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giovedì 1 novembre 2012

Bertoldo, Bertoldino e... senza senno.

Ho appena finito di leggere il libricino "Le sottilissime astutie di Bertoldo" (scritto da Giulio Cesare Croce e pubblicato nell'ormai lontano 1620). Cercavo alcuni celebri (eterni) motti del protagonista e mi sono imbattuto, quasi senza volerlo, nel suo epitaffio: "In questa tomba tenebrosa e oscura, / Giace un villan di sì deforme aspetto, / Che più d'orso che d'uomo avea figura, / Ma di tant'alto e nobil'intelletto, / Che stupir fece il Mondo e la Natura. / Mentr'egli visse, fu Bertoldo detto, / Fu grato al Re, morì con aspri duoli / Per non poter mangiar rape e fagiuoli”, quanta stupenda filosofia di vita in questi versi: ci ammazziamo per il nulla e solo alla fine (quando ormai siamo con un piede nell’aldilà) ci rendiamo conto che l’unica cosa per cui valga la pena vivere in questo mondo altro non è che… un bel piatto di “rape e fagiuoli”.
… da rileggere.
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… un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
… /pace!

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