qualche piccolo spazio libero. Tali spazi illudevano appunto gli
uccelli che ci fosse qualcosa da beccare sul terreno non pensando che in quel
punto invece avrebbero trovato ad accoglierli la morte grazie alle trappole
armate da noi sanfilesi.
L’ingranaggio delle trappole (suriciare) scattava inesorabile e
difficilmente l’uccello ne usciva illeso. Erano poche, infatti, le trappole
che, come si diceva in quei casi, “scattavano a vuoto.
Tra quanti, tra sanfilesi, in quei giorni partecipavano con le loro
trappole alla grande cattura degli uccelli nasceva una vera e propria sfida a
chi riusciva a portare a casa il numero, e la qualità, più consistente. In
alcuni casi, tra l’altro, se la giornata di caccia era andata particolarmente
bene, si accendeva un fuoco sul posto e parte degli uccelli catturati venivano
consumati sul posto in allegra compagnia.
Una parte veniva portata a casa magari al fine di insaporire altre pietanze
della nostra cucina come le patate ‘mpacchiuse o la polenta. Anche
perché da sola la carne del passero offriva ben poco di nutriente.
Non mancavano comunque tra i cacciatori improvvisati quanti si dedicavano a
questo hobby non per acchiappare gli uccelli per mangiarseli ma speravano di
prenderne qualcuno vivo ed in accettabili condizioni da portare a casa ed
allevare gli stessi in una gabbietta.
C’erano più zone di caccia intorno a San Fili e quasi ogni cacciatore aveva
la propria.
Le suriciare (trappole d’altri tempi per acchiappare uccelli ed altri animali di piccolo taglio) erano degli infernali ingranaggi in ferro muniti di una molla che quasi
mai lasciavano possibilità di fuga, e di vita, alle prede cui miravano. Non
raramente tali ingranaggi venivano realizzati direttamente dagli utilizzatori.
* * *
Inutile dire che per saziare una sola persona ce ne volevano tantissimi
uccelli specie se della grandezza di un semplice passero. Quello cui mi viene
da pensare comunque è il fatto di come ci lamentavamo, e continuiamo a
lamentarci, della presenza di mosche, zanzare ed altri fastidiosi insetti che
regolarmente disturbano la nostra quiete quotidiana.
Purtroppo non tutti eravamo a conoscenza, e molti non lo sono neanche oggi,
di quanto siano preziosi questi piccoli stupendi esseri, mi riferisco agli
uccelli, per tenere sotto controllo il numero degli insetti dannosi che
convivono assieme a noi.
I passeri e tanti altri piccoli uccelli, infatti, si cibano anche di
insetti e quindi contribuiscono a garantire un giusto equilibrio per
l’ecosistema circostante. Dovremmo rispettarli di più, magari dando di tanto in
tanto qualcosa da mangiare per alleviare le loro difficoltà di sopravvivenza in
periodi difficili come i mesi invernali e realizzare, come fanno in tante altre
parti del mondo, appositi piccoli ricoveri.
E poi, diciamo la verità, è bello a volte fermarsi un pochino per strada o
in campagna e farsi rapire dal loro armonico cinguettio.
Oltretutto mi sembra di notare ultimamente che persino i passeri non hanno
più paura dell’uomo così come l’avevano ai tempi in cui io ero ancora un
semplice ragazzino.
A volte oggi li vedo persino avvicinarsi, anche se a debita distanza, a noi
esseri umani con la speranza che gli gettiamo vicino qualcosa da mangiare.
E forse anche la maggior parte dei cacciatori ancora in attività si sono
finalmente resi conto che non vale la pena uccidere un piccolo essere come
appunto un passero o un pettirosso.
Luigi Gigino Iantorno.
* * *
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
mercoledì 30 gennaio 2019
San Fili, i cani randagi e i proprietari (dei cani di proprietà o adottati) incivili.
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Cani randagi in contrada Frassino. |
sabato 5 gennaio 2019
Servono a qualcosa le telecamere di videosorveglianza a San Fili?
lunedì 26 novembre 2018
Il contributo dei Sanfilesi alla Seconda Guerra Mondiale.
Il contributo – in sangue - dei Sanfilesi alla Seconda Guerra Mondiale.
Sottotitolo: Piccolo spunto per una approfondita ricerca... by Pietro
Perri.
Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di novembre 2018 a
firma di Pietro Perri.
Anche quest’anno (n.d'a.: 2018), così com’è consuetudine dall’ormai lontano 1925 (anno in
cui fu inaugurato il relativo monumento di piazza san Giovanni), i Sanfilesi
hanno onorato, più o meno degnamente, i propri caduti nel corso delle varie
guerre.
Ho specificato “più o meno degnamente” in quanto quest’anno per vari motivi
l’evento è stato alquanto ridimensionato e quindi sminuito nel suo valore
simbolico, civile e morale.
Dopotutto la persistente pioggia ha impedito che tanti sanfilesi potessero
prendere parte a tale manifestazione e come se non bastasse oltre alla pioggia
ci si è messo di mezzo anche il fatto che il 4 novembre 2018 cadesse di
domenica.
E quando il 4 novembre cade di domenica, ormai l’abbiamo capito bene, è
difficile vedere ai piedi del monumento ai caduti gli alunni dell’Istituto
Comprensivo Statale del paese, le rappresentanze politiche (persino dei membri
del Consiglio comunale in piazza non ce n’erano più di tre o quattro su undici)
e sociali operanti sul nostro territorio.
Viene quasi naturale chiedersi: ma la domenica sul fronte si moriva?
Oppure: qualcuno delle persone che commemoriamo il quattro novembre a San Fili
è morto in un giorno festivo o sono morti tutti in un giorno feriale? O se
vogliamo dirla ancora con maggior franchezza: serve a qualcosa continuare a
commemorare i nostri caduti in guerra? ... in una delle tante guerre di cui
l’ultima degna di nota risale ad oltre 70 anni addietro?
La prima fase della commemorazione ha previsto la deposizione di una corona
ai piedi della relativa lapide presente in piazza Giuseppe Miniaci alla
frazione Bucita. Successivamente si è provveduto a depositare una seconda
corona ai piedi del monumento ai caduti presenti in piazza San Giovanni a San
Fili.
A fare gli onori di casa c’era, con la fascia tricolore del sindaco
addosso, la presidente del Consiglio comunale insegnante Laura David affiancata
per l’occasione, impegnato a rendere gli onori religiosi, dal nostro parroco
don Franco Perrone (recentemente ritornato a guidare la comunità
cattolico-cristiana del nostro paese). C’erano la rappresentanza locale dei
carabinieri e del corpo dei vigili urbani di San Fili.
C’era anche la banda musicale impedita purtroppo ad utilizzare i propri
strumenti in virtù della succitata... sempre più insistente pioggia.
Comunque nel bene o nel male, in grande o in decisamente piccolo... anche
quest’anno siamo riusciti, come Comunità Sanfilese, ad archiviare la
tradizionale giornata dedicata ai nostri sfortunati caduti e/o dispersi in
guerra.
Il monumento ai caduti di piazza san Giovanni, così come abbiamo ricordato
nel lontano 2015 in occasione del novantesimo anniversario della sua
inaugurazione, è una stupenda scultura realizzata in marmo di Carrara dal
maestro Leone Tommasi da Pietrasanta (stupenda cittadina in provincia di
Lucca).
Fu inaugurata il 12 ottobre 1925 in occasione del decennale dell’inizio
della Grande Guerra ovvero della Prima Guerra Mondiale.
Da allora, dicevo, ha visto il 4 novembre di ogni anno la Comunità
Sanfilese tutta onorarlo degnamente non solo deponendo una corona ai suoi piedi
ma anche e soprattutto raccogliendosi in doveroso rispetto in ricordo dei
propri “figli di questa amara terra di Calabria” partiti in guerra e mai
ritornati: chi appurato morto e chi semplicemente disperso (cosa che ovviamente
in casi come un conflitto bellico alla fine ha fatto ben poca differenza).
* * *
A proposito: sappiamo esattamente quanti, e magari chi, Sanfilesi sono morti o
quantomeno dati per dispersi nel corso della Prima Guerra Mondiale?
E nella Seconda?
La risposta a queste due domande, che ci crediate o meno, è semplicemente
assurda.
La risposta è... “NO!”
Un “NO!” giustificato presumibilmente da almeno due motivi di cui uno più
che giustificabile (il fatto che per anni si sia voluti dimenticare una delle
peggiori esperienze vissute da membri della nostra Comunità) ed uno decisamente
inqualificabile (il menefreghismo delle generazioni post Seconda Guerra
Mondiale che non hanno vissuto quei tragici giorni).
Eppure, così come mi sono reso conto subito io, alcuni dati (anche se
decisamente limitati) possiamo trovarli facilmente su internet ed in
particolare sul database del Ministero della Difesa... e quindi su una fonte
“quasi” attendibilissima.
Dico quasi perché gran parte dei morti e dei dispersi nel corso della
Seconda Guerra Mondiale sono difatti un mistero persino per chi gestiva
all’epoca tali sfortunati “nostri concittadini”. Di alcuni, infatti, persino il
Ministero della Difesa italiano non è in grado di dire quando e dove sono morti
esattamente. Di alcuni si conosce solo... l’ultimo luogo in cui è stata
registrata la loro presenza.
La Seconda Guerra Mondiale per tanti Sanfilesi è stata anche questo: il
dubbio a futura memoria.
Nella pagina internet che il Ministero della Difesa italiano dedica alla
“Banca Dati per la ricerca dei Caduti e Dispersi in Guerra” troviamo ben due
link: cliccando sul primo si può accedere all’Albo d’Oro della Prima Guerra
Mondiale mentre cliccando sul secondo (quello che ci interessa e non per
quest’articolo) si può accedere alla “Banca dati dei Caduti e Dispersi della
Seconda Guerra Mondiale”.
Tale pagina si trova all’indirizzo internet:
https://www.difesa.it/il-ministro/cadutiinguerra/index/26602.html
Cliccando sulla seconda immagine link (quella appunto con su scritto “Banca
dati dei Caduti e Dispersi della Seconda Guerra Mondiale”) accediamo su
un’altra pagina del succitato sito da cui, immettendo alcuni dati obbligatori
in alcune apposite caselle e premendo invio sulla tastiera del nostro PC,
tablet o smartphone possiamo ottenere preziosi dati in merito al decesso o
comunque alla sparizione di nostri concittadini nel corso della Seconda Guerra
Mondiale.
I dati richiesti da tale pagina, purtroppo (in quanto non tutti i
discendenti interessati e/o i volenterosi studiosi di tale particolare periodo
storico sono a conoscenza ormai degli stessi), sono: cognome, nome, luogo di
nascita, data di nascita.
Fortunatamente tale motore di ricerca all’interno del sito del Ministero
della Difesa risponde anche alla semplice segnalazione (sempre negli appositi
campi) del cognome e del luogo di nascita delle persone (ovviamente “soldato”)
di cui si chiedono informazioni sulla sua fine in guerra.
Detto fatto! ... ho provato a fare una ricerca su tale pagina internet
(decisamente incompleta) immettendo i cognomi dei Sanfilesi che ricordavo
(alcuni presi anche dall’elenco telefonico) e qualche risultato l’ho ottenuto.
Inutile dire che se nell’elenco mancasse qualcuno di cui mi è sfuggito il
cognome... mi farà tantissimo piacere se me lo farete presente. Specificandomi
sia il cognome e sia il luogo di nascita se diverso da San Fili.
* * *
01) ARGENTINO OTTORINO nato a San Fili il 26 febbraio 1922
deceduto/dichiarato disperso il 30 aprile 1943. Presumibilmente sepolto a Bari
nel Sacrario Militare Caduti Oltremare (o a Chebedda);
02) AIELLO SALVATORE nato a San Fili il 27 settembre del 1920 e deceduto il
27 luglio del 1942. Dubbi sulla sepoltura: Bari - Sacrario Militare Caduti
Oltremare o Durazzo - Cimitero cattolico;
03) CALOMENI DANTE nato a San Fili il 15 giugno 1921 deceduto a Ribnica il
19 luglio 1942 e sepolto a Bari - Sacrario Militare Caduti
"Oltremare" (dubbio Ribnica come luogo sepoltura);
04) CAVALIERE PIERINO nato a San Fili l'1 novembre 1922 dato per
deceduto/disperso il 6 novembre del 1942;
05) CIANCIO ALESSANDRO GIOVANNI nato il 28 ottobre 1913 a San Fili e dato
per deceduto/disperso il 5 gennaio 1942;
06) CIANCIO FRANCESCO nato il 14 marzo 1908 a San Fili e dato per
disperso/deceduto in Albania il 15 dicembre 1940;
07) CIANCIO GAETANO nato a San Fili il 13 marzo 1897 e dato per
disperso/deceduto il 10 febbraio 1943;
08) FRANCAVILLA FRANCESCO nato a San Fili il 30 agosto 1909 e
deceduto/disperso il 20 febbraio 1943 (non si conoscono ulteriori dati tipo
luogo di morte e/o luogo di sepoltura);
09) GRANATA ATTILIO nato a San Fili il 13 settembre 1921 e
deceduto/disperso il 6 gennaio 1943 sul fronte russo (non si conoscono
ulteriori dati tipo luogo di morte e/o luogo di sepoltura);
10) LIO FRANCESCO nato a San Fili il 25 ottobre 1922 e dato per disperso
l'1settembre del 1942;
11) LIO FRANCESCO nato a San Fili il 17 agosto 1912 data di
decesso/dispersione il 20 gennaio 1942 luogo di sepoltura Bombay -
"Swree" Sacrario Militare;
12) MARCHESE GIUSEPPE nato a San Fili il 26 novembre 1910 deceduto ad
Ordemulé il 13 febbraio 1941;
13) MARINO SALVATORE nato a San Fili il 27 dicembre 1914 dato per
deceduto/disperso il 15 marzo 1941 presumibilmente seppellito a Cheren -
Cimitero Militare degli Eroi;
14) MAZZUCA GIUSEPPE nato a San Fili l'11 marzo 1918 deceduto/disperso il
12 giugno 1941. Dubbi sul luogo di sepoltura (Sacrario Militare Caduti
Oltremare di Bari o Sacrario Militare Italiano di Tripoli);
15) MAZZULLA ANTONIO nato il 6 giugno 1919 a San Fili e deceduto il 16
novembre del 1943. Sepolto nel SACRARIO MILITARE CADUTI 'OLTREMARE' di Bari
(deceduto quasi certamente in Grecia);
16) MAZZULLA LUIGI nato il 12 dicembre del 1915 a San Fili e deceduto a
Corfù l'8 settembre del 1943;
17) NOTO GIOVANNI nato a San Fili il 13 maggio 1901 dato per
deceduto/disperso il 3 febbraio del 1943;
18) SAGGIO FRANCESCO nato a San Fili il 10 gennaio 1921 e dato per disperso
il 18 settembre 1941;
19) STORINO GIUSEPPE nato a San Fili il 20 maggio 1919 (Sacrario Militare
Caduti Oltremare di Bari o Sacrario Militare Italiano di Tripoli o BARDIA);
(work in progress).
20) TROTTA FRANCESCO nato a San Fili il 21 settembre 1920 e
deceduto/sepolto a Lecce il 2 luglio del 1943 (San Fili - Cimitero comunale);
(...)
Ricerca/elenco “work in progress”.
* * *
In effetti solo considerando i venti nostri compaesani, con le striminzite
notizie trascritte, che compaiono nel precedente elenco si potrebbe scrivere un
saggio (o magari una tesina universitaria) di almeno una cinquantina di pagine.
E chissà se su quest’argomento in un prossimo futuro io non ci ritorni su.
* * *
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!