Chiesa Madre di San Fili 19 aprile 2020. Il sacerdote don Franco Perrone celebra la Santa Messa in diretta streaming. |
Il Blog di Pietro Perri dedicato a San Fili (uno dei più bei paesi della provincia di Cosenza) e ai Sanfilesi nel Mondo.
A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.
domenica 24 maggio 2020
San Fili ai tempi del covid-19. (3)
venerdì 1 maggio 2020
Dalla spagnola al coronavirus * ovvero * San Fili ai tempi del covid-19. (2)
mercoledì 22 aprile 2020
San Fili ai tempi del COVID-19. (1)
martedì 3 marzo 2020
C’erano una volta i trappiti a San Fili.
Foto
by Pietro Perri.
* * *
C’erano una volta i trappiti a San Fili,
Breve nota di Pietro Perri
Tra
le tante attività che venivano svolte, ovviamente con una certa rilevanza, in
agricoltura, nell’industriosa San Fili, almeno fino alla fine degli anni
Sessanta del secolo scorso vi era anche la raccolta e la lavorazione delle
olive. Una lavorazione che prevedeva sia la conservazione ad uso alimentare
delle stesse (alive ammaccate e via dicendo) che quella della produzione
dell’olio.
Per
quanto riguarda la lavorazione delle olive al fine della produzione dell’olio a
San Fili c’erano, parlo ovviamente di ricordi che vanno via via offuscandosi
nella mia sempre più vecchia e stanca memoria, diversi trappiti (frantoi).
Si
parla, infatti, di almeno tre frantoi presenti all’interno del centro storico
di San Fili: uno appartenente alla famiglia dei baroni Miceli (nella parte
inferiore del palazzo di donna Vienna Gentile), uno appartenente alla famiglia
dell’indimenticabile don Cesare Gentile (sempre mmienz’u puontu sotto la
casa della famiglia Assise, all’inizio della scalinata che da piazza ex
municipio conduce dritta dritta davanti all’edificio delle scuole materne del
paese) ed uno (alquanto recente ma già posto fuori attività agli inizi degli
anni Settanta del secolo scorso) si trovava nella parte inferiore (adiacente
alla cosiddetta “strata nova”) del palazzo di donna Giuliana Gentili. E
sembra che donn’Oscaru Gentili gestisse anche un altro frantoio nei
pressi della chiesa di sant’Antonio abate.
Un
altro frantoio si trovava sui Cozzi in un’ala laterale del palazzo di don
Peppino Blasi.
Tale
frantoio, se non erro, era gestito da don Gaetano Blasi.
L’ultimo
frantoio in ordine di apparizione nel centro urbano di San Fili sembra sia
stato quello di Emilio Noto. Tale frantoio, situato nella zona denominata Piano
Ghiande (poco più avanti del bivio per la frazione Bucita, ovviamente
proseguendo in direzione Paola).
Credo
sia giusto sottolineare che i più antichi trappiti di San Fili, parliamo
a memoria d’uomo, sono i succitati appartenuti alle famiglie Gentile e Miceli,
ovvero quelli situati nelle adiacenze della zona denominata mmienz’u puontu.
Mentre i più recenti sono quelli gestiti da donn’Oscaru Gentili ed
Emilio Noto.
Considerato
il limitato, per estensione, territorio di San Fili la presenza di tali e tanti
frantoi all’interno del nostro Comune è giustificata da un uso quasi a livello
familiare.
Nulla
toglie comunque che parte delle olive da cui si estraeva l’olio nei frantoi di
San Fili venissero portate nel paese, sfruttando la forza motrice di somari e
muli, dalle vicine contrade quale Cucchiano, le Volette e la Profico o zone
ricadenti nel territorio della confinante cittadina di San Vincenzo la Costa.
Comunque
non sarebbe sbagliato, in un prossimo futuro, ritornare a parlare, magari in
modo più dettagliato e con qualche foto scattata nei locali in cui erano
ubicati, dei trappiti di San Fili.
Ringrazio
comunque l’Anonimo Sanfilese che mi ha mandato lo scritto che riporto di
seguito per aver aperto questa stupenda pagina di... ricordi sanfilesi.
Nella foto a
sinistra: Il
pianerottolo (abbaddraturu?) sotto il portico della casa della famiglia
Assisa. A sinistra di questa seconda foto il portone cui si accedeva al
frantoio della famiglia Gentile.
Foto by Pietro Perri.
* * *
Uccidere
il maiale, fare il vino e fare l’olio erano i sacri riti familiari, ora i primi
due stanno entrando nell’oblio, mentre per il terzo vige ancora la sacralità
della raccolta delle ulive in proprio o facendo a metà con chi le raccoglie.
Il
lavoro però non finisce all’imbrunire delle giornate autunnali e invernali, vi
è poi la sosta al frantoio o meglio detto trappito, forse perché i cunei
delle presse meccaniche che comprimevano i fiscoli, ad ogni aumento di
pressione con la loro caduta emettevano un suono simile ad un trap-trap.
Nel
trappito arrivavano i sacchi neri ed untuosi, ora in parte sostituiti
dalle cassette di plastica multicolore, ed il rappresentante di ogni partita
rimane a vigilare sulle drupe e sui recipienti destinati al trasporto
dell’olio.
In
un angolo del trappito vi è sempre un caminetto, spesso alimentato con
la stessa sansa delle ulive, con l’immancabile recipiente dell’acqua calda
coadiuvante alla pulizia delle mani o dei recipienti.
Non
mancano le borse con le arance, il mezzo fiasco di vino, del pane e del
companatico per lenire i morsi della fame che a fine giornata si fanno sentire,
portati dai vari clienti all’atto dell’ingresso e poi lasciati nella
disponibilità di tutti.
Il
fuoco del caminetto ristora i presenti e nel contempo asciuga la parte bassa
dei pantaloni dei raccoglitori.
Il
pavimento è reso viscido dall’olio che per forza di cose scola dai fiscoli nel
riempirli, dalle presse, dalla macina o dai soffioni violenti che
talvolta fuoriescono dalla pila di dischi e fiscoli sotto pressione.
Tutto
questo avviene in un ambiente pregno di un odore pungente di olio fresco che
sgorga dalla macchina separatrice dell’olio dall’acqua di vegetazione come da
una fontanella di acqua di montagna. Forse il piacere che si avverte vedendo
sgorgare l’olio in inverno è simile a quello della vista di un getto di acqua
fresca, fra ombrosità e muschi, in una tarda mattina della calda estate.
L’attesa
è lunga, ma si è sempre in compagnia di persone da sempre conosciute, per cui
gli argomenti di conversazione non mancano, ma di tanto in tanto lo sguardo
vola ai propri sacchi ed al controllo visivo degli stessi. La buccia di
un’arancia buttata fra i carboni accesi per qualche minuto profuma l’aria in
modo diverso, mentre procura soddisfazione una nuova caduta di olive nella
vasca della macina, indice che il tempo di attesa si accorcia.
In
un angolo vi è un vecchio tavolino simile a quelli usati in cantina sul quale
vi è un blocco di carta bianca riciclata, una penna legata con filo, e messo in
verticale, un fil di ferro appuntito sul quale il frantoiano annota la partita,
le quantità molite, la resa in olio e il pagamento se in natura o in contanti.
La
lampadina, ad inizio stagione trasparente e pulita, è ora opaca e anch’essa
untuosa, mentre tutti i clienti odiano quello scaldino elettrico con la sua
sfacciata spia rossa, posto in alto ed in angolo, che fornisce l’acqua per
pulire esternamente le presse, a spremitura avvenuta, perché convinti che anche
quella poca acqua calda possa nuocere al nascente olio. Allo stesso modo tutti,
in solitario, cercano di scoprire, in quel dedalo di tubazioni, quella
destinata a fare la cresta sul loro olio direttamente in fase di produzione, a
monte del separatore; da sempre il frantoiano, nella convinzione generale, è
persona che lucra sull’olio che produce, in aggiunta al corrispettivo per il
suo servizio.
Il
frantoiano si avvicina ai sacchi della nuova partita: il cliente interessato
salta in piedi lasciando il fuoco, le discussioni ed anche il bicchiere di vino
a metà, per accertarsi che tutti i suoi sacchi vengano lavorati e lieto perché
fra poco vedrà concretizzarsi il risultato del suo lavoro. Ora è più tranquillo,
finisce il suo bicchiere di vino, parla più disteso con gli amici, offre un
eventuale suo aiuto al frantoiano, ma prepara con cura delle fette di pane da
leggermente arrostire al fuoco per poi innaffiarle dell’olio che per primo
uscirà dal separatore. Quando ciò avverrà il frantoiano metterà il suo dito
sotto il rivolo, quindi lo metterà in bocca oleandola tutta, quindi aspirerà
con forza dell’aria e a quel punto, con un buon grado di approssimazione,
stabilirà, dall’alto della sua esperienza, il grado di acidità.
Il
cliente in quel momento è soddisfatto, raccoglie i suoi recipienti, ora pieni
fino all’orlo, ed una volta a casa pensa che anche se nei giorni seguenti
pioverà lui ormai le ulive le ha raccolte e l’olio per quest’anno è nella
giara.
* * *
Un
caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
...
/pace ma... “si vis pacem para bellum”!
sabato 29 febbraio 2020
Questa volta è andata bene, ma sarà sempre così? (Di Francesco Commis).
mercoledì 29 gennaio 2020
San Fili: si abbassa un’altra saracinesca, l’ennesima, chiudendo un’epoca.
Articolo pubblicato sul
Notiziario Sanfilese del mese di gennaio2020... by Pietro Perri.
* *
*
Nel mese di dicembre 2019, al pari di una brutta storia tristemente
annunciata, si abbassa un’altra saracinesca di un altro storico, e sicuramente
insostituibile, esercizio commerciale del paese: l’arciconosciuta gelateria
artigianale del mitico Cenzino Passarelli.
Una gelateria conosciutissima a dir poco a livello internazionale. Sono in
tanti, infatti, che, da non sanfilesi, nel momento in cui fai presente che sei
di San Fili la prima domanda che ti fanno è se c’è ancora la Gelateria
Passarelli, quella vicino al semaforo poco distante della piazza col monumento,
quella che fa quegli stupendi gelati artigianali dagli strani e stupendi gusti,
quella...
Era bello rispondere a tali persone; “Si, c’è ancora. E i gelati che fa
sono sempre unici sia come gusti che come qualità!”
Dal dicembre 2019 purtroppo non sarà più possibile dare questa orgogliosa
(perché la Gelateria Passarelli era motivo di orgoglio per noi Sanfilesi)
risposta.
Purtroppo Cenzino Passarelli, al pari di una brutta storia tristemente
annunciata, verso la fine del mese scorso ha abbassato per l’ultima volta la
saracinesca della sua storica (credo ultracinquantennale) gelateria
artigianale.
Dico “al pari di una brutta storia tristemente annunciata” in quanto nel
mese di settembre dello scorso anno è venuta a mancare prematuramente (aveva
appena 70 anni) nella nostra comunità, tra i tanti ed a pochissimi giorni da
mia madre (a cui presto dedicherò una giusta pagina del nostro bollettino
mensile), anche Maria Colombo ovvero la moglie del caro Cenzino Passarelli.
Maria Colombo era uno dei pilastri della Gelateria Passarelli di San Fili:
sia per l’aiuto materiale che per il supporto morale che assicurava al marito
nella gelateria di famiglia.
Quando appresi del decesso della cara Maria non potei non guardare, in un
prossimo futuro, la saracinesca di quella storica gelateria artigianale
bassarsi per sempre... e così fu.
Per quelli - ovviamente sanfilesi - della mia età (non mi vergogno di dire
che sono del 1961 e che è da un bel po’ di tempo ormai che ho oltrepassato la
soglia del mezzo secolo di vita) il “bar gelateria” di Cenzino Passarelli ha
rappresentato tantissimo ed in parte siamo anche cresciuti con tale esercizio
commerciale.
Nella foto a sinistra: Il
bar gelateria Passarelli... oggi.
Nel bar di Cenzino
Passarelli, infatti, non si giocava a carte, non si fumava, c’erano degli
ottimi gelati e c’erano anche uno o due flipper ed un paio di bigliardini
(calciobalilla).
Per quanto riguarda
l’alternativa, l’unica, allo spazio “sala giochi” riservata a noi fanciulli a
San Fili, che si trovava nel bar Passarelli, almeno fino alla fine degli anni
Settanta era la sala giochi dei fratelli Franco e Romano Zuccarelli.
Il bar di Cenzino
Passarelli e la sala giochi dei fratelli Zuccarelli, un vero e proprio covo di
convinti tifosi juventini, si trovavano a poca distanza l’una dall’altra.
Successivamente qualche
bigliardino (calcio-balilla) lo troveremo anche nel bar della famiglia Gioffré
che aveva acquistato, nel frattempo e verso la fine degli anni Settanta, la
“licenza” da Salvatore “Tuture” Blasi.
Dispiace tantissimo che
anche questa ricchezza tutta sanfilese abbia cessato di esistere e che resterà
per sempre come piacevole ricordo in quanti hanno potuto gustare in quei
limitati metri quadri l’ottimo gelato artigianale di Cenzino Passarelli.
Dispiace che il caro
Cenzino, per sua volontà o per incapacità d’altri, non abbia passato ad altri
in eredità quel suo bagaglio d’esperienza di maestro gelataio che in tanti gli
abbiamo invidiato.
A me personalmente
resterà in bocca per sempre il piacere inconfondibile del suo gelato al limone
ed all’amarena con dentro i noccioli dei relativi frutti a dimostrazione della
naturalezza degli ingredienti base utilizzati. Gelati sempre accompagnati dall’invito
a stare attento, proprio per la presenza dei noccioli, a quando addentavo il
magico fresco intruglio.
Ed anche il consiglio
che davo ad alcuni amici e/o colleghi di Cosenza quando mi dicevano che vi
avrebbero fatto quanto prima un salto: “Quando vi trovate a quattrocchi col
caro cugino (era così che ci chiamavamo tra noi a causa di una lontana
parentela)”, dicevo loro, “chiedetegli di farvi assaggiare, se ne ha ancora un
pochino da qualche parte, il gelato alle “jujume” (giuggiole) e poi...
si che mi direte di aver toccato il paradiso del gelato artigianale.”
E loro di rimando: “Ma a
noi ci hanno consigliato di assaggiare anche il gelato alle patate della Sila o
ai cetrioli.”
Che dire, effettivamente
in quel laboratorio ce n’era per tutti i gusti.
San Fili, la San Fili
che fa notizia positiva, ha perso un altro dei suoi inestimabili tesori. Un
vero e proprio ambasciatore nel mondo di ciò che significava il nostro essere
Comunità.
* * *
Un caro abbraccio a
tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
martedì 17 dicembre 2019
La Cina è vi-Cina... molto più di quello che possiamo immaginare. (4)
Pechino
30 agosto 2019 - visita alla Città Proibita.Nella foto le guide Aurora (a sinistra) e Sole (a destra). |
giovedì 5 dicembre 2019
La Cina è vi-Cina... molto più di quello che possiamo immaginare. (3)
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Lintong (Cina). Orietta e Pietro in visita al Museo dell'Esercito di Terracotta. |