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mercoledì 1 dicembre 2010

C'era na vota 'a staffila... maestra di vita.

Se cerchiamo su internet (ma anche sui dizionari cartacei classici) il significato della parola “staffila” abbiamo grosse difficoltà ad imbatterci nel significato che davamo noi studenti delle Scuole Elementari Sanfilesi e coloro che insegnavano in tali Scuole fino alla metà degli anni Settanta, ossia fino a circa il 1975.
Oggi “staffilata” (un derivato della "staffila") può essere persino un tiro di pallone molto forte verso la porta o una critica pungente o persino una censura senza possibilità di contestazione… ovvero, in senso figurato, un colpo di staffile (sostantivo maschile).
Lo staffile (sostantivo maschile) non è altro che una “frusta formata da una lunga e robusta striscia di cuoio assicurata ad un manico” mentre la staffila (sostantivo femminile) pur facendo comunque un male terribile e pur ottenendo all’incirca il medesimo risultato (punire un sottoposto)… era tutt’altra cosa.
La staffila era uno degli strumenti di “correzione” (guida?) utilizzato da quanti insegnavano nelle Scuole Elementari di San Fili appunto fino a circa il 1975, ovvero fino al momento in cui la rivoluzione culturale del 1968 non ha rivoluzionato il modo d’intendere la Scuola ed il sistema pedagogico (pedagogia = guidare il bambino) in essa applicato.
La staffila non era uno staffile (ossia un manico cui era assicurata una striscia di cuoio, una… frusta) e non essendo uno staffile poteva essere formato da materiali di diversa natura ma pur sempre di materiali unici. La staffila aveva una misura variabile come variabile era il materiale con cui poteva essere realizzata: era lunga dai sessanta centimetri ad un metro. Poteva essere ricavata da una canna comune (arundo donax, ovviamente ripulita dalle foglie), da una lista di legno o da una verga di castagno.
In tutti i casi l’uso (il fine) era unico: realizzare un collegamento tutt’altro che amichevole tra la mano dell’insegnante (del “signor maestro”) con la mano dell’alunno. Un collegamento, appunto, semplicemente correttivo. Ovviamente in tale collegamento chi ci rimetteva (in quando doveva dare un cambio di percorso alla propria vita senza senso e senza via d’uscita) era sempre e comunque la mano dell’alunno.
L’alunno era obbligato a tenere il braccio dritto con la mano a pugno aperto e ad attendere, tutt’altro che in modo piacevole, che la staffila debitamente tenuta dall’insegnante, librandosi nell’aria finisse a colpire violentemente il palmo della mano del malcapitato.
Di staffilate, quando frequentato le Scuole Elementari di San Fili (1968/1972), ne ho assaggiato tantissime anch’io ma ciò che oggi ricordo e rimpiango non sono certo le carezzevoli (?) staffilate elargitemi (a volte anche in modo del tutto gratuito) dalla mia insegnante “signora maestra” Maria Ruffolo ma ciò che lei mi ha insegnato con esempi teorici e col proprio esempio di vita: mi ha insegnato l’italiano, mi ha insegnato a leggere ed a scrivere e considerando come s’incavolano spesso e volentieri alcuni miei lettori… credo l’abbia fatto decisamente bene.
Di questo all’insegnante “signora maestra” Maria Ruffolo gliene sarò sempre grato.
La staffila veniva usata per “correggere” un atto di maleducazione o ineducazione, veniva utilizzata per punire un errore di grammatica o di ortografia (a secondo se gli errori erano segnalati in rosso o in blu ovviamente cambiava il numero di staffilate da ricevere… in premio per il proprio impegno di attenzione e di studio) nonché il fatto che magari non si erano fatti i compiti per casa o semplicemente si era dimenticato a  casa un libro o un quaderno.
Tutti, nessuno escluso (o quasi) noi alunni eravamo soggetti alla tortura, a volte più psicologica che dolorosa, della staffila.
Ciò che ancora ricordo con terrore, infatti, non era il dolore del… dopo staffilata (ossia del momento in cui la staffila aveva ormai colpito il palmo della mia mano), bensì l’attesa che intercorreva tra l’alzata della staffila ed il suo scontrarsi violento con la tenera carne della mia mano.
… nell’atto dello staffilare a volte, penso… e penso pure male, c’era un non so che di volontà da parte dell’insegnante “signor maestro” di umiliare l’alunno, specie se l’alunno usciva da famiglie meno abbienti o da cui si sapeva si sarebbe avuta l’approvazione dei familiari.
… ripensando a quei giorni, ai giorni delle staffilate, riesco anche a capire Sakineh Mohammadi Ashtiani (almeno per quanto riguarda il discorso della fustigazione).
C’erano mille buone scuse, per un insegnante “signor maestro” per utilizzare la staffila. Era, dopotutto, anche quella una forma di pedagogia tra l’altro approvata dal novanta e più per cento dei nostri genitori di allora... non potevano fare altro: mettersi contro un insegnante “signor maestro” (una vera casta) significava far giocare ai propri figli anche il semplice diritto di concludere il primo ciclo di studi, quello delle Scuole Elementari.
A nulla, infatti, serviva lamentarci, rientrati a casa, d’aver preso qualche staffilata nel corso della mattina. A qualcuno di noi poteva capitare anche di buscare il resto (ovviamente con schiaffi e similari) dai nostri genitori… altri tempi.
E com’era brutto buscare una staffilata senza capire il motivo della stessa e magari con il signor maestro che si accorgeva troppo tardi d’averti dato una staffilata in più e si scusava dicendo: “... non preoccuparti, alla prossima occasione te ne darò una in meno”.
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... continua? ... credo di si!
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... un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace!

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