A sinistra: Martino Lombardo.
La foto fa parte dell'archivio Francesco (Ciccio) Cirillo.
(omissis).
Questa
volta voglio parlare dei barbieri (quelli storici) che hanno fatto sfoggio dei
loro magici arnesi a San Fili tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta.
Il
mestiere di barbiere, diciamolo a scanso di equivoci, è sempre stata un’arte e
non raramente i verbi tagliare e rasare sono andati a braccetto con i
sostantivi igiene e salute.
Nei
bei tempi che furono, infatti, quando San Fili contava cinquemila abitanti
(intorno agli anni cinquanta) non raramente una bella rasata risolveva tanti
fastidiosissimi problemi sulle teste dei nostri bambini.
Gli
anni cinquanta: gli anni dei mastru Sarvature Ruffolo (mastru della
spazzola che aveva il proprio salone ‘mmianzu ‘u puantu), Giovanni
Parrinelli (di fronte al vecchio municipio), Davide de ‘Gnaziu (in via
Destre), Noe (di fianco al negozio dei Calomeni sempre ‘mmianzu u puontu),
‘Ntonu de Milieddra ‘a monaca (aru Spiritu Santu), Martino
Lombardo l’allievo d’Oscarinu Cosenza (‘mmianzu u puantu)
Vittorio Blasi (a San Giovanni) e Michele Gentile (di fianco alla Chiesa del
Carmine).
Oggi,
di tutta una serie di maestri delle forbici storiche di San Fili, possiamo
ancora scambiare qualche parola con gli amici Michele Leo, Mario Storino e
Franco Napolitano
Quest’ultimo,
Franco Napolitano ovvero mastru Francu de Focu, è l’unico rimasto ancora
in piena attività, dopo trentacinque anni, nel suo salone di Piazza San
Giovanni, ed è proprio nel suo salone che ho preso parte degli appunti che
hanno dato vita al presente articolo.
Il
taglio di capelli che andavano più di moda negli anni cinquanta e sessanta era
di fatto il taglio a “spazzola” o “all’Umberto”, seguito a ruota dal taglio a
zero (“cozza munnata fatta ‘ccu ru rasuaiu”). Si facevano molte barbe e
gli shampoo erano praticamente sconosciuti (non tutti i saloni avevano
all’epoca l’acqua corrente dentro).
Per
aprire un salone, come ci dice lo stesso Franco Napolitano, bastava decisamente
poco: una sedia, uno specchio, un rasoio, un pettine ed un paio di forbici. A
questi attrezzi vi si aggiungevano in seguito la pietra per la molatura dei
rasoi e la “strappa” (particolare cinghia di cuoio appesa al muro che serviva
per l’affilettatura dei rasoi stessi). Molto più tardi farà la sua comparsa
anche la famosa “macchinetta manuale a molla”.
Il
mestiere dei barbieri a San Fili oggi si è praticamente perso: se si esclude il
salone di Franco Napolitano, infatti, a San Fili troviamo un altro solo salone
(di fronte alla Caserma dei Carabinieri) che comunque, pur essendo gestito da
un bravo giovane, comunque non è gestito da un sanfilese. In compenso hanno
fatto la comparsa per corso XX settembre anche i primi saloni per signora.
Ed
hanno fatto la loro comparsa anche le prime macchinette per tagliare i capelli
elettriche che seppure evitano perdite di tempo (quand’ero bambino ricordo che
a volte quasi mi ci prendeva il sonno sullo sgabello nel salone de mastru
Maruzzu Storino) ed errori del tipo “tagli a scalinata”, comunque fanno
perdere buona parte della poesia intrinseca nell’operazione del taglio dei
capelli col solo mezzo di un paio di forbici e di un pettine.
Una
volta il salone dei barbieri a San Fili era anche e soprattutto, per i nostri
giovani, una scuola d’arte (dove chi voleva poteva imparare un mestiere) e di
educazione… (omissis).
* *
*
I
barbieri… di San Fili (2).
Fino
agli anni sessanta inoltrati l’artigianato (con le sue varie botteghe, saloni
ecc.) a San Fili era decisamente fiorente.
Le
botteghe ed i saloni degli artigiani, non a caso qualificati a pieno titolo
“maestri”, erano tra l’altro un’ottima scuola per le giovani leve non solo di
un prezioso mestiere (per la serie “impara l’arte e mettila da parte”) ma anche
e soprattutto una scuola di vita.
Alla
base di una società priva di tante cose, difatti, non poteva che essere al
primo posto l’educazione, l’onestà ed il rispetto che una persona doveva avere
verso un’altra persona e verso sè stesso.
I
saloni dei tanti barbieri presenti a San Fili in quegli anni adempievano
perfettamente a tale scopo. Il mestiere di “barbiere” s’imparava direttamente
sul campo di battaglia e il “maestro barbiere” finiva di fatto per completare
l’istruzione che la mattina avevano iniziato gli insegnanti sui banchi di
scuola.
Si
trattava, di fatto, di un vero e proprio “doposcuola”: erano gli stessi
genitori che portavano i propri figli al salone e pregavano il barbiere di
“tenerselo a scuola” sia per togliere i propri figli dal pericoloso mondo della
strada (sicuramente meno pericoloso di oggi) e sia con la lontana speranza che
il figlio si appassionasse a quel mestiere e non finisse, come il padre, a
lavorare la terra sotto padroni o a cercare di sbarcare il lunario in mille ed
uno altri modi.
“…
e si fani u cretinu, nu paru de scaffi dunaticceli puru ‘ccu ru
permessu miu!”, era l’ultima frase che il genitore diceva al barbiere nel
momento in cui si apprestava ad uscire dal salone.
Nel
salone s’aggiravano non meno di cinque o sei “discepoli” del “maestro
barbiere”, tutti pronti a scattare quando un cliente entrava nel salone,
ossequiosi e riverenti, tutti pronti a scattare quando il cliente usciva dal
salone, sempre ossequiosi e riverenti.
Prima
si doveva fare un lungo tirocinio guardando, con quattro o sei occhi, come si
faceva una barba, osservando minuziosamente come il rasoio saliva e scendeva
sul volto del cliente, come sfiorava (per non dire “baciava”) la delicata pelle
del cliente, come evitava ogni minimo ostacolo… una sola goccia di sangue o una
piccola scalfitura sul volto del cliente erano decisamente imperdonabili
per quei tempi.
Poi
si passava all’insaponatura del volto e solo dopo tantissimo tempo si dava
finalmente in mano al ragazzo il famoso “rasoio a mano libera”.
I
maestri barbiere (più o meno ostentatamente) erano alquanto severi nei
confronti dei propri discepoli, e dagli stessi pretendevano il massimo della
correttezza e dell’educazione: il salone dei barbieri di San Fili erano una
vera e propria scuola di comportamento.
Il
ragazzo entrando nel salone aveva l’obbligo di salutare e di non mostrare
atteggiamenti lesivi alla propria immagine di persona retta e corretta: chi
dimenticava di salutare era pregato di uscire fuori dal salone, rientrare e
salutare così come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio… e guai a chi non
salutava correttamente il cliente!
Qualsiasi
rifiuto a tali regole poteva significare ritornarsene a casa e non rientrare
più in quel salone.
* * *
I
barbieri… di San Fili (3).
I
saloni dei barbieri di San Fili, fino agli anni sessanta inoltrati, erano, di
fatto un’eccellente scuola di comportamento: anche e soprattutto per questo i
genitori erano felici se qualche “maestro barbiere” prendesse i propri figlioli
“a scuola” nel proprio salone.
Mille
ed una erano le raccomandazioni che facevano i “maestri barbieri” ai propri
allievi quando mandavano gli stessi in qualche abitazione del paese a fare qualche
servizio: siate ossequiosi, non fatemi fare brutta figura, non toccate niente,
mi raccomando il saluto e via dicendo.
Un
ottimo insegnante sembra sia stato, a detta di chi l’ha conosciuto, “mastru
Sarvature Ruffolo”.
Di
“mastru Sarvature Ruffolo” si racconta che lo stesso per mettere alla
prova l’onesta dei propri allievi, usasse mettere agli angoli del salone
qualche monetina (stiamo parlando di tempi in cui le monete era difficile
persino vederle in televisione… anche perché la televisione in Italia, e quindi
a San Fili, faceva la propria comparsa proprio in quei tempi).
Trovandosi
in un momento in cui nel salone non c’erano clienti, invitava qualcuno dei suoi
allievi a dare “na bella scupata ‘nterra” e quindi faceva finta di
addormentarsi su qualche sedia del salone.
Cosa
avrebbe fatto il ragazzo nel momento in cui trovava le monete per terra? …
l’avrebbe presa e consegnata al maestro o se la sarebbe messa in tasca?
Teniamo
a sottolineare che a quei tempi gli allievi non venivano certamente pagati, se
non con l’arte che veniva loro insegnata!
Erano
quelli, appunto, altri tempi: tempi in cui di monete in circolazione se ne
vedevano ben poche e ciò, spesso e volentieri, non solo per gli allievi ma
anche e soprattutto per gli stessi maestri.
I
barbieri, infatti (malgrado siamo in un periodo che la popolazione sanfilese
sfiorasse le cinquemila unità), non raramente vedevano pagata la loro opera non
con soldi ma in natura… e siccome la fame imperava, un paio d’uova, un chilo di
farina ed un po’ di patate comunque non erano da biasimare.
Si
racconta che qualche signora andasse a prendere qualche chilo di pasta a
credito (erano i tempi della “libretta”) per pagare il barbiere per i
capelli fatti ai propri figlioli. In periodi di carestia, può sembrare strano,
ma a stare meno male, di fatto, non è chi sta nei centri abitati a lavorare da
artigiano o a giornata, bensì chi sta in campagna… considerato che almeno
qualcosa sotto i denti la mette.
Non
mancavano in quegli anni di stenti anche le magre che per risparmiare qualche
lira tagliavano direttamente loro i capelli ai propri figlioli.
Alcuni
barbieri di San Fili, in quei magri anni, non raramente per racimolare qualcosa
in più andavano a fare il giro delle campagne e tanti altri si avventuravano persino
nella vicina Falconara a fare qualche taglio di capelli.
Devo
dire inoltre che personalmente ho conosciuto i figli di “mastru Sarvature
Ruffolo” Aldo, Carmine e la figlia Maria. Tutti e tre noti per la loro
squisitezza di modi, educazione, intelligenza, amore per il paese che ha dato
loro i natali e lo spirito altruistico a tutta la comunità sanfilese… buon
sangue non mente! … della signora Maria sono stato alunno per i cinque anni delle
elementari: devo a lei il 50 per cento della mia preparazione, anche se ancora
avverto il dolore sulle mani di qualche staffilata ricevuta in più.
Ieri
come oggi, comunque, il salone del barbiere a San Fili non è solo un luogo dove
semplicemente ci si taglia la barba o i capelli, ma è innanzitutto un luogo di
ritrovo tra amici che vogliono scambiare qualche parola di sport, politica e
anche cultura.
Personalmente
non posso negare che non mi dispiace a volte avvicinarmi al salone di mastru
Francu Napolitano ad ascoltare quanto si dice tra i suoi affezionati
frequentatori… e in quel punto che ancora oggi posso godere di un po’ della
veracità dei miei amati odiati compaesani.
…
e poi in quel salone non raramente si può apprezzare l’ottima chitarra di
mastro Franco, di Eliuzzu Satinu, il magico mandolino di Giorgino Curatolo
e la stupenda voce del nostro sempreverde Mario Oliva.
* * *
I
barbieri… di San Fili (4).
Indubbiamente
San Fili e i sanfilesi, come il resto del mondo, fino agli anni sessanta
inoltrati, economicamente non se la passavano certamente bene ed anche chi
aveva un mestiere, una professione o un’arte in mano non era esente da tale
problema.
Alcuni
barbieri di San Fili sia per arrotondare le loro entrate, facendo concorrenza
ai dottori del paese (e, sembra, facendo pagare qualcosa in meno di questi...
dicono le solite malelingue) avevano attrezzato il proprio salone anche per la
professione di cavadenti. Era questo, ad esempio, il caso del
grande mastru Sarvature Ruffolo, preferito dai sanfilesi, si dice, allo
studio del dottore Adolfo Mauro per quanto riguarda il costo dell'estrazione,
ma tra l'altro consigliato ai propri pazienti dallo stesso dottore Giuseppe
Crispini (il quale sembra non praticasse con piacere tale operazione nel
proprio studio).
E
si racconta pure che lo stesso Marsico, successivamente dentista di una certa
notorietà, subì... le pinze del bravo mastru Sarvature Ruffolo.
Una
vera e propria operazione, questa, consistente nello scarnare il dente e
quindi estrarlo con una apposita pinza. A questo punto provate un po’ a
considerare il tutto nell’ottica che all’epoca non si sapeva neanche cosa fosse
l’anestetico, oggi che ci facciamo fare l’anestesia locale anche per toglierci
una spina di rose piantata in un dito.
Mastru
Sarvature Ruffolo (nato il 1899 e
morto il 1976) a soli quattordici anni era partito a Napoli a frequentare un
corso di sei mesi per imparare quella professione che tanto tempo dopo
necessiterà, oltre alla professionalità, un diploma di laurea: il dentista. A
Napoli però resterà ben poco (circa due mesi) in quanto sarà richiamato dal
padre al paese.
Il
padre, infatti, aveva paura di quel che si diceva circa quanto a tempi brevi
stesse per accadere in Europa: siamo di fatto, alle soglie della prima guerra
mondiale.
Al
paese il padre, quasi a ripagarlo del forzato rientro, gli aprirà un salone di
barbiere (in una stanza a piano strada del palazzo ancora oggi conosciuto da
tanti come il "Palazzo di Donna Vienna Gentile").
Mastru
Sarvature Ruffolo, comunque, c’è da
dire che seppure è stato l’ultimo “barbiere cavadenti” di San Fili, certamente
non è stato il primo e come tale non era l’eccezione bensì la regola. Nel libro
del prof. Francesco Cesario “San Fili nel tempo” al paragrafo “calzolai
e barbieri” infatti leggiamo:
“I
barbieri erano abili, oltre che nel loro mestiere, anche nel cavare i denti ed
applicare le sanguisughe (sanguette) per abbassare la pressione sanguigna.
Mastro Paolo Caruso, dalla solenne barba bianca e mastro Achille Salerno, anch’egli
grigio barbuto, ostentavano la loro valentia esponendo ogni mattina
all’ingresso della bottega, accanto al piatto ovale di ottone - emblema dei
barbieri - un capace vaso di vetro contenente le centinaia di denti cavati”
Siamo
agli inizi del 1900, e questo era un modo come un altro per attirare clienti.
* * *
Finora,
caro lettore, in quella che sembrava una semplice passeggiata nei mestieri dei
nostri avi e nell’arte dei barbieri di San Fili, in parte volutamente (non
bisogna dimenticare che la mia fonte principale, per quanto riguarda le
notizie, è la memoria dei nostri anziani), in parte perché preso il lavoro un
pochino alla leggera, è stata fatta qualche briciola di confusione in merito ai
periodi in cui doveva essere inquadrato un determinato nome di barbiere del
paese o la stessa professione da questi praticata: dopotutto fare lo storico
non la professione di chi scrive su queste pagine, visto che scrive per
semplice hobby e… paga, con la moneta del piacere di scrivere, per essere
letto.
In
effetti sarebbe stato giusto parlare de “i barbieri di San Fili” inquadrandoli
nel periodo ante guerra 1915-1918, nel periodo dell’era fascista (1920-1945),
nel periodo post seconda guerra mondiale, nel periodo del boom economico
italiano (anni sessanta), fino ad arrivare al periodo compreso tra il 1970 ed
oggi. In tali periodi, infatti, il mestiere del barbiere a San Fili non solo ha
subito forti modifiche per quanto riguarda il mestiere stesso, ma ha subito
forti modifiche anche dal punto di vista del ceto economico sociale da cui
vengono reclutate le nuove leve (ossia i discepoli dei mastri barbieri).
Essendo
questo però un concetto di una certa importanza (anche per le altre arti e
mestieri praticati nei vari periodi nel nostro paese) è giusto che rinviamo il
discorso a qualche altra puntata.
* * *
I
barbieri… di San Fili (5).
Figure
caratteristiche, in ogni tempo, quelle dei barbieri sanfilesi, così come
caratteristico, diciamolo pure, dopotutto è ogni sanfilese (importato e non).
Ognuno con le sue convinzioni, ognuno con le sue fisime e peculiarità. Si
racconta di un barbiere di tanti e tanti anni fa, un certo “mastr’Achille”
(presumibilmente il “cavadenti” ricordato dal prof. Francesco Cesario nel suo
libro “San Fili nel tempo”), che s’irritava facilmente se a qualche
cliente capitasse d’addormentarsi mentre lui gli faceva la barba o i capelli.
Si
racconta ancora oggi d’un cliente di mastr’Achille che si svegliò.
col viso ancora mezzo insaponato alle storiche imprecazioni del barbiere il
quale brandendo minaccioso l’affilato rasoio urlava verso il malcapitato: “…
e su’nna finisci mo’ de runcigliare, ti fazzu dorme io na vota ‘ppe sempre!”.
Erano
anni, quelli del dopoguerra, tutti particolari, quando anche nei saloni di
barbiere di San Fili s’iniziavano a vedere le prime poltrone meccaniche di
metallo della famosa fabbrica siciliana “la Scuderi”. Prima di queste
poltrone, le stesse, pur avendo all’incirca le identiche funzioni, erano
realizzate (per quanto riguarda lo scheletro) in legno.
Oggi
le une e le altre, nei saloni che si vanno ad allestire le giovani leve,
vengono sostituite da normali poltroncine (o semplici sgabelli) e a differenza
di quei tempi, quando sedendosi su una di queste poltrone non ci si alzava più
se prima non si era fatto barba, shampoo e capelli, ai giorni nostri dal
“coiffeur” (anche la parola “barbiere” è stata pensionata) esiste la zona
lavaggio capelli, la zona taglio ed asciugatura e via dicendo.
In
poche parole oggi il cliente, entrando nel salone, viene sbattuto da un angolo
all’altro dello stesso e spesso stenta a capire quello che i vari addetti ai
lavori gli dicono.
E
quanto era bello quel tempo in cui ci si sedeva sulla sedia ed il barbiere
iniziava a tagliarti i capelli senza chiederti “come li facciamo?”:
all’epoca esisteva quasi esclusivamente il taglio “spazzola” ovvero “all’Umberto”.
Oggi quanto ti pongono questa domanda, finisci per vergognarti persino di dire
il nome del taglio in modo sbagliato, quando non dai delle indicazioni di
difficile comprendonio e finisci quasi sempre o per dire la solita stupidità (…
corti e tutti dietro?) o per dire al mastro barbiere (che spesso e
volentieri tale non è - parlo delle nuove leve e non certamente delle nostre
impareggiabili storiche forbici sanfilesi)… “fate un po’ voi… purché… !”.
Erano
altri tempi quelli, erano i tempi in cui esistevano nei saloni dei mastri barbieri
di San Fili persino i “clienti abbonati”, ossia quei clienti “affezionati”
che si mettevano d’accordo col barbiere (in cambio d’uno sconticino sul
servizio) per farsi tagliare la barba due o tre volte regolarmente a settimana,
i capelli una volta al mese e così via.
Luoghi
soprattutto, ed in ogni tempo, di ritrovo, i saloni dei barbieri di San Fili:
ognuno con le sue caratteristiche, la sua “selezionata clientela” e le sue
peculiarità. In alcuni casi vere e proprie sezioni politiche (scherzosamente
parlando) tanto che persino oggi il salone di mastru Franco Napolitano
viene additato come uno dei luoghi principali di ritrovo dei “rossi”; quello
del compianto e simpatico Martino Lombardo, per la sua indiscutibile fede
politica, era familiare ai “neri” (si dice che nel salone conservasse,
opportunamente celata agli occhi dei più, una foto del Duce) e, andando più a
ritroso, il salone di Oscarino Cosenza (maestro del Martino, che ne sarà di
fatto l’erede) per quanto riguarda i repubblicani.
Nel
salone di Salvatore Ruffolo (siamo intorno al 1935) un’orchestrina composta da
amici ogni sera teneva il suo piccolo concerto.
Quasi
tutti i saloni dei barbieri di San Fili, e negli anni non sono stati certamente
pochi, avevano sede nel tratto di corso XX Settembre compreso tra il bar di
Cenzino Passarelli e quello di Gigetto Sammarco. Era in questo tratto,
dopotutto, che in quest’ultimo secolo si svolse la stessa vita della comunità
sanfilese.
* * *
I
barbieri… di San Fili. (6)
Il
problema del barbiere, ovvero del parrucchiere, inutile dirlo che a quei tempi
per le donne a San Fili non esisteva. Tutte le donne si crescevano i capelli e
tutte le donne li raccoglievano “a tuppu” sulla testa. Si faceva
semplicemente, di tanto in tanto, una leggera spuntatina ai capelli
direttamente in casa. I capelli all’epoca erano anche e soprattutto un buon
investimento per le donne del nostro paese (inutile dire che la mia è una
storia popolare e come tale si rivolge alla generalità delle persone e non ai
singoli casi quali possono essere nobildonne e similari).
I
capelli che venivano raccolti con la pettinatura, infatti, venivano conservati
in attesa che per le vie ed i vicoli del nostro paesino non si sentisse la voce
dello storico e ormai dimenticato “capiddraru”.
“U
capiddraru” era un “ambulante” che in cambio di una matassa di capelli, a
seconda della grandezza della stessa, dava, alle nostre madri o alle nostre
nonne, aghi, spingole e, se la matassa era abbastanza grande, persino qualche
pettine.
I
capelli raccolti de “u capiddraru” venivano commercializzati nella città
e con gli stessi, sembra, vi venivano ricavate delle parrucche.
Si
era agli inizi degli anni settanta e chi scrive si sentiva dire spesso (il
tempo tra una ritoccatina e l’altra dei capelli passava decisamente in fretta)
dalla madre: “se vai a tagliarti i capelli, ci sono cento lire anche per te!”.
Dire
all’epoca quanto costasse un taglio di capelli (oggi che si va dalle diecimila
alle quindicimila per i tagli più economici) non è per niente facile: cento
lire comunque erano una bella sommetta per un ragazzino di dieci anni. Per
entrare al locale cinema si pagava 150 lire ed una partita a calcio balilla (ai
bar di Cenzino Passarelli e Teresa Scarpelli o nel circolo juventino dei veraci
Romano e Franco Zuccarelli) costava dalle venti alle venticinque lire.
Diversa
era la frase che veniva detta “aru mastru varviere”: “Mastru Maru’,
no’ caerusati… ma na bella accurciata facimuccela”!
Il
taglio era, per noi ragazzini, regolarmente all’Umberto (sfumati dietro
e a spazzola davanti): erano poche le famiglie che facevano tagliare a zero i
capelli ai propri figlioli o che glieli facessero tenere a caschetto. In questi
tre modi di tagliare i capelli potevamo benissimo distinguere i tre ceti
economici (spesso anche culturali) presenti nel paese: i ricchi (a caschetto),
i meno poveri (all’Umberto) e i poveri (a zero). A zero venivano
tagliati, spesso per necessità igieniche, anche i capelli di ragazzini che
abitavano nelle campagne.
Negli
anni settanta, ma ciò solo per chi aveva una certa età, s’iniziò a parlare a
San Fili anche del taglio alla “Napoleone” (lunghi dietro e corti
davanti) e dei famigerati (per l’epoca) capelloni.
Per
quel che ricordo, il primo a tagliarmi i capelli fu Mario Storino (che aveva il
salone di fronte il bar Sammarco), successivamente passai sotto le forbici di Veruzzu
(Saverio Marino) che operava nel salone che fu di Salvatore Ruffolo, ed infine
di Pasquale Carpanzano, successore di Martino Lombardo.
In
questa ricerca popolare sui barbieri sanfilesi che nel ventesimo secolo hanno
avuto il loro salone a San Fili, qualche nome sarà scappato (uno fra tutti
quello del bravo Piero Tenuta), ma non per colpa, completa, di chi scrive… non
rientravano in un’epoca di ricordi… una stupenda epoca che non ritornerà,
purtroppo, mai più sui suoi passi!
Uno
sistema fiscale sempre più a servizio di chi economicamente sta meglio degli
altri (anche nel commercio), la diffusione capillare dell’automobile (che ha
convinto, per vari motivi, molti compaesani ad andare a farsi tagliare i
capelli da barbieri dei comuni confinanti), la diminuzione demografica della
popolazione sanfilese, la messa in commercio delle macchinette elettriche (di
facile uso ed alla portata di tutti), gli enormi costi di gestione di un salone
(fitto, luce, ragioniere per la contabilità, acqua ecc.) ed in parte, diciamolo
pure, l’ignoranza (ma anche il poco coraggio) sulle opportunità che lo stato
offre agli artigiani che riescano a garantire determinati requisiti (che non è
solo il riuscire a prendere la luna nel pozzo, ma spesso e volentieri
semplicemente il “rispettare le regole”)… hanno fatto in modo che il mestiere
di barbiere, tra i sanfilesi, venisse quasi definitivamente perduto.
* * *
I
barbieri… di San Fili (7).
Oggi,
per come li abbiamo conosciuti quelli della mia generazione, i barbieri (di San
Fili e non) non sono più quelli di una volta. Con tale affermazione, ben me ne
guardo e spero di non essere (come al solito) frainteso, non voglio dire che
non siano più bravi come quelli dei tempi che furono: inutile, infatti, citare
il detto che “il discepolo supera sempre il maestro”, ma non posso certamente
negare che più di una cosa, in questo mestiere, nel corso degli anni sia
drasticamente cambiato (e continui a cambiare tutt’oggi).
E’
cambiata la clientela: certamente più “popolana” (segno che i tempi nostri, per
un certo verso, sono migliori dei tempi che furono) di quella che frequentava i
saloni dei barbieri sanfilesi degli inizi del 1900. A quei tempi, infatti, il
popolino più che con la barba o con i propri capelli era costretto a combattere
col quotidiano problema del pane da mettere sotto i denti.
In
tal modo, quasi a far da specchio a Figaro’, il famoso “Barbiere di Siviglia”,
a frequentare il “laboratorio d’arte” dei vari mastru Sarvature
Ruffolo ed Oscarino Cosenza, troviamo una clientela più che altro benestante,
titolata o quantomeno legittimata nel nobiliare “don, donnu” e via
discorrendo. La stessa apertura di un salone, a dir poco costosa, era limitata
a membri di famiglie, per l’epoca, più o meno benestanti e come tale era
considerato un mestiere per gente di un certo ceto socio economico.
Stiamo
parlando di un periodo storico in cui a San Fili, come nel resto d’Italia, non
era certo considerata una vergogna ritrovare persino il barone Amedeo Miceli a
servire i sanfilesi nella farmacia gestita dallo stesso… e pertanto (malgrado
all’epoca per fare il farmacista bastava un patentino e non una laurea) la
professione del farmacista veniva negata alla gente che, spesso e volentieri
più intelligente di alcuni sapientoni dell’epoca, trovava i propri natali in
famiglie appartenenti a ceti “inferiori”.
Il
popolino (prettamente rurale) in tale ottica, dal canto suo, finiva per
frequentare il salone dei barbieri di San Fili più per farsi cavare qualche
dente che per farsi curare l’estetica. Per quanto riguarda l’insegnamento del
mestiere alle nuove leve, i genitori di questi ultimi dovevano persino pagare
il “maestro” che prendeva a lezione i propri figlioli (i garzoni del salone).
Passa
qualche anno (siamo intorno al 1910) e per San Fili e i sanfilesi qualcosa inizia
a cambiare: viene ad alimentare nuova gente il nostro già rigonfio alveare (non
era difficile trovare ad abitare all’epoca in una sola stanza sette o otto
persone) grazie ai lavori della costruenda tratta ferroviaria Cosenza Paola;
rientrano i primi emigranti… in poche parole inizia a circolare più danaro
liquido e s’inizia a mettere quasi definitivamente da parte il libero scambio
del baratto.
I
mestieri, in tale concetto, iniziano ad aprirsi a quei ceti economico sociali
finora lasciati ai margini dell’intera società (nelle campagne si lavorava a
terzadria, ossia due parti al padrone ed una al lavorante, a volte anche a meno
di questa) e contemporaneamente tante arti e mestieri a San Fili finivano per
scomparire nell’arco di pochi anni (vedasi il caso, ad esempio, dei locali,
famosi ed impareggiabili, costruttori di campane: gli Apuzzo).
E
qualcosa cambia ulteriormente con l’avvento dell’era fascista (siamo intorno al
1920) non perché l’avvento dell’era fascista sarà tutta rose e fiori (anche se
oggi in tanti la stanno rivalutando), ma, dando a Cesare quel che è di Cesare,
qualcosa di buono comunque l’aveva fatto: aveva istituito il famoso “sabato
fascista” e imposto, non solo sulla carta, l’obbligo scolastico (anche se non
sempre gli alunni superavano la terza elementare… che comunque valeva quanto un
secondo superiore di oggi)!
Aveva,
cioè, costretto persino i “cafoni” e i “villici” (così erano chiamati all’epoca
i contadini) a partecipare a forme di aggregazione sociali (seppure con
finalità legate all’ideologia imposta dal regime). In tale modo, volenti o
nolenti, lo scambio di opinioni avrebbe finito per porre un’ulteriore pietra
sul pensionamento del feudalesimo locale. E ridicolo pensare che alle soglie
del duemila, in piena democrazia, a San Fili, in questi ultimi anni si stia
facendo esattamente il contrario: lavorare scrupolosamente affinché la gente
non si aggreghi e quindi non parli “dei veri problemi”: alcuni baroni, i nuovi
baroni, (e non mi riferisco ai Miceli o ai Vercillo, veri signori e non dei
semplici “poveri arricchitisi”) si stanno finemente organizzando!
* * *
I
barbieri… di San Fili (8).
Già
tra gli anni quaranta e cinquanta (periodo in cui entrare in un salone per
barbiere faceva quasi soggezione, al popolino, per la bellezza in cui ci si
addentrava, il mestiere del barbiere (… l’artigianato locale in generale)
s’iniziava a vedere non più come un qualcosa di superiore (… il servizio,
spesso anche di confidente, del nobile e dei signori locali) ma come un vero e proprio
lavoro e quindi un servizio non sempre piacevole.
Il
tempo del “lavoro in quanto missione” era terminato, il piacere del barone che
ti pregava di fare un salto al suo palazzo per fargli la barba non apparteneva
più ai nostri tempi, la stessa professione “accessoria” di cavadenti doveva
essere espletata rispettando alcune regole igienico sanitarie e quindi non era
più concepibile praticarla all’interno di un salone per barbieri.
Il
dio denaro (espresso spesso e volentieri in dollari americani), ancor prima
della seconda guerra mondiale, stava prendendo il sopravvento e nessuno poteva
negare anche ad alcuni figli di “cafoni” e “villici” il piacere di farsi
tagliare i capelli dalle mani d’oro dei barbieri di San Fili… e ciò fece anche
in modo che non solo gli appartenenti ad un ceto socio economico medio alto
intraprendessero tale mestiere ma anche semplice gente del popolo.
Aumentavano
i clienti, aumentava il liquido, aumentavano le esigenze dei singoli soggetti
appartenenti ad una comunità e, conseguentemente, non poteva che aumentare
anche la domanda di persone che facessero tale mestiere.
In
quegli anni, iniziando a diminuire le braccia nelle campagne, nascevano come
funghi, per corso XX Settembre, botteghe di falegnami, saloni di barbieri,
negozi di alimentari, macellerie e chi più ne ha più ne metta.
L’enorme
e più che giusta offerta di servizio, nel giro di pochi anni avrebbe finito per
superare la domanda di un tale servizio: negli anni sessanta, infatti, in pieno
boom economico italiano i barbieri operanti sul territorio di San Fili,
iniziano a sentire la crisi del settore. Il nostro paese dai circa cinquemila
abitanti registrati negli anni quaranta e cinquanta, scendeva drasticamente
verso le tremila unità. Se prima era quasi impossibile emigrare in quanto era
difficile comprarsi il biglietto della nave, oggi i pochi fortunati dei primi
tempi richiamavano all’estero i propri congiunti e parenti pagando agli stessi
il biglietto del viaggio.
Parlando
con mastru Franco Napolitano, quando intrapresi l’avventura di questa
ricerca popolare sui barbieri di San Fili, questi mi disse tra l’altro che loro
(e non solo loro a San Fili), in quei magri anni sessanta, toccarono il settimo
cielo quando iniziarono i lavori della realizzazione della superstrada
Cosenza Paola: per la seconda volta nel giro di poco più di cinquant’anni,
l’economia sanfilese veniva salvata dalle realizzazione di una linea
provinciale di comunicazione (la prima, all’inizio del secolo, fu la tratta
ferroviaria),
Bastava
una semplice barba o un semplice taglio di capelli ad uno degli operai
impiegati in tale opera, per racimolare, in un colpo solo, l’intera entrata di
una giornata lavorativa.
In
quegli anni, pensando che la storia dovesse durare in eterno, i saloni dei
barbieri di San Fili pullulavano di garzoni.
I
dipendenti delle ditte di costruzione (una mi sembra si chiamasse “Salci”) per
qualche anno si sistemarono nel nostro paese (qualcuno sposò persino qualche
nostra compaesana) pagando profumatamente non solo i servizi offerti loro dai
locali barbieri, ma anche alloggi e servizi vari. Tutti, nobili e meno nobili,
entrarono nel calderone di questo grandissimo giro economico.
Come
tutti i giochi belli però, anche questo durò poco. Alla fine degli anni
sessanta (il 1968 o il 1969 circa) il più dei lavori della superstrada Cosenza
Paola sono terminati e per risollevare il morale delle tasche degli artigiani
locali bisognerà aspettare l’apertura dell’Università della Calabria (dove ben
tre barbieri sanfilesi troveranno occupazione… ma non certamente nella
professione della loro arte), del Consorzio di Bonifica (l’università dei
forestali della provincia) e della stessa “Legnochimica”.
Cambia
la società (col proliferare dell’automobile in tanti abbiamo optato per le
forbici, e non solo per le forbici, di altri lidi), aumentano le tasse, i costi
d’esercizio e… spariscono i barbieri di San Fili: un’epoca, con l’avvento degli
anni ottanta, ha definitivamente calato il sipario ai nostri occhi.
Con
questa puntata si conclude la pubblicazione della ricerca popolare sui barbieri
di San Fili e non posso fare a meno di ringraziare non solo a quanti hanno
collaborato con il sottoscritto per la stesura della stessa, ma anche e
soprattutto a te, amico lettore, che hai avuto la costanza (e la pazienza) di
continuare a leggermi.