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mercoledì 18 luglio 2018

‘a Timpa delle Magare. (3/3)


Era il 12 agosto del 2014 quando, grazie anche ad una guida d’eccezione quale mio suocero, finalmente potei vedere da vicino la mitica Timpa de Magare. Un affascinante luogo che si trova poco al di sopra dell’abitato di Bucita ovvero della tanto storica quanto unica… frazione di San Fili.

Mi ero scattato qualche foto con l’automatico inserito nella mia Canon PowerShot 50 SX e, visto che ero sceso qualche metro al di sotto della stradella/sentiero che avevamo percorso per raggiungere tale punto, mi apprestavo a recuperare il livello della stessa, dove mi aspettava appunto mio suocero, al fine di incamminarci verso casa.

Una cosa mi dispiacque di non poter scorgere dalla Timpa de Magare: l’abitato di San Fili e quello della sua frazione Bucita.

Il sito della Timpa de Magare, infatti, è un sito… in ombra.

Li avrei rivisti almeno in parte, comunque, qualche decina di metri più avanti, giusto il tempo e lo spazio di oltrepassare la prossima curva. In particolare, guardando ai piedi del burrone che mi trovavo sulla sinistra, ecco d’incanto apparirmi la curva nei pressi della fontana di panico’ (posta sul lato “San Vincenzo la costa” dell’abitato di Bucita).

Un panorama a dir poco mozzafiato. Peccato che quel giorno c’era un po’ di foschia in circolazione. E dopotutto senza un po’ di foschia… che giorno dedicato all’esplorazione della Timpa de Magare poteva essere?

Eppure prima di giungere a quella curva che almeno psicologicamente m’avrebbe riportato a casa (considerato la vista dei tetti familiari degli edifici di cui ai succitati centri abitati) qualcos’altro doveva richiamare, colpendola di brutto, la mia attenzione. Poco al di sopra della stradella/sentiero che collega il territorio di San Fili con quello di San Vincenzo la costa (ovviamente qualche centinaio di metri al di sopra della strada provinciale)… uno strano masso alto non meno di un paio di metri, a forma di punta di un’antica freccia in pietra, alla sommità del piccolo colle che ci fa da sfondo sulla nostra destra, s’erge a dir poco imponente verso il cielo.

Non so perché ma la punta di quel masso che usciva in modo così dirompente dal terreno ipnotizzò per alcuni istanti tutto il mio essere.

Che fosse anch’esso, così come la Timpa de Magare, un qualcosa di collegabile all’antico sapere dei nostri avi?

Avevo voglia, quel giorno, di salire quei pochi metri che mi dividevano da tale strana roccia e girarvi intorno con la quasi certezza, o forse la malsana speranza, di scoprire sulla stessa qualche antica raffigurazione rupestre o qualche segno che avrei potuto benissimo, nella mia ignoranza in materia, confondere con qualche antica... magica scrittura.

Poi”, dissi tra me e me, “chissà: magari sarà un buon motivo quello di lasciar perdere per ora la cosa per ritornarci in futuro e con più calma. E ritornarci possibilmente con qualche esperto in materia.

Ed allontanandomi da quel punto mi vedevo proiettato in una magica notte d’estate di qualche secolo addietro (magari proprio un 12 agosto) intento a spiare un gruppo di donne che alla luce di una serie di fuochi, della luna piena e di qualche saltuaria stella cadente, erano impegnate in uno strano spasmodico ballo proprio intorno a quel magico… sacro masso.

Un sabba o qualcosa del genere si svolgeva davanti ai miei terrorizzati occhi.

Giunto a casa mi chiesi cosa mi restava di quella stupenda passeggiata in uno dei luoghi più misteriosi e magici presenti sul territorio sanfilese ovvero l’area denominata la Timpa de Magare. La risposta poteva racchiudersi in quattro o cinque punti base: 1) la roccia denominata Timpa delle Magare; 2) lo strano albero dalle foglie simili alle foglie d’ulivo ma con ghiande quali frutti… un albero che pensavo di non aver mai visto in vita mia; 3) un piccolo ruscello denominato Pezzullo (che divide difatti il territorio della frazione Bucita di San Fili dal territorio della frazione Gesuiti di San Vincenzo la costa); 4) uno strano masso (una guglia?  un megalitico? un menhir?) dalla strana forma (... quasi la punta di una primitiva freccia) che spuntando in modo dirompente dal terreno si proietta minaccioso o speranzoso verso il cielo; 5) la voglia di ritornare con più calma in tale magico luogo.

A proposito di quello strano albero che tanto colpì i miei occhi e la mia fantasia... è un albero conosciutissimo agli studiosi del campo. Si tratta di un leccio e può raggiungere, ma non come nel caso di quell’esemplare presente alla Timpa de Magare in quanto le sue radici hanno trovato ospitalità nella roccia della timpa medesima, diversi metri d’altezza.

Un albero non conosciuto solo dagli esperti botanici o dai nostri insostituibili ed impagabili imprenditori ed operai boschivi ma anche e soprattutto da chi ha cercato di dare un senso in più persino alla stessa religione cristiana: gli apocrifi (scritti non canonici) e la tradizione orale.

Un albero decisamente strano e come tale alquanto ambiguo tanto che nel tempo è stato sia demonizzato che divinizzato dalla dalle varie sette cristiane, Come dire... un po’ diavolo (complice d’un assassino e quindi assassino al tempo stesso) ed un po' santo martire (vittima assieme all’assassinato). Come se la colpa del deicidio di cui si è macchiata circa 2000 anni addietro possa essere della natura e non degli uomini.

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Dall’Enciclopedia online Wikipedia (curiosità comunque confermata da altri scritti che ho avuto a disposizione nello scrivere tale articolo):

«Il leccio fu nelle civiltà greche e italiche antiche un albero dotato di rilevante valore sacro. Valore che fu positivo nel periodo arcaico di entrambe le civiltà, per poi assumerne lentamente uno sempre più negativo nello scorrere della storia di Roma fino a contornarsi di un'aula quasi funesta (così come in Grecia fu successivamente consacrato alla dea Ecate). Il suo significato simbolico è stato rivalutato solo nel medioevo.

(...) Anche nel cristianesimo esistono di simbolismo per questa pianta. Nelle isole ioniche una leggenda (raccolta dal poeta Aristotelis Valaoritis nel XIX Secolo) vuole che il leccio fu l’unico albero che acconsentì a prestare il proprio legno per la costruzione della croce; per questo i boscaioli delle isole di Acarnania e di Santa Maura temevano di contaminare l’ascia toccando “l’albero maledetto". Tuttavia nei “Detti” del beato Egidio – il terzo compagno di San Francesco – il buon nome del leccio viene difeso quando si riferisce che il Cristo lo predilige perché fu l'unico albero a capire che il suo sacrificio era necessario, così come quello del Salvatore stesso, per contribuire alla Redenzione. E proprio sotto il leccio il Signore appariva spesso a Egidio.»

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Volente o nolente archiviai anche quella stupenda passeggiata alla scoperta della Timpa delle Magare.

Pranzai e, archiviata anche la mia classica pennichella pomeridiana, feci un salto a San Fili per la mia salutare quotidiana “vasca” (camminata) lungo corso XX Settembre.

E come ogni giorno rieccomi in piazza don Luigi Magnelli (ex piazza Madonnina) a discorrere del più e del meno con alcuni compaesani noti frequentatori della stessa piazza.

Tra tali compaesani quel giorno c’era anche il caro amico Armando Belmonte. Fu lui, sentendomi parlare, che mi disse il possibile nome (ovviamente azzeccato in pieno) del misterioso albero in cui mi imbattei alla Timpa delle Magare: il leccio ovvero l’elce ovvero (se vogliamo mostrare tutta la nostra preparazione in materia... successiva a quel giorno) quercus ilex.

Tra le cose che ci disse quel giorno Armando Belmonte, esperto conoscitore di quei luoghi in virtù del lavoro che ha svolto per una vita in campo boschivo, a me ed agli altri “curiosi” amici presenti, ce ne fu una in particolare che più che chiudere definitivamente la vecchia porta sul discorso della Timpa delle Magare (ovviamente quella sull’abitato della frazione Bucita di San Fili) di fatti... finiva per aprire un nuovo portone sull’intero argomento e sull’intera sempre più misteriosa e magica zona.

Poco al di sotto della Timpa delle magare”, ci disse Armando, “il torrente Pezzullo da’ vita ad una stupenda, seppur piccola data la portata dello stesso, cascata. Tale cascata in determinati momenti della giornata sembra emettere un suono stupendo... forse un fischio... comunque decisamente melodico.

Che sia il magico canto delle delle magare? ... o che il luogo sia abitato anche da fate e sirene incantatrici?

Dopotutto siamo nella terra del dio Pan.

Ok, abbiamo capito: prima o poi dobbiamo ritornarci e dobbiamo (se ovviamente qualcuno di voi ha il coraggio di accompagnarmi in tale nuova avventura - non rispondo per l’altrui incolumità né fisica né tantomeno psichica) ritornarci non solo facendo il percorso inverso ma, nel possibile, risalendo anche il letto del torrente Pezzullo... Vrinco.

Strano anche questo fatto del cambio del nome di questo torrente: Pezzullo dal punto in cui nasce e fino a toccare il limite inferiore dell’abitato di Bucita e Vrinco non appena entra in territorio del Comune di San Vincenzo la costa.

Magare, streghe, fate (qualche druido dispersosi dalle nostre parti due o tremila anni orsono) e sirene ci chiamano a rapporto.

Già perché adesso, come se non bastassero le varie entità paranormali, gli spiriti vari, le divinità dei padri fondatori della nostra civiltà (gli antichi greci) a rovinare la nostra esistenza (aumentando la nostra curiosità in merito) si ci mettono anche le sirene e le ninfe abitanti nei nostri ruscelli e nei nostri boschi.

Nella zona della Timpa de Magare in territorio di Bucita... del Comune di San Fili.

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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... si vis pacem para bellum!

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