Ho appena finito di leggere il
libricino "Le sottilissime astutie
di Bertoldo" (scritto da Giulio Cesare Croce e pubblicato nell'ormai
lontano 1620). Cercavo alcuni celebri (eterni) motti del protagonista e mi sono
imbattuto, quasi senza volerlo, nel suo epitaffio: "In questa tomba tenebrosa e
oscura, / Giace un villan di sì deforme aspetto, / Che più d'orso che d'uomo
avea figura, / Ma di tant'alto e nobil'intelletto, / Che stupir fece il Mondo e
la Natura. / Mentr'egli visse, fu Bertoldo detto, / Fu grato al Re, morì con
aspri duoli / Per non poter mangiar rape e fagiuoli”, quanta stupenda
filosofia di vita in questi versi: ci ammazziamo per il nulla e solo alla fine
(quando ormai siamo con un piede nell’aldilà) ci rendiamo conto che l’unica
cosa per cui valga la pena vivere in questo mondo altro non è che… un bel
piatto di “rape e fagiuoli”.
… da rileggere.
* * *
… un caro abbraccio a tutti
dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
… /pace!
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