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giovedì 6 settembre 2018

‘a ‘mpigliolata. (2/6)


Nella foto a sinistra (ripresa dal web): Pianta del miglio. A San Fili spesso usiamo chiamare “farina miglinu” (quella che utilizziamo per fare la polenta o la stessa “mpigliolata santufilise” la farina di mais. Eppure la pianta del miglio è una pianta che ha ben poco a dividere con la pianta del mais... o forse, per quanto riguarda anche noi sanfilesi, no?

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di marzo del 2018... by Pietro Perri.

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E se la farina utilizzata per fare la ‘mpigliolata o “u pane miglinu” non fosse farina di miglio? Sarebbe un bel guaio, vero?

E invece no! ... anche perché la farina che a San Fili ancora oggi chiamiamo familiarmente “farina di miglio o miglina” in effetti tutto è tranne che “farina di miglio”.

Più precisamente è farina di mais o farina di granturco.

Un errore questo che sembra ci portiamo ormai avanti da tempo immemore. Un errore che facevo anch’io... prima di iniziare a scrivere quest’articolo sulla ‘mpigliolata.

A farmi aprire gli occhi in merito è stato il nostro compaesano Achille Blasi, da tempo residente a Milano ovvero nella capitale del popolo dei polentoni. Quindi chi meglio di lui poteva farmi capire che c’è una bella differenza tra la pianta del miglio e la pianta del mais o granturco che dir si voglia?

Un errore evidenziato persino da Luigi Accattatis già alla fine del XIX secolo nel suo famoso, per noi cosentini in particolare, “Dizionario del Dialetto Calabrese” (Cosenza 15 gennaio 1895/30 marzo 1898). In tale dizionario alla voce “migliu” infatti leggiamo:

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Migliu, s. m. Miglio; Pianta rada, pendente che fa un seme piccolo, rotondo, lucido, gialliccio chiamato con lo stesso nome, e si adopera specialmente per cibo di certi uccelli. E’ nota in botanica col nome di Panicum miliareum, ed è originaria dell’India || Migliu chiamano impropriamente anche il Granone o GranturcoPane de -; Pane di grano d’India, sebbene anche del miglio che noi coltiviamo, la gente povera faccia delle focacce per isfamarsi.

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La domanda a tal punto sorge spontanea: come mai i nostri nonni, i nostri padri e persino qualcuno di noi ancora oggi chiamiamo miglio il mais?

Diciamo che il miglio ed il mais un po’ come pianta si somigliano (almeno a vederle su internet in quanto personalmente a questo punto dubito di aver mai visto una pianta di miglio in vita mia). Ed un po’ si somigliano anche come forma e colore del seme.

Non solo: anche il seme del miglio può essere macinato e quindi dallo stesso si può ricavare anche una farina anche se a conservazione decisamente ridotta. E da tale farina sembra si possano anche ricavare delle pagnotte (l’originario pane miglinu?) e presumibilmente la ‘mpiglionata di farina di mais o granturco non ha fatto altro, in tempi a dir poco ormai remoti, che prendere il posto alla ‘mpigliolata realizzata anticamente con farina di miglio.

Non mi meraviglierei infatti che i nostri trisnonni e/o i loro ascendenti conoscessero più la coltivazione del miglio vero e proprio dalle nostre parti che quella del mais o granturco. Coltivazione presumibilmente meno faticosa per quanto riguarda il lavoro e più proficua dal punto del rendimento.

E venne l’era dei pop-corn.

Coltivazione sostituita quasi completamente nel corso del XX secolo con quella del grano per la sua più apprezzata (ma anche più dannosa, ce ne rendiamo tristemente conto oggi) “farina bianca”.

Inutile dire, per quanto riguarda la fruttificazione, che mentre con il mais siamo difronte ad una pannocchia con il miglio siamo difronte ad una spiga.

A proposito: il granturco o mais in dialetto (più nel dialetto dei nostri nonni, comunque, che nel nostro) è detto ‘ndianu ‘nniànu (abbreviazione di “grano indiano” o “grano turco” nel senso di esotico).

Oggi il miglio, ormai quasi sconosciuto in Italia, è coltivato in particolare nell’Europa orientale.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

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