Era
il 12 agosto del 2014 quando, grazie anche ad una guida d’eccezione quale mio
suocero, finalmente potei vedere da vicino la mitica Timpa de Magare. Un
affascinante luogo che si trova poco al di sopra dell’abitato di Bucita ovvero
della tanto storica quanto unica… frazione di San Fili.
Mi
ero scattato qualche foto con l’automatico inserito nella mia Canon PowerShot
50 SX e, visto che ero sceso qualche metro al di sotto della stradella/sentiero
che avevamo percorso per raggiungere tale punto, mi apprestavo a recuperare il
livello della stessa, dove mi aspettava appunto mio suocero, al fine di
incamminarci verso casa.
Una
cosa mi dispiacque di non poter scorgere dalla Timpa de Magare: l’abitato di
San Fili e quello della sua frazione Bucita.
Il
sito della Timpa de Magare, infatti, è un sito… in ombra.
Li
avrei rivisti almeno in parte, comunque, qualche decina di metri più avanti,
giusto il tempo e lo spazio di oltrepassare la prossima curva. In particolare,
guardando ai piedi del burrone che mi trovavo sulla sinistra, ecco d’incanto
apparirmi la curva nei pressi della fontana di panico’ (posta sul lato “San
Vincenzo la costa” dell’abitato di Bucita).
Un
panorama a dir poco mozzafiato. Peccato che quel giorno c’era un po’ di foschia
in circolazione. E dopotutto senza un po’ di foschia… che giorno dedicato
all’esplorazione della Timpa de Magare poteva essere?
Eppure
prima di giungere a quella curva che almeno psicologicamente m’avrebbe
riportato a casa (considerato la vista dei tetti familiari degli edifici di cui
ai succitati centri abitati) qualcos’altro doveva richiamare, colpendola di
brutto, la mia attenzione. Poco al di sopra della stradella/sentiero che
collega il territorio di San Fili con quello di San Vincenzo la costa
(ovviamente qualche centinaio di metri al di sopra della strada provinciale)…
uno strano masso alto non meno di un paio di metri, a forma di punta di
un’antica freccia in pietra, alla sommità del piccolo colle che ci fa da sfondo
sulla nostra destra, s’erge a dir poco imponente verso il cielo.
Non
so perché ma la punta di quel masso che usciva in modo così dirompente dal
terreno ipnotizzò per alcuni istanti tutto il mio essere.
Che
fosse anch’esso, così come la Timpa de Magare, un qualcosa di collegabile
all’antico sapere dei nostri avi?
Avevo
voglia, quel giorno, di salire quei pochi metri che mi dividevano da tale
strana roccia e girarvi intorno con la quasi certezza, o forse la malsana
speranza, di scoprire sulla stessa qualche antica raffigurazione rupestre o
qualche segno che avrei potuto benissimo, nella mia ignoranza in materia,
confondere con qualche antica... magica scrittura.
“Poi”,
dissi tra me e me, “chissà: magari sarà un buon motivo quello di lasciar
perdere per ora la cosa per ritornarci in futuro e con più calma. E ritornarci
possibilmente con qualche esperto in materia.”
Ed
allontanandomi da quel punto mi vedevo proiettato in una magica notte d’estate
di qualche secolo addietro (magari proprio un 12 agosto) intento a spiare un
gruppo di donne che alla luce di una serie di fuochi, della luna piena e di
qualche saltuaria stella cadente, erano impegnate in uno strano spasmodico
ballo proprio intorno a quel magico… sacro masso.
Un
sabba o qualcosa del genere si svolgeva davanti ai miei terrorizzati occhi.
Giunto
a casa mi chiesi cosa mi restava di quella stupenda passeggiata in uno dei
luoghi più misteriosi e magici presenti sul territorio sanfilese ovvero l’area
denominata la Timpa de Magare. La risposta poteva racchiudersi in quattro o
cinque punti base: 1) la roccia denominata Timpa delle Magare; 2) lo strano
albero dalle foglie simili alle foglie d’ulivo ma con ghiande quali frutti… un
albero che pensavo di non aver mai visto in vita mia; 3) un piccolo ruscello
denominato Pezzullo (che divide difatti il territorio della frazione Bucita di
San Fili dal territorio della frazione Gesuiti di San Vincenzo la costa); 4)
uno strano masso (una guglia? un megalitico? un menhir?) dalla
strana forma (... quasi la punta di una primitiva freccia) che spuntando in
modo dirompente dal terreno si proietta minaccioso o speranzoso verso il cielo;
5) la voglia di ritornare con più calma in tale magico luogo.
A proposito di quello strano albero che tanto colpì i
miei occhi e la mia fantasia... è un albero conosciutissimo agli studiosi del
campo. Si tratta di un leccio e può raggiungere, ma non come nel caso di
quell’esemplare presente alla Timpa de Magare in quanto le sue radici hanno
trovato ospitalità nella roccia della timpa medesima, diversi metri d’altezza.
Un albero non conosciuto solo dagli esperti botanici o
dai nostri insostituibili ed impagabili imprenditori ed operai boschivi ma
anche e soprattutto da chi ha cercato di dare un senso in più persino alla
stessa religione cristiana: gli apocrifi (scritti non canonici) e la tradizione
orale.
Un albero decisamente strano e come tale alquanto
ambiguo tanto che nel tempo è stato sia demonizzato che divinizzato dalla dalle
varie sette cristiane, Come dire... un po’ diavolo (complice d’un assassino e
quindi assassino al tempo stesso) ed un po' santo martire (vittima assieme
all’assassinato). Come se la colpa del deicidio di cui si è macchiata circa
2000 anni addietro possa essere della natura e non degli uomini.
* * *
Dall’Enciclopedia online Wikipedia (curiosità comunque
confermata da altri scritti che ho avuto a disposizione nello scrivere tale
articolo):
«Il leccio fu nelle civiltà greche e italiche antiche
un albero dotato di rilevante valore sacro. Valore che fu positivo nel periodo
arcaico di entrambe le civiltà, per poi assumerne lentamente uno sempre più
negativo nello scorrere della storia di Roma fino a contornarsi di un'aula
quasi funesta (così come in Grecia fu successivamente consacrato alla
dea Ecate). Il suo significato simbolico è stato rivalutato solo nel
medioevo.
(...) Anche nel cristianesimo esistono di simbolismo
per questa pianta. Nelle isole ioniche una leggenda (raccolta dal
poeta Aristotelis Valaoritis nel XIX Secolo) vuole che il leccio fu
l’unico albero che acconsentì a prestare il proprio legno per la costruzione
della croce; per questo i boscaioli delle isole di Acarnania e
di Santa Maura temevano di contaminare l’ascia toccando “l’albero
maledetto". Tuttavia nei “Detti” del beato Egidio – il terzo compagno di
San Francesco – il buon nome del leccio viene difeso quando si riferisce che il
Cristo lo predilige perché fu l'unico albero a capire che il suo sacrificio era
necessario, così come quello del Salvatore stesso, per contribuire alla
Redenzione. E proprio sotto il leccio il Signore appariva spesso a Egidio.»
* * *
Volente o nolente archiviai anche quella stupenda
passeggiata alla scoperta della Timpa delle Magare.
Pranzai e, archiviata anche la mia classica
pennichella pomeridiana, feci un salto a San Fili per la mia salutare
quotidiana “vasca” (camminata) lungo corso XX Settembre.
E come ogni giorno rieccomi in piazza don Luigi
Magnelli (ex piazza Madonnina) a discorrere del più e del meno con alcuni
compaesani noti frequentatori della stessa piazza.
Tra tali compaesani quel giorno c’era anche il caro
amico Armando Belmonte. Fu lui, sentendomi parlare, che mi disse il possibile
nome (ovviamente azzeccato in pieno) del misterioso albero in cui mi imbattei
alla Timpa delle Magare: il leccio ovvero l’elce ovvero (se vogliamo mostrare
tutta la nostra preparazione in materia... successiva a quel giorno) quercus
ilex.
Tra le cose che ci disse quel giorno Armando Belmonte,
esperto conoscitore di quei luoghi in virtù del lavoro che ha svolto per una
vita in campo boschivo, a me ed agli altri “curiosi” amici presenti, ce ne fu
una in particolare che più che chiudere definitivamente la vecchia porta sul
discorso della Timpa delle Magare (ovviamente quella sull’abitato della
frazione Bucita di San Fili) di fatti... finiva per aprire un nuovo portone
sull’intero argomento e sull’intera sempre più misteriosa e magica zona.
“Poco al di sotto della Timpa delle magare”, ci
disse Armando, “il torrente Pezzullo da’ vita ad una stupenda, seppur
piccola data la portata dello stesso, cascata. Tale cascata in determinati
momenti della giornata sembra emettere un suono stupendo... forse un fischio...
comunque decisamente melodico.”
Che sia il magico canto delle delle magare? ... o che
il luogo sia abitato anche da fate e sirene incantatrici?
Dopotutto siamo nella terra del dio Pan.
Ok, abbiamo capito: prima o poi dobbiamo ritornarci e
dobbiamo (se ovviamente qualcuno di voi ha il coraggio di accompagnarmi in tale
nuova avventura - non rispondo per l’altrui incolumità né fisica né tantomeno
psichica) ritornarci non solo facendo il percorso inverso ma, nel possibile,
risalendo anche il letto del torrente Pezzullo... Vrinco.
Strano anche questo fatto del cambio del nome di
questo torrente: Pezzullo dal punto in cui nasce e fino a
toccare il limite inferiore dell’abitato di Bucita e Vrinco non
appena entra in territorio del Comune di San Vincenzo la costa.
Magare, streghe, fate (qualche druido dispersosi dalle
nostre parti due o tremila anni orsono) e sirene ci chiamano a rapporto.
Già perché adesso, come se non bastassero le varie
entità paranormali, gli spiriti vari, le divinità dei padri fondatori della
nostra civiltà (gli antichi greci) a rovinare la nostra esistenza (aumentando
la nostra curiosità in merito) si ci mettono anche le sirene e le ninfe
abitanti nei nostri ruscelli e nei nostri boschi.
Nella zona della Timpa de Magare in territorio di
Bucita... del Comune di San Fili.
* * *
... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro
affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... si vis pacem para bellum!
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