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giovedì 19 giugno 2014

Vespe cinesi e vespe italiane: le seconde a San Fili le amavamo già. (3)

Un’immagine proiettata su un pezzo di muro alle spalle (non ricordo più se alla sinistra) della dottoressa Vincenzina Scalzo nel corso di quel convegno e nel corso del suo stupendo intervento, dicevo, mi riportò magicamente alla mia infanzia ed ad un altrettanto stupendo “dejà vu”: quella pallina l’ho già vista... e forse ne conosco anche il sapore. Quello che non sapevo è che tale pallina fosse un simbolo di nuova (non so quanto disastrosa) vita e di tant’altro.
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Siamo agli inizi degli anni Settanta del XX secolo e mio padre, Salvatore, dopo aver lasciato la terra in contrada Volette di proprietà dell’ingegnere Giuseppe Blasi (mio compare di battesimo) che conduceva con un rapporto tra il colonico e la mezzadria, aveva iniziato a coltivare una proprietà dell’insegnante Raffaele Perri proprio al di sotto della terra del primo.
Noi non si abitava più in contrada Volette ma si era, dalla fine degli anni Sessanta, passati a vivere nel centro abitato di San Fili... in via Rinacchio al n. 20, nella casa che fu di mio nonno Francesco e che lo stesso acquistò, forse grazie a quanto aveva guadagnato in uno dei suoi vari viaggi nelle lontane Americhe, agli inizi del secolo. Nel 1905.
Fu nel periodo che mio padre coltivava la terra dell’insegnante Raffaele Perri (tra l’altro nostro mezzo parente... cugino in terza se non erro) che ci fu proposto di raccogliere una partita di castagne di proprietà della signora ‘Ntonett’e Castellanu. Tale partita di castagne si trovava sui Cozzi, lato Profico, poco al di sopra della zona denominata Frajjapicu (“Fra Jacopo”?). Una zona, questa, che in parte ed in altri tempi apparteneva alla mia famiglia. Quindi? ... giocavamo in casa.
A tale partita di castagne si poteva arrivare almeno in due modi Il primo consisteva nell’imboccare, da piazza Rinacchio, la discesa de  u Canalicchiu e proseguendo verso contrada Profico fino ad un caseggiato in rovina denominato ‘a turr’e Cucunatu. Da tale caseggiato si prendeva un soprastante sentiero che, in parte costeggiando la nuova statale 107, ci portava dritti dritti, curve permettendo, finalmente alla succitata zona di Frajjapicu. Da tale punto risalendo una cinquantina di metri eccoci d’incanto giunti all’agognata meta.
Il secondo modo per giungere alle castagne di ‘Ntonett’e Castellanu? ... lo si aveva imboccando, poco oltre piazza Rinacchio ed in direzione bivio Cosenza, la strada che da u Culumbrieddru ci avrebbe condotti nell’accogliente - dispensatore di tesori naturali (funghi, castagne e via dicendo) - materno cuore dei Cozzi.
Da “u chjian’e Miliddru” era poi facile ritrovarci sempre e comunque alla succitata partita di castagne che aspettava, ormai, solo noi per essere raccolta. Tre castagne per riccio? ... la prima al proprietario, la seconda al lavoratore e la terza agli animali che all’epoca quasi tutti allevavano non solo nelle campagne circostanti il centro abitato (all’epoca erano ancora tanti i “catuoji” presenti a San Fili) ma nel centro abitato stesso: i maiali.
La castagna del padrone e quella del lavoratore (ossia la prima scelta) finivano quasi regolarmente per essere vendute ai punti di raccolta istituiti nel paese. Alcuni commercianti del luogo li avrebbero poi opportunamente preparate per lo smercio a livello nazionale.
Le castagne di San Fili e delle zone collegate all’epoca erano ricercatissime ed erano un ottimo volano per l’economia di tantissime nostre famiglie. Purtroppo si è deciso di chiudere stupidamente quel particolare commercio mirando, tramite il taglio criminale dei nostri stupendi castagneti, ad un facile sempre più fatuo guadagno.
Un guadagno a lungo andare per pochi e soprattutto a danno dell’intera comunità.
A me non piaceva andare a raccogliere le castagne... malgrado adoravo stare nella terra a contatto con la natura circostante. Gli alberi delle castagne non li sentivo, e continuo a non sentirli, miei... e non perché non appartenessero alla mia famiglia. Con gli alberi delle castagne infatti non c’è quel particolare costante rapporto che si può avere con una albero qualsiasi di frutto (esempio un melo o un arancio che si ha nel proprio giardino o nel proprio appezzamento di terra) o di una seppur stagionale pianticina dell’orto. Queste ultime piante infatti li si vede nascere, svilupparsi, vivere costantemente sotto i nostri occhi la loro seppur breve - quando non si tratta di piante a vita pluriennale - stagione. I castagni sono lontani, per noi del centro abitato o delle campagne circostanti San Fili: sono lontani dalla nostra quotidianità e fanno capolino nella stessa solo nel periodo della raccolta del loro prelibato frutto. O quando andiamo alla ricerca del parassita per eccellenza del sottobosco sanfilese: u siddru.
A me? ... non piaceva raccogliere castagne, ma ci andavo lo stesso. Ero un fanciullo di pensiero ed avevo costante necessità di nuovi input. Quindi perdere inutilmente diversi minuti stando fermo in un solo punto, chinato a subire solo il lento trascorrere del tempo era per me una vera e propria condanna.
Non so se mia madre se ne accorgesse e forse se ne accorgeva se, di botto, mi diceva di prendere un panaro o una busta e, senza però allontanarmi troppo dalla zona, andassi in alcuni cespugli soprastanti la partita di castagne che stavamo raccogliendo per vedere se trovavo qualche fungo. Quella, volente o nolente, era comunque una apprezzabile zona di funghi.
Stando ovviamente molto attento: non solo fughi si potevano trovare sotto le foglie dei castagni. Le serpi, decisamente velenose nella zona, erano sempre in agguato.
(continua).
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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace!

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