Nella foto a sinistra: Mazzetto di “spicardorsa / spicaddossu / spicardossu” (lavanda). Immagine ripresa dal web. Articolo pubblicato dallo scrivente Pietro Perri sul quindicinale “l’occhio” e riproposto sul mio blog il 24 giugno del 2015.
Oggi sentir dire da due anziani: "Ca tra de nui c'era puru nu Sangiuvanne de
mmianzu!", suona male alle nostre vaccinate orecchie (oltre a
sembrare una frase senza senso e di pochissima importanza). Eppure, fino a
qualche decennio addietro (ante 1960) l'uso d'istituire “nu Sangiuvanne”
tra due persone o due gruppi familiari a San Fili finiva per andare al di là
dello stesso legame di sangue che poteva esserci tra le stesse: il legame di
sangue, infatti, è voluto da una, spesso e volentieri, casuale combinazione
biologica... “u Sangiuvanne” era invece una scelta matura e convinta.
Quello che riportiamo di seguito (tra l’altro già pubblicato sul
quindicinale “l’occhio” nel corso degli anni Novanta) è quanto ci è stato
raccontato da un'anziana signora che mi ha chiesto l'anonimato. Riportiamo il
tutto in prima persona e cercando di usare le sue precise parole. A proposito:
avremmo dovuto proporlo a giugno. Ce ne scusiamo.
* *
*
« (...) ricordo
quand'ero signorina che con le mie amiche e compagne di lavoro aspettavamo con
ansia il mese di giugno per fare il “Sangiuvanne”. A quei tempi,
infatti, oltre “ari Sangiuvanne” che venivano fuori dai
battesimi, dalle cresime e dai "compari" di matrimonio, erano
importantissimi quelli che si realizzavano nella seconda metà di questo mese.
Aspettavamo trepidanti i giorni del 24, appunto la ricorrenza di san
Giovanni Battista, e del 29 giugno, in cui si festeggiavano (n.d.r.:
all'epoca questo giorno era segnato in rosso sul calendario) i Santi
Pietro e Paolo: in tali giorni lo scambio reciproco di doni permetteva, a San
Fili, alle persone interessate di chiamarsi “cummari” e “cumpari”
tra di loro.
Il giorno di san Giovanni una delle due future “cummari”
preparava una guantiera con doni (n.d.r.: presumibilmente leccornie e quindi
peccati di gola) in base ai gusti che si sapeva avesse la ricevente. Alla
guantiera veniva unito un bel mazzetto di garofani profumati e di tanti colori,
agli stessi venivano uniti tanti fili di “spicardorsa” (lavanda).
Coperto la guantiera con un tovagliolo (serviettu) ricamato o con un
fazzoletto di seta, per una persona fidata si mandava il tutto all'amica
oggetto del presente.
All'ambasciatrice la “cummari” ricevente oltre a farle bere
qualcosa per mostrare quanto avesse gradito il dono, alla stessa dava una
mancia e quest'ultima se ne ritornava felice a raccontare il tutto alla
mandante.
Il 29 giugno il tutto faceva il percorso inverso: nuova guantiera,
nuovo dono, nuovi garofani e nuova persona fidata che, invitata dalla comare
che il 24 aveva ricevuto la “stimanza”, contraccambiava in quanto
ambasciatrice il gesto della settimana prima.
Da quel momento tra i membri delle due famiglie ci si poteva
chiamare e salutare con l'appellativo di “cummari e cumpari”.
Appellativo che è innanzitutto sinonimo di rispetto reciproco.
Purtroppo non tutti avevano la possibilità economica all'epoca di
mettere su una guantiera seppur scarna nella sua composizione, così come non
tutti potevano fare un semplice mazzetto di fiori. A queste non restava altro
che farsi una promessa (n.d.r.: giuramento?) verbale consacrata
da un atto formale non di poco conto.
Incontrandosi, in quest'ultimo caso, le due persone interessate,
legatesi l'una all'altra con il dito mignolo recitavano la seguente frase -
filastrocca: “Ncrocca e scrocca jiritieddru, cu sa fide e cu s'anieddru, cu
sa fide chi ni dunamu, Sangiuvanne ni chiamamu”.
Ed anche in questo caso si aveva la realizzazione di un “legale”, ovviamente
nel proprio cuore, “legame di comparaggio”.
Legame che sarebbe durato una intera vita. »
* *
*
Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro
affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para
bellum”!
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