Un’immagine proiettata su un pezzo di muro alle spalle
(non ricordo più se alla sinistra) della dottoressa Vincenzina Scalzo nel corso
di quel convegno e nel corso del suo stupendo intervento, dicevo, mi riportò
magicamente alla mia infanzia ed ad un altrettanto stupendo “dejà vu”: quella
pallina l’ho già vista... e forse ne conosco anche il sapore. Quello che non
sapevo è che tale pallina fosse un simbolo di nuova (non so quanto disastrosa)
vita e di tant’altro.
* * *
Avevo nove o al massimo dieci
anni quando, in compagnia dei miei genitori, di qualche mio compagno
d’avventura o di giochi (e a volte anche in compagnia da solo), mi recavo nella
zona da tutti conosciuta a San Fili come “i Cozzi” in cerca di funghi o per
raccogliere qualche castagna da portare a casa o da vendere ai commercianti
locali. Dal canto loro - i commercianti locali - tramite l’ottimo scalo merci
della stazione ferroviaria, le castagne le avrebbero fatte giungere nelle parti
più disparate dell’Italia.
La castagna di San Fili (e
dintorni, ovviamente), negli anni precedenti gli anni Ottanta del XX secolo,
era apprezzatissima ovunque. E noi sanfilesi eravamo dei maestri nella varie
fasi necessarie a garantirne la conservazione e la prima parte della
commercializzazione della stessa. Diversi erano gli stabilimenti, all’interno
del territorio di San Fili, adibiti alla trattazione, in apposite vasche (cibbie), di tale delizioso prodotto.
Le castagne di San Fili
garantivano, per tre o quattro mesi all’anno, lavoro e quindi un pezzo di pane
a tanti nostri concittadini in buona parte da tempo passati a miglior vita.
Dopotutto tale settore non prevedeva solo la raccolta e la semplice “trattazione”
e commercializzazione del prezioso frutto ma tutta una serie di interventi sui
terreni adibiti castagneti da frutto. Non ultima quella della pulizia del
sottobosco che di per sé - a San Fili - finiva per diventare una vera e propria
“risorsa economica aggiuntiva”.
Tale discorso, che andrebbe opportunamente sviluppato, comunque esula dal
discorso base di questo articolo sulle “vespe cinesi e vespe italiane”.
Ritorniamo quindi alla fine degli anni Sessanta del XX secolo... se non agli inizi degli anni Settanta.
Ritorniamo quindi alla fine degli anni Sessanta del XX secolo... se non agli inizi degli anni Settanta.
Io, all’epoca, ero uno dei
tanti re dei Cozzi: li conoscevo come le mie tasche (quasi sempre bucate o
rattoppate alla meglio in quei tempi) e come nelle mie tasche con le nude mani mi
aprivo varchi tra cespugli e trappole naturali d’ogni genere.
La paura? … ero troppo
giovane per sapere cosa fosse. E se un po’ di paura l’avevo quella era del
silenzio che in determinati momenti mi catturava (quindi di me stesso) o del
fatto che da un momento all’altro poteva comparirmi davanti la terribile strega
dei Cozzi che m’avrebbe fatto prigioniero e quindi non avrei fatto mai più
ritorno a casa.
A proposito: ma esiste anche
la terribile strega dei Cozzi o questa me la sono inventata di sana pianta
grazie alla mia sempre più bacata fantasia?
A dire il vero dei Cozzi
qualcosa mi sfuggiva (quindi “re, si!” ma solo in parte): era la zona conosciuta
come “e timpe russe”.
Lì, sicuramente, i re erano
altri.
Era quella una zona alquanto
pericolosa, quella delle “timpe russe”
per la notevole presenza di dirupi e quindi quasi un tabù per noi ragazzini. E
poi in quella zona, almeno in quei tempi, si trovavano ben pochi funghi ed
anche di pessima qualità (ferruni,
lattarachi, pochissimi porcini, qualche gaddrinazzu
e via dicendo) e quasi per niente alberi di castagno. Quindi, a che serviva
esserne il re?
Era sicuramente un mese di
ottobre dei primi anni Settanta quando i miei genitori, assieme alla famiglia
dell’insegnante Raffaele Perri (parente del mio nucleo familiare), avevano
accettato di raccogliere un partita (... si dice così?) di castagne
appartenenti alla famiglia dei Castellano (... Miliuzza?). Tale partita si
trovava un po’ più avanti, nella parte inferiore, de “u chjian’e Miliddru”. Le castagne de “u chjian’e Miliddru” all’epoca li raccoglieva mia zia Pasqualina
Schettino, moglie del postino del paese Amedeo Perri (fratello di mio padre).
(continua).
* * *
... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro
affezionato Pietro Perri.
... /pace!
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