Stupendo articolo
(con poesia annessa) pubblicato sul Notiziario Sanfilese (ovvero il bollettino
dell’Associazione culturale Universitas Sancti Felicis” di San Fili) del mese
di aprile 2019... a firma del nostro compaesano (Sanfilese DOC) Caio Amnio
Ostico (ovviamente si tratta di uno pseudonimo ma... io so benissimo chi è).
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U giardinu aru Muragliune (Santu Fili ‘e
na vota) / Don Luigi Magnelli.
Di Caio Amnio Ostico.
In un periodo di ricordo personale (n.d.r.: negli anni Sessanta), a San
Fili, c'era "u giardinu" dell'Azione Cattolica "aru
muragliune".
Com’è noto, almeno ai Sanfilesi, il muraglione (grande muro) era una
pregevole opera borbonica, purtroppo, ridimensionata seppur solo nella sua
sezione superiore, però, la più visibile e rappresentativa.
E l'Azione Cattolica aveva sede in un palazzo, credo, a quell'epoca, di
proprietà della Curia ubicato di fronte e, pressappoco, a metà della lunghezza
del muraglione.
Il "responsabile" delle mura e delle anime, era un parroco dalla
faccia buona e dalle scarpe rotte, un po’ distratto (un classico, ad esempio,
era la dimenticanza della sua malconcia 600, poi una 126) ma di grande,
talvolta incompresa, cultura (basti citare il suo libro di altissima filosofia
"Filosofia come Speranza" del 1987): DON LUIGI MAGNELLI.
Era, dunque, al campetto (detto "u giardinu") dell'AC (Azione
Cattolica), che si radunavano quasi tutti i ragazzini dell'epoca appassionati
del gioco del pallone.
Quello era, infatti e benché angusto, uno dei rari spazi "idonei"
in paese. Un altro era "ara piccola" della stazione ferroviaria; più
grande ma meno disponibile.
Il campetto della Madonnina era, praticamente, occupato tutto l'anno ma,
naturalmente e soprattutto, da quando iniziavano le lunghe e profumate giornate
di primavera sino a quando terminavano quelle più corte ma altrettanto
profumate (di fichi e castagne) d'ottobre.
La statuetta della Madonnina era posizionata sull'angolo esterno-nord della
recinzione del campetto e guardava verso il muraglione. Oggi, quella stessa
statuetta, è saldata su una stele di cemento e guarda la piazzetta ricavata
proprio là dove c'era il campetto.
Le grida, le parolacce e, pure, qualche bestemmia davano giustamente, fastidio
a tutti i vicini ma principalmente al cav. De Lorenzo il quale, proprio sul
campetto, aveva un'affacciata della sua abitazione ed inoltre deteneva una
chiave della porta d'ingresso esterna della recinzione che raramente, e
nonostante tante "preghiere", concedeva per poter accedere al
campetto stesso.
L'ingresso avveniva generalmente dalle porte dell'AC (grazie a Don Luigi
e/o sua sorella). Il frastuono che si levava era uno dei motivi che limitava
(ma non sempre) le ore di gioco che, spesso, si protraevano anche ed oltre
l'oscurità.
Si sfruttava la luce fioca di due lampioni comunali e non era raro che
qualche genitore andasse a "ricogliere" il figlio incurante
dell'inoltrato orario di rientro a casa.
I pretendenti al gioco erano tanti per cui si dovevano formare, ogni
qualvolta fra discussioni e liti, più squadre (generalmente di 4/5 elementi
l'una) che, a turno, si sfidavano in partite ognuna delle quali non finiva con
meno di 20/30 reti da marcare nelle porte delimitate da 4 pietre e, talvolta,
anche da qualche indumento o cartella scolastica di qualcuno più generoso dei
giocatori.
Questo avveniva quando le pietre, che appunto dovevano fungere da pali,
venivano rimosse e nascoste da mani più o meno anonime.
Un altro motivo per cui, alcuni giorni, si giocava di meno (o addirittura
non si giocava) era dato dalla limitatezza, o mancanza, del numero dei palloni,
generalmente di plastica visto che era rarissimo di cuoio.
Non tutti ne possedevano uno e, spesso, chi lo metteva a disposizione,
pretendeva di giocare in continuazione, magari cambiando squadra... ma mai in
porta (poiché quasi tutti non volevano giocare in porta, i portieri si
stabilivano "a rota").
Molte volte, pur di giocare, si usavano palloni
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U paddrune ara Madonneddra.
Di Caio Amnio Ostico.
Nun vidianu l'ura e jì aru muragliune
ppè potì iocà aru paddrune.
(I burbuni avianu fattu u muragliune
e, mò, puru iddru nun c'eni cchiuni).
Ara Madonneddra cc'era u giardinu
ricintatu, strittu e pocu longarinu.
Senza chiante, senza l'adduru d'i iuri
ma ccù l'aria 'mpregnata de suduri.
Nu ricuordu cumu fuossi ieri,
de amicizia e du iuocu d'i piedi.
Addrà, jianu giuvanieddri e quatrarieddri
a sall'ordà piedi, cu-uddru e capiddri.
De purvera o de zanga, sinne futtianu
'bbasta ca appriessu a paddra fuìanu.
Scarpe nove, vecchie o rutte,
ppè iocà eranu bone tutte.
Quattru petre ppè fà e porte
e chine sa sentia minava cchiù forte.
Quannu a paddra era bucata
ogni cavuce na sc-cuppettata.
Iocavanu ccuru sule o aru scuru
e valìa puru u vattimuru.
Cc'era chine daveru sapìa jiocà
e a paddra cumu u strummulu facia girà.
Sempre na lieticata e na zimpunia
ma, a cuntentizza 'ndè facce si lejia.
'Ncuna vota nu pede o nu vrazzu ruttu
ma mancu chiru era u cchiù bruttu.
U veru sciuoddru era ca ppè iuorni
u paddrune rimania sulu 'ndi suonni.
Gridate, maleparole e 'ncunu ca iestimava
puru ca a Madonneddra sentia e guardava.
E, forse, u Patreternu nemmenu si 'ncazzava
ca, pue, Don Luigi u cumpessava.
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P.S.: in occasione della Santa Pasqua, ricordo, che mio nonno mi declamava
questa breve ed antica filastrocca:
Sabatu Santu vieni curriennu
ca li figlioli stannu cianciennu
stannu vattiennu a capu aru muru
ca vuonnu fattu lu Santu cuddruru.
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... un caro
abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
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