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mercoledì 30 ottobre 2024

ATENA/MEDUSA NELLA GIORNATA DEDICATA ALLA DONNA by PIETRO PERRI.

Immagine a sinistra (ripresa dal web): scudo con testa di Medusa opera del grande Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. 

Di seguito riporto due post pubblicati dallo scrivente sul social network Facebook. Tali post parlano del mito di Medusa e della dea Atena in una mia libera interpretazione collegata tra l'altro ad uno dei tanti drammi cui la donna è da sempre succube: la violenza. 


ANCHE NEL MITO DI MEDUSA È LA DONNA STESSA LA PEGGIOR NEMICA DELLA DONNA.

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Il mito di Medusa ricalca in pieno il dramma delle donne che subiscono violenza.

Medusa, infatti, sacerdotessa "prediletta" (?) del tempio della dea Atena viene violentata dal Poseidone, dio del mare.

E chi dovrebbe prendere la sue parti nella brutta storia, la dea Atena in persona (o in divinità che dir di voglia), è la prima a condannarla e scacciarla dal suo tempio e dalla sua luce.

Medusa, dopotutto, è solo una donna, seppur bellissima, di misera estrazione sociale.

Atena, donna, è la prima a giudicare ed a condannare una donna, Medusa, forse perché colpevole di essere bella e casta... da invidiare.

Le donne, in questo mito, non fanno squadra... così come le donne del mondo reale. 

Ed è proprio per questo, purtroppo, malgrado quanto dalla stessa subìto, che Medusa pagherà la sua "vergogna" col taglio della testa.

Eppure a far breccia ancora nella cuore degli uomini (o quantomeno  nel subconscio simbolico di questi) dopo 3 o 4 mila anni non è la dea Atena, delegata a pura leggenda mitologica, ma è proprio Medusa.

Grande la sua interpretazione dell'altrettanto grande Caravaggio.

By Pietro Perri.


E SE IL MITO DI MEDUSA FOSSE L'ALTRO VOLTO DELLA DEA ATENA?

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Atena oltre ad essere dea della sapienza, delle arti e della strategia in battaglia è, cosa da non sottovalutare nel mito di Medusa, anche dea... vergine. 

Ma, siamo proprio sicuri che sia stata veramente una dea vergine o c'è qualcosa su cui, rileggendo più approfonditamente il mito della povera Medusa (sacerdotessa prediletta da Atena, violentata nel tempio consacrato alla sua amata e per questo disconosciuta dalla stessa) dovremmo soffermarsi con un po' di più attenzione?

Siamo sicuri che nel tempio di Atena ad essere stata violentata non fu una seppur grande sacerdotessa ma la dea stessa che, rimasta scioccata da tale atto, non trova metodo migliore del disconoscere lo stesso se non scindere/rinnegare dalla sua vita il momento è viverlo come se non fosse accaduto a sé?

Atena nel mito della povera Medusa sembra rinnegare la sua sacerdotessa (cosa strana per una dea che tra l'altro viene riconosciuta come dea della saggezza). Eppure ritroviamo, dopo l'increscioso episodio ed ovviamente in alcune iconografia classiche, la dea Atena con uno scudo in mano, a difesa della propria persona, su cui fa bella vista di sé proprio la testa della sua Medusa.

Possibile che la dea Atena in un primo momento rinneghi la sua sacerdotessa come se si vergognasse della stessa, di ciò che aveva subito la stessa, e poi ne faccia argomento di forza e quindi di vanto? Quasi che la vergine, violentata selvaggiamente ed ignobilmente nel modo e nel luogo dalla stessa considerato più sacro, ritrovasse successivamente maggior forza (vita/consapevolezza di sé/nuova verginità... purezza verso sé stessa ed il resto del mondo) e nuova natura.

È come se Atena/Medusa dicesse alle donne che hanno subito violenza di non vergognarsi (perché non sono loro a doversi vergognare) ma di rinascere a nuova vita più forti di prima ed affrontare a testa alta il nuovo futuro riappropriandosi di ciò che è loro: la sacralità del proprio tempio.

Adoro la mitologia greca.

By Pietro Perri.

sabato 26 ottobre 2024

NATUZZA EVOLO... L'ULTIMA SPERANZA - By Pietro Perri.

20 ottobre 2024... visita al santuario (?) di Paravati (in provincia di Vibo Valentia). Un luogo di culto dove riposano tra l'altro le spoglie mortali della mistica Natuzza Evolo.

Cosa mi ha lasciato di particolare quella stupenda giornata sulla via della ricerca di una luce smarrita due o tre decenni addietro e mai più ritrovata? La luce della fede in un Essere Superiore?

Da miscredente uomo del dubbio potrei anche rispondere, prendendo in giro me stesso, "un bel tartufo nero mangiato sulla via del ritorno alla gelateria Dante nella stupenda piazzetta a Pizzo calabro".

Ma questa è una certezza ed un uomo del dubbio come me non può avere certezze... sarebbe la sua condanna a morte.

Ed allora la mia mente ritorna indietro di qualche passo (e magari qualche chilometro percorso in pullman) e mi riporta nel luogo in cui riposano le spoglie mortali della mistica di Paravati (VV)... mamma Natuzza Evolo.

Mi riportano in quello stanzino appartato in cui la fa da padrone una tomba in marmo rosa. Una tomba in cui a volte si fa la fila solo per poggiarci sopra una mano o entrambe le mani al fine di congiungersi, di aprire un filo diretto con ciò che continuo a definire... l'ultima speranza.

Fortunatamente un'ultima speranza che non è ancora mia... che spero non sarà mai mia.

E davanti a quel freddo simulacro, quel freddo marmo che al solo toccarlo dà l'impressione di un caldo accogliente senso materno... i miei dubbi sembra cerchino di sopravvivere inutilmente a se stessi.

Ma quell'attimo, questa sensazione, quel giorno non era per me.

Quell'attimo, quella sensazione quel giorno, quell'attimo era solo per una giovane donna inginocchiata ai piedi di quella tomba, della tomba della cara madre... mamma Natuzza, con le mani e la fronte incollate al freddo/caldo sensibile marmo, con gli occhi pieni di lacrime... con un pianto continuo che spezzava i cuori dei presenti e che costringeva i presenti a piangere e pregare insieme a lei e per lei.

Nessuno di noi sapeva il perché della dolorosa e straziante preghiera ma tutti eravamo certi che quel giorno le orecchie di mamma Natuzza Evolo erano solo per la povera ragazza.

Personalmente continuo a restare un uomo del dubbio ed a sopravvivere, a volte con grande sforzo fisico e psicologico, nel mio dubbio.

Ma la domanda, il mio dubbio diventato certezza nella sua stessa esistenza, mi assale ed annienta: "Chi sono io per negare a quella povera ragazza... il diritto Alla SUA ultima speranza?" 

By Pietro Perri.

mercoledì 16 ottobre 2024

La predicazione di Gioacchino da Fiore sui monti di Rende/San Fili. Di Salvatore Turuccio Mazzulla.

Nella foto a sinistra: veduta laterale della Chiesa di santa Lucia nella frazione Bucita di San Fili (CS). Nell’area in cui ricade quest’antico edificio di culto secondo la tradizione vi ha tenuto delle prediche il quasi beato (santo per Dante Alighieri che lo colloca nel suo Paradiso) Gioacchino da Fiore.

Foto ovviamente… by Pietro Perri.

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Salvatore "Turuccio" Mazzulla e l'abate Gioacchino da Fiore.

(Breve nota di Pietro Perri)

Tra le persone che hanno dato tanto a San Fili, pur costantemente costrette da problemi personali e da una società di "dubbia moralità" che nel suo piccolo non perdona neanche il fatto d’essere nati in una famiglia anziché in un’altra (San Fili come tanti piccoli borghi calabresi è anche e soprattutto questo) o di sottomettersi alle decisioni non appellabili di gruppi settati, ottenendone il cambio solo un briciolo di damnatio memoriae, vi è sicuramente il caro indimenticato (?) Salvatore “Turuccio” Mazzulla.

Per anni Salvatore "Turuccio" Mazzulla ha cercato invano di recuperare un po’ di memoria storica della Comunità Sanfilese.

Spesso lavorando, purtroppo e forse anche stupidamente, nel fare da cassa di risonanza agli altri invece di lavorare per fare da cassa di risonanza a se stesso.

Ottima voce interpretativa (nel recitare versi suoi, in quanto autore di bellissime e toccanti poesie, o d’altri aveva un dono naturale) non disdegnava di dividere il palco con chi "in quel determinato momento" gli camminava affianco.

Oggi di Salvatore “Turuccio” Mazzulla riporto in questo mio spazio web un breve scritto (spunto per una ricerca) pubblicata sul Notiziario Sanfilese del mese di agosto del 2008.

In questo scritto il nostro compaesano ci parla del beato (con qualche legittimo dubbio) Gioacchino da Fiore. Ovvero dell'eretico calabrese (come lo definiscono alcuni studiosi della sua enorme ed illuminante opera religiosa, filosofica e letteraria) citato tra l'altro persino in un versetto della Comedia di Dante Alighieri.

Una citazione, quella di Dante Alighieri (quasi contemporaneo all'abate Gioacchino da Fiore), che ci dimostra l'importanza ("visione profetica"), già nei suoi tempi, dell'illustre calabrese. Un'importanza decisamente malvista persino oggi dalla Chiesa di Roma.

Nei versi 139-141 del XII canto del Paradiso il sommo poeta infatti ci segnala:

Rabano è qui, e lucemi dallato

il calavrese abate Giovacchino,

di spirito profetico dotato.

La nota di Salvatore "Turuccio" Mazzulla ci immerge in un breve ricordo dei luoghi dell’abate Gioacchino da Fiore ed in particolare sul suo, quasi certo, passaggio per San Fili (per la frazione Bucita del comune di San Fili, per essere più precisi).

Tale paginetta, scritta da Salvatore "Turuccio" Mazzulla, prematuramente e drammaticamente scomparso nel 2012, riporta come titolo:

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Nei luoghi dell’abate (spunti di ricerca).

La predicazione di Gioacchino da Fiore sui monti di Rende.

Di Salvatore Mazzulla

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Domenico Martire in “Calabria Sacra e Profana” parla di Bucita come uno dei luoghi della predicazione di Gioacchino ma la associa al fiume Surdo, chiaramente nel territorio di Rende (che comprendeva comunque il territorio di San Fili), questo “errore” di Martire (anche se dimostreremo in seguito che non è un suo errore) ha fatto considerare dubbia l’ipotesi della sua permanenza anche a Bucita oltre che a Rende sul fiume Surdo.

Padre Francesco Russo al I Congresso internazionale di studi gioacchimiti nel 1979 per quanto riguarda La figura storica di Gioacchino da Fiore afferma:

«negli anni 1152-53 si recò alla Sambucina di Luzzi e circa un anno dopo, non essendo ancora sacerdote* si recò a Bucita in territorio di San Fili a predicarvi la parola di Dio con quel fervore mistico che sarà la sua caratteristica». Altre fonti citano chiaramente Bucita ma saranno esaminate in seguito. Partendo dall’ipotesi che sia stato sia a Bucita che sul Surdo, si tratta ora di individuare i luoghi.

Nel corso di un convegno tenutosi nel teatro comunale di San Fili nel mese di novembre 2003 sul recupero del patrimonio linguistico, chiesi al Prof. John Trumper se un toponimo potesse avere valore di documento storico ed egli mi rispose di sì.

Forte di questa affermazione insieme ad Antonio Asta ed a Pietro Perri iniziammo questo tipo di ricerca ed abbiamo scoperto tre toponimi significativi: lauri, aira di corazzo e grangu. Per quanto riguarda il primo mi era stato già indicato dallo storico Amedeo Miceli di Serra di Leo la cui famiglia risulta proprietaria di un vasto territorio sopra Bucita.

In località Lauri secondo gli intervistati (cacciatori, boscaioli ed anziani) dovevano esserci i ruderi di uno scarazzu (casolare di montagna) si trattava ora di fare un sopralluogo, insieme ad Antonio Asta ci siamo recati nel luogo che ci avevano indicato ed effettivamente vi erano dei ruderi che ad una prima impressione sembravano molto antichi e il tipo di costruzione sembrava risalire ad un’epoca molto lontana.

Chiaramente questa costruzione antica che sorge in un luogo che si chiama lauri sotto la quale scorre un ruscello che si chiama grangu e al di sopra un piano che si chiama aira di Corazzo mi ha fatto subito pensare ad una piccola grangia dove prima c’era una laura, ma questo chiaramente spetta agli esperti stabilirlo,** se la mia ipotesi dovesse risultare vera potrei affermare che quel rudere è la grangia che ha ospitato Gioacchino.

Il terzo toponimo mi richiamava alla mente l’Abbazia di S. Maria di Corazzo, ci doveva essere per forza un legame con Bucita ed infatti avevo ragione: in un atto del 1225 Bucita risulta tra le terre dell’Abbazia di Corazzo.

…….. et tenimentum Bucchitae cum canonibus castanetis suis in territorio Montis Alti, cuius tenimenti fines sunt isti: ab oriente est via publica, ab occidente locus qui dicitur Deo Gratias et Petra Cruciata; ab uno latere flumen Bucchitae, et ab alio flumen Lorici, et concluditur…

 

I toponimi deo gratias e petra cruciata ci sono ancora mentre quello dei fiumi è cambiato ma senza ombra di dubbio è la nostra Bucita.

 

* Il Tocco pensa che questo fatto abbia provocato la reazione dell’Arcivescovo di Cosenza, il quale gli avrebbe interdetto la predicazione (L’eresia nel medioevo - Firenze 1884 - pp. 269-270).

** Negli anni seguenti il Miceli ha fatto visitare i ruderi dall’Arch. Terzi che li ha collocati in un’epoca successiva.

 

Salvatore Mazzulla.