Per il resto, considerato che sui miei spazi internet ho rinunciato alla pubblicità e per gli stessi non ottengo alcun contributo pubblico e/o privato, com'è giusto che sia... offro io.
domenica 31 dicembre 2017
Ottantamila (80.000) grazie ed un fantastico 2018 a tutti.
Per il resto, considerato che sui miei spazi internet ho rinunciato alla pubblicità e per gli stessi non ottengo alcun contributo pubblico e/o privato, com'è giusto che sia... offro io.
venerdì 8 dicembre 2017
Ricordi di un recente passato (sanfilese): u sampaulanu.
Riporto questa volta un articolo
dell’amico compaesano Luigi “Gigino” Iantorno pubblicato sul Notiziario
Sanfilese del mese di novembre 2017.
Tale articolo ci catapulta nella San Fili
gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Sono passati poco più di Cinquanta anni
dall’epoca eppure sembra siano passati secoli.
Buona lettura.
*
* *
Ricordi di un recente passato: u
sampaulanu.
Di Luigi “Gigino” Iantorno.
Chi era, o chi è, u sampaolanu o sampaolaro che
dir si voglia?
U sampaulanu è innanzitutto un uomo
nato nel giorno dedicato alla venerazione di san Paolo ovvero il 29 giugno
(giorno della morte dello stesso) o, in casi estremi, tra la notte che va dal
24 al 25 gennaio (giorno della conversione di Saulo di Tarso... futuro apostolo
Paolo).
U sampaulanu tradizione vuole che
nasca con un particolare segno, quasi un tatuaggio divino, sul corpo. Un segno
simile ad un serpente.
Sarà vero? ... sarà falso? ... questo
comunque raccontavano i nostri padri e nonni fino agli anni Sessanta del XX
secolo.
Vuole la tradizione che u
sampaulanu sia indenne da ogni morso di animale velenoso, guarisca chi
ne è stato avvelenato e salvi da altre malattie. Dono di Dio questo che san
Paolo acquisì in un suo soggiorno sull’isola di Malta. Un dono che questi bravi
uomini in ogni caso portavano con loro girando nei vari paesi ed aiutando con
lo stesso quanti per fede ne facevano richiesta.
Ricordo che quand’ero fanciullo di tanto
in tanto un sampaulanu veniva anche a San Fili.
Quest’uomo portava sempre con sé un cesto
chiuso (... spurtune?) nel cui interno custodiva gelosamente un
serpente nero (nu cursune).
Questo particolare tipo di serpente non è
velenoso ma fa tantissimo senso a vederlo. Ovviamente noi fanciulli non
sapevamo della non pericolosità di questo serpente. Avevamo paura ed eravamo
sicuri che u sampaulanu, per come gestisse lo stesso, avesse
veramente delle capacità miracolose.
U sampaulanu girava sul corso
principale e tra i vicoli di San Fili chiedendo qualche spicciolo per
sopravvivere e dispensando a quanti rispondevano al suo appello con benedizioni
e promesse di preghiere per la positiva risoluzione dei loro problemi in
particolare per i problemi di salute.
Noi fanciulli, e sicuramente non solo noi,
eravamo tutti affascinati da quel misterioso personaggio.
Nel suo incedere tra i vicoli del nostro
paese di tanto in tanto u sampaulanu, che noi fanciulli seguivamo a
debita distanza, si fermava, faceva uscire il serpente dal cesto,
lo accarezzava e gli sussurrava strane parole che il nero strisciante animale
sembrava ascoltare con attenzione. Poi lo poggiava per terra e questi iniziava
ad andare su e giù girando sempre e comunque intorno all’umano amico.
La gente presente inutile dire che più il
serpente si avvicinava a loro e più la stessa scappava lontano per paura di
essere morsa dallo stesso. Cessato questo breve spettacolo u
sampaulanu con altre strane parole ed alcuni segni con le mani richiamava
a sé il serpente che, senza reagire, si faceva prendere in mano dal miracoloso
uomo e si faceva deporre di nuovo all’interno della succitata cesta.
U sampaulanu portava sempre con sé un
misterioso libro. Diceva che nello stesso erano riportate tutte le formule da
utilizzare con qualsiasi tipo di serpente a seconda di quale specie lo stesso
appartenesse. Tramite queste formule u sampaulanu aveva il
comando assoluto su queste pericolosissime bestie.
Inutile dire che tale libro per avere
effetto le formule (incantesimi) in esso contenute poteva essere posseduto ed
utilizzato solo da una persona nata il 29 giugno ovvero il giorno dedicato a
san Paolo... dotati del segno sul corpo.
Dobbiamo credere nei poteri miracolosi
dei sampaulani?
Noi fanciulli dell’epoca ci credevamo ed
alcuni come me ne avevamo anche un buon motivo che racconto di seguito.
In uno dei giorni in cui mi imbattei, da
fanciullo, in un sampaulanu in visita a San Fili ricordo che
questi, a me ed al gruppo di ragazzi presenti all’occasione ci chiese se per
caso in zona avessimo visto ultimamente qualche serpente.
Risposi subito in modo affermativo ed
assieme a lui ci recammo sul posto in cui qualche giorno prima avevo visto il
terribile animale.
Lui prese il librettino, lo aprì in una
determinata pagina ed iniziò a leggere la strana formula riportata nella
stessa. Nel men che non si dica da un buco del muro che gli avevo prima
indicato uscì una grossa vipera.
U sampaulanu la prese tra le mani,
l’accarezzò, la ripose per terra e lei, docile docile, rientrò nel buco da cui
era prima uscita scomparendo per sempre dalla nostra vista.
Dobbiamo credere nel potere dei sampaulani?
Sono anni ormai che non vedo più camminare
tra i vicoli di San Fili, e non solo nel nostro borgo, qualche sampaulanu.
*
* *
Un caro abbraccio a tutti dal sempre
vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para
bellum”!
sabato 2 dicembre 2017
XVI edizione della borsa di studio “Vincenzo Miceli”.
San Fili (CS) ed il castello di San Fili... nel comune di Stignano (RC).
giovedì 26 ottobre 2017
Ne abbiamo discusso su Facebook: emergenza idrica a San Fili. (3)
Parte di contrada Frassino in Comune di San Fili vista dall'alto (google maps). |
Parte di contrada Cozzi in Comune di San Fili vista dall'alto (google maps). |
domenica 22 ottobre 2017
C’era una volta il Muraglione di San Fili. (3/3)
Nella foto sotto a sinistra, messami gentilmente a disposizione dall’amico e compaesano Salvatore Calomeni, troviamo uno spaccato della San Fili di metà anni Ottanta del XX secolo... sull’entrata della macelleria (un vero e proprio circolo di aggregazione sociale) di compa’ Giovanni Calomeni. Da sinistra: Gianni Zolo, Luigi (Gigino) Mazza, Franco Musacchio, Antonio Palermo, Salvatore Calomeni, compa’ Giovanni Calomeni e Mario Sergi.
Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese (il bollettino dell’Associazione culturale “Universitas Sancti Felicis” di San Fili) del mese di 0ttobre 2017... a firma Pietro Perri.
* * *
Oltretutto, col passare degli anni e col
sopraggiungere di qualche piccolo disturbo metabolico legato alla vita
sedentaria ed alla cattiva alimentazione che contraddistingue i tempi moderni,
in questi ultimi anni mi sono felicemente reso conto di quanto possa essere salutare
una bella “vasca” (ovvero una bella salita e discesa dell’intero corso compreso
tra l’aireddra ed il bivio per la frazione Bucita).
Ammettiamolo: abbiamo uno dei più bei
corsi dell’intera provincia di Cosenza e proprio non vogliamo mettercelo in testa.
Un corso che se si trovasse in Toscana o in Umbria sarebbe sinonimo di oro
colato.
Purtroppo si trova a San Fili cioé in
provincia di Cosenza ovvero, parafrasando un brutto concetto usato da Giorgio
Bocca come titolo di uno dei suoi peggiori libri, nell’Inferno... in
Calabria... destinazione Profondo Sud.
Di “vasche”, sia con amici
quotidiani che con amici con cui mi ritrovavo nel corso dell’estate o dei
periodi natalizi (cioè quando gli stessi, fuori regione per motivi di lavoro,
rientravano - qualcuno per fortuna rientra ancora - in paese a trovare i loro
familiari), lungo corso XX Settembre negli ultimi cinquanta anni ne ho fatte
tantissime. Alcune tutte d’un fiato e magari, quasi una salutare amara pillola,
a passo di prete. Altre fermandomi di tanto in tanto in qualche punto
strategico a parlare del più o del meno con i “compaesani storicamente
designati” a guardia di tale punto.
Quasi un tutt’uno con lo stesso:
compaesano/compaesani e punto strategico.
Uno dei punti in cui mi piaceva fermarmi,
nel percorrere in su ed in giù corso XX Settembre a San Fili nel corso degli
anni Settanta... Ottanta e Novanta del secolo scorso, era sicuramente la
macelleria del cavaliere del lavoro… compa' Giovanni Calomeni.
Un’istituzione all’epoca ancora vivente di
ciò che ormai sopravviveva solo nel ricordo dei nostri padri della mitica
“piazza Municipio” ovvero de “Mmienz’u puontu”.
Nei pochi lineari metri di Piazza
Municipio negli anni settanta ancora si potevano visitare saloni di barbieri,
il negozio di scarpe di Annibale Nigro, la fruttivendola di Eugenia Cavaliere,
l’esattoria di Genuzzu Calomeni, negozi di stoffe quali quello di
Genoeffa Rossiello (ma non era l’unico), il tabacchino di Lisetta Calomeni
e chi più che ha più ne metta.
Era, quello, decisamente un mondo a sé
tanto da rientrare a pieno diritto anche in alcune strofe apparse sul mitico
giornale murale satirico sanfilese (1945/1950) “Il Cantastorie”.
Compa' Giovanni
Calomeni per chi voleva scrivere su San Fili e sui Sanfilesi, ovviamente
parliamo di memoria storico-popolare degli ultimi due secoli con particolare
riferimento al periodo compreso tra il 1930 ed il 1980, era un tesoro
d'informazioni e di riporto d'aneddoti e curiosità di vario genere… non solo
dal punto di vista della produzione e/o della commercializzazione del vino e
della carne.
Una persona come poche, decisamente, ne ha
avuto come degni figli su questo fronte la nostra San Fili. In quanto oltre che
a ricordare sapeva anche raccontare e dare la giusta enfasi alle frasi che
utilizzava per trasmettere i suoi ricordi.
Diciamo la verità: amava San Fili. Così
come lo amava l’indimenticato Mario Oliva o come lo ama il nostro
sempreverde... mitico Marcello Speziale.
Una ricchezza d’informazioni (quella a cui
si poteva accedere tramite l’amico Giovanni) purtroppo scarsamente, quando non
malamente, utilizzata dai suoi compaesani incluso lo scrivente.
A me piaceva ascoltarlo, non sempre a dire
il vero in quanto all'epoca cercavo di tesorizzare solo ciò che mi serviva sul
momento e per il momento, ed a lui piaceva farsi ascoltare da me... e non solo
da me. Aveva estremo bisogno di sentire il quotidiano contatto umano con i suoi
compaesani.
Lo sgabello in ferro smaltato a
disposizione per me, nella sua macelleria… mmienz'u puontu… c'era
sempre. Anche quando lo stesso era stato già occupato da qualche suo cliente o
qualche altro graditissimo avventore. Quella macelleria al pianterreno del
palazzo di “Donna Vienna Gentile” (così lui continuava a chiamarlo) non
raramente si tramutava in un piacevole… pittoresco circolo di discussione
culturale.
Vi si parlava pacatamente del più e del
meno e vi si parlava dei tempi passati. Tempi in cui, agli occhi di compa'
Giovanni Calomeni, ancora esisteva un minimo di rispetto fra le persone e la
parola tra soggetto e soggetto o una semplice stretta di mano valevano
contratto.
Vi si parlava, tra il più ed il meno,
anche delle bellezze architettoniche presenti nel nostro borgo ed un giorno compa’
Giovanni Calomeni mi parlò anche di quella stupenda opera muraria (di cui
purtroppo ormai restava solo un vergognoso rimasuglio distrutto non dall’opera
devastatrice dei tempi ma dall'imbecillità umana) ancora conosciuta col nome
di… Muraglione. Una stupenda opera realizzata sotto il governo dei Borbone tra
il 1820 ed il 1830.
“È un’opera unica!”, mi diceva compa'
Giovanni Calomeni, “Un’opera di cui persino re Ferdinando, nel
passare con la sua carrozza da San Fili, ne restò meravigliato. E volle
complimentarsi con chi l'aveva progettata e con quanti l’avevano realizzata.”
Ed effettivamente se la guardiamo dal di
sotto non possiamo, ancora oggi, che restare affascinati anche noi
nell’osservare i miseri reietti resti di tale stupenda opera.
Inutile dire che il XVIII secolo era ben
diverso dal secolo che ci siamo infelicemente... appena lasciati alle spalle.
* * *
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro
affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
domenica 15 ottobre 2017
SOLO UN TERMINE: VERGOGNA!
sabato 30 settembre 2017
ARTIGIANATO E COMMERCIO A SAN FILI: U siricu (il baco da seta).
Nella foto a sinistra (ripresa dall’archivio Francesco Ciccio
Cirillo): San Fili 1930 - Filannola alle coste. Nella stessa compaiono mastro
Giuseppe Sangermano ed i suoi discepoli.
* * *
Ricordo, con questo scritto dell’amico Luigi “Gigino” Iantorno pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di Aprile 2017, una bellissima pagina di ricordi (spunti per una ricerca)... della nostra stupenda amata/odiata Comunità: l’allevamento del baco da seta.
* * *
A
San Fili fino a qualche decennio addietro, ovvero agli anni precedenti il 1970,
alcune famiglie si dedicavano all’allevamento de “u siricu” ovvero del
baco da seta.
Io,
da bambino, a volte seguivo mia madre, anche lei impiegata in tale occupazione,
nei punti in cui si allevavano i bachi da seta e si procedeva alle varie fasi
relative all’estrazione dai bossoli della preziosa fibra.
Uno
dei punti in cui si produceva la seta a San Fili si trovava nella zona della “Gghiazza”
(rione Spirito Santo) ed il tutto si svolgeva in un magazzino di proprietà
della famiglia Lio. Tale laboratorio fu in un secondo tempo trasferito in “via
rampa” dove si trovava l’abitazione di tale famiglia. Nasceva in tale zona la
famosa ditta della famiglia Lio con i fratelli Giuseppe e Francesco.
Ricordo
che, in quel magazzino, c’erano delle “cannizzole” (ripiani realizzati
con intrecci di canne opportunamente tagliate, spaccate ed intrecciate). Su
tali “cannizzole” venivano disposte una moltitudine di tenere foglie di
gelso bianco (dette comunemente pampine quando attaccate al
ramoscello). I bachi da seta erano ghiottissimi di tali foglie.
Sulle
foglie si aggiravano indisturbati ed intenti a rimpinzarsi a più non posso
degli strani vermi tozzi e color cenere. I bachi da seta, appunto.
Mia
madre mi diceva che per ottenere tali animaletti era necessario versare sulle
foglie il relativo seme (ovvero uova che dischiudendosi avrebbero poi dato vita
ai bachi).
Dopo
qualche giorno dal momento in cui si erano dischiuse le uova ed i bachi avevano
iniziato a prendere una giusta consistenza si procedeva a cambiare loro il cibo
sostituendo le foglie del gelso bianco con foglie di gelso nero (piante di cui
a quei tempi era ricco il nostro territorio). Le foglie (pampine) del
gelso nero sembra fossero più ricche di sostanze nutritive.
Piano
piano per i bachi si avvicinava il tempo di procedere alla metamorfosi che li
avrebbe tramutati in farfalle. Metamorfosi che nel caso dei bachi da seta,
ovviamente, si sarebbe verificata in pochissimi casi... visto che la quasi
totalità degli stessi non sarebbe mai uscita fuori viva dal loro bozzolo.
Sulle
“cannizzole” venivano, a mano a mano che si avvicinava il tempo della
metamorfosi, anche posti dei rami ancora con le foglie attaccate. Era su tali
ramoscelli cui si attaccavano i bachi che gli stessi, grazie alla “filatura bavale”,
realizzavano un bozzolo nel quale, con infinita pazienza e sicuramente enorme
lavoro, si chiudevano all’interno.
La
maggioranza di tali bachi, dicevamo, non si tramutavano in farfalla poiché la
lavorazione della seta imponeva che i bozzoli stessi subissero una fase di
bollizione che ne uccideva gli ospiti garantendo comunque la integrità del
bozzolo e quindi della preziosa materia tessile.
I
bozzoli così ottenuti venivano poi commercializzati in varie parti dell’Italia
dove, in appositi stabilimenti, si procedeva alla dipanatura degli stessi e
quindi alla realizzazione dei filati ormai pronti per la fase della tessitura.
* * *
Un
caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
...
/pace ma... “si vis pacem para bellum”!
sabato 23 settembre 2017
C'ERA UNA VOLTA SAN FILI: Le more di rovo (l'amureddr'e spine) - Articolo di Luigi Gigino Iantorno.
Foto a sinistra: le stupende e saporite amureddre
(more) di spine (rovo). Prelibatezza regalataci dalla natura di cui San
Fili è ricchissima nei mesi di verso la fine della stagione estiva.
Foto by Pietro Perri - Articolo by Luigi Gigino
Iantorno.
* * *
Con
questo ricordo, messo nero su bianco dall’amico Luigi “Gigino” Iantorno
(pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di settembre 2017), riporto alla
mente una bellissima pagina di ricordi... anche e soprattutto della mia
infanzia: le “amureddr’e spine”.
* * *
Mi
ricordo quando, da ragazzino, nel periodo ricadente tra la seconda metà di
agosto e la prima metà di settembre andavo all’incetta di alcuni particolari
gustosissimi frutti che ci elargiva in modo spontaneo la natura circostante: le
more di rovo o (come chiamavamo all’epoca tale pianta) di spine.
Il
rovo è una pianta particolarmente fastidiosa proprio perché presenta lungo i
suoi filamenti tutta una serie costante di spine che lasciano ben poco a
sperare in quanti ci si imbattono. Una quantomeno piccola puntura è infatti
comunque assicurata.
Le
more di rovo sono frutti selvatici commestibili e di buona qualità.
Da
ragazzino, dicevo, come tutti i miei coetanei ne ero alquanto goloso e quindi
ne mangiavo tantissime. Con i miei compagni d’avventura in ogni caso ne
raccoglievamo tantissime e dopo averne mangiato buona parte, ci divertivamo ad
infilare il resto in alcuni fili d’erba appositamente selezionati per tale
scopo.
Si
dava così vita al cosiddetto filaru (appunto il filo d’erba in cui erano
infilate una dietro l’altra le more raccolte).
Inutile
dire che tra noi ragazzini si faceva a gara a chi avvistasse il rovo più carico
di more... ovviamente giunte a giusta maturazione e più grandi delle altre.
Era
questo un frutto senza padrone e quindi serviva anche a placare i desideri, in
alcuni casi una vera e propria necessità alternativa, della povera gente.
Spesso
i filari venivano portati a casa e messi a disposizione degli altri
componenti il nucleo familiare.
Inutile
ribadire che molti erano i graffi che si accumulavano sulla propria pelle nel
cercare di raccogliere dai rovi più more possibili ed a volte qualcuno di noi
ci rimetteva (a causa di vari strappi) anche le camicie, le maglie o i
pantaloni. Il che poteva significare non ottenere dai genitori i complimenti
per il lavoro fatto ma un bel ceffone per il danno causato ai vestiti.
Le
more dei rovi (o di spine) oggi sono alquanto ricercate anche per la
realizzazione di ottimi dolci, di saporite bevande e di gustosi gelati.
Stranamente
le stesse sembra non siano più ricercate dai ragazzini di oggi.
Ma
i tempi passano e forse è anche meglio così.
* * *
Un
caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
*/pace
ma... “si vis pacem para bellum”!
venerdì 8 settembre 2017
AD ALCUNI SORRIDENTI RIDICOLI... MIEI COMPAESANI.
SANFILESE - Ciao Diogene. Cosa fai a San Fili? DIOGENE - Cerco un Sanfilese anonimo emigrante forse di nome Elvira o forse Elviro. SANFILESE- Allora stai fresco... al fresco! |
All'anonimo (emigrante, sedicente?) che mi taccia di eventuali interessi dubbi nella mia posizione consiliare non posso che dire che se avevo interessi dubbi... li avrei sicuramente ampiamente soddisfatti restando anonimo (come te) ed in silenzio ufficialmente (come te).
E se non capisci bene la mia posizione... rileggiti i miei post su Facebook. E se ancora non li capisci... mi spiace ma per quanto riguarda l'analfabetismo di ritorno... per questa malattia ancora non è stata trovata una cura decente che potrei consigliarti (anche se fossi un medico ma medico non sono).
SAN FILI * NUOVA_POLIS_69.(CEREBRALE).0 * IL FUTURO... LA S-VENDETTA.
giovedì 7 settembre 2017
LA GRECA PASSIONALE - sabato 9 settembre 2017 - ore 18:00 - Teatro comunale San Fili (CS).
Locandina dell'evento. |
Sedicente storico o sedicente ignorante? .. vada per l'immeritata seconda,
Nosce te ipsum - Conosci te stesso. (Elvira/Elviro... per me pari sono) |
Sarà colpa del solito ultraquarantenne sedicente maschio, sedicente soggetto maturo e sedicente intellettuale che negli ultimi anni sembra abbia una psicosi nei confronti dello scrivente?
Ok, se non ha meglio da fare non posso che invidiarlo.
Si, cara Elvira (anonima compaesana residente da tempo nell'Italia del Nord che mi hai mandato ultimamente un messaggio tramite la posta elettronica automatica collegata a questo blog), sono decisamente invidioso... ma di te.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!
lunedì 28 agosto 2017
Quando il legno sanfilese era ricercatissimo per le pipe da fumo..
Sulla
sinistra: Pipe ricavate da radice di erica arborea.
Foto
ripresa dal web.
* * *
San
Fili malgrado abbia un territorio limitatissimo ha saputo imporsi nei secoli
passati in più campi sia della cultura che dell’economia. Ed ogni tanto di
qualità che hanno caratterizzato la nostra cittadina (il nostro stupendo
amato/odiato borgo) e la nostra Comunità ne scopriamo (o quantomeno ne
riscopriamo) una nuova.
Questa
volta, ad esempio, grazie anche ad un articolo scritto dall’amico e compaesano
Luigi “Gigino” Iantorno (e con una mia piccola successiva aggiunta) ci
immergiamo nel campo del... fumo.
L’articolo
e l’aggiunta, che riporto di seguito, sono stati pubblicati sul Notiziario
Sanfilese del mese di Agosto 2017.
Buona lettura.
Quando
il legno sanfilese era ricercatissimo per le pipe da fumo.
Di Luigi “Gigino” Iantorno.
Finora
non credo che qualcuno ne abbia mai parlato o scritto ma tra le tante cose che
in altri tempi rendevano famoso il territorio sanfilese c’era - e c’è ancora
anche se non è più ricercata - una particolare pianta le cui radici fornivano
un prezioso materiale per realizzare le pipe da fumo.
Parlo
dell’ilica (erica arborea) ovvero di un arbusto sempreverde, dalla
corteccia rossastra, a portamento eretto, appartenente alla famiglia delle Ericaceae.
Questa pianta la troviamo crescere in modo spontaneo in più punti del
territorio sanfilese, in particolare a ridosso, spesso come semplice sottobosco,
dei castagneti presenti nella zona chiamata i Cozzi.
Quando
ero giovane mi capitava spesso di seguire mio padre in campagna.
Ci
fu un tempo, a ridosso degli anni Settanta, in cui mio padre lavorava un pezzo
di terra in una zona, sempre nel territorio di San Fili, chiamata “i carusi”.
Tale zona si trova nelle vicinanze della statale 107 all’altezza di contrada
Profico.
In
una di queste occasioni mi capitò di osservare delle persone che non avevo mai
visto prima. Erano scesi da un grosso mezzo di trasporto e portavano con sé,
per quella zona, una combinazione di strani attrezzi da lavoro: accette, pichi
e sacchi di canapa.
Costeggiando
la proprietà che lavorava mio padre si erano diretti, come seppi dagli stessi
nel momento in cui gli chiesi il motivo della loro presenza in una zona vicina
conosciuta come “i martini” (n.d.r.: nelle vicinanze della Casa di
cura Villa Igea).
In
tale zona, mi dissero inoltre, c’erano diverse piante di ilica. Piante
che per loro rappresentavano un vero e proprio tesoro.
Inutile
dire che dalle nostre parti tale pianta era, ed è ancora considerata, una
pianta a dir poco inutile se non fastidiosa ed infestante o utile al massimo
per realizzare, con i fini ramoscelli, delle rustiche scope da dare in uso agli
spazzini del paese.
Arrivati
nel punto per loro di maggiore interesse, quei signori venuti da chissà dove
iniziarono a farsi spazio tra i cespugli di ilica tagliando con le
accette i rami delle stesse mettendoli in modo frettoloso da parte. Dopotutto
non erano i rami di tali piante nel loro interesse ma... le radici che
iniziarono nel men che non si dica ad estirpare con grosse botte di piccone.
Dalle
radici delle iliche, appunto per loro materiale preziosissimo, mi
dissero infatti che avrebbero ricavato delle pipe da fumo ricercatissime sul
mercato internazionale. Tale legno era considerato, per oggetti del genere,
decisamente pregiato.
Quel
giorno riuscirono a riempire più sacchi con le succitate radici. La giornata,
almeno per loro, era stata alquanto fruttuosa.
* * *
Sulla sinistra: Ramoscello di erica arborea ripreso di stampe
d'epoca.
Foto dal web.
* * *
Alla fine, quando ci salutammo, dopo avermi spiegato l’uso che avrebbero fatto di quelle radici, mi svelarono anche che venivano dalla Campania e che consideravano le radici di ilica presenti sul territorio sanfilese migliori di uguali materiali che andavano raccogliendo in altre zone del cosentino in particolare e della Calabria in generale. Tutto ciò forse, mi dissero, era dovuto all’esposizione soleggiata del nostro territorio.
Fatto
sta che la radice delle piante di ilica che si trova a San Fili sembra
sia particolarmente tenera e quindi facile da lavorare ma che quando, lavorata,
si lascia opportunamente essiccare diventa decisamente resistente e quindi
permette la realizzazione di pipe da fumo decisamente uniche nel suo genere.
Quindi
valeva la pena, per i nostri amici della Campania, fare tanti chilometri per
venire a respirare un po’ di aria buona a San Fili.
Oggi
certo i fumatori di pipa sono diminuiti e le pipe vengono realizzate con tanti
altri materiali ma sicuramente non sono belle come quelle che in altri tempi
venivano realizzate con la radice di ilica sanfilese. E chissà che un
domani, magari qualcuno dei nostri figli o dei nostri nipoti, non decida di
riprendere questa attività, ovvero l’estrazione e la lavorazione della “erica
arborea” anche solo al fine di realizzare oggetti da utilizzare come semplici
soprammobili, portachiavi, fermacarte e via dicendo.
E
non solo terra di pipe.
San
Fili, come ci ha ricordato l’amico e compaesano Luigi “Gigino” Iantorno nel suo
articolo “Quando il legno sanfilese era ricercatissimo per le pipe da fumo” è
strettamente collegato alla storia del consumo del tabacco in Italia.
Dopotutto
l’erica arborea (ilica) è una pianta decisamente presente sul nostro
territorio. In particolare nella zona dei Cozzi.
Eppure
il borgo di San Fili in altri tempi, ed in particolare quando nel Sud d’Italia
governavano i Borbone di Napoli, era famoso anche per la coltivazione del
tabacco.
Non
è difficile infatti trovare scritto in diversi libri e/o pagine internet che
parlano del nostro comune che “per molto tempo a San Fili fu fiorente la
produzione di un’ottima qualità di tabacco, il Brasile. Tale era
commercializzata in varie regioni del Meridione d’Italia”.
* * *
Un
caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
...
/pace ma... “si vis pacem para bellum”!