Nella foto a sinistra (foto by Pietro Perri)… l’imbocco della “scisa du canalicchiu”
da piazza Adolfo Mauro (storica ex piazza Rinacchio). Ai piedi della “scisa
du canalicchiu”, ovviamente a San Fili, si trovano sepolti, secondo la
tradizione (leggenda)locale, ben due tesori. Il più famoso dei due è una “quadara
chjina d’oru” (un pentolone pieno d’oro). Di questo irraggiungibile tesoro
se ne può vedere il fondo guardando all’interno di un foro in un muro
realizzato a secco in pietra di fiume.
* * *
Per chi avesse perso le prime 6 (o qualcuna delle prime sei) puntate di
questo racconto… ricordo che siamo in un sabato degli inizi di Marzo 2013, che
da poco si sono registrate due frane sul lato coste del nostro paesino (il lato
che si affaccia sul torrente Emoli) ed io sto facendo una bella passeggiata
lungo… u jum’e Santu Fili… nel tratto compreso tra la sorgente di Palazia e il
ponte Crispini.
*
* *
Ho sempre creduto che se San Fili ed i Sanfilesi non sono discendenti dei
colonizzatori partiti dalle sponde dell’antica Grecia per portare la loro
cultura e quindi la civiltà ai popoli di ciò che sarà la penisola italiana…
sicuramente lo sono dei loro figli o dei loro nipoti.
Sono troppe, infatti, le cose quotidiane (reminiscenze del passato?), che
riportano il nostro pensiero e quindi la nostra elementare immaginazione a ciò
che di loro abbiamo studiato e continuiamo a studiare sui libri di storia… a
partire dalle scuole elementari.
Ovviamente, per tale ultimo periodo, mi riferisco a quanti come me sono
nati e felicemente vissuti anche - non solo - nell’era ante Facebook, Twitter e
diavolerie web simili ma anche nei decenni precedenti a diavolerie simili.
Dopotutto io ho lasciato, da discente, le scuole quando ancora in
circolazione non esistevano personal computer in casa né tantomeno misteriosi
ordigni quali tablet, smartphone e via dicendo. Era quello l’anno dei mitici
mondiali di calcio che ci vide vincitori, a noi italiani, in quel torneo che
ancora in molti definiscono il più bello di tutti i tempi. Era il 1982.
Diavolerie (Facebook, Twitter ecc.) che, è vero, ci mettono in collegamento
con il resto del mondo ma che ci estirpano in modo falsamente non violento
dalla nostra realtà materiale: corso XX Settembre (per quanto riguarda San
Fili) con tutto ciò che scorre in su ed in giù… di buono e di male nello
stesso.
Se guardiamo ad esempio tantissimi termini appartenenti al dialetto dei
nostri padri (oggi, credetemi, neanche l’abbiamo un dialetto… solo gli stupidi
si illudono del contrario. Il dialetto infatti è una lingua viva e non una
macedonia di ricordi di cui ormai nessuno, o quasi, ricorda più il sapore)
troviamo non solo termini che risalgono alle dominazioni arabe, romane,
spagnole e francesi ma anche e soprattutto… greche. Non solo: sempre
rifacendoci a ciò che resta della memoria storico-popolare dei nostri padri e
dei nostri nonni… sono tantissimi i modi di fare (specie in campo religioso o
pseudo religioso), le credenze (favole e similari) e la toponomastica che ci
riportano dritti dritti a respirare la nostra stupenda - mai dimenticata del
tutto - aria ellenica.
Un esempio è proprio (ripeto: secondo la mia proverbiale ignoranza in
materia) ciò in cui ci imbattiamo nella parte inferiore de “a scisa du canalicchiu”.
Da non credere, in tale zona ci imbattiamo non solo in ben due bivi (punto
d’incontro di tre vie con almeno due, se non tre, opportunità di scelta
proposte al viandante) ma anche e soprattutto a due tesori - purtroppo solo
“fantastici”… credo - maledetti (?) e ad una nicchia in cui almeno fino alla fine
degli anni sessanta era riposta una statuetta ricordante la Madonna.
La Madonna o… la dea - greca e cara ai bivi - Ecate?
Personalmente propendo più per la seconda ipotesi (la dea Ecate cui gli
incroci ed in particolare i bivi o trivi tanto cari alla stessa) che non alla
prima ipotesi (alla Madonna). Ma se così fosse ormai, alla fine degli anni
sessanta, nessuno dei nostri anziani avrebbe messo in dubbio che quella non
fosse la Madonna bensì fosse la ormai dimenticata dea Ecate.
Ma ritorniamo alla mia passeggiata partita dalla scalinata che da piazza
san Giovanni, alle spalle del calvario, mi porta alla fontana di Palazia e da
lì, costeggiando il greto del torrente Emoli, più a valle al ponte di Crispino
ed ai resti del mulino ad acqua che ebbe come proprietario anche il cugino di
mio padre Ottorino Perri.
Un punto, questo, che comunque mi ero lasciato alle spalle da una
quindicina di minuti a quella parte.
Il primo bivio in cui m’imbatto - risalendo la scalinata ed il viottolo che
ho inforcato nella piccola valletta dove c’è il ponte di Crispini (o crispino)
a collegare le due sponde del torrente Emoli... u jum’e Santu Fili -
è quello che mi dà come scelta il proseguire verso il centro abitato del paese
o dirigermi verso contrada Profico: la prima scelta alla mia sinistra e la seconda
scelta alla mia destra.
Sono ormai giunto alla parte inferiore della “scisa du canalicchiu”…
qualche metro prima… tra la casa degli Arturi (u papararu) e l’uscita
della galleria delle Ferrovie dello Stato lato Cosenza. Quella galleria che
collega il piazzale della stazione ferroviaria di San Fili con contrada Volette,
sempre in territorio di San Fili.
Difronte a me vedo il buco con il famoso “maledetto?” tesoro “ara
scisa du canalicchiu”… quello della “quadara chjina d’oru”. Gli do’
una breve occhiata e proseguo subito con la mia scelta di strada. E tra
dirigermi verso il centro abitato di San Fili o dirigermi verso contrada
Profico… scelgo la prima ipotesi.
Ad ogni bivio in cui c’imbattiamo nella vita - lo sapevano bene i
pitagorici e non solo loro – e quindi ad ogni bivio è obbligatorio comunque fare
una scelta, giusta o sbagliata che la stessa sia tale scelta.
Bloccarci (ma anche tornare indietro), ad un bivio, equivale comunque a
morire.
Scelgo, dicevo, la prima possibilità, la prima opzione. La stanchezza
inizia a sentirsi… e con essa anche un certo languorino allo stomaco. Dopotutto
si sono fatte anche le ore 13 (ovvero, per gli americani, l’ora una p.m.)
abbondanti.
Quindici metri più avanti, ovvero all’effettiva part inferiore della “scisa
du canalicchiju”, m’imbatto in un altro bivio ed in un altro “maledetto?”
tesoro.
Di questo secondo tesoro (in cui ci imbattiamo a tre o quattro metri,
risalendo “u canalicchiu” per ritrovarci in piazza Rinacchio, in un
foro che prende forma su un antico muro in pietra… alla nostra destra) so ben
poco e spesso dubito anche che lo stesso esista o sia mai esistito anche solo
nella deviata fantasia di qualche mio caro compaesano. A differenza del primo,
di cui ne sono più che certo… visto il numero di testimoni in cui mi sono
imbattuto.
Anche questo bivio mi obbliga ad una scelta: salire verso piazza Rinacchio
e poi proseguire, lungo corso XX Settembre, fino a piazza san Giovanni dove ho
lasciato la macchina o… imboccare la viuzza, alla mia sinistra anche questa,
che costeggiando il paese mi farà miracolosamente ritrovare all’imbocco di via
Emoli e da qui direttamente… mmiuenzu u puontu?
Scelgo questa seconda ipotesi.
Ed eccomi, nello spazio di pochi minuti, ritrovarmi mmienzu u
puontu e da qui nel bel men che non si dica in piazza san Giovanni.
Termina così questa mia stupenda passeggiata durata qualche ora di un
sabato mattina del mese di marzo 2013 e finita nello stesso punto in cui
l’avevo iniziata.
Spero di non avervi scocciato troppo con questo racconto e spero che a
qualcuno possa servire di sprone ad intraprendere questo mio stesso percorso.
Abbiamo un territorio stupendo intorno al nostro centro abitato… sarebbe
bello riappropriarcene e ritornando ad amarlo e quindi a viverlo… con tutte le
sue profumate e variopinte realtà ma soprattutto con tutte le mie… stravaganti
fantasie.
(continua).
*
* *
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
… /pace!
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