Ci sono poche parole con cui ci si scontra magari una sola volta nella vita ma che poi ci si riporta dietro, quasi un marchio, per il resto della vita… una martellante, estenuante presenza nella nostra memoria.
Difficile dire se tali parole ci hanno colpito per il loro magico (melodioso?) e/o straziante suono o per il loro ambiguo significato o per l’aneddoto che ha dato origine alle stesse.
La mia vita, intellettualmente (?) parlando, è stata finora segnata da quattro parole ed un nome: egregio (da “e gregis” - fuori dal gregge… di cui ho già ampliamente parlato in questo blog), utopìa (che spesso mi viene naturale sostituire con Utòpia… intendendo con questo termine un luogo fantastico dove tutti sono uguali, dove ognuno rispetta le regole senza bisogno che nessuno debba imporgliele e dove tutto - nella legalità - è possibile… anche sognare), ospite (parola a dir poco ambigua… o a dio poco stupenda… punti di vista) e Arcadia.
In quest’occasione non parlerò né di Arcadia né di Utopia (entrambi i termini legati a luoghi immaginari, almeno nel mio pensiero, nel primo caso, tra l’altro… oltre che immaginario il luogo diventa persino una divinità positiva… ma, ripeto, non è di questo che voglio parlare in questo post). In quest’occasione voglio parlare, ero da tempo che me lo ripromettevo, della parola (termine)… “ospite”. E, perché no?, magari anche con un particolare riguardo all’ospite (gradito)… non invitato.
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Qualche tempo fa… tantissimo tempo fa (parlo infatti di quando potevo avere un 18 o un 20 anni… una vita fa)… leggendo un libro di cui non ricordo né il titolo né l’autore (si vede che quel libro era tutt’altro che interessante… almeno per lo scrivente) mi imbattei in un significato dubbio della parola “ospite”… non riuscivo, in poche parole a capire (focalizzare) se l’autore volesse indicare con tale termine il padrone di casa (ovvero l’ospitante) o l’invitato (ovvero l’ospitato, l’accolto).
Non entrai in merito più di tanto, all’epoca, su tale concetto. Sicuramente, mi dissi, sarà stata una svista dell’autore o del tipografo. E se non è stata una svista ma una netta convinzione dell’autore quella di utilizzare tale termine in tale “ambiguo” modo… nulla di grave. Dopotutto in Italia così come “tutti sono poeti… anche i poeti”… sicuramente “tutti sono scrittori… anche gli scrittori”.
Oltretutto mancavo, all’epoca come adesso, duna buona formazione umanistica di base… “sugnu nu” ragioniere! … quindi, se cerchi cultura di qualità… rivolgiti a quel soggetto che vedi osservarti la mattina quando ti sciacqui la faccia ed apri gli occhi allo specchio che ti sta di fronte.
Forse quel soggetto non potrà offrirti più qualità di quella che ti offro io in questo scritto… ma tu non ci farai certamente caso… assonnato come sei in quel momento e per giunta con gli occhi bagnati, “stricati”, e quindi alquanto offuscati nella visione. Quando non si connette bene si accetta tutto partendo dalla buona fede di ciò che ci viene propinato… specie da noi stessi.
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Ma veramente sbagliava quell’autore che non ha meritato (tra il 1970 ed il 1980) neanche un relegato cantuccio nella mia disturbata memoria? … veramente quell’autore non sapeva che per l’ospitante e per l’ospitato è giusto utilizzare termini diversi anche per non creare problemi esistenziali a qualche male in arnese lettore?
… o era quel lettore in particolare che con l’autore aveva in comune solo la parte “*tore” della propria qualifica?
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Strano ma vero… sia l’ospitante che l’ospitato altro non sono che degli “ospiti”: “ospite” è l’ospitante (il padrone di casa) ed “ospite” è l’ospitato (l’invitato, l’accolto dentro casa o dentro la propria proprietà)… e non potrebbe essere diversamente.
L’ospitato (ospite), ovvero colui che viene accolto, nel momento in cui viene accolto (al pari) diventa un pari, diventa… un padrone di casa, un padrone di proprietà. E per essere effettivamente un pari è giusto che anche l’ospitante (il padrone di casa) diventi un pari (all’ospitato) e quindi un… “ospite”… un “ospite” non invitato ma sempre e comunque gradito.
Lo strano caso dell’ospite (gradito)… non invitato.
Forse è proprio per questo che quando invitiamo di cuore qualcuno in casa nostra, la prima cosa che diciamo al nostro “ospite” è… “Fai come se fossi a casa tua!” … sperando, magari nel nostro subconscio, che non ci prenda poi tanto in parola e dimenticando che, dopotutto, val pur sempre bene quel detto dei nostri anziani secondo cui… “l’ospite” (in quanto “ospitato” e non in quanto “ospitante”) “è come il pesce… dopo tre giorni… puzza!”.
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Dopo questo excursus.. un po’ di storia non guasta.
Il termine “ospite” sembra derivi dal latino “hospitem” che a sua volta si rifà all’accusativo “hòspes” composto da “hos = host” (da “hostis” equivalente a “straniero, forestiero, pellegrino”) con l’aggiunta di “pes = pets” (equivalente a “padrone, signore”… protettore).
Tale nota è stata elaborata dalla ricerca del termine “ospite” nel sito www.etimo.it.
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… un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
… /pace.
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