Nella foto a
sinistra (ripresa dal web): Patate 'mpacchiuse... ara santufilise. ‘E patate ‘mpacchiuse
(piatto povero ma decisamente gustoso) sono uno dei piatti tipici santufilisi
assieme a pochissime altre pietanze o dolci quali ‘a ‘mpigliolata
oggetto di quest’articolo. Foto dal web.
Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese febbraio del 2018... by Pietro Perri.
Non
raramente sento chiedermi da gente non sanfilese quali siano i piatti tipici
della cucina del nostro stupendo... amato/odiato borgo.
Credetemi,
non è facile dare una risposta a tale domanda. O almeno non lo è per lo
scrivente (non ho mai messo in dubbio, infatti, né ho intenzione di farlo d’ora
in poi, la cultura a dir poco superiore - confrontata alla mia - di tanti miei
compaesani).
Certo
se dovessi riferirmi ad un dolce tipico non potrei fare a meno di nominare la
nostra stupenda chjina (tipico dolce sanfilese del periodo di
carnevale, per chi non lo conoscesse o ne avesse perso il ricordo) ma troverei
grosse difficolta ad indicare un primo piatto, un buon secondo o un contorno.
Intendiamoci:
a San Fili, ovviamente escludendo singoli casi e/o singoli periodi storici,
così come in buona parte del Meridione d’Italia (grazie anche e soprattutto
alla nostra arte d’arrangiarci col nulla) non siamo mai morti di fame riuscendo
non raramente a far diventare, in cucina, oro colato del semplice piombo.
Però...
come rispondere al mio interlocutore col classico “lagana e ceci”
o, per i più sofisticati, “lagana e cicerchie” o, per restare nel
classico, dei fusilli (‘nchionchiari) conditi con sugo d’agnello o lardo
e costine di maiale? ... troppo banale, troppo scontato, troppo... calabrese.
Diciamo
la verità: a San Fili non siamo stati in grado finora di “istituzionalizzare”
una cucina tradizionale.
Ognuno
di noi ne inventa, a giusta richiesta di conoscenti “non sanfilesi”, di volta
in volta una propria e spesso una nuova che tutto ha tranne che di sapore e
profumo... tradizionale (tipico ed unico) sanfilese.
Qualcuna
di tanto in tanto provo ad inventarla anche io. E lo faccio ovviamente
rifacendomi ai ricordi che sopravvivono in me dai tempi in cui la mia famiglia
abitava ancora in campagna in contrada Volette, ovvero fino al 1968, o ai primi
anni in cui, con la stessa, mi sono trovato catapultato nella vita, decisamente
meno bucolica di quella della campagna, del paese.
La
cucina della mia famiglia era, ed in parte lo è tutt’ora, una cucina definibile
“povera”. Ed ovviamente con “povera” intendo una cucina in cui c’era, e c’è,
poco da mangiare.
La
cucina della mia famiglia era caratterizzata da pasta fatta in casa, almeno la
domenica, con ottimi “fusilli realizzati col ferro” (‘nchionchiari... prima
o poi troverò l’esatta trascrizione di tale termine), gnocchetti senza patate (strangugliaprieviti -
strangola preti) o gnocchi con patate, uova cucinate in vari modi (tipo ‘mpurgatoriu)
e via dicendo. Per secondo, essendo noi gente di campagna (tengo a sottolineare
che in quegli anni non era la campagna ad essere periferia del centro urbano di
San Fili ma esattamente il contrario), si mangiava quello che la campagna
stessa ci metteva a disposizione: carne da animali da allevamento, latte, uova
ecc. ecc.
Oltretutto
per quanto riguarda i piatti che si ricavava dall’uccisione e dalla lavorazione
degli animali di allevamento anche in questo caso qualcosa, qualche sapore di
quei tempi - il progresso ce lo impone - l’abbiamo perso. Qualcuno di voi
infatti ricorda ancora per caso il sangue del pollo bollito e fritto? ...
o ‘e cuorduliddre (interiora pulite ed intorcinate su rametti
di prezzemolo e quindi cotte magari in un po’ di sugo di pomodoro)? ...
lasciatemi dubitare.
E
per contorno? ... patate e verdure. Queste ultime non sempre frutto di
coltivazione ma frutto di raccolte di erbe spontanee quali i gustosissimi cardi
(carduni) e cicorie selvatiche, germogli di aneto (finuocchi ‘e timpa)
e germogli di vitalba (vitarve). Verdure queste, ma non solo queste, cui
spesso ci si limitava a sbollentarle e passarle successivamente in un tegamino
dove si era messo a friggere un aglio in un po’ d’olio o strutto (grasso di
maiale).
I
germogli di vitalba (qualcuno a San Fili li raccoglie ancora... a volte anche
io) dopo sbollentati non raramente li si impastava con l’uovo sbattuto e vi si
ricavava una gustosissima frittata. Una frittata che poteva far concorrenza
alla frittata con asparagi... ovviamente selvatici ed altrettanto ovviamente delle
nostre parti.
Persino
le patate dalle nostre parti negli anni precedenti gli anni Settanta/Ottanta
del secolo scorso avevano uno spazio non indifferente nella nostra “cucina
tipica sanfilese”... sempre con riferimento alla mia famiglia.
Un
esempio ne erano le cosiddette “patate ‘mpacchiuse” (patate tagliate a
fette tonde e relativamente spesse e messe a friggere - all’inizio con il
coperchio - con qualche foglia di lauro e con qualche spicchio d’aglio a più
strati in una capiente padella o... frissura). Tale pietanza è una
delle poche che, stranamente, ha trovato un piccolo spazio nella cucina dei
ristoranti locali. All’interno della padella per diversificare il sapore delle
“patate ‘mpacchiuse” si poteva arricchire la cottura aggiungendo alle
stesse altri ingredienti quali punte di asparagi, broccoli neri, cime di rapa,
funghi porcini (siddri), cipolle e chi più ne ha più ne metta.
Ottime,
a quei tempi, erano anche le patate cotte nella cenere.
Nel
fare tra me e me quest’excursus della cucina tipica locale in ogni caso non
potevo non pensare a determinate pietanze (piatti?) tipiche di quei tempi ma
che oggi sembra siano quasi del tutto dimenticate o comunque destinate
all’eterno oblio.
In
tale mio excursus gastronomico, inutile dirlo, non parlerò della lavorazione
della carne del maiale e dei suoi derivati.
Un
esempio? ... i taralli sanfilesi (quelli realizzati immettendo nell’impasto il
sempre più raro... saporitissimo anice nero o aranzo che dir
si voglia), la majatica (in alcune zone del cosentino la chiamano ‘nchiambara...
ma non è altro che un gustosissimo fritto di farina relativamente liquida
anch’esso diversamente condito all’interno) o la (squillino le trombe)... ‘mpigliolata
santufilise.
Ma
di questa deliziosa e quasi dimenticata pietanza che ai nostri nonni al solo
pensiero veniva l’acquolina in bocca... ne parleremo quanto prima (...).
(continua).
* * *
Un
caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
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