A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

Eventuali commenti a post di questo blog non verranno pubblicati sia se offensivi per l'opinione pubblica e sia se non sottoscritti dai relativi autori. Se non avete il coraggio di firmarvi e quindi di rendervi civilmente rintracciabili... siete pregati di tesorizzare il vostro prezioso tempo in modo più intelligente (se vi sforzate un pochino magari per sbaglio ci riuscirete pure).
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Ricordo ad ogni buon file l'indirizzo di posta elettronica legata a questo sito/blog: pietroperri@alice.it

mercoledì 30 ottobre 2024

ATENA/MEDUSA by PIETRO PERRI.

Immagine a sinistra (ripresa dal web): scudo con testa di Medusa opera del grande Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. 

Di seguito riporto due post pubblicati dallo scrivente sul social network Facebook. Tali post parlano del mito di Medusa e della dea Atena in una mia libera interpretazione collegata tra l'altro ad uno dei tanti drammi cui la donna è da sempre succube: la violenza. 


ANCHE NEL MITO DI MEDUSA È LA DONNA STESSA LA PEGGIOR NEMICA DELLA DONNA.

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Il mito di Medusa ricalca in pieno il dramma delle donne che subiscono violenza.

Medusa, infatti, sacerdotessa "prediletta" (?) del tempio della dea Atena viene violentata dal Poseidone, dio del mare.

E chi dovrebbe prendere la sue parti nella brutta storia, la dea Atena in persona (o in divinità che dir di voglia), è la prima a condannarla e scacciarla dal suo tempio e dalla sua luce.

Medusa, dopotutto, è solo una donna, seppur bellissima, di misera estrazione sociale.

Atena, donna, è la prima a giudicare ed a condannare una donna, Medusa, forse perché colpevole di essere bella e casta... da invidiare.

Le donne, in questo mito, non fanno squadra... così come le donne del mondo reale. 

Ed è proprio per questo, purtroppo, malgrado quanto dalla stessa subìto, che Medusa pagherà la sua "vergogna" col taglio della testa.

Eppure a far breccia ancora nella cuore degli uomini (o quantomeno  nel subconscio simbolico di questi) dopo 3 o 4 mila anni non è la Dea Atena, delegata a pura leggenda mitologica, ma è proprio Medusa.

Grande la sua interpretazione dell'altrettanto grande Caravaggio.

By Pietro Perri.


E SE IL MITO DI MEDUSA FOSSE L'ALTRO VOLTO DELLA DEA ATENA?

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Atena oltre ad essere dea della sapienza, delle arti e della strategia in battaglia è, cosa da non sottovalutare nel mito di Medusa, anche dea... vergine. 

Ma, siamo proprio sicuri che sia stata veramente una dea vergine o c'è qualcosa su cui, rileggendo più approfonditamente il mito della povera Medusa (sacerdotessa prediletta da Atena, violentata nel tempio consacrato alla sua amata e per questo disconosciuta dalla stessa) dovremmo soffermarsi con un po' di più attenzione?

Siamo sicuri che nel tempio di Atena ad essere stata violentata non fu una seppur grande sacerdotessa ma la dea stessa che, rimasta scioccata da tale atto, non trova metodo migliore del disconoscere lo stesso se non scindere/rinnegare dalla sua vita il momento è viverlo come se non fosse accaduto a sé?

Atena nel mito della povera Medusa sembra rinnegare la sua sacerdotessa (cosa strana per una dea che tra l'altro viene riconosciuta come dea della saggezza). Eppure ritroviamo, dopo l'increscioso episodio ed ovviamente in alcune iconografia classiche, la dea Atena con uno scudo in mano, a difesa della propria persona, su cui fa bella vista di sé proprio la testa della sua Medusa.

Possibile che la dea Atena in un primo momento rinneghi la sua sacerdotessa come se si vergognasse della stessa, di ciò che aveva subito la stessa, e poi ne faccia argomento di forza e quindi di vanto? Quasi che la vergine, violentata selvaggiamente ed ignobilmente nel modo e nel luogo dalla stessa considerato più sacro, ritrovasse successivamente maggior forza (vita/consapevolezza di sé/nuova verginità... purezza verso sé stessa ed il resto del mondo) e nuova natura.

È come se Atena/Medusa dicesse alle donne che hanno subito violenza di non vergognarsi (perché non sono loro a doversi vergognare) ma di rinascere a nuova vita più forti di prima ed affrontare a testa alta il nuovo futuro riappropriandosi di ciò che è loro: la sacralità del proprio tempio.

Adoro la mitologia greca.

By Pietro Perri.

sabato 26 ottobre 2024

NATUZZA EVOLO... L'ULTIMA SPERANZA - By Pietro Perri.

20 ottobre 2024... visita al santuario (?) di Paravati (in provincia di Vibo Valentia). Un luogo di culto dove riposano tra l'altro le spoglie mortali della mistica Natuzza Evolo.

Cosa mi ha lasciato di particolare quella stupenda giornata sulla via della ricerca di una luce smarrita due o tre decenni addietro e mai più ritrovata? La luce della fede in un Essere Superiore?

Da miscredente uomo del dubbio potrei anche rispondere, prendendo in giro me stesso, "un bel tartufo nero mangiato sulla via del ritorno alla gelateria Dante nella stupenda piazzetta a Pizzo calabro".

Ma questa è una certezza ed un uomo del dubbio come me non può avere certezze... sarebbe la sua condanna a morte.

Ed allora la mia mente ritorna indietro di qualche passo (e magari qualche chilometro percorso in pullman) e mi riporta nel luogo in cui riposano le spoglie mortali della mistica di Paravati (VV)... mamma Natuzza Evolo.

Mi riportano in quello stanzino appartato in cui la fa da padrone una tomba in marmo rosa. Una tomba in cui a volte si fa la fila solo per poggiarci sopra una mano o entrambe le mani al fine di congiungersi, di aprire un filo diretto con ciò che continuo a definire... l'ultima speranza.

Fortunatamente un'ultima speranza che non è ancora mia... che spero non sarà mai mia.

E davanti a quel freddo simulacro, quel freddo marmo che al solo toccarlo dà l'impressione di un caldo accogliente senso materno... i miei dubbi sembra cerchino di sopravvivere inutilmente a se stessi.

Ma quell'attimo, questa sensazione, quel giorno non era per me.

Quell'attimo, quella sensazione quel giorno, quell'attimo era solo per una giovane donna inginocchiata ai piedi di quella tomba, della tomba della cara madre... mamma Natuzza, con le mani e la fronte incollate al freddo/caldo sensibile marmo, con gli occhi pieni di lacrime... con un pianto continuo che spezzava i cuori dei presenti e che costringeva i presenti a piangere e pregare insieme a lei e per lei.

Nessuno di noi sapeva il perché della dolorosa e straziante preghiera ma tutti eravamo certi che quel giorno le orecchie di mamma Natuzza Evolo erano solo per la povera ragazza.

Personalmente continuo a restare un uomo del dubbio ed a sopravvivere, a volte con grande sforzo fisico e psicologico, nel mio dubbio.

Ma la domanda, il mio dubbio diventato certezza nella sua stessa esistenza, mi assale ed annienta: "Chi sono io per negare a quella povera ragazza... il diritto Alla SUA ultima speranza?" 

By Pietro Perri.

mercoledì 16 ottobre 2024

La predicazione di Gioacchino da Fiore sui monti di Rende/San Fili. Di Salvatore Turuccio Mazzulla.

Nella foto a sinistra: veduta laterale della Chiesa di santa Lucia nella frazione Bucita di San Fili (CS). Nell’area in cui ricade quest’antico edificio di culto secondo la tradizione vi ha tenuto delle prediche il quasi beato (santo per Dante Alighieri che lo colloca nel suo Paradiso) Gioacchino da Fiore.

Foto ovviamente… by Pietro Perri.

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Salvatore "Turuccio" Mazzulla e l'abate Gioacchino da Fiore.

(Breve nota di Pietro Perri)

Tra le persone che hanno dato tanto a San Fili, pur costantemente costrette da problemi personali e da una società di "dubbia moralità" che nel suo piccolo non perdona neanche il fatto d’essere nati in una famiglia anziché in un’altra (San Fili come tanti piccoli borghi calabresi è anche e soprattutto questo) o di sottomettersi alle decisioni non appellabili di gruppi settati, ottenendone il cambio solo un briciolo di damnatio memoriae, vi è sicuramente il caro indimenticato (?) Salvatore “Turuccio” Mazzulla.

Per anni Salvatore "Turuccio" Mazzulla ha cercato invano di recuperare un po’ di memoria storica della Comunità Sanfilese.

Spesso lavorando, purtroppo e forse anche stupidamente, nel fare da cassa di risonanza agli altri invece di lavorare per fare da cassa di risonanza a se stesso.

Ottima voce interpretativa (nel recitare versi suoi, in quanto autore di bellissime e toccanti poesie, o d’altri aveva un dono naturale) non disdegnava di dividere il palco con chi "in quel determinato momento" gli camminava affianco.

Oggi di Salvatore “Turuccio” Mazzulla riporto in questo mio spazio web un breve scritto (spunto per una ricerca) pubblicata sul Notiziario Sanfilese del mese di agosto del 2008.

In questo scritto il nostro compaesano ci parla del beato (con qualche legittimo dubbio) Gioacchino da Fiore. Ovvero dell'eretico calabrese (come lo definiscono alcuni studiosi della sua enorme ed illuminante opera religiosa, filosofica e letteraria) citato tra l'altro persino in un versetto della Comedia di Dante Alighieri.

Una citazione, quella di Dante Alighieri (quasi contemporaneo all'abate Gioacchino da Fiore), che ci dimostra l'importanza ("visione profetica"), già nei suoi tempi, dell'illustre calabrese. Un'importanza decisamente malvista persino oggi dalla Chiesa di Roma.

Nei versi 139-141 del XII canto del Paradiso il sommo poeta infatti ci segnala:

Rabano è qui, e lucemi dallato

il calavrese abate Giovacchino,

di spirito profetico dotato.

La nota di Salvatore "Turuccio" Mazzulla ci immerge in un breve ricordo dei luoghi dell’abate Gioacchino da Fiore ed in particolare sul suo, quasi certo, passaggio per San Fili (per la frazione Bucita del comune di San Fili, per essere più precisi).

Tale paginetta, scritta da Salvatore "Turuccio" Mazzulla, prematuramente e drammaticamente scomparso nel 2012, riporta come titolo:

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Nei luoghi dell’abate (spunti di ricerca).

La predicazione di Gioacchino da Fiore sui monti di Rende.

Di Salvatore Mazzulla

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Domenico Martire in “Calabria Sacra e Profana” parla di Bucita come uno dei luoghi della predicazione di Gioacchino ma la associa al fiume Surdo, chiaramente nel territorio di Rende (che comprendeva comunque il territorio di San Fili), questo “errore” di Martire (anche se dimostreremo in seguito che non è un suo errore) ha fatto considerare dubbia l’ipotesi della sua permanenza anche a Bucita oltre che a Rende sul fiume Surdo.

Padre Francesco Russo al I Congresso internazionale di studi gioacchimiti nel 1979 per quanto riguarda La figura storica di Gioacchino da Fiore afferma:

«negli anni 1152-53 si recò alla Sambucina di Luzzi e circa un anno dopo, non essendo ancora sacerdote* si recò a Bucita in territorio di San Fili a predicarvi la parola di Dio con quel fervore mistico che sarà la sua caratteristica». Altre fonti citano chiaramente Bucita ma saranno esaminate in seguito. Partendo dall’ipotesi che sia stato sia a Bucita che sul Surdo, si tratta ora di individuare i luoghi.

Nel corso di un convegno tenutosi nel teatro comunale di San Fili nel mese di novembre 2003 sul recupero del patrimonio linguistico, chiesi al Prof. John Trumper se un toponimo potesse avere valore di documento storico ed egli mi rispose di sì.

Forte di questa affermazione insieme ad Antonio Asta ed a Pietro Perri iniziammo questo tipo di ricerca ed abbiamo scoperto tre toponimi significativi: lauri, aira di corazzo e grangu. Per quanto riguarda il primo mi era stato già indicato dallo storico Amedeo Miceli di Serra di Leo la cui famiglia risulta proprietaria di un vasto territorio sopra Bucita.

In località Lauri secondo gli intervistati (cacciatori, boscaioli ed anziani) dovevano esserci i ruderi di uno scarazzu (casolare di montagna) si trattava ora di fare un sopralluogo, insieme ad Antonio Asta ci siamo recati nel luogo che ci avevano indicato ed effettivamente vi erano dei ruderi che ad una prima impressione sembravano molto antichi e il tipo di costruzione sembrava risalire ad un’epoca molto lontana.

Chiaramente questa costruzione antica che sorge in un luogo che si chiama lauri sotto la quale scorre un ruscello che si chiama grangu e al di sopra un piano che si chiama aira di Corazzo mi ha fatto subito pensare ad una piccola grangia dove prima c’era una laura, ma questo chiaramente spetta agli esperti stabilirlo,** se la mia ipotesi dovesse risultare vera potrei affermare che quel rudere è la grangia che ha ospitato Gioacchino.

Il terzo toponimo mi richiamava alla mente l’Abbazia di S. Maria di Corazzo, ci doveva essere per forza un legame con Bucita ed infatti avevo ragione: in un atto del 1225 Bucita risulta tra le terre dell’Abbazia di Corazzo.

…….. et tenimentum Bucchitae cum canonibus castanetis suis in territorio Montis Alti, cuius tenimenti fines sunt isti: ab oriente est via publica, ab occidente locus qui dicitur Deo Gratias et Petra Cruciata; ab uno latere flumen Bucchitae, et ab alio flumen Lorici, et concluditur…

 

I toponimi deo gratias e petra cruciata ci sono ancora mentre quello dei fiumi è cambiato ma senza ombra di dubbio è la nostra Bucita.

 

* Il Tocco pensa che questo fatto abbia provocato la reazione dell’Arcivescovo di Cosenza, il quale gli avrebbe interdetto la predicazione (L’eresia nel medioevo - Firenze 1884 - pp. 269-270).

** Negli anni seguenti il Miceli ha fatto visitare i ruderi dall’Arch. Terzi che li ha collocati in un’epoca successiva.

 

Salvatore Mazzulla. 

sabato 14 settembre 2024

La storica Grotta Azzurra di Giovanni Calomeni a San Fili.



Nella foto a sinistra: l’entrata della cantina “Grotta Azzurra” di Giovanni Calomeni. La stessa si trova a San Fili nel mezzo della scalinata in pietra di fiume che collega corso XX Settembre (all’altezza dei palazzi della famiglia Gentile e della famiglia Miceli (mmienzu u puontu) con via Guglielmo Marconi (all’altezza dell’edificio che ospita le scuole elementari del borgo. La scesa, via Roma o Chiarieddru che dir si voglia, è caratterizza dalla presenza di una scalinata realizzata per buona parte a secco in pietra di fiume.

L’articolo e la foto sono entrambi a firma Pietro Perri. L’articolo è stato proposto una prima volta, verso la fine degli anni novanta, sul quindicinale a tiratura locale “l’occhio” e successivamente, nel mese di novembre del 2009, sul Notiziario Sanfilese.

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La cantina dei Miceli, situata ara scisa di via Roma (Chiarieddru, per i sanfilesi d.o.c.!), una delle poche stupende ed impareggiabili scalinate realizzate in pietra di fiume ed ancora non completamente distrutte dai nostri laboriosi ed insostituibili amministratori trentennali (per la serie: "come hanno distrutto loro, non distruggono neanche i bombardamenti degli americani"!), conosciuta nell'ambiente degli intenditori per diversi decenni come "la Grotta", fu gestita dagli inizi del 1900 e fino al 1930 circa da un certo Ferdinando "Cacavineddra" .

Ferdinando "Cacavineddra" vendeva il vino dei Miceli ottenendone in cambio una percentuale sul guadagno. Dal 1930 in poi (esattamente fino al 1977) "la Grotta" sarà gestita da Salvatore Calomeni cui subentrerà successivamente il figlio Giovanni. Giovanni Calomeni non solo gestirà (seppure per un breve periodo, tenuto conto che il mondo iniziava tragicamente a cambiare) detta cantina ma finirà per acquistarne dai Miceli gli stessi locali.

Giovanni Calomeni inoltre affiancherà al nome di "Grotta" il qualificativo di "azzurra", dipingendone tra l'altro con tale colore l'accesso alla stessa.

Il nostro compaesano Giovanni Calomeni (persona affabile che noi ricordiamo anche per la sua ultradecennale macelleria 'mmianzu u puontu) tra l'altro volendo rompere la secolare tradizione d'acquistare il vino (o quantomeno il mosto) da vendere a San Fili nei paesi a ridosso di Cosenza (Zumpano, Donnici ecc.) così com'era sempre stato fatto dai gestori delle nostre cantine, ebbe la felice idea d'organizzare nei pressi di piazza Rinacchio (nei magazzini sottostanti dell'abitazione dei Palermo) un locale per la trasformazione, su larga scala, dell'uva in mosto (nu parmiantu). Uva che il Calomeni acquistava direttamente in Puglia. Tale parmientu fu operativo negli anni compresi tra il 1965 e il 1980.

Personalmente ancora ricordo (anche perché per un certo periodo tra queste vi furono i miei genitori) le numerose persone (donne e uomini) che vi lavoravano nel periodo della vendemmia.

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Gli uomini erano impegnati nel far funzionare le macchine, per niente automatiche o quantomeno semiautomatiche (se non per il torchio a pressione, presenti nel locale/parmientu che si trovava al piano seminterrato dell’abitazione della famiglia Palermo nei pressi di piazza Rinacchio (attuale piazza Adolfo Mauro). Le donne che portavano sulla testa dal piano strada al piano locale/parmientu le cassette piene d’uva in quanto il camion non era in grado di avvicinarsi ulteriormente nel punto in cui avrebbe dovuto mettere a disposizione dei lavoranti la propria preziosa mercanzia. Le donne erano pagate un tot a cassetta d’uva trasportata.

(n.d’a: aggiunta successiva alla pubblicazione dell’articolo)

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Era anche questo un modo come un altro per aiutare l'economia non sempre rosea di alcune famiglie della nostra comunità.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace.

giovedì 12 settembre 2024

Il Salotto buono dei Sanfilesi: il tabacchino dell’amico Antonino Foti.



Nella foto a sinistra (da sinistra) gli amici Antonino “Nino” Foti e don Cesare “Cesarino” Gentile impegnati in una cordiale interessante chiacchierata aperta in ogni caso a tutti coloro che avevano voglia di fermarsi cinque minuti o solo un attimo giusto per i saluti d’obbligo e di rito. Don Cesare Gentile e Nino Foti sono seduti davanti al tabacchino gestito da quest’ultimo. Lo stesso tabacchino che per diversi decenni vide quale gestrice la nostra indimenticata compaesana Lisetta Calomeni. La foto, così come l’articolo, è… by Pietro Perri.

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Da un breve articolo/ricordo pubblicato, a firma dello scrivente Pietro Perri, sul Notiziario Sanfilese del mese di ottobre del 2009. Un articolo che serviva anche a ricordare l’indimenticata Lisetta Calomeni (storica gestrice del tabacchino… mmienz’u puontu. Un tabacchino in cui si poteva trovare un po’ di tutto ed in cui mia madre mi comprò tra l’altro il mio primo orologio. Un orologio a carica automatica - bastava muovere il polso per dare vita all'ingranaggio - che conservo tutt’ora).

Un breve articolo che oggi serve a ricordare anche i cari Antonino “Nino Foti” e don Cesare “Cesarino” Gentile.

Oggi, dopo alterne brevissime vicende, quel tabacchino esiste solo nel ricordo di quelli che ormai abbiamo una certa età.

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Strano a dirsi ma ancor più strano a pensarsi: per avere un salotto buono per i Sanfilesi doc lungo corso XX Settembre… ci voleva un siciliano. Parliamo dell’amico Antonino (Nino) Foti, l’attuale gestore dello storico tabacchino de “mmienz’u puontu”!

Storico tabacchino in quanto lo stesso, come ricorderanno i nostri anziani (ma anche tantissimi che ancora proprio anziani non siamo), fu per vari decenni gestito dalla nostra indimenticabile compaesana Lisetta Calomeni.

Decisamente il nuovo “Salotto buono dei Sanfilesi” in quanto altro nome non si potrebbe dare al tabacchino dell’amico Antonino “Nino” Foti.

Fa sempre piacere, infatti, ammirare le sue accattivanti vetrine ed ancor di più piacere fermarsi là davanti a scambiare due parole con il cordiale Nino e con i suoi tanti graditissimi ospiti.

Un nome per tutti? … l’affabilissimo nostro concittadino prof. Cesarino Gentile.

Siamo in tanti (sempre piacevolmente accorgendoci di non essere gli unici) quelli che non possiamo fare a meno di fermarci a salutare (e ad ascoltare), ogni volta che percorriamo corso XX Settembre, l’amico Antonino “Nino” Foti e i suoi tantissimi ospiti... tutti sempre straimpegnati in eruditissime discussioni sul più e sul meno.

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Nella foto a sinistra l’indimenticata Lisetta Calomeni (archivio Ciccio Cirillo).

Un caro saluto a tutti dal vostro sempre affezionato Pietro Perri.

…/pace.


venerdì 30 agosto 2024

Dal mulino delle fate aru tesoru du Canalicchiu (9/9): una stupenda passeggiata naturale tutta sanfilese.




Nella foto a sinistra (foto by Pietro Perri)… piccola cascata lungo il corso del torrente Emoli nel tratto ricadente in territorio di San Fili. La piccola cascata, non l’unica, ovviamente è di origine artificiale. E di tale se ne trovano più di una nel citato tratto.

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Per chi avesse perso le prime 8 (o qualcuna delle prime otto) puntate di questo racconto… ricordo che siamo in un sabato degli inizi di marzo 2013, che da poco si sono registrate due frane sul lato coste del nostro paesino (il lato che affaccia sul torrente Emoli) ed io sto facendo una bella passeggiata lungo… u jum’e Santu Fili… nel tratto compreso tra la sorgente di Palazia e il ponte Crispini.

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Agli inizi di marzo del 2013 non avendo come al solito (qualcuno dirà), specie in quel periodo, un granché da fare… decisi di fare una bella passeggiata in solitario lungo un caratteristico tratto, ricadente ovviamente in territorio di San Fili, del torrente Emoli… u jume di santufilisi.

Se l’occasione fu andare a constatare di persona la reale consistenza d’una frana che aveva in quei giorni interessato il versante “coste” (lato appunto torrente Emoli) del nostro centro storico (fortunatamente non creando danni alle abitazioni sovrastanti) il desiderio prendeva forza dal voler rivivere, seppure per poche ore, l’aria gioiosa che avevo respirato in parte di quei luoghi quando ancora non ero altro che un fanciullo in erba.

Ritornare cioè, con la mente, al tempo dei miei primi 10 o 12 anni, adesso che ne avevo quasi 52, e rivivere qualcuna di quelle straordinarie avventure che ci videro protagonisti, in quegli spensierati anni, a me e ad alcuni cari amici e compagni di scuola.

Tra questi gli indimenticati, seppur persi per strada, Giuseppe Pinuzzu Storino e Gaetano Scarpelli. Con il primo sono stato compagno di scuola e per buon tempo anche compagno di banco sia alle scuole elementari che alle scuole medie. Con il secondo solo alle scuole medie. Su entrambi prima o poi dovrò scrivere qualcosa… per rinverdire i begli anni che furono.

Con loro vissi “avventurosamente” buona parte di quelli anni sia all’interno dell’ambiente scolastico che nelle ore di svago che ci erano concessi tra un impegno e latro di studio nei vicoli del paese (giocando magari ara ‘mmucciareddra o a toccafierru o ara guerra ccu ra cerbottana o a mazzetti ed altri giochi con le carte napoletane o a vattemuru o a mazz’e squiddreru o aru pallone… mitico supersantos o a…) oppure nel territorio circostante il centro abitato stesso.

Nella puntata precedente di questa stupenda passeggiata lungo un buon tratto del torrente Emoli ricadente in territorio di San Fili (una passeggiata che consiglierei a tutti… se l’amministrazione comunale di San Fili un domani se la sentisse di rendere fruibile ai più tale stupendo percorso/sentiero storico-naturalistico-salutare) ho parlato della presenza sullo stesso di ben tre ponti realizzanti in pietra di fiume risalenti, presumibilmente al primo secolo del millennio che ci siamo appena lasciati alle spalle: qualcuno dice a molto tempo prima e qualcuno dice a molto tempo dopo. Comunque tre stupendi ponti in pietra ognuno con particolarità del tutto soggettive: u ponte de Jumiceddre, u pont’e Crispinu e u ponte de a Pruficu. Tre ponti unici tutti e tre ricadenti nel tratto del torrente Emoli che attraversa il territorio di San Fili.

Ma, qualcuno dirà, vale la pena farsi “s’ancata ‘e culu” (tipico modo tutto sanfilese per significare una grossa fatica quasi per niente) solo per vedere tre ponti realizzati a secco in pietra di fiume… seppure tre ponti comunque ultracentenari?

Diciamo che già per la presenta di questi tre ponti varrebbe la pena farsi questa salutare “ancat’e culu” ma, credetemi, in questa passeggiata delizierete i vostri polmoni e appaghereste la vostra sete di cultura (in particolare per gli appassionati “d’archeologia”, permettetemi il termine, industriale) con ben altro che non solo questi tre ponti in pietra di fiume realizzati in chissà quale secolo passato.

Un esempio di ciò che potremmo apprezzare in questa passeggiata sono i vari mulini ad acqua, ovviamente ciò che ne resta visto che ormai sono decenni che non portano avanti il compito per cui erano stati realizzati; presenti nel succitato… consigliato tratto.

Partendo infatti dal ponte de’ Jumiceddre (cui ci si arriva da una discesa, leggermente ripida, poco più avanti della “villa degli emigranti” ovvero dal belvedere su cui troneggia u curc’e Catalanu) fino ad arrivare al ponte in zona Volette-Profico ci imbattiamo in non meno di 5 o 6 resti di mulini ad acqua.

Cosa? … dite che esagero parlando della presenza dei resti di 5 o 6 mulini ad acqua lungo il tratto del torrente Emoli che scorre sul territorio comunale di San Fili?

Forse qualche errore l’ho fatto ma… solo per ignoranza e solo per difetto.

Oltretutto due di questi mulini ad acqua, quello poco al di sotto de u curc’e Catalaunu e quello vicino aru pont’e Crispini sono stati anche sede. E forza motrice, di due centraline idroelettriche di proprietà e gestione di famiglie sanfilesi.

Dopotutto, mai dimenticarlo, San Fili, grazie a queste due centraline idroelettriche, fu un uno dei primi borghi della provincia di Cosenza a godere. Anche se in via ancora sperimentale, della corrente elettrica e comunque lo fu prima della stessa città di Cosenza: era il 1905.

Per correttezza, anche se non usufruenti dell’acqua del torrente Emoli come forza motrice, vorrei segnalare la presenza sul territorio sanfilese di altri due mulini ad acqua, uno dei quali, u mulin’e Filibertu, conservato (grazie alla famiglia Cribari, proprietario dello stesso) decisamente bene. Sono di due mulini ad acqua ricadenti nel territorio interessato dalla frazione Bucita e che sfruttavano le acque di due adiacenti torrenti.

Resta ovviamente da godere, in tale bellissima passeggiata/sentiero (che si potrebbe proporre come alternativa turistica) del bellissimo panorama che ci si presenta ad ogni tornante in modo diverso davanti ai nostri occhi e della storia folcloristica ad esso collegata: i ruonzi in cui prendevano il bagno i fanciulli ante 1960 (tenuto conto che quasi nessuna casa almeno fino alla fine degli anni cinquanta aveva vasche da bagno o docce all’interno della stessa), le pietre su cui le nostre nonne andavano a lavare i panni, le fontane/sorgenti naturali (qualcuna fatata) tutte potabili e tutte eroganti acqua con caratteristiche oligominerali, le piccole cascatine in cui ci si imbatte a distanza di poche decine di metri l’una dall’altra con particolare riferimento a quella de u bacile (sicuramente la più antica e caratteristica) ovvero de u mare, all’epoca, de i santufilisi, della stupenda vegetazione che in alcuni punti ci fa rivivere anche miti televisivi quali quelli del sempreverde Tarzan (le famose liane - la nostra vitarva - crescono in modo spontaneo e cospicue in determinati punti lateralmente al punto in cui scorre il torrente), di alcuni miti greci come quello del ruscelletto che scorre a valle, immergendosi gioioso nel torrente Emoli e… chi più ne ha più ne metta.

Credetemi, forse è arrivato il momento giusto affinché l’amministrazione comunale di San Fili, magari d’accordo con l’amministrazione comunale di Rende, si decida in modo coscienzioso e serio nell’iniziare a pensare a come realizzare un recupero del succitato percorso mettendo lo stesso a disposizione (fruibile) sia dei sanfilesi che di quanti, venendo dalla città, abbiano intenzione di passare una giornata veramente diversa.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

… /pace!

sabato 24 agosto 2024

A cunservar’a nive. Di Salvatore (Turuccio) Mazzulla.


Rispolverando il mio archivio di foto e scritti vari mi è capitato sotto gli occhi questo stupendo - per il valore storico relativo alla Comunità Sanfilese - a firma non mia ma dell’indimenticato caro amico Salvatore Turuccio Mazzulla.

Lo ripropongo in questo blog per i succitati due motivi: il ricordo di Salvatore Turuccio Mazzulla e... il valore storico relativo alla Comunità Sanfilese.

Perché a San Fili c’è sempre stata gente che ha fatto tanto per salvare la memoria storica della nostra Comunità e per divulgarne i valori in essa racchiusi... gratuitamente per non dire rimettendoci la propria faccia e di tasca propria.

La foto in alto a sinistra, in cui compaiono gli indimenticati (ed indimenticabili per chi li ha saputi e potuti apprezzare) Salvatore Turuccio Mazzulla e Mario Oliva.

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Ci troviamo negli anni Cinquanta.

Mio padre lavorava come apprendista presso il Bar di Salvatore Blasi (u bagnaruotu).

Allora come oggi si mangiavano gelati ma non c’erano, almeno da noi, le carpigiani per produrli in modo artigianale.

All’epoca bisognava procurarsi la materia prima: il ghiaccio.

Il ghiaccio veniva fornito da un signore di Gesuiti.

Non erano dei veri e propri gelati: assomigliavano più ad una granita o ad un sorbetto.

I sanfilesi, in alternativa all’uso del ghiaccio, si erano inventati un altro sistema: “a cunservar’a nive”.

Durante il periodo invernale, in corrispondenza di una copiosa nevicata, si recavano in montagna ed all’interno di alcune fosse naturali, quindi già presenti nel terreno, dove si era già accumulata della neve, ne raccoglievano dell’altra compattandola, così come si fa con i “palloni di neve”, poi la ricoprivano di felci e di terra.

Questo sistema permetteva loro di conservarla per lunghissimo tempo, fino al periodo estivo, periodo in cui veniva prelevata per poi produrre i gelati.

Una di queste fosse naturali esiste ancora in località “Purveracchiu” ed anche questa fa parte delle testimonianze di archeologia industriale presenti nel nostro territorio.

L’inventiva, la capacità imprenditoriale di chi ci ha preceduto non trova oggi riscontro nella San Fili odierna, il mio augurio e che i ragazzi di oggi possano riappropriarsi di questo passato glorioso per riportare un giorno questo nostro piccolo centro allo splendore di un tempo.

…. a mio padre.

Salvatore Turuccio Mazzulla.

San Fili sotto la neve... giovedì 16 dicembre 2010.



La foto a sinistra (scatto by Pietro Perri) è stata realizzata nel febbraio del 1991 in seguito ad una storica nevicata, l'ultima vera nevicata per il momento, abbattutasi su San Fili.

Articolo by Pietro Perri.

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Stamane (giovedì 16 dicembre 2010) San Fili si è svegliata sono una stupenda coltre di neve bianca.

Si è svegliata sotto una stupenda coltre di neve bianca?

A dire il vero sotto una stupenda coltre di neve bianca, ieri sera, si ci è pure addormentata.

Fuori (purtroppo non mi è concesso di uscire all’aperto per un piccolo problema capitatomi ieri al rientro a casa… nu bellu scivulune supra u pianerottolo davanti il portone d’ingresso alla nostra abitazione) ci saranno all’incirca un dodici o quindici centimetri di neve.

Fa comunque un freddo boia e ciò fa in modo che la neve, malgrado il sole che stamane vince sulle nuvole, la neve ci metta un bel po’ a tramutarsi in acqua e a gocciolare dai tetti delle nostre calde accoglienti case.

Il silenzio, come il sole, vince sull’assordante rumoreggiare quotidiano.

E’ strana questa neve in questo periodo. E’ strana non per il fatto che abbia nevicato fuori stagione (dopotutto l’inverno, anche se ci vuole ancora qualche giorno per sostituirsi all’autunno, è pur sempre la stagione del cattivo tempo - punti di vista - e quindi anche della neve) ma per la quantità che se n’è accumulata al suolo.

Normalmente a San Fili in questo assaggio preinvernale la neve non ha mai superato lo spessore dei due o tre centimetri… così almeno ricordo io. Le vere e proprie (decisamente storiche) nevicate, infatti, a San Fili si sono verificate sempre nel mese di febbraio… ossia nel mese centrale della stagione invernale.

Quello che caratterizza questa volta questa strana, decisamente sottovalutata (malgrado gli avvisi dei meteorologi) dai più nella giornata di ieri e non solo dal sottoscritto, nevicata è il fatto che è stata accompagnata da temperature decisamente basse.

La neve ieri non faceva in tempo a cadere (a toccare il suolo) che già ghiacciava.

Ritornando dal lavoro (intorno alle 15,00), ovvero da Cosenza, ho avuto grosse difficoltà a proseguire verso San Fili una volta giunto all’altezza di Monticelli (nei pressi della storica “Chiusa” poco sotto Villa Miceli)… e tali difficoltà non li avevo solo io.

Per fortuna giunto a Villa Miceli e deviato verso il centro abitato di San Fili (invece di proseguire come al solito in direzione del bivio successivo cioè da quello in località Macchia della Posta) c’era a nostra disposizione uno spazzaneve che ci ha scortato fino al alle prime case della nostra della nostra stupenda ed amorevole cittadina.

Eravamo fortuitamente giunti nei pressi dell’Aireddra.

A Villa Miceli, a ridosso della strada cui si poteva scegliere se proseguire verso San Fili o deviare, sulla destra, per contrada Cucchiano o poco più avanti, sulla sinistra, per contrada Profico, un pullman faceva scendere i propri passeggeri (nostri concittadini) ponendoli in mano al loro destino… ne ho caricato un paio che ho scaricato poi nei pressi del bar rosticceria “Le Magare” (ovvero dove una volta si trovava il distributore di benzina del nostro ormai dimenticato concittadino Sarro).

Il bar rosticceria “Le Magare” era gestito da Rocchino Gioffre’ e dai suoi familiari.

L’una era una cara amica appartenente alla famiglia Cribari (Lucia Cribari, per la precisione) e l’altro un ospite della Casa Famiglia della frazione Bucita. La prima insegnante per professione l’altro professore per comune dire.

L’uno dopo avermi fatto tutta una serie di complimenti e ringraziamenti per il fatto d’essermi messo a sua disposizione iniziò a sciorinare la sua necessità di un paio di scarpe nuove: “Chissà se qualcuno di buon cuore tra i sanfilesi”, ci dice, “in questo Natale si metterà una mano sulla coscienza e me ne regalerà un paio nuove!

Chissà, forse, se sul tono del classico a buon intenditor poche parole. Riporto questo messaggio a te, affezionato lettore. Io il mio dovere l’ho già fatto non lasciandolo a piedi, in quelle condizioni, a Villa Miceli.

Nel bene o nel male riesco ad oltrepassare con la mia “Toyota Yaris Now rosso Ferrari” persino piazza Adolfo Mauro (ex piazza Rinacchio) ma, fatti un cento o duecento metri oltre…

… la macchina mi si blocca (le ruote girano a vuoto) proprio all’altezza di uno di quei “maledetti” dossi in plastica che hanno messo (dicono per rallentare il traffico e quindi per garantire una maggior sicurezza ai pedoni) i nostri previdenti amministratori.

Peccato che i nostri previdenti amministratori non abbiano previsto anche la neve ed il gelo: non sono stato l’unico a bloccarmi in tale punto e a non riuscire ad andare avanti se non grazia all’aiuto di due romeni che si trovavano dietro di me col loro camioncino.

Provo persino a mettere le catene. Sull’etichetta (ancora attaccata alla confezione) c’è scritto “facili da montare”… sarà!

Sistema “click-clock” dice l’etichetta. Ma io… dopo il terzo inutile tentativo preferisco rinunciare.

Qualcuno (mio compaesano? Sembra di si. Mi sembra di riconoscere l’amico Mimmo Greco ma potrei anche sbagliarmi) s’incavola per il fatto che, secondo lui a causa della mia incapacità a guidare specie in certe condizioni, mi ero bloccato in quel determinato punto costringendo anche lui a fermare la sua macchina.

Prova a superarmi passandomi lateralmente… si blocca nello stesso punto anche lui: sono contento!

Lasciando Villa Miceli ho dato un’occhiata al proseguire della superstrada (ossia in direzione ponte di Santa Vennera o Saraca che dir si voglia). C’era una interminabile coda di macchine dirette verso Paola o forse stupidamente dirette solamente alla nostra cittadina ma… prendendo la deviazione sbagliata.

Difficile invidiarli. Difficile pensare (a chi era diretto nella cittadina tirrenica) pensando  a cosa li avrebbe aspettati nel passaggio al di sotto del varco della Crocetta.

Giunto a San Fili cerco un posto dove lasciare la macchina incustodita… ritengo stupido proseguire per Bucita almeno con il mio mezzo.

Giungo, dopo solo un’altra sosta obbligata dal ghiaccio presente sul fondo stradale (nei pressi del negozio di alimentari di “Minuzzu u commerciante” - ovvero nei pressi della storica abitazione de “u Summichele”)… proseguo oltre, sempre lungo corso XX Settembre, arrivo in piazza san Giovanni (davanti al monumento ai caduti) saluto velocemente qualche compaesano e proseguo ulteriormente fino a raggiungere il bivio per la frazione Bucita.

La frazione Bucita ovviamente sarà la mia meta finale.

Finalmente, esattamente davanti all’abbiveratoju, trovo un punto per parcheggiare in modo, spero, accettabile la mia automobile.

Ripercorro, a piedi, l’intero corso XX Settembre per andare a fare giusto un salto da mia madre: tutto a posto… tranne la stufa a pellet da pulire ed anche con una certa urgenza.

Conclusa anche questa parte della giornata ritorno al bivio per Bucita, guardo la strada che mi si spiana alla vista e decido che forse farmela a piedi fino alla frazione non è dopotutto una cattiva idea.

Per strada poche macchine (nessuna che si fermi per chiedere cosa ci faccio da quelle parti. O come mai stia percorrendo a piedi i due chilometri di strada che separano il centro urbano di San Fili dalla sua storica frazione Bucita.

E fanno bene.

Se si fermano dubito, infatti, che riescano a ripartire. Ma a piedi si cammina decisamente bene.

Giungo a Bucita intorno alle ore 18,00 (quindi non più d’una trentina di minuti dopo) senza nessun problema di sorta: né una scivolata né un tentativo di scivolata… non avevo considerato il pianerottolo di casa.

Conclusione?

Una spalla per fortuna semplicemente slogata ed il pollice del piede destro con l’unghia completamente nera. Meglio così, avevo pensato di peggio… anche se da fastidio.

Oggi…giornata di festa, così com’era ai tempi in cui felici, da fanciulli, si andava a scuola. Dopotutto fuori c’è la neve. Domani? … giornata di festa, anche se non ci sarà più la neve.

Mi piace la neve? Tantissimo!

La neve mi piace sicuramente perché mi riporta agli anni più spensierati della mia vita. Mi riporta ai giorni di vacanza da scuola, are paddrunate de nive e persino ara scirubetta.

Peccato che in quest’occasione causa la spalla slogata, ma anche all’età che non mi permette più di sentirmi ufficialmente bambino, non posso giocare a paddrunate’e nive e causa il mio diabete mellito non sempre posso gratificare il mio palato con una rinfrescante e salutare scirubetta realizzata neve condita ccu mele de ficu.

La neve è… magia. In particolare la neve quando cade copiosa su San Fili.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

… /pace!