A sinistra: Giangurgolo,
la più importante maschera calabrese, in una immagine ripresa dal web.
Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese die lese di marzo del 2007.
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Arlecchino, Colombina, Pantalone,
Brighella, Balanzone, Pulcinella e chi più ne ha più ne metta.
Ammettiamolo: tutte le maschere famose, è quasi il caso di dirlo, non si fermarono ad Eboli (parafrasando il titolo del capolavoro letterario di Carlo Levi) ma si fermarono a Napoli!
Ma... c’é stata qualche maschera di cui possiamo andare più o meno fieri
anche noi Calabresi?
In effetti qualcuna c’é stata. Una in particolare ed un paio in tono
minore.
La maschera principale, rappresentativa (si fa per dire) della Calabria, è
quella di Giangurgolo. Maschera seguita a ruota da Pacchesicche e Coviello.
Pacchesicche è la maschera calabrese (in quanto “tipo”) più vicina ai
giorni nostri. E’ questi uno studente o un abate a Napoli, che non è così ricco
da ricevere da casa caciocavalli, salumi e sostentamenti vari e come tale deve
accontentarsi di frutta secca.
Sembra uscito, di fatti, da un film di Toto’. Non guasterebbe, come
personaggio infatti, una sua apparizione in “Miseria e Nobiltà”.
In un celebre mimo dialogato a quattro personaggi, la Canzone di Zeza, dove
quest'ultima (Lucrezia) è la moglie di Pulcinella ormai vecchio e Tolla è la
loro figliuola civetta, Pacchesicche è lo studente calabrese che fa la parte
dell'innamorato.
Giusto il genero di Pulcinella poteva fare un calabrese nella commedia
dell’arte.
Coviello, al contrario di Pacchesicche, riveste diversi ruoli: il servo
astuto, il capitano, il ruffiano, il suonatore di mandola; è sempre pronto ad
allietare la compagnia e a cantare dolci serenate sotto le finestre di belle
fanciulle innamorate.
Il personaggio di
Coviello lo ritroviamo anche in una famosa commedia di Molière, il Borghese
Gentiluomo, dove ricopre il ruolo del servo astuto.
La maschera più famosa è rappresentativa della Calabria però è stata
certamente quella di Giangurgolo.
Maschera, a dire il
vero, anch’essa secondaria nell’ambito della commedia dell’arte italiana in
quanto, diciamoci la verità, la Calabria aveva ben poco a che spartire con il
resto dell’Italia e dell’Europa... almeno fino al 1799.
Giangurgolo deve il suo nome, secondo alcuni, a Giovanni Golapiena, per via
del suo insaziabile appetito.
E’ disposto a tutto pur di arraffare qualcosa con cui saziarsi, anche a
costo di rubare, se gli capita l'occasione di non essere scorto da nessuno.
Poi é pronto a giurare
di non aver visto o sentito niente, perché Giangurgolo oltre che bugiardo si
rifiuta di affrontare qualsiasi responsabilità: tanta la fame, ma tantissima la
paura.
Questi era la caricatura
del nobile siciliano, divenuta popolare in Calabria dopo il 1713, ossia dopo
che, ceduta la Sicilia ai Savoia, molti blasonati che parteggiavano per la
Spagna lasciarono l'Isola.
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Personalmente mi imbattei la prima volta nella maschera di Giangurgolo alla fine dell'anno scolastico 1977/1978. Frequentavo il primo anno dell'Istituto Tecnico Commerciale "G. Pezzullo" di Cosenza.
Fu quello un anno, il 1978, tanto tremendo quanto formativo per noi giovani studenti italiani dell'epoca. Fu l'anno in cui si verifico anche l'omicidio di Aldo Moro e della sua scorta e qualche insegnante aveva e persino paura che non avremmo potuto terminare quell'anno scolastico: poteva succedere tutto (tipo un colpo di stato) ma fortunatamente, com'è nella regola (l'eccezione da noi è sempre più rara e sempre più catastrofica) del popolo del Bel Paese... non successe niente.
L'insegnante di lingua italiana dell'epoca (la professoressa Silvana Raffaeli), decisamente una delle poche insegnanti che ricordo con piacere per ciò che ha lasciato alla mia formazione, a fine anno ci diede una lista di libri da leggere... ne avremmo dovuto scegliere, e leggere durante le vacanze estive, almeno tre.
Tra i tre che scelsi io ce n'era uno dal titolo: Il Teatro Calabrese di Coriolano Martirano. Era un saggio ed io, abituato ai romanzi ed alle novelle, neanche sapevo, fino a quel momento, cosa fosse un saggio.
Quel libro mi aprì, mentalmente parlando, un nuovo mondo.
Il mondo, appunto, delle maschere calabresi.
Maschere che, malgrado gli spagnoli abbiano da oltre un secolo e mezzo lasciato la guida della nostra regione (la Regione Calabria) ancora governano, i loro discendenti (mentalmente parlando), senza interruzione dal 1861, le nostre terre e le nostre teste.
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Un caro abbraccio a tutti dal sempre
vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
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