Nella foto a sinistra: l’entrata della cantina “Grotta Azzurra” di Giovanni
Calomeni. La stessa si trova a San Fili nel mezzo della scalinata in pietra di
fiume che collega corso XX Settembre (all’altezza dei palazzi della famiglia
Gentile e della famiglia Miceli (mmienzu u puontu) con via Guglielmo
Marconi (all’altezza dell’edificio che ospita le scuole elementari del borgo.
La scesa, via Roma o Chiarieddru che dir si voglia, è caratterizza dalla
presenza di una scalinata realizzata per buona parte a secco in pietra di
fiume.
L’articolo e la foto
sono entrambi a firma Pietro Perri. L’articolo è stato proposto una prima
volta, verso la fine degli anni novanta, sul quindicinale a tiratura locale “l’occhio”
e successivamente, nel mese di novembre del 2009, sul Notiziario Sanfilese.
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La cantina dei Miceli, situata ara scisa di via Roma (Chiarieddru,
per i sanfilesi d.o.c.!), una delle poche stupende ed impareggiabili scalinate
realizzate in pietra di fiume ed ancora non completamente distrutte dai nostri
laboriosi ed insostituibili amministratori trentennali (per la serie:
"come hanno distrutto loro, non distruggono neanche i bombardamenti
degli americani"!), conosciuta nell'ambiente degli intenditori per
diversi decenni come "la Grotta", fu gestita dagli inizi del
1900 e fino al 1930 circa da un certo Ferdinando "Cacavineddra"
.
Ferdinando "Cacavineddra" vendeva il vino dei Miceli
ottenendone in cambio una percentuale sul guadagno. Dal 1930 in poi
(esattamente fino al 1977) "la Grotta" sarà gestita da
Salvatore Calomeni cui subentrerà successivamente il figlio Giovanni. Giovanni
Calomeni non solo gestirà (seppure per un breve periodo, tenuto conto che il
mondo iniziava tragicamente a cambiare) detta cantina ma finirà per acquistarne
dai Miceli gli stessi locali.
Giovanni Calomeni inoltre affiancherà al nome di "Grotta"
il qualificativo di "azzurra", dipingendone tra l'altro con
tale colore l'accesso alla stessa.
Il nostro compaesano Giovanni Calomeni (persona affabile che noi ricordiamo
anche per la sua ultradecennale macelleria 'mmianzu u puontu) tra
l'altro volendo rompere la secolare tradizione d'acquistare il vino (o
quantomeno il mosto) da vendere a San Fili nei paesi a ridosso di Cosenza
(Zumpano, Donnici ecc.) così com'era sempre stato fatto dai gestori delle
nostre cantine, ebbe la felice idea d'organizzare nei pressi di piazza
Rinacchio (nei magazzini sottostanti dell'abitazione dei Palermo) un locale per
la trasformazione, su larga scala, dell'uva in mosto (nu parmiantu). Uva
che il Calomeni acquistava direttamente in Puglia. Tale parmientu fu
operativo negli anni compresi tra il 1965 e il 1980.
Personalmente ancora
ricordo (anche perché per un certo periodo tra queste vi furono i miei
genitori) le numerose persone (donne e uomini) che vi lavoravano nel periodo
della vendemmia.
* * *
Gli uomini erano
impegnati nel far funzionare le macchine, per niente automatiche o quantomeno
semiautomatiche (se non per il torchio a pressione, presenti nel locale/parmientu che si
trovava al piano seminterrato dell’abitazione della famiglia Palermo nei pressi
di piazza Rinacchio (attuale piazza Adolfo Mauro). Le donne che portavano sulla
testa dal piano strada al piano locale/parmientu le cassette piene d’uva
in quanto il camion non era in grado di avvicinarsi ulteriormente nel punto in
cui avrebbe dovuto mettere a disposizione dei lavoranti la propria preziosa
mercanzia. Le donne erano pagate un tot a cassetta d’uva trasportata.
(n.d’a: aggiunta successiva
alla pubblicazione dell’articolo)
* * *
Era anche questo un modo come un altro per aiutare l'economia non sempre
rosea di alcune famiglie della nostra comunità.
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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace.
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