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sabato 14 settembre 2024

La storica Grotta Azzurra di Giovanni Calomeni a San Fili.



Nella foto a sinistra: l’entrata della cantina “Grotta Azzurra” di Giovanni Calomeni. La stessa si trova a San Fili nel mezzo della scalinata in pietra di fiume che collega corso XX Settembre (all’altezza dei palazzi della famiglia Gentile e della famiglia Miceli (mmienzu u puontu) con via Guglielmo Marconi (all’altezza dell’edificio che ospita le scuole elementari del borgo. La scesa, via Roma o Chiarieddru che dir si voglia, è caratterizza dalla presenza di una scalinata realizzata per buona parte a secco in pietra di fiume.

L’articolo e la foto sono entrambi a firma Pietro Perri. L’articolo è stato proposto una prima volta, verso la fine degli anni novanta, sul quindicinale a tiratura locale “l’occhio” e successivamente, nel mese di novembre del 2009, sul Notiziario Sanfilese.

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La cantina dei Miceli, situata ara scisa di via Roma (Chiarieddru, per i sanfilesi d.o.c.!), una delle poche stupende ed impareggiabili scalinate realizzate in pietra di fiume ed ancora non completamente distrutte dai nostri laboriosi ed insostituibili amministratori trentennali (per la serie: "come hanno distrutto loro, non distruggono neanche i bombardamenti degli americani"!), conosciuta nell'ambiente degli intenditori per diversi decenni come "la Grotta", fu gestita dagli inizi del 1900 e fino al 1930 circa da un certo Ferdinando "Cacavineddra" .

Ferdinando "Cacavineddra" vendeva il vino dei Miceli ottenendone in cambio una percentuale sul guadagno. Dal 1930 in poi (esattamente fino al 1977) "la Grotta" sarà gestita da Salvatore Calomeni cui subentrerà successivamente il figlio Giovanni. Giovanni Calomeni non solo gestirà (seppure per un breve periodo, tenuto conto che il mondo iniziava tragicamente a cambiare) detta cantina ma finirà per acquistarne dai Miceli gli stessi locali.

Giovanni Calomeni inoltre affiancherà al nome di "Grotta" il qualificativo di "azzurra", dipingendone tra l'altro con tale colore l'accesso alla stessa.

Il nostro compaesano Giovanni Calomeni (persona affabile che noi ricordiamo anche per la sua ultradecennale macelleria 'mmianzu u puontu) tra l'altro volendo rompere la secolare tradizione d'acquistare il vino (o quantomeno il mosto) da vendere a San Fili nei paesi a ridosso di Cosenza (Zumpano, Donnici ecc.) così com'era sempre stato fatto dai gestori delle nostre cantine, ebbe la felice idea d'organizzare nei pressi di piazza Rinacchio (nei magazzini sottostanti dell'abitazione dei Palermo) un locale per la trasformazione, su larga scala, dell'uva in mosto (nu parmiantu). Uva che il Calomeni acquistava direttamente in Puglia. Tale parmientu fu operativo negli anni compresi tra il 1965 e il 1980.

Personalmente ancora ricordo (anche perché per un certo periodo tra queste vi furono i miei genitori) le numerose persone (donne e uomini) che vi lavoravano nel periodo della vendemmia.

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Gli uomini erano impegnati nel far funzionare le macchine, per niente automatiche o quantomeno semiautomatiche (se non per il torchio a pressione, presenti nel locale/parmientu che si trovava al piano seminterrato dell’abitazione della famiglia Palermo nei pressi di piazza Rinacchio (attuale piazza Adolfo Mauro). Le donne che portavano sulla testa dal piano strada al piano locale/parmientu le cassette piene d’uva in quanto il camion non era in grado di avvicinarsi ulteriormente nel punto in cui avrebbe dovuto mettere a disposizione dei lavoranti la propria preziosa mercanzia. Le donne erano pagate un tot a cassetta d’uva trasportata.

(n.d’a: aggiunta successiva alla pubblicazione dell’articolo)

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Era anche questo un modo come un altro per aiutare l'economia non sempre rosea di alcune famiglie della nostra comunità.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace.

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