A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

Eventuali commenti a post di questo blog non verranno pubblicati sia se offensivi per l'opinione pubblica e sia se non sottoscritti dai relativi autori. Se non avete il coraggio di firmarvi e quindi di rendervi civilmente rintracciabili... siete pregati di tesorizzare il vostro prezioso tempo in modo più intelligente (se vi sforzate un pochino magari per sbaglio ci riuscirete pure).
* * *
Ricordo ad ogni buon file l'indirizzo di posta elettronica legata a questo sito/blog: pietroperri@alice.it

venerdì 8 dicembre 2017

Ricordi di un recente passato (sanfilese): u sampaulanu.

Immagine a sinistra ripresa dal web.

Riporto questa volta un articolo dell’amico compaesano Luigi “Gigino” Iantorno pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di novembre 2017.

Tale articolo ci catapulta nella San Fili gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.

Sono passati poco più di Cinquanta anni dall’epoca eppure sembra siano passati secoli.

Buona lettura by Pietro Perri.

*     *     *

Ricordi di un recente passato: u sampaulanu.

Di Luigi “Gigino” Iantorno.

 

Chi era, o chi è, u sampaolanu o sampaolaro che dir si voglia?

U sampaulanu è innanzitutto un uomo nato nel giorno dedicato alla venerazione di san Paolo ovvero il 29 giugno (giorno della morte dello stesso) o, in casi estremi, tra la notte che va dal 24 al 25 gennaio (giorno della conversione di Saulo di Tarso... futuro apostolo Paolo).

U sampaulanu tradizione vuole che nasca con un particolare segno, quasi un tatuaggio divino, sul corpo. Un segno simile ad un serpente.

Sarà vero? ... sarà falso? ... questo comunque raccontavano i nostri padri e nonni fino agli anni Sessanta del XX secolo.

Vuole la tradizione che u sampaulanu sia indenne da ogni morso di animale velenoso, guarisca chi ne è stato avvelenato e salvi da altre malattie. Dono di Dio questo che san Paolo acquisì in un suo soggiorno sull’isola di Malta. Un dono che questi bravi uomini in ogni caso portavano con loro girando nei vari paesi ed aiutando con lo stesso quanti per fede ne facevano richiesta.

Ricordo che quand’ero fanciullo di tanto in tanto un sampaulanu veniva anche a San Fili.

Quest’uomo portava sempre con sé un cesto chiuso (... spurtune?) nel cui interno custodiva gelosamente un serpente nero (nu cursune).

Questo particolare tipo di serpente non è velenoso ma fa tantissimo senso a vederlo. Ovviamente noi fanciulli non sapevamo della non pericolosità di questo serpente. Avevamo paura ed eravamo sicuri che u sampaulanu, per come gestisse lo stesso, avesse veramente delle capacità miracolose.

U sampaulanu girava sul corso principale e tra i vicoli di San Fili chiedendo qualche spicciolo per sopravvivere e dispensando a quanti rispondevano al suo appello con benedizioni e promesse di preghiere per la positiva risoluzione dei loro problemi in particolare per i problemi di salute.

Noi fanciulli, e sicuramente non solo noi, eravamo tutti affascinati da quel misterioso personaggio.

Nel suo incedere tra i vicoli del nostro paese di tanto in tanto u sampaulanu, che noi fanciulli seguivamo a debita distanza, si fermava, faceva uscire il serpente dal cesto, lo accarezzava e gli sussurrava strane parole che il nero strisciante animale sembrava ascoltare con attenzione. Poi lo poggiava per terra e questi iniziava ad andare su e giù girando sempre e comunque intorno all’umano amico.

La gente presente inutile dire che più il serpente si avvicinava a loro e più la stessa scappava lontano per paura di essere morsa dallo stesso. Cessato questo breve spettacolo u sampaulanu con altre strane parole ed alcuni segni con le mani richiamava a sé il serpente che, senza reagire, si faceva prendere in mano dal miracoloso uomo e si faceva deporre di nuovo all’interno della succitata cesta.

U sampaulanu portava sempre con sé un misterioso libro. Diceva che nello stesso erano riportate tutte le formule da utilizzare con qualsiasi tipo di serpente a seconda di quale specie lo stesso appartenesse. Tramite queste formule u sampaulanu aveva il comando assoluto su queste pericolosissime bestie.

Inutile dire che tale libro per avere effetto le formule (incantesimi) in esso contenute poteva essere posseduto ed utilizzato solo da una persona nata il 29 giugno ovvero il giorno dedicato a san Paolo... dotati del segno sul corpo.

Dobbiamo credere nei poteri miracolosi dei sampaulani?

Noi fanciulli dell’epoca ci credevamo ed alcuni come me ne avevamo anche un buon motivo che racconto di seguito.

In uno dei giorni in cui mi imbattei, da fanciullo, in un sampaulanu in visita a San Fili ricordo che questi, a me ed al gruppo di ragazzi presenti all’occasione ci chiese se per caso in zona avessimo visto ultimamente qualche serpente.

Risposi subito in modo affermativo ed assieme a lui ci recammo sul posto in cui qualche giorno prima avevo visto il terribile animale.

Lui prese il librettino, lo aprì in una determinata pagina ed iniziò a leggere la strana formula riportata nella stessa. Nel men che non si dica da un buco del muro che gli avevo prima indicato uscì una grossa vipera.

U sampaulanu la prese tra le mani, l’accarezzò, la ripose per terra e lei, docile docile, rientrò nel buco da cui era prima uscita scomparendo per sempre dalla nostra vista.

Dobbiamo credere nel potere dei sampaulani?

Sono anni ormai che non vedo più camminare tra i vicoli di San Fili, e non solo nel nostro borgo, qualche sampaulanu.

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

sabato 2 dicembre 2017

XVI edizione della borsa di studio “Vincenzo Miceli”.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di novembre 2017... by Pietro Perri.
Nella foto sotto a sinistra... da sinistra: la dott.ssa Loredana Nigri, l’alunno Matteo Borchetta, il dottor Amedeo Miceli dei baroni di Serradileo, la dott.ssa Angela Corso e l’alunna Elisa Speranza (foto prelevata dal sito dell’Istituto Comprensivo Statale di San Fili..
*     *     *
Si è svolta sabato 30 settembre 2017 presso l’aula magna della Scuola Secondaria (si chiamano così oggi le Scuole Medie) di San Fili la consegna della borsa di studio dedicata al giurista di origine sanfilese prof. Vincenzo Miceli.
A fare gli onori di casa e quindi a coordinare i lavori della manifestazione ci ha pensato la prof.ssa Angela Corso Dirigente dell’Istituto Comprensivo Statale di San Fili.
Nella scaletta degli interventi era previsto anche l’intervento del sindaco del paese architetto Antonio Argentino nonché della dottoressa Loredana Nigri (scrittrice nonché assistente sociale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza).
Ad aggiudicarsi l’ambito premio nell’edizione 2016/2017 della borsa di studio Vincenzo Miceli sono stati gli alunni Matteo Borchetta e Elisa Speranza.
Ricordiamo che i destinatari della borsa di studio “Vincenzo Miceli”, giunta ormai alla sua XVI edizione, sono gli studenti iscritti alla terza classe (sezione A) della Scuola Secondaria dell’Istituto Comprensivo Statale di San Fili che risultino aver completato l’anno scolastico di riferimento e che si siano licenziati dallo stesso con la valutazione di 10 o 10 con lode nonché che siano regolarmente iscritti al primo anno di una Scuola Secondaria di secondo grado.
Ha concluso i lavori il dottor Amedeo Miceli, promotore della borsa di studio intitolata all’illustre avo.
*     *     *
Un breve cenno sul prof. Vincenzo Miceli.
(Dall’enciclopedia online Treccani).

Giurista, nato a S. Fili (Cosenza) il 20 gennaio 1858, morto a Milano il 7 febbraio 1932. Professore di diritto costituzionale a Perugia (1892), ordinario di filosofia del diritto prima a Palermo (1902), poi a Pisa (dal 1917 al 1928).
Di lui, scrittore fecondissimo nel campo della filosofia del diritto, del diritto costituzionale e internazionale, si hanno numerose opere. Vanno ricordati: Saggio di una nuova teoria della sovranità, voll. 2, Firenze 1884-87; Filosofia del dir. internazionale, ivi 1889; La corona, Perugia 1894; Il gabinetto, ivi 1894; Le fonti del diritto, Palermo 1905; La norma giuridica, ivi 1906; Lezioni di filosofia del diritto, voll. 4, ivi 1909-11; Principî di diritto costituzionale, 2ª ed. Milano 1913; Principî di filosofia del diritto, 2ª edizione, ivi 1928; Il concetto della proprietà nella filosofia del diritto, Aquila 1928.
*     *     *
... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

San Fili (CS) ed il castello di San Fili... nel comune di Stignano (RC).

Nella foto sotto a sinistra (ripresa dal web): Il castello di San Fili nel comune di Stignano in provincia di Reggio Calabria. Stupenda costruzione del XVI secolo costruita come struttura difensiva.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di novembre 2017... by Pietro Perri.

In questi ultimi giorni un caro amico mi ha detto: “Pietro, sai che non sapevo che San Fili avesse un castello?”

“Infatti non ce l’ha!”, gli ho risposto io.

“Come, non ce l’ha?!?", mi fa il mio caro amico, "... l’ho visto proprio ieri su internet anche se, per quante volte sono stato a San Fili, non mi sembra di aver mai notato questa costruzione.”

Ok, sveliamo l’arcano rispondendo alla domanda: esiste veramente un castello “di San Fili”? ... notate: non ho detto “a San Fili”.

In effetti esiste veramente un castello di San Fili solo che non si trova a San Fili in provincia di Cosenza ma in una contrada (appunto “contrada San Fili”) nel comune di Stignano in provincia di Reggio Calabria.

Nelle mie ricerche ho trovato finora, oltre a quest’altro San Fili, altri quattro San Fili: un San Fili nel comune di Conflenti (anche in questo caso una contrada che tra l’altro ci accomuna con la presenza - o le presenze - di esseri sovrannaturali chiamati “fantastica”), c’é poi contrada San Fili nel comune di Locri, contrada San Fili nel comune di Melicucco ed infine, decisamente dulcis in fundo, un’altra San Fili nel comune di Monteroni in provincia di Lecce.

Per quanto riguarda San Fili a Monteroni, dove si venera la Vergine di Costantinopoli, è bello vedere che tale contrada viene familiarmente chiamata “Santu Fili” proprio come chiamiamo noi sanfilesi nel nostro dialetto il nostro stupendo... amato/odiato borgo.

Qualche anno addietro, oltretutto, volendo scrivere anch’io qualcosa su San Fili a Monteroni ho mandato a richiedere tramite internet il libro “San Fili a Monteroni - ricordi bizantini storia culto tradizioni popolari” di Gino Giovanni Chirizzi (Congedo Editore, Galatina 1993). E non posso negare che sono rimasto felicemente stupito nel leggere tra le prime pagine dello stesso che i Sanfilesi di Monteroni ipotizzano una propria discendenza diretta dalla nostra Comunità.

In tale libro infatti leggiamo: “(...) dell’agiotoponimo Santu Fili, è legittimo, ma con una certa cautela, avanzare l’ipotesi di un culto medioevale a S. Felice, S. Phili, legato alle emigrazioni bizantine dalla Calabria e forse al centro di San Fili.”

Il castello di San Fili a Stignano, per ritornare al tema portante di questa pagina, risale al XVI secolo e nasce, nel 1500, come struttura difensiva. Il castello appartiene oggi alla famiglia Alvaro-Salerno.

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

giovedì 26 ottobre 2017

Ne abbiamo discusso su Facebook: emergenza idrica a San Fili. (3)

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di ottobre 2017... by Pietro Perri.
*     *     *
Parte di contrada Frassino in Comune di
San Fili vista dall'alto (google maps).
Il problema (... o i problemi?) dell'acqua a San Fili e purtroppo non solo a San Fili c'è e va via via incancrenendosi.
In effetti, anche per meglio affrontare lo stesso, io più che di problema parlerei di problemi. Alcuni dei quali andrebbero affrontati subito ed altri la cui soluzione andrebbe comunque programmata... da subito.
C'è ad esempio il problema di garantire l'acqua potabile a tutti i residenti e nel possibile (visto che ce lo impongono non solo le normative in materia ma anche i rapporti di buon vicinato) anche alcune zone dei paesi limitrofi.
Con tali paesi, la vicina Rende ad esempio, si dovrebbe comunque - magari un po’ anche bluffando - iniziare a fare anche un discorso del tipo “do ut des” ovvero “io do qualcosa a te affinché tu dia qualcosa a me”. E non mi riferisco al classico piacere strettamente personale così come avvenuto nei decenni passati ma un vero e proprio... piacere comunitario.
Questo per quanto riguarda il discorso al di là dei confini del nostro territorio. Ben diverso dovrà essere il discorso interno al confine territoriale sanfilese. In questo secondo caso, infatti, dovremmo, tutti i Sanfilesi, iniziare a guardarci una volta per tutte negli occhi e iniziare tutti a giocare a carte scoperte.
Dovremmo ad esempio vedere se tutta la quantità di acqua potabile che entra annualmente nella rete idrica urbana viene effettivamente registrata - con le dovute correzioni - in uscita dai contatori delle nostre abitazioni.
Le correzioni ad esempio possono includere l’acqua che si disperde tramite fontane pubbliche (problema in parte arginabile fornendo le stesse di eventuali rubinetti a chiusura - tramite pulsante a pressione automatica al termine dell’uso delle stesse) eventuali perdite (decisamente poche per quanto mi risulta), dovute ad eventuali rotture presenti periodicamente nella rete stessa.
Per risolvere tutti i problemi relativi ad un eccessivo scostamento, comunque e qualora lo stesso sia effettivamente verificato con dati reali alla mano e non con semplici supposizioni, tra la quantità di acqua che entra nella rete idrica comunale ed il consumo che viene registrato dai contatori delle abitazioni civili sanfilesi... bisognerà guardare un po’ oltre e chiedersi se qualcosa, dal 1970 in poi (ovvero da quando abbiamo iniziato a popolare determinate zone periferiche - tipo il Frassino o i Cozzi - del nostro territorio) non ci sia scappato dalle mani.
Parte di contrada Cozzi in Comune di
San Fili vista dall'alto (google maps).
Dopotutto piccoli orti, giardini, lavaggio macchine, piscine fisse o vasche gonfiabili e via dicendo... hanno bisogno d’acqua e l’acqua, se non abbiamo possibilità alternative di approvvigionamento, può avere un costo decisamente salato. Un costo che non tutti potrebbero affrontare con eccessiva facilità.
Quindi, non volendo negarsi qualche piccolo lusso personale, ci si sente spesso legittimati a mettere su qualche piccolo marchingegno o a trovare qualche scappatoia... decisamente illegale.
Anzi, oltre che illegale anche moralmente disonesta (crudele ed egoista) nei confronti dei propri compaesani che abitando magari nelle parti alte del nostro centro abitato restano regolarmente tutti gli anni nei periodi estivi per varie ore del giorno senza l’acqua potabile nelle proprie abitazioni.
Lo so, le estati sono calde e quella che ci siamo appena lasciati alle spalle in fatto di caldo è stata maestra ma... siamo tutti sanfilesi e da sanfilesi abbiamo tutti gli stessi diritti. In particolare il diritto all’acqua.
Domanda: sarebbe ora il caso di controllare se tutte le abitazioni presenti sul territorio sanfilese abbiano una fornitura idrica con uscite (allacci) esclusivamente post contatore dell’acqua?
Intendiamoci, come al solito la sto sparando grossa e come al solito sto facendo ipotesi che vanno oltre la fantascienza locale ma, come disse qualcuno in tempi non sospetti, “a furia di pensare male... qualche volta si finisce per azzeccarci!”
*     *     *
... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

domenica 22 ottobre 2017

C’era una volta il Muraglione di San Fili. (3/3)



Nella foto a sinistra, messami gentilmente a disposizione dall’amico e compaesano Salvatore Calomeni, troviamo uno spaccato della San Fili di metà anni Ottanta del XX secolo... sull’entrata della macelleria (un vero e proprio circolo di aggregazione sociale) di compa’ Giovanni Calomeni. Da sinistra: Gianni Zolo, Luigi (Gigino) Mazza, Franco Musacchio, Antonio Palermo, Salvatore Calomeni, compa’ Giovanni Calomeni e Mario Sergi.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese (il bollettino dell’Associazione culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili) del mese di 0ttobre 2017... a firma Pietro Perri.

*     *     *

Ho sempre amato passeggiare lungo corso XX Settembre a San Fili e quest’amore sicuramente è via via aumentato col passare degli anni.

Oltretutto, col passare degli anni e col sopraggiungere di qualche piccolo disturbo metabolico legato alla vita sedentaria ed alla cattiva alimentazione che contraddistingue i tempi moderni, in questi ultimi anni mi sono felicemente reso conto di quanto possa essere salutare una bella “vasca” (ovvero una bella salita e discesa dell’intero corso compreso tra l’aireddra ed il bivio per la frazione Bucita).

Ammettiamolo: abbiamo uno dei più bei corsi dell’intera provincia di Cosenza e proprio non vogliamo mettercelo in testa. Un corso che se si trovasse in Toscana o in Umbria sarebbe sinonimo di oro colato.

Purtroppo si trova a San Fili cioé in provincia di Cosenza ovvero, parafrasando un brutto concetto usato da Giorgio Bocca come titolo di uno dei suoi peggiori libri, nell’Inferno... in Calabria... destinazione Profondo Sud.

Di “vasche”, sia con amici quotidiani che con amici con cui mi ritrovavo nel corso dell’estate o dei periodi natalizi (cioè quando gli stessi, fuori regione per motivi di lavoro, rientravano - qualcuno per fortuna rientra ancora - in paese a trovare i loro familiari), lungo corso XX Settembre negli ultimi cinquanta anni ne ho fatte tantissime. Alcune tutte d’un fiato e magari, quasi una salutare amara pillola, a passo di prete. Altre fermandomi di tanto in tanto in qualche punto strategico a parlare del più o del meno con i “compaesani storicamente designati” a guardia di tale punto.

Quasi un tutt’uno con lo stesso: compaesano/compaesani e punto strategico.

Uno dei punti in cui mi piaceva fermarmi, nel percorrere in su ed in giù corso XX Settembre a San Fili nel corso degli anni Settanta... Ottanta e Novanta del secolo scorso, era sicuramente la macelleria del cavaliere del lavoro… compa' Giovanni Calomeni.

Un’istituzione all’epoca ancora vivente di ciò che ormai sopravviveva solo nel ricordo dei nostri padri della mitica “piazza Municipio” ovvero de “Mmienz’u puontu”.

Nei pochi lineari metri di Piazza Municipio negli anni Settanta ancora si potevano visitare saloni di barbieri, il negozio di scarpe di Annibale Nigro, la fruttivendola di Eugenia Cavaliere, l’esattoria di Genuzzu Calomeni, negozi di stoffe quali quello di Genoeffa Rossiello (ma non era l’unico), il tabacchino di Lisetta Calomeni e chi più che ha più ne metta.

Era, quello, decisamente un mondo a sé tanto da rientrare a pieno diritto anche in alcune strofe apparse sul mitico giornale murale satirico sanfilese (1945/1950) “Il Cantastorie”.

Compa' Giovanni Calomeni per chi voleva scrivere su San Fili e sui Sanfilesi, ovviamente parliamo di memoria storico-popolare degli ultimi due secoli con particolare riferimento al periodo compreso tra il 1930 ed il 1980, era un tesoro d'informazioni e di riporto d'aneddoti e curiosità di vario genere… non solo dal punto di vista della produzione e/o della commercializzazione del vino e della carne.

Una persona come poche, decisamente, ne ha avuto come degni figli su questo fronte la nostra San Fili. In quanto oltre che a ricordare sapeva anche raccontare e dare la giusta enfasi alle frasi che utilizzava per trasmettere i suoi ricordi.

Diciamo la verità: amava San Fili. Così come lo amava l’indimenticato Mario Oliva o come lo ama il nostro sempreverde... mitico Marcello Speziale.

Una ricchezza d’informazioni (quella a cui si poteva accedere tramite l’amico Giovanni) purtroppo scarsamente, quando non malamente, utilizzata dai suoi compaesani incluso lo scrivente.

A me piaceva ascoltarlo, non sempre a dire il vero in quanto all'epoca cercavo di tesorizzare solo ciò che mi serviva sul momento e per il momento, ed a lui piaceva farsi ascoltare da me... e non solo da me. Aveva estremo bisogno di sentire il quotidiano contatto umano con i suoi compaesani.

Lo sgabello in ferro smaltato a disposizione per me, nella sua macelleria… mmienz'u puontu… c'era sempre. Anche quando lo stesso era stato già occupato da qualche suo cliente o qualche altro graditissimo avventore. Quella macelleria al pianterreno del palazzo di “Donna Vienna Gentile” (così lui continuava a chiamarlo) non raramente si tramutava in un piacevole… pittoresco circolo di discussione culturale.

Vi si parlava pacatamente del più e del meno e vi si parlava dei tempi passati. Tempi in cui, agli occhi di compa' Giovanni Calomeni, ancora esisteva un minimo di rispetto fra le persone e la parola tra soggetto e soggetto o una semplice stretta di mano valevano contratto.

Vi si parlava, tra il più ed il meno, anche delle bellezze architettoniche presenti nel nostro borgo ed un giorno compa’ Giovanni Calomeni mi parlò anche di quella stupenda opera muraria (di cui purtroppo ormai restava solo un vergognoso rimasuglio distrutto non dall’opera devastatrice dei tempi ma dall'imbecillità umana) ancora conosciuta col nome di… Muraglione. Una stupenda opera realizzata sotto il governo dei Borbone tra il 1820 ed il 1830.

È un’opera unica!”, mi diceva compa' Giovanni Calomeni, “Un’opera di cui persino re Ferdinando, nel passare con la sua carrozza da San Fili, ne restò meravigliato. E volle complimentarsi con chi l'aveva progettata e con quanti l’avevano realizzata.

Ed effettivamente se la guardiamo dal di sotto non possiamo, ancora oggi, che restare affascinati anche noi nell’osservare i miseri reietti resti di tale stupenda opera.

Inutile dire che il XVIII secolo era ben diverso dal secolo che ci siamo infelicemente... appena lasciati alle spalle.

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


domenica 15 ottobre 2017

SOLO UN TERMINE: VERGOGNA!

San Fili 15 ottobre 2017.
Frazione Bucita... salita via Danise.
Circa una quindicina di giorni addietro ho avvisato in modo informale il sindaco in carica di San Fili (architetto Antonio Argentino) pregandolo di intervenire tramite qualche dipendente comunale per tappare alla meglio questa buca.
Mi ha risposto che era inutile perché nel giro di due o tre giorni in questa zona sarebbero iniziati i lavori di rifacimento del manto stradale.
Mi viene il dubbio se - quando si da' un numero approssimativamente di giorni al Comune di San Fili - per la strada non si perda qualche zero da mettere affianco alle unità.
Ovviamente la mia parola contro la sua. Ma una cosa è certa: la buca in tale punto è pericolosamente presente da oltre 10 o 12 giorni e da questo punto quotidianamente ci passano gli addetti (... spazzini?... no: operatori ecologici!) alla raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani e non credo che gli stessi, se non l’hanno segnalato all’ufficio tecnico il problema, si sarebbero fatti male a segnalarlo.
Fatto sta che difronte a cose del genere possiamo solo parlare di "INCOSCIENZA CRIMINALE AMMINISTRATIVA" considerato cosa può succedere se incautamente qualcuno finisce con la ruota di un motorino (ma anche involontariamente a piedi) in tale buca.
Ok, io ci ho provato.
male ma ci ho provato perché se chiedevo “per piacere” a qualcun altro di intervenire su tale punto... per piacere quasi certamente avrei ottenuto un risultato più civile.
Adesso ci provino anche gli altri solerti amministratori appartenenti sia alla maggioranza che alla minoranza consiliare del Comune di San Fili.
Fatto sta che vedendo certe cose si può usare solo un termine: VERGOGNA!
*     *     *
... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

sabato 30 settembre 2017

ARTIGIANATO E COMMERCIO A SAN FILI: U siricu (il baco da seta).



Nella foto a sinistra (ripresa dall’archivio Francesco Ciccio Cirillo): San Fili 1930 – Filannola alle Coste. Nella stessa compaiono mastro Giuseppe Sangermano ed i suoi discepoli.

*     *     *

Ricordo, con questo scritto dell’amico Luigi “Gigino” Iantorno pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di Aprile 2017, una bellissima pagina di ricordi (spunti per una ricerca)... della nostra stupenda amata/odiata Comunità: l’allevamento del baco da seta.

*     *     *

A San Fili fino a qualche decennio addietro, ovvero agli anni precedenti il 1970, alcune famiglie si dedicavano all’allevamento de “u siricu” ovvero del baco da seta.

Io, da bambino, a volte seguivo mia madre, anche lei impiegata in tale occupazione, nei punti in cui si allevavano i bachi da seta e si procedeva alle varie fasi relative all’estrazione dai bossoli della preziosa fibra.

Uno dei punti in cui si produceva la seta a San Fili si trovava nella zona della “Gghiazza” (rione Spirito Santo) ed il tutto si svolgeva in un magazzino di proprietà della famiglia Lio. Tale laboratorio fu in un secondo tempo trasferito in “via rampa” dove si trovava l’abitazione di tale famiglia. Nasceva in tale zona la famosa ditta della famiglia Lio con i fratelli Giuseppe e Francesco.

Ricordo che, in quel magazzino, c’erano delle “cannizzole” (ripiani realizzati con intrecci di canne opportunamente tagliate, spaccate ed intrecciate). Su tali “cannizzole” venivano disposte una moltitudine di tenere foglie di gelso bianco (dette comunemente pampine quando attaccate al ramoscello). I bachi da seta erano ghiottissimi di tali foglie.

Sulle foglie si aggiravano indisturbati ed intenti a rimpinzarsi a più non posso degli strani vermi tozzi e color cenere. I bachi da seta, appunto.

Mia madre mi diceva che per ottenere tali animaletti era necessario versare sulle foglie il relativo seme (ovvero uova che dischiudendosi avrebbero poi dato vita ai bachi).

Dopo qualche giorno dal momento in cui si erano dischiuse le uova ed i bachi avevano iniziato a prendere una giusta consistenza si procedeva a cambiare loro il cibo sostituendo le foglie del gelso bianco con foglie di gelso nero (piante di cui a quei tempi era ricco il nostro territorio). Le foglie (pampine) del gelso nero sembra fossero più ricche di sostanze nutritive.

Piano piano per i bachi si avvicinava il tempo di procedere alla metamorfosi che li avrebbe tramutati in farfalle. Metamorfosi che nel caso dei bachi da seta, ovviamente, si sarebbe verificata in pochissimi casi... visto che la quasi totalità degli stessi non sarebbe mai uscita fuori viva dal loro bozzolo.

Sulle “cannizzole” venivano, a mano a mano che si avvicinava il tempo della metamorfosi, anche posti dei rami ancora con le foglie attaccate. Era su tali ramoscelli cui si attaccavano i bachi che gli stessi, grazie alla “filatura bavale”, realizzavano un bozzolo nel quale, con infinita pazienza e sicuramente enorme lavoro, si chiudevano all’interno.

La maggioranza di tali bachi, dicevamo, non si tramutavano in farfalla poiché la lavorazione della seta imponeva che i bozzoli stessi subissero una fase di bollizione che ne uccideva gli ospiti garantendo comunque la integrità del bozzolo e quindi della preziosa materia tessile.

I bozzoli così ottenuti venivano poi commercializzati in varie parti dell’Italia dove, in appositi stabilimenti, si procedeva alla dipanatura degli stessi e quindi alla realizzazione dei filati ormai pronti per la fase della tessitura.

Luigi Iantorno.

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

sabato 23 settembre 2017

C'ERA UNA VOLTA SAN FILI: Le more di rovo (l'amureddr'e spine) - Articolo di Luigi Gigino Iantorno.



Foto a sinistra: le stupende e saporite amureddre (more) di spine (rovo). Prelibatezza regalataci dalla natura di cui San Fili è ricchissima nei mesi di verso la fine della stagione estiva.

Foto by Pietro Perri - Articolo by Luigi Gigino Iantorno.

*     *     *

Con questo ricordo, messo nero su bianco dall’amico Luigi “Gigino” Iantorno (pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre 2017), riporto alla mente una bellissima pagina di ricordi... anche e soprattutto della mia infanzia: le “amureddr’e spine”.

*     *     *

Mi ricordo quando, da ragazzino, nel periodo ricadente tra la seconda metà di agosto e la prima metà di settembre andavo all’incetta di alcuni particolari gustosissimi frutti che ci elargiva in modo spontaneo la natura circostante: le more di rovo o (come chiamavamo all’epoca tale pianta) di spine.

Il rovo è una pianta particolarmente fastidiosa proprio perché presenta lungo i suoi filamenti tutta una serie costante di spine che lasciano ben poco a sperare in quanti ci si imbattono. Una quantomeno piccola puntura è infatti comunque assicurata.
Le more di rovo sono frutti selvatici commestibili e di buona qualità.

Da ragazzino, dicevo, come tutti i miei coetanei ne ero alquanto goloso e quindi ne mangiavo tantissime. Con i miei compagni d’avventura in ogni caso ne raccoglievamo tantissime e dopo averne mangiato buona parte, ci divertivamo ad infilare il resto in alcuni fili d’erba appositamente selezionati per tale scopo.

Si dava così vita al cosiddetto filaru (appunto il filo d’erba in cui erano infilate una dietro l’altra le more raccolte).
Inutile dire che tra noi ragazzini si faceva a gara a chi avvistasse il rovo più carico di more... ovviamente giunte a giusta maturazione e più grandi delle altre.

Era questo un frutto senza padrone e quindi serviva anche a placare i desideri, in alcuni casi una vera e propria necessità alternativa, della povera gente.
Spesso i filari venivano portati a casa e messi a disposizione degli altri componenti il nucleo familiare.

Inutile ribadire che molti erano i graffi che si accumulavano sulla propria pelle nel cercare di raccogliere dai rovi più more possibili ed a volte qualcuno di noi ci rimetteva (a causa di vari strappi) anche le camicie, le maglie o i pantaloni. Il che poteva significare non ottenere dai genitori i complimenti per il lavoro fatto ma un bel ceffone per il danno causato ai vestiti.

Le more dei rovi (o di spine) oggi sono alquanto ricercate anche per la realizzazione di ottimi dolci, di saporite bevande e di gustosi gelati.
Stranamente le stesse sembra non siano più ricercate dai ragazzini di oggi.
Ma i tempi passano e forse è anche meglio così.

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
*/pace ma... “si vis pacem para bellum”!


lunedì 28 agosto 2017

Quando il legno sanfilese era ricercatissimo per le pipe da fumo.

Sulla sinistra: Pipe ricavate da radice di erica arborea.

Foto ripresa dal web.

*     *     *

San Fili malgrado abbia un territorio limitatissimo ha saputo imporsi nei secoli passati in più campi sia della cultura che dell’economia. Ed ogni tanto di qualità che hanno caratterizzato la nostra cittadina (il nostro stupendo amato/odiato borgo) e la nostra Comunità ne scopriamo (o quantomeno ne riscopriamo) una nuova.

Questa volta, ad esempio, grazie anche ad un articolo scritto dall’amico e compaesano Luigi “Gigino” Iantorno (e con una mia piccola successiva aggiunta) ci immergiamo nel campo del... fumo.

L’articolo e l’aggiunta, che riporto di seguito, sono stati pubblicati sul Notiziario Sanfilese del mese di Agosto 2017.

Buona lettura.

*     *     *

Quando il legno sanfilese era ricercatissimo per le pipe da fumo.

Di Luigi “Gigino” Iantorno.

Finora non credo che qualcuno ne abbia mai parlato o scritto ma tra le tante cose che in altri tempi rendevano famoso il territorio sanfilese c’era - e c’è ancora anche se non è più ricercata - una particolare pianta le cui radici fornivano un prezioso materiale per realizzare le pipe da fumo.

Parlo dell’ilica (erica arborea) ovvero di un arbusto sempreverde, dalla corteccia rossastra, a portamento eretto, appartenente alla famiglia delle Ericaceae. Questa pianta la troviamo crescere in modo spontaneo in più punti del territorio sanfilese, in particolare a ridosso, spesso come semplice sottobosco, dei castagneti presenti nella zona chiamata i Cozzi.

Quando ero giovane mi capitava spesso di seguire mio padre in campagna.

Ci fu un tempo, a ridosso degli anni Settanta, in cui mio padre lavorava un pezzo di terra in una zona, sempre nel territorio di San Fili, chiamata “i carusi”. Tale zona si trova nelle vicinanze della statale 107 all’altezza di contrada Profico.

In una di queste occasioni mi capitò di osservare delle persone che non avevo mai visto prima. Erano scesi da un grosso mezzo di trasporto e portavano con sé, per quella zona, una combinazione di strani attrezzi da lavoro: accette, pichi e sacchi di canapa.

Costeggiando la proprietà che lavorava mio padre si erano diretti, come seppi dagli stessi nel momento in cui gli chiesi il motivo della loro presenza in una zona vicina conosciuta come “i martini” (n.d.r.: nelle vicinanze della Casa di cura Villa Igea).

In tale zona, mi dissero inoltre, c’erano diverse piante di ilica. Piante che per loro rappresentavano un vero e proprio tesoro.

Inutile dire che dalle nostre parti tale pianta era, ed è ancora considerata, una pianta a dir poco inutile se non fastidiosa ed infestante o utile al massimo per realizzare, con i fini ramoscelli, delle rustiche scope da dare in uso agli spazzini del paese.

Arrivati nel punto per loro di maggiore interesse, quei signori venuti da chissà dove iniziarono a farsi spazio tra i cespugli di ilica tagliando con le accette i rami delle stesse mettendoli in modo frettoloso da parte. Dopotutto non erano i rami di tali piante nel loro interesse ma... le radici che iniziarono nel men che non si dica ad estirpare con grosse botte di piccone.

Dalle radici delle iliche, appunto per loro materiale preziosissimo, mi dissero infatti che avrebbero ricavato delle pipe da fumo ricercatissime sul mercato internazionale. Tale legno era considerato, per oggetti del genere, decisamente pregiato.

Quel giorno riuscirono a riempire più sacchi con le succitate radici. La giornata, almeno per loro, era stata alquanto fruttuosa.

*     *     *

Sulla sinistra: Ramoscello di erica arborea ripreso di stampe d'epoca.

Foto dal web.

*     *     *

Alla fine, quando ci salutammo, dopo avermi spiegato l’uso che avrebbero fatto di quelle radici, mi svelarono anche che venivano dalla Campania e che consideravano le radici di ilica presenti sul territorio sanfilese migliori di uguali materiali che andavano raccogliendo in altre zone del cosentino in particolare e della Calabria in generale. Tutto ciò forse, mi dissero, era dovuto all’esposizione soleggiata del nostro territorio.

Fatto sta che la radice delle piante di ilica che si trova a San Fili sembra sia particolarmente tenera e quindi facile da lavorare ma che quando, lavorata, si lascia opportunamente essiccare diventa decisamente resistente e quindi permette la realizzazione di pipe da fumo decisamente uniche nel suo genere.

Quindi valeva la pena, per i nostri amici della Campania, fare tanti chilometri per venire a respirare un po’ di aria buona a San Fili.

Oggi certo i fumatori di pipa sono diminuiti e le pipe vengono realizzate con tanti altri materiali ma sicuramente non sono belle come quelle che in altri tempi venivano realizzate con la radice di ilica sanfilese. E chissà che un domani, magari qualcuno dei nostri figli o dei nostri nipoti, non decida di riprendere questa attività, ovvero l’estrazione e la lavorazione della “erica arborea” anche solo al fine di realizzare oggetti da utilizzare come semplici soprammobili, portachiavi, fermacarte e via dicendo.

*     *     *

E non solo terra di pipe.

Di Pietro Perri.

San Fili, come ci ha ricordato l’amico e compaesano Luigi “Gigino” Iantorno nel suo articolo “Quando il legno sanfilese era ricercatissimo per le pipe da fumo” è strettamente collegato alla storia del consumo del tabacco in Italia.

Dopotutto l’erica arborea (ilica) è una pianta decisamente presente sul nostro territorio. In particolare nella zona dei Cozzi.

Eppure il borgo di San Fili in altri tempi, ed in particolare quando nel Sud d’Italia governavano i Borbone di Napoli, era famoso anche per la coltivazione del tabacco.

Non è difficile infatti trovare scritto in diversi libri e/o pagine internet che parlano del nostro comune che “per molto tempo a San Fili fu fiorente la produzione di un’ottima qualità di tabacco, il Brasile. Tale era commercializzata in varie regioni del Meridione d’Italia”.

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

lunedì 14 agosto 2017

Ne abbiamo discusso su Facebook: emergenza idrica a San Fili.

Marietta ‘e Cicculiddru prende
acqua alla fontana di piazza san 
Giovanni a San Fili (anno 1961 - 
Foto raccolta Ciccio Cirillo).

Ormai anche per San Fili ed i Sanfilesi la vera agorà (ovvero la piazza principale o il luogo preposto alla discussione dei problemi della comunità) non è più piazza san Giovanni, corso XX Settembre, il Teatro Comunale, i locali dell’ex Circolo di cultura E. Granata (attuale sala convegni della Biblioteca G. Iusi) o le preistoriche da anni ormai inesistenti sezioni partitiche ma è diventato il social network per eccellenza: Facebook.
Su Facebook incontri ormai Sanfilesi di ogni età; dai dieci (forse qualcuno anche più giovane) ai novanta anni. Inutile appunto cercare Sanfilesi nei più consoni punti in cui nel passato si discuteva animosamente ed alla fine, se si era oltrepassati i normali limiti del vivere civile, grazie all’intercessione di qualche compaesano più intelligente presente alla disputa, ci si stringeva anche la mano.
Su Facebook il nemico è nemico e spesso lo è e lo resterà anche nel mondo reale... o cesserà di essere nemico nel momento stesso in cui abbiamo spento il personal computer, il tablet o lo smartphone (ossia quando ci siamo disconnessi dalla linea e quindi dal social network).
Su Facebook si parla (Ci si confronta? ... anche!) del più e del meno: di cosa si è mangiato a mezzogiorno, di quante volte si è andati il giorno prima al bagno (qualcuno come prova ne pubblica anche le foto) e persino di problemi importanti che interessano appunto la comunità di cui si fa parte e quindi le persone con le quali, nel mondo reale, si interagisce.
Un esempio? ... il dramma degli incendi che hanno colpito in questi ultimi giorni il nostro territorio (cosa di cui ho parlato nel Notiziario Sanfilese del mese scorso) o, come avvenuto in questi ultimi giorni, della crisi idrica con cui dovrà sempre più fare i conti l’intera popolazione sanfilese. Perché, che ci si creda o no, anche se per motivazioni diverse... la crisi idrica non è solo un problema della città di Roma e quindi della giunta guidata da Virginia Raggi ma anche del borgo di San Fili e della giunta guidata dal sindaco Antonio Argentino. Ovviamente nell’uno e nell’altro caso parliamo di oggi e quindi dei rispettivi sindaci in carica. Per quanto riguarda il futuro sarà un problema di chi ci sarà... ma sempre e comunque dei romani e dei sanfilesi.
Ok, lo so che è difficile ammetterlo ma più si va avanti e più diventa tragico constatare che San Fili è sempre meno il San Fili degli anni Cinquanta/Sessanta del secolo scorso. San Fili infatti è sempre meno il paese dell’acqua, dell’aria buona e di tutto il resto.
San Fili, credeteci, è sempre meno... San Fili.
Della crisi idrica che ha colpito in questi ultimi tempi San Fili, dicevo, ne abbiamo parlato anche su Facebook. Ed eravamo in tanti a parlarne: giovani e meno giovani.
Cercandone i motivi e provando a individuarne qualche soluzione.
Alla discussione erano assenti, come al solito, solo i nostri (reali) amministratori locali.
Chissà se parlandone con loro, con largo anticipo e nei luoghi opportuni, possiamo evitare di subire anche nell’estate 2018 una ennesima crisi idrica... tutta paesana.
*     *     *
... un cordiale affettuoso abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

lunedì 24 luglio 2017

San Fili brucia - Il criminale (la bestia?) colpisce ancora.

In questa foto si vede il fumo che
nasconde completamente la frazione 
Bucita. 
(Articolo apparso sul Notiziario Sanfilese del mese di luglio 2017. Ovviamente a firma di Pietro Perri).
*     *     *
Il 12 luglio scorso una vasta area di castagneto al di sopra del centro abitato della frazione Bucita di San Fili è stata colpita e semidistrutta da un tremendo incendio.
Un incendio come se n’erano visti ben pochi, nell’ultimo mezzo secolo, colpire in modo così devastante il territorio sanfilese.
Un disastro senza precedenti: diverse decine di ettari di bosco sono stati letteralmente distrutti. E con le piante anche la fauna che trovava in esse confortante rifugio.
Un gravissimo danno, questo, sia per la nostra salute che per la già magra economia della nostra Comunità. E’ giusto ricordare, infatti, che dal taglio dei boschi presenti sul territorio sanfilese ed in quello dei Comuni attigui dipende la sopravvivenza di diverse imprese boschive della zona e quindi di tantissime famiglie di nostri concittadini.
Senza entrare in merito, considerando le piccole discariche abusive presenti sul nostro territorio, tra l’altro a cosa è potuto bruciare assieme agli alberi ed alla fauna: lastre di eternit, copertoni d’auto, plastica varie e chi più ne ha più ne metta
Perché, è giusto ricordarcelo di tanto in tanto, i boschi intorno a San Fili sono anche una pericolosa bomba chimica per la nostra già precaria salute che non aspetta altro che essere innescata.
E, crediamoci, non si tratta né di autocombustione (ovvero un incendio che ha preso vita senza l’intervento di mano umana) né di un incendio scaturito dalla stupidità di qualche avventuriero senza senso della natura circostante (esempio qualcuno che ha gettato una cicca ancora accesa per terra o ha lasciato acceso - malamente spento - qualche focherello che aveva usato per farsi una piccola grigliata all’aperto).
Si tratta invece, ne sono strasicuro, di un vero e proprio criminale che, magari per fare dispetto a qualcuno (... un parente di cui non è piaciuta una divisione ereditaria? ... un vicino di casa particolarmente antipatico? ... un venditore o acquirente di una partita di alberi da taglio acquistata dall’impresa boschiva sbagliata o venduta all’impresa boschiva sbagliata? ... motivi, nessuno umanamente giustificabile visto il danno creato all’intera Comunità Sanfilese e forse involontariamente anche a se stesso, ce ne sono a iosa), ha dato inizio al tutto accendendo il fuoco che magari avrebbe dovuto colpire un’area limitata ed invece si è propagato in modo tale da bruciare mezza montagna ed arrivando a mettere a rischio persino il centro abitato della frazione Bucita.
Alcune case a ridosso della “fontana di Panicò” infatti hanno rischiato di essere toccate dalle fiamme.
Si tratta, ripeto, di un vero e proprio criminale - decisamente stupido oltre che criminale - e si tratta quasi certamente della stessa persona che ha dato vita a diversi incendi che hanno interessato tale zona negli ultimi quindici anni. Diversamente non si comprende come mai gli incendi sulla frazione Bucita partono quasi tutti dallo stesso punto.
Combinazione? ... può anche darsi. Ma forse è venuto il momento di iniziare a studiare iniziative per dire una volta per tutte: BASTA! ... SIAMO STUFI DI TANTA STUPIDITA’.
*     *     *
… un caro abbraccio a tutti dal vostro sempre affezionato Pietro Perri.
… /pace!