Nella foto a
sinistra (ripresa dal web): Pianta del miglio. A San Fili spesso usiamo chiamare “farina
miglinu” (quella che utilizziamo per fare la polenta o la stessa “mpigliolata
santufilise” la farina di mais. Eppure la pianta del miglio è una pianta
che ha ben poco a dividere con la pianta del mais... o forse, per quanto
riguarda anche noi sanfilesi, no?
Articolo
pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di marzo del 2018... by Pietro
Perri.
E
se la farina utilizzata per fare la ‘mpigliolata o “u pane
miglinu” non fosse farina di miglio? Sarebbe un bel guaio, vero?
E
invece no! ... anche perché la farina che a San Fili ancora oggi chiamiamo
familiarmente “farina di miglio o miglina” in effetti tutto è tranne che
“farina di miglio”.
Più
precisamente è farina di mais o farina di granturco.
Un
errore questo che sembra ci portiamo ormai avanti da tempo immemore. Un errore
che facevo anch’io... prima di iniziare a scrivere quest’articolo sulla ‘mpigliolata.
A
farmi aprire gli occhi in merito è stato il nostro compaesano Achille Blasi, da
tempo residente a Milano ovvero nella capitale del popolo dei polentoni. Quindi
chi meglio di lui poteva farmi capire che c’è una bella differenza tra la
pianta del miglio e la pianta del mais o granturco che dir si voglia?
Un
errore evidenziato persino da Luigi Accattatis già alla fine del XIX secolo nel
suo famoso, per noi cosentini in particolare, “Dizionario del Dialetto
Calabrese” (Cosenza 15 gennaio 1895/30 marzo 1898). In tale dizionario alla
voce “migliu” infatti leggiamo:
* * *
Migliu, s. m. Miglio; Pianta rada, pendente
che fa un seme piccolo, rotondo, lucido, gialliccio chiamato con lo stesso
nome, e si adopera specialmente per cibo di certi uccelli. E’ nota in botanica
col nome di Panicum miliareum, ed è originaria dell’India || Migliu chiamano
impropriamente anche il Granone o Granturco: Pane de -; Pane di
grano d’India, sebbene anche del miglio che noi coltiviamo, la gente povera
faccia delle focacce per isfamarsi.
* * *
La
domanda a tal punto sorge spontanea: come mai i nostri nonni, i nostri padri e
persino qualcuno di noi ancora oggi chiamiamo miglio il mais?
Diciamo
che il miglio ed il mais un po’ come pianta si somigliano (almeno a vederle su
internet in quanto personalmente a questo punto dubito di aver mai visto una
pianta di miglio in vita mia). Ed un po’ si somigliano anche come forma e
colore del seme.
Non
solo: anche il seme del miglio può essere macinato e quindi dallo stesso si può
ricavare anche una farina anche se a conservazione decisamente ridotta. E da
tale farina sembra si possano anche ricavare delle pagnotte (l’originario pane miglinu?)
e presumibilmente la ‘mpiglionata di farina di mais o
granturco non ha fatto altro, in tempi a dir poco ormai remoti, che prendere il
posto alla ‘mpigliolata realizzata anticamente con farina di
miglio.
Non
mi meraviglierei infatti che i nostri trisnonni e/o i loro ascendenti
conoscessero più la coltivazione del miglio vero e proprio dalle nostre parti
che quella del mais o granturco. Coltivazione presumibilmente meno faticosa per
quanto riguarda il lavoro e più proficua dal punto del rendimento.
E
venne l’era dei pop-corn.
Coltivazione
sostituita quasi completamente nel corso del XX secolo con quella del grano per
la sua più apprezzata (ma anche più dannosa, ce ne rendiamo tristemente conto
oggi) “farina bianca”.
Inutile
dire, per quanto riguarda la fruttificazione, che mentre con il mais siamo
difronte ad una pannocchia con il miglio siamo difronte ad una spiga.
A
proposito: il granturco o mais in dialetto (più nel dialetto dei nostri nonni,
comunque, che nel nostro) è detto ‘ndianu o ‘nniànu (abbreviazione
di “grano indiano” o “grano turco” nel senso di esotico).
Oggi
il miglio, ormai quasi sconosciuto in Italia, è coltivato in particolare
nell’Europa orientale.
* * *
Un
caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
Nessun commento:
Posta un commento