A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

Eventuali commenti a post di questo blog non verranno pubblicati sia se offensivi per l'opinione pubblica e sia se non sottoscritti dai relativi autori. Se non avete il coraggio di firmarvi e quindi di rendervi civilmente rintracciabili... siete pregati di tesorizzare il vostro prezioso tempo in modo più intelligente (se vi sforzate un pochino magari per sbaglio ci riuscirete pure).
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Ricordo ad ogni buon file l'indirizzo di posta elettronica legata a questo sito/blog: pietroperri@alice.it

giovedì 27 gennaio 2011

San Fili / Auswitz 2011 - affinché il ricordo non muoia.

Il brano che riporto di seguito (adattato solo in un paio di parti appositamente proposte, in questo spazio ed in questa occasione, in corsivo) è stato pubblicato sul quindicinale “l’occhio” anno II n. 7 di domenica 2 aprile 1995… ovviamente a firma del sottoscritto… alias Pietro Perri.
Lo ripropongo oggi, giornata della Shoah (della memoria), affinché… il ricordo non muoia e con il ricordo non muoia anche il nostro futuro.
Anche San Fili ha avuto i suoi deportati, i suoi morti e i suoi confinati nel corso della Seconda Guerra Mondiale.  
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Marzo 1945: a soli sedici anni moriva, nel campo di concentra­mento di Bergen-Belsen, una ra­gazzina ebrea diventata suo malgrado il simbolo dell'olocausto: Annaleis Marie Frank, Anna, au­trice dell'omonimo diario.
Qualche anno addietro ebbi il piacere di leggere le toccanti pa­gine di quelle stupende e tragiche lettere inviate idealmente alla sua amica del cuore Kitty... l'inesi­stente, come era inesistente e rea­le al tempo stesso, la sua vita nell'alloggio segreto di Amsterdam.
Oggi Anna Frank, per le nuove leve potrebbe non essere mai esistita: l'ultima partita di pallone o ciò che hanno detto o che non hanno detto gli eterni dottori dei mali economici e sociali di questa strana società... sono gli interes­santissimi discorsi che monopo­lizzano la loro attenzione. Anna Frank è il passato. Ed il passato lo vediamo quotidianamente in tele­visione, anche se con nomi diver­si: il passato oggi si chiama So­malia, Iraq, Bosnia, Cecenia, Ruanda... la TV non ne parla più, quindi il pericolo è scomparso, inutile preoccuparsi.
Il presente invece è bello: si chiama Beautiful, Perla Nera, Sen­tieri... in alcuni casi Tempo Reale e Combat Film. Il presente, video permettendo, sarà eterno.
Qualcuno si chiederà perché ho deciso di dedicare questo spazio a questo fantasma del passato... mi auguro che qualcuno se lo chie­da. Semplice: sabato 4 marzo (n.d.a.: 1995), mi trovavo a San Fili in piazza San Giovanni a discutere del più e del meno con alcuni amici, sulla si­tuazione politica attuale.
Uno di questi miei amici disse scherzosamente che per quei simpaticoni di onorevoli della Prima Repubblica e mezzo, si do­vrebbero costruire degli appositi campi di concentramento. Un si­gnore, a pochi passi da noi, puntualizzò: "Purché non siano nazisti". Questo signore di cui in questa occasione non svelerò il nome, tra l'altro padre di un mio ex compagno di scuola, prose­guendo ci confidò di essere stato lui stesso prigioniero in un campo di concentramento in Germania.
(…) E’ questo un brandello di storia mondiale che quasi quotidiana­mente incrociamo senza render­cene neanche conto in piazza San Giovanni o lungo corso XX Settembre.
Un brandel­lo di storia che magari avrebbe tanta voglia di parlarci di se e che noi,  impegnati  nel  nostro perbenismo, nel ridicolizzare e sottovalutare il nostro prossimo, ci sforziamo di non riconoscere.
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Quando i nostri passi incrociano quelli di un anziano… fermiamoli un attimo e guardiamo nel volto chi ci sta di fronte: quel volto, quegli occhi… le sue mani… sono un pezzo di storia che sicuramente nessuno ci racconterà mai.
Un paese che non conosce, comprende ed elabora compiutamente la propria storia è destinato a rivivere il proprio passato - (Elsa Morante).
… un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
… pace!

venerdì 14 gennaio 2011

“Tante navi tante storie”… Pasquale Guaglianone a San Fili (parte seconda).

Come sono venuto in possesso di questo libro e perché sono venuto in possesso di questo libro l’ho detto in un post precedente (esattamente il 6 Gennaio 2011): il libro me l’ha prestato (?) l’amico Giuseppe Falbo il perché era dovuto al fatto che con l’Associazione culturale di cui mi onoro essere il Presidente in carica (la “Universitas Sancti Felicis” di San Fili) il 22 dicembre (triste giorno per la nostra comunità) si è tenuta la presentazione dello stesso all’interno della sala convegni della Biblioteca comunale “Goffredo Iusi” del nostro stupendo paesino.
Ciò che non ho fatto nel precedente post (quello del 6 Gennaio 2011) è… dire a te, amico lettore, a sommi capi cos’è questo libro (cosa contiene), a chi si rivolge, se è di facile ed interessante lettura… se vale la pena leggerlo.
Se volessi sbrigarmela in quattro e quattr’otto potrei limitarmi a dire: si, è di facile lettura; si rivolge a tutti noi (emigranti, figli di emigranti, parenti di emigranti, estranei al mondo dell’emigrazione ma che tanto devono al fenomeno dell’emigrazione); è interessante (nella sua indiscutibile leggerezza)… vale la pena leggerlo.
Detto così, però, chi mi conosce (ed anche qualcuno che non mi conosce) potrebbe benissimo dire… “Pietro Perri questo libro non l’ha mai letto!”. Non c’è bisogno di leggere, infatti, questo libro per poter dire dello stesso ciò che ho detto. O quanto meno non c’è bisogno di leggerlo tutto… basta leggere la presentazione e la premessa all’inizio, prime dieci pagine, nonché la nota sulla copertina.
In tal modo sappiamo (in parte sbagliando in quanto sembra, da tali parti, essere rivolto solo ai Cetraresi  sparsi per il mondo ed in particolare nell’America latina mentre guarda a 360 gradi all’emigrazione, calabrese in particolare ed italiana in generale, della prima metà del XX secolo) che parla, in modo stilisticamente accattivante oserei dire, di emigrazione.
Pasquale Guaglianone, giornalista e scrittore (cittadino del mondo) sembra sfogliare, nella sua opera “Tante navi tante storie”, l’emigrazione in tutte le sue sfaccettature principali: la poesia, la tragedia, la voglia di rivalsa, il dubbio, il coraggio, la famiglia, il fallimento, il successo… la fede religiosa, la madre (quest’ultima vero e proprio filo conduttore di quanto è “trascritto” dal bravissimo Pasquale).
In questo libro l’autore in effetti, da provato giornalista qual è, non scrive… trascrive, riporta, cioè, ciò che i propri interlocutori gli “dettano”. Eroi nell’opera “Tante navi tante storie” sono i cosiddetti “antieroi” di sartriana (Jean Paul Sartre) memoria, coloro, cioè, che devono lottare quotidianamente contro mille piccoli draghi (la miseria, i figli, le scelte estreme) e che malgrado il loro costante impegno difficilmente troveranno spazio su un libro di storia.
Sottotitolo del libro è “Tanos, calabresi e cetraresi in Argentina”.
Cosa sono i “Tanos”? … ce lo dice, nella presentazione al libro, don Enzo Stamile, parroco di San Benedetto abate a Cetraro: “Ma il pregio di questo volume, è soprattutto quello di farci fare una viaggio nella memoria attraverso i nostri Tanos, così venivano chiamati gli italiani in Argentina, che è un diminutivo di Napoletanos”.
… un pensiero questo che dovrebbe far tantissimo riflettere per chi studia il fenomeno dell’emigrazione italiana nel corso del XX secolo.
Proprio per questo, quasi certamente, l’autore  apre questo stupendo (pittoresco e spesso tragico) percorso con il capitolo “Domani, partiamo per l’Argentina”. Un’esperienza, quella del lungo viaggio in nave, che in alcuni tratti ricorda tanto il viaggio degli ebrei (ovviamente mi riferisco ai viaggiatori delle classi più basse), stipati nei carri merci, verso i campi di concentramento nazista. Cambiava la visione della speranza, una speranza straripante di domande e dubbi. Cambiavano i carcerieri: nel caso degli ebrei… decisamente dannosi per la loro cattiveria, nel caso degli emigranti… decisamente dannosi per la loro inesperienza.
Emblematico, sul fatto dell’inesperienza dei “carcerieri” è l’ultimo viaggio della nave “Principessa Mafalda”, magistralmente descritto nelle pagine di “Tante navi tante storie”. Una tra le più grandi, se non la più grande, tragedie della storia della marina italiana.
Ed ecco, in tale tragedia, la voce di Angelina, della madre, ergersi al di sopra di tutte con il suo accorato appello: “No, no, salvate i miei due figli, scendo io, nuoto fin dove potrò, non abbandonate i miei figli”.
Risponde, ad Angelina, non con la voce ma con la sua storia, la signora (madre anch’essa) Cristina Maritato.
Vince, in tutta l’opera, l’Edmondo De Amicis del libro “Cuore”… che sia un parente stretto (almeno spiritualmente) del nostro comune amico Pasquale Guaglianone?
Sull’altra sponda, in Argentina, per coloro che riuscivano ad arrivarci… finalmente un sole (non il sole della Calabria, ma pur sempre un sole) e la promessa di un futuro diverso da quello che si era da qualche giorno lasciati alle spalle.
E’ stupendo il disegno che traccia Pasquale Guaglianone in merito all’emigrante in processo di partire, negli ultimi, se non nell’ultimo, giorno in cui calpesterà il suolo natio: “Sensazioni, che avrei ricordato per sempre (…) Erano cose mie. Mi appartenevano. Dovevo portarle con me. Nella mia memoria”.
Chi parte, sapendo che c’è anche la possibilità del non ritorno, è obbligato a fotografare, nella propria memoria, i più piccoli particolare della vita che sta per lasciarsi alle spalle: la propria fanciullezza, l’aroma del caffè (siamo italiani anche per questo), la figura paterna (che sparisce subito nell’opera) e quella materna (che lo accompagna, il nostro “autore/viaggiatore”, per tutta l’opera).
Altro filo conduttore importantissimo, oltre alla donna/madre, al caffè, alla ricercatezza del lavoro italiano all’estero è sicuramente la religiosità (spesso puramente folcloristica e/o legata ad una antica ritualità che si rifà ai nostri miti greci e latini): padre Pio, san Benedetto abate, la madonna… sempre presenti al nostro fianco… sempre presenti al fianco degli emigranti (anche e soprattutto quando tutto sembra andar loro nel peggiore dei versi).
L’incontro tra alcuni cetraresi (che non conoscevano direttamente l’autore di “Tante navi tante storie”… ma che conoscevano il padre e quindi la famiglia d’origine dello stesso) e Pasquale Guaglianone, sembra riportarci all’incontro tra Virgilio ed il suo compaesano Sordello all’interno della Divina Commedia (Purgatorio).
I senza terra, i senza patria (“tanos” in Argentina e “mericani” quando ritornano in Italia a ritrovare i propri cari e gli amici d’infanzia) finiscono per essere gli unici veri depositari (memoria storica) di una vita, di un mondo e d’un tempo che ormai tutti, in Calabria ed in particolare nel cosentino, ci siamo lasciati alle spalle. Noi, cittadini del mondo, confusi in una serie di mondi d’altri, spesso virtuali, non sappiamo più in che mondo abitiamo ed a quale mondo apparteniamo.
Vale la pena di leggere il libro di Pasquale Guaglianone? … decisamente si! … perché è scritto bene, perché ha contenuti interessantissimi, perché parla della nostra storia, perché… siamo Calabresi ed Emigranti.
“Tante navi tante storie” è… tantissimo, anche uno spaccato, ben fotografato, della vita che si conduceva tra il 1900 ed il 1950 nelle nostre zone: in Calabria (nella Calabria Citeriore).
Non mi dilungherò oltre (in questo spazio non ho nessuna intenzione di scrivere un altro libro col titolo “Tante navi tante storie”). Chiudo il tutto così come il bravissimo Pasquale Guaglianone ha chiuso la sua opera: “Prima di morire, un giorno di tanti anni fa, una donna calabrese originaria della provincia di Vibo Valentia, chiese che su di sé, alla sua morte, venisse cosparsa un poco di terra della campagna, che qualcuno portò dal suo paese natio”.
Meditiamo, su questa chiusura, sulla fortuna che abbiamo, noi, oggi, che grazie anche e soprattutto alla gente che è emigrata… possiamo godere di quello che ci hanno lasciato in eredità… la loro… la nostra terra.
Con Pasquale Guaglianone resta, da parte mia e dell’Associazione culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili, l’impegno ad incontrarci di nuovo all’interno della sala convegni della Biblioteca comunale “Goffredo Iusi” del nostro amato/odiato paesino... di San Fili.

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… un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
… /pace.

lunedì 10 gennaio 2011

Marano Principato: restaurate le opere del pittore Raffaele Rinaldi di San Fili.

L'articolo che riporto di seguito (ripreso da un "pezzo" apparso sulla rivista “Parola di vita” – Settimanale di informazione dell’arcidiocesi, di Cosenza-Bisignano) si potrà leggere bollettino dell'Associazione culturale "Universitas Sancti Felicis" di San Fili (ovvero il nostro "Notiziario Sanfilese") del mese di Gennaio 2011... di prossima uscita.
Parla della San Fili che merita, parla della San Fili che ha saputo, nei secoli scorsi, ritagliarsi un proprio spazio nella storia che conta e conta positivamente. Parla del pittore Raffaele Rinaldi... da San Fili.
Parla di giovani (quali lo storico dell'arte dott. Roberto Iantorno) sanfilesi - parlano i giovani sanfilesi -che oggi, con sacrifici, riescono a ritagliarsi un proprio spazio vitale un una società che sembra fare acqua da tutte le parti.
Parla di un passato, sanfilese, certo e parla di un futuro, per San Fili e per i Sanfilesi, con qualche valido barlume di luce e di speranza... ci sono giovani su cui possiamo ancora contare, e questa è la cosa più importante.
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Il 18 novembre 2010, sono state restituite le opere afferenti al maggior corpus dell’artista Raffaele Rinaldi, nella chiesa dedicata alla SS. Annunziata, a Marano Principato, una vera e propria pinacoteca personale dell’artista sanfilese.
L’intervento iniziato il mese di aprile, è stato finanziato dalla Regione Calabria per il progetto “Restauro e valorizzazione del patrimonio storico artistico mobile”.
Il progetto di restauro e valorizzazione dei dipinti è stato realizzato con fondi europei erogati per i beni culturali e paesaggistici della Calabria e realizzato grazie alla collaborazione della Soprintendenza e della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Unical.
Da quest’ultima sono state realizzate le microanalisi sui pigmenti dei colori e analisi morfologiche per la caratterizzazione dei materiali costitutivi i dipinti.
Dalle parole dei relatori il quadro che ne esce è la ricchezza del patrimonio culturale calabro e di quanto sia importante custodire, curare e valorizzare tanta ricchezza.
Per meglio comprendere la bellezza e l’originalità delle opere del pittore calabrese, il Dott. Roberto Iantorno, spiega come il Rinaldi, eliminando il superfluo concentra la sua attenzione sul protagonista della scena rappresentata.
Il pittore, pur sempre attingendo dalle iconografie tradizionali, ripropone episodi della vita quotidiana dei santi, rappresentandoli in maniera unica ed essenziale.
Le figure, infatti, appaiono spoglie di particolari e di sontuosità, ma vengono comunque arricchite da essenziali attributi iconografici, così da permettere, a chi osserva, di comprendere subito a chi si riferisce l’opera.
Ne sono un esempio il giglio bianco, simbolo di purezza, riportato nell’Immacolata Concezione oppure gli attrezzi da falegname raffigurati nel Transito di San Giuseppe, o ancora la palma del martirio stretta nella mano di Santa Lucia.
Ha svolto ruolo di stazione appaltante la Direzione Regionale BBCC della Calabria e ruolo di controllo la Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Calabria, guidata dal Dott. Fabio De Chirico.
Direttore dei Lavori è stato il sig. Faustino Nigrelli.
I lavori di restauro sono stati effettuati dal restauratore cosentino Gianluca Nava. Per l’esecuzione delle indagini diagnostiche fisiche, hanno collaborato il sig. Attilio Onofrio e la Dott.ssa Valentina Cosco della Soprintendenza BSAE; le indagini diagnostiche chimiche sono state condotte dal Prof. Mauro La Russa dei laboratori di ricerca del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Unical e dirette dal Prof. Gino Crisci, Preside della Facoltà di SMFN dell’Ateneo calabrese.
Il lavoro effettuato secondo una sapiente miscela di tecniche tradizionali ed innovative, è stato preceduto, coadiuvato e seguito da alcune indagini diagnostiche ed ha permesso di ottenere delle informazioni molto utili per l’elaborazione di un database unico ed inedito sull’artista sanfilese.
La formula vincente collaudata per questo intervento, tra la Soprintendenza Bsae, l’Unical ed il restauratore cosentino, sarà racchiusa in una pubblicazione di prossima uscita nei primi mesi dell’anno 2011.
Successivamente alla ricollocazione dei dipinti nella chiesa, presso l’auditorium Baccelli, si è tenuto un dibattito dal titolo: “Raffaele Rinaldi da San Fili. Tracce per una rilettura del passato”.
Sono intervenuti il Sindaco di Marano Principato Tenuta, il Sac. Iaconetti, il sig. Nigrelli della Soprintendenza BSAE, il Preside della Facoltà di SMFN Crisci, il biografo di Raffaele Rinaldi dott. Roberto Iantorno ed il restauratore Gianluca Nava.
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Nella foto sopra da sinistra: G. Crisci (Preside della Facoltà di SMFN dell’Unical), A. Tenuta (sindaco di Marano Principato), G. Nava (restauratore), F. Nigrelli (funzionario della Soprintendenza BSAE) e R. Iantorno (storico dell’arte).
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace!

giovedì 6 gennaio 2011

"Tante navi tante storie"... Pasquale Guaglianone a San Fili (parte prima).

Pasquale Guaglianone.
Sono un discreto lettore, l’ammetto!, ovviamente considerato la media di lettura che ipotizzo in merito a San Fili e ai Sanfilesi.
Normalmente riesco a tracannare almeno uno o due libri al mese (intorno alle 150 - 200 pagine ciascuno) a cui vanno aggiunte le letture della rivista mensile Focus Storia e delle riviste trimestrali Focus Storia Wars, Focus Storia Collection, Focus Storia Biografie e la raccolta di saggi Hiram.
Normalmente (per non dire sempre), da quando ho lasciato la scuola (tanti e tantissimi anni fa), sono stato sempre io a decidere le mie letture... non attinenti a necessità di lavoro o ad incomprensibili libri di istruzioni per far funzionare i diabolici marchingegni che ci mettiamo sempre più deficentemente dentro casa.
Un privilegio questo raggiunto con tantissimi sacrifici (ore ed ore passate appunto sui libri al fine di crearmi una serie di anticorpi verso l’irrazionale mondo che attenta quotidianamente al mio “libero” spazio vitale) che mi ha reso immune  persino dall’assordante ripetitivo martellare della pubblicità.
Difficilmente compro un libro (bestseller?) che mi viene consigliato dalla TV o dai giornali.
Questo l’ho fatto solo due volte (almeno quelle che ricordo): quando ho comprato “L’Inferno -  profondo Sud” di Giorgio Bocca e quando ho comprato “Il simbolo perduto” di Dan Brown … soldi, come volevasi dimostrare, in entrambi i casi sprecati!
Strano ma vero, negli ultimi mesi del 2010 sono stato piacevolmente obbligato a leggere due libri che sicuramente non erano né nelle mie intenzioni di comprare né nelle mie intenzioni di leggere: la prima parte della negazione, quella relativa all’acquisto delle opere, si risolse facilmente con un… non considerato, ma decisamente apprezzato (la mia tirchieria è ormai proverbiale) omaggio. La seconda negazione venne abbattuta sia dalla soluzione della prima che dal fatto di un impegno morale che mi ero preso con gli autori (se non con gli amici degli autori) di tali opere.
Questi libri erano (… sono stati?) “La verità, vi prego, sulla danza” di Mary Garret (all’epoca Mariafrancesca Garritano, figlia della nostra indimenticabile compaesana Manola Calomeni) e “Tante navi  tante storie” di Pasquale Guaglianone.
Del libro “La verità, vi prego, sulla danza” ne ho abbondantemente parlato in precedenti post sempre su questo blog quindi eviterò di dilungarmi sullo stesso ma rimando ai miei precedenti scritti.
Quello su cui invece credo sia opportuno parlare in questa occasione, come preambolo, ed in qualche occasione futura, come cappello, trama e legittime considerazioni, è invece il libro dell’amico (mi arrogo il diritto di definirlo in quanto tra l’altro abbiamo ultimamente stretto questo stupendo rapporto anche sul social network Facebook) cetrarese Pasquale Guaglianone.
Mi fu chiesto di presentare il libro di Pasquale (libro di cui all’inizio ignoravo non solo il titolo ma anche e soprattutto il contenuto dello stesso) nel corso di qualche mia iniziativa culturale o di qualche iniziativa culturale che l’Associazione di cui sono presidente in carica (la “Universitas Sancti Felicis” di San Fili) aveva in programma per la fine di questo decisamente poco stupendo, per San Fili e per i Sanfilesi, 2010.
A darmi una mano su questo fronte ci pensò il nostro compaesano Giuseppe (Pino) Falbo che mi passò la sua copia, tra l’altro “dedicata”, dell’opera di Pasquale.
… il titolo? … l’ho detto! … il contenuto? … lo dirò! … ma in un prossimo post.
Dandogli una veloce sfogliata, anche per capire cosa mi aspettava da lì a qualche giorno (in quanto avevo già un libro segnato a metà sul comodino e non intendevo iniziare una nuova battaglia culturale senza aver concluso quella in corso… perché leggere un libro è comunque una battaglia culturale!), una cosa colpì immediatamente i miei occhi e quindi la mia percezione sensoriale: i disegni contenuti (quindi a corredo dell’opera) all’interno del libro.
… stupendi, anche e soprattutto perché erano firmati da un altro… Sanfilese per metà: il mio carissimo amico Pietro De Seta. Sanfilese per metà in quanto la madre di Pietro De Seta è originaria di San Fili, appartiene alla famiglia dei Marchesani.
Ecco, mi son detto, un buon motivo per presentare un libro a San Fili.
La data? … mercoledì 22 dicembre 2010.
Una data, quella di mercoledì 22 dicembre 2010, che resterà impressa, speriamo per sempre (perché il popolo che non dimentica evita di commettere gli stessi errori) nella storia della piccola libera Repubblica di San Fili… e purtroppo non per la presentazione del libro dell’amico Pasquale Guaglianone corredato dai disegni dell’amico Pietro De Seta.
Ma questo e tant’altro sarà argomento di un prossimo post.
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… un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
… /pace.