SAN FILI BY PIETRO PERRI BLOG: Vespe cinesi e vespe italiane: le seconde a San Fili le amavamo già. (4)

A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

Eventuali commenti a post di questo blog non verranno pubblicati sia se offensivi per l'opinione pubblica e sia se non sottoscritti dai relativi autori. Se non avete il coraggio di firmarvi e quindi di rendervi civilmente rintracciabili... siete pregati di tesorizzare il vostro prezioso tempo in modo più intelligente (se vi sforzate un pochino magari per sbaglio ci riuscirete pure).
* * *
Ricordo ad ogni buon file l'indirizzo di posta elettronica legata a questo sito/blog: pietroperri@sanfili.net

sabato 19 luglio 2014

Vespe cinesi e vespe italiane: le seconde a San Fili le amavamo già. (4)

Un’immagine proiettata su un pezzo di muro alle spalle (non ricordo più se alla sinistra) della dottoressa Vincenzina Scalzo nel corso di quel convegno e nel corso del suo stupendo intervento, dicevo, mi riportò magicamente alla mia infanzia ed ad un altrettanto stupendo “dejà vu”: quella pallina l’ho già vista... e forse ne conosco anche il sapore. Quello che non sapevo è che tale pallina fosse un simbolo di nuova (non so quanto disastrosa) vita e di tant’altro.
*     *     *
Siamo agli inizi degli anni Settanta del XX secolo... e, almeno nei miei scritti e tra i miei ricordi, Dio volendo ci resteremo ancora tantissimo. Siamo sicuramente nel mese di ottobre o al massimo di novembre: la raccolta delle castagne nei dintorni del nostro amato/odiato paesino era al suo culmine.
Da “u chijan’e Miliddru” era facile raggiungere l’agognata meta: facile ed accattivante per la galoppante, non sempre salubre, fantasia d’un fanciullo della mia età. Nel mio mondo, all’epoca, c’era un po’ di tutto... sui Cozzi: streghe, serpenti enormi (... u tiliu?), lupi mannari, vampiri e chi più ne ha più ne metta.
Potevano sbucarti intorno dappertutto ed in qualsiasi momento.
Potevano ucciderti o semplicemente rapirti senza fartene neanche accorgere.
Raggiungevo “‘e castagne de ‘Ntonett’e Castellanu”, ovviamente da “u chijan’e Miliddru” seguendo uno stretto sentiero al limitare inferiore dello stesso... in un quasi spettrale gioco di luci ed ombre prodotto dall’entrare e dall’uscire quasi repentino d’alcuni gruppi di “cippate di castagno da taglio”.
Era quella la “partita” del prezioso frutto che i miei genitori stavano già raccogliendo fin dalle prime ore di quella mattina.
Inutile dire che raccolto il mio bel panaro (N.d’a.: a proposito, sapete che in italiano non esiste questo termine? ... che sacrilegio!) di castagne, scelta una per una, svuotavo lo stesso dentro un sacco di juta e, col panaro vuoto, chiesta ed ottenuta l’autorizzazione di mia madre, mi recavo in una zona sovrastante la partita di castagne che stavano raccogliendo... in cerca di funghi: gaddrinazzi, siddri e lattarachi.
Quella zona di queste squisitezze ne era particolarmente prodiga. Non chiedetemi se lo sia tutt’ora o, cosa ancor più scioccante, se esista tutt’ora… quella zona.
Cadde quasi certamente in uno di quei fantastici giorni... il giorno in cui m’imbattei in quelle che ho definito, nel titolo di quest’articolo ed anche nel motivo (tema portante) per cui l’ho scritto, nelle vespe italiani ovvero nella preesistente riposta italiana alle cosiddette vespe cinesi (alias “cinipide galligeno del castagno”), ovvero a quei dannosi insetti maldestramente importati dai classici speculatori da quattro soldi che abbiamo nel nostro Bel Paese e che tanto danno hanno sempre cagionato e continuano imperterriti a cagionare ai nostri bei castagneti.
E la vespa italiana alternativa alla vespa cinese? ... sottolineiamo che si tratta non dell’insetto che comunemente chiamiamo “vespa” in questo caso ma... del “cinipide galligeno della quercia”.
Quest’ultimo, gridiamolo ai quattro venti, chi tra di noi ha vissuto e sempre più raramente la “stupenda natura del nostro altrettanto stupendo policromatico - stagione permettendo - territorio comunale” pur non sapendolo... lo amava già.
In poche parole l’insetto “indigeno” (il succitato “cinipide galligeno della quercia”) delle nostre zone pur essendo similare per la tecnica all’insetto cinese il proprio attacco alle gemme degli alberi non lo fa alle piante del castagno ma alle piante della quercia. Il tutto, però, in modo non dannoso - quasi non invasivo - in quanto, col passare dei secoli, di fatti ha trovato un suo giusto equilibrio con l’ambiente circostante.
Feci conoscenza del “cinipide galligeno della quercia” in una di quelle lontane giornate autunnali d’inizio anni Settanta... ma l’avrei saputo circa una quarantina d’anni dopo d’aver fatto quella straordinaria conoscenza.
Quel giorno guardando ad un ramo di una quercia relativamente giovane (dopotutto la manica di un decenne qual io ero riusciva benissimo a toccarlo) notai, attaccata in un punto dello stesso, una strana pallina di legno. Un qualcosa tra l’altro che ero sicuro di non aver mai visto prima.
Poco più in la, sempre sullo stesso alberello, un altro ramo con un’altra pallina simile alla prima e via dicendo. Nel men che non si dica in una tasca dei miei pantaloni si ritrovarono non meno si cinque o sei di quelle strane palline.
Inutile dire che una delle stesse, ancor prima di far vedere il mio nuovo tesoro ai miei genitori, era già finita sotto i miei denti: poteva anche essere un ottimo frutto e nel dubbio... meglio assaggiare.
Non era un frutto... era solo legno: uno stupendo scherzo della natura ma solo e semplice legno.
Quelle palline, che ci crediate o no, erano uno dei frutti (... cancri delle gemme?) nati e sviluppatisi grazie all’intervento parassitario del “cinipide galligeno della quercia”.
Le vespe italiane, non quelle cinesi, noi a San Fili... le amavamo già!
(continua).
*     *     *
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace!

Nessun commento: