Giulia Fresca, Franco Sangermano e Giuseppe "Peppe" Esposito. |
Copertina della raccolta di commedie "Il turno". |
Pubblico nella sala G. Iusi di San Fili domenica 8 luglio 2018. |
Il Blog di Pietro Perri dedicato a San Fili (uno dei più bei paesi della provincia di Cosenza) e ai Sanfilesi nel Mondo.
Giulia Fresca, Franco Sangermano e Giuseppe "Peppe" Esposito. |
Copertina della raccolta di commedie "Il turno". |
Pubblico nella sala G. Iusi di San Fili domenica 8 luglio 2018. |
Nella foto a sinistra
(ripresa dal web): Patate 'mpacchiuse... ara santufilise. ‘E
patate ‘mpacchiuse (piatto povero ma decisamente gustoso) sono uno dei
piatti tipici santufilisi assieme a pochissime altre pietanze o dolci
quali ‘a ‘mpigliolata oggetto di quest’articolo. Foto dal web.
Articolo pubblicato sul
Notiziario Sanfilese del mese febbraio del 2018... by Pietro Perri.
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* *
Non raramente sento chiedermi da gente non
sanfilese quali siano i piatti tipici della cucina del nostro stupendo...
amato/odiato borgo.
Credetemi, non è facile dare una risposta
a tale domanda. O almeno non lo è per lo scrivente (non ho mai messo in dubbio,
infatti, né ho intenzione di farlo d’ora in poi, la cultura a dir poco
superiore - confrontata alla mia - di tanti miei compaesani).
Certo se dovessi riferirmi ad un dolce
tipico non potrei fare a meno di nominare la nostra stupenda chjina (tipico
dolce sanfilese del periodo di carnevale, per chi non lo conoscesse o ne avesse
perso il ricordo) ma troverei grosse difficolta ad indicare un primo piatto, un
buon secondo o un contorno.
Intendiamoci: a San Fili, ovviamente
escludendo singoli casi e/o singoli periodi storici, così come in buona parte
del Meridione d’Italia (grazie anche e soprattutto alla nostra arte
d’arrangiarci col nulla) non siamo mai morti di fame riuscendo non raramente a
far diventare, in cucina, oro colato del semplice piombo.
Però... come rispondere al mio
interlocutore col classico “lagana e ceci” o, per i più sofisticati, “lagana
e cicerchie” o, per restare nel classico, dei fusilli (‘nchionchiari)
conditi con sugo d’agnello o lardo e costine di maiale? ... troppo banale,
troppo scontato, troppo... calabrese.
Diciamo la verità: a San Fili non siamo
stati in grado finora di “istituzionalizzare” una cucina tradizionale.
Ognuno di noi ne inventa, a giusta
richiesta di conoscenti “non sanfilesi”, di volta in volta una propria e spesso
una nuova che tutto ha tranne che di sapore e profumo... tradizionale (tipico
ed unico) sanfilese.
Qualcuna di tanto in tanto provo ad inventarla
anche io. E lo faccio ovviamente rifacendomi ai ricordi che sopravvivono in me
dai tempi in cui la mia famiglia abitava ancora in campagna in contrada
Volette, ovvero fino al 1968, o ai primi anni in cui, con la stessa, mi sono
trovato catapultato nella vita, decisamente meno bucolica di quella della
campagna, del paese.
La cucina della mia famiglia era, ed in
parte lo è tutt’ora, una cucina definibile “povera”. Ed ovviamente con “povera”
intendo una cucina in cui c’era, e c’è, poco da mangiare.
La cucina della mia famiglia era
caratterizzata da pasta fatta in casa, almeno la domenica, con ottimi “fusilli
realizzati col ferro” (‘nchionchiari... prima o poi troverò l’esatta
trascrizione di tale termine), gnocchetti senza patate (strangugliaprieviti
- strangola preti) o gnocchi con patate, uova cucinate in vari modi (tipo ‘mpurgatoriu
o ‘mprigatoriu) e via dicendo. Per secondo, essendo noi gente di
campagna (tengo a sottolineare che in quegli anni non era la campagna ad essere
periferia del centro urbano di San Fili ma esattamente il contrario), si
mangiava quello che la campagna stessa ci metteva a disposizione: carne da
animali da allevamento, latte, uova ecc. ecc.
Oltretutto per quanto riguarda i piatti
che si ricavava dall’uccisione e dalla lavorazione degli animali di allevamento
anche in questo caso qualcosa, qualche sapore di quei tempi - il progresso ce
lo impone - l’abbiamo perso. Qualcuno di voi infatti ricorda ancora per caso il
sangue del pollo bollito e fritto? ... o ‘e cuorduliddre (interiora
pulite ed intorcinate su rametti di prezzemolo e quindi cotte magari in un po’
di sugo di pomodoro)? ... lasciatemi dubitare.
E per contorno? ... patate e verdure.
Queste ultime non sempre frutto di coltivazione ma frutto di raccolte di erbe
spontanee quali i gustosissimi cardi (carduni) e cicorie selvatiche,
germogli di aneto (finuocchi ‘e timpa) e germogli di vitalba (vitarve).
Verdure queste, ma non solo queste, cui spesso ci si limitava a sbollentarle e
passarle successivamente in un tegamino dove si era messo a friggere un aglio
in un po’ d’olio o strutto (grasso di maiale).
I germogli di vitalba (qualcuno a San Fili
li raccoglie ancora... a volte anche io) dopo sbollentati non raramente li si
impastava con l’uovo sbattuto e vi si ricavava una gustosissima frittata. Una
frittata che poteva far concorrenza alla frittata con asparagi... ovviamente
selvatici ed altrettanto ovviamente delle nostre parti.
Persino le patate dalle nostre parti negli
anni precedenti gli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso avevano uno spazio
non indifferente nella nostra “cucina tipica sanfilese”... sempre con
riferimento alla mia famiglia.
Un esempio ne erano le cosiddette “patate
‘mpacchiuse” (patate tagliate a fette tonde e relativamente spesse e messe
a friggere - all’inizio con il coperchio - con qualche foglia di lauro e con
qualche spicchio d’aglio a più strati in una capiente padella o... frissura).
Tale pietanza è una delle poche che, stranamente, ha trovato un piccolo spazio
nella cucina dei ristoranti locali. All’interno della padella per diversificare
il sapore delle “patate ‘mpacchiuse” si poteva arricchire la cottura
aggiungendo alle stesse altri ingredienti quali punte di asparagi, broccoli
neri, cime di rapa, funghi porcini (siddri), cipolle e chi più ne ha più
ne metta.
Ottime, a quei tempi, erano anche le
patate cotte nella cenere.
Nel fare tra me e me quest’excursus della
cucina tipica locale in ogni caso non potevo non pensare a determinate pietanze
(piatti?) tipiche di quei tempi ma che oggi sembra siano quasi del tutto dimenticate
o comunque destinate all’eterno oblio.
In tale mio excursus gastronomico, inutile
dirlo, non parlerò della lavorazione della carne del maiale e dei suoi
derivati.
Un esempio? ... i taralli sanfilesi
(quelli realizzati immettendo nell’impasto il sempre più raro... saporitissimo
anice nero o aranzo che dir si voglia), la majatica (in alcune
zone del cosentino la chiamano ‘nchiambara... ma non è altro che un
gustosissimo fritto di farina relativamente liquida anch’esso diversamente
condito all’interno) o la (squillino le trombe)... ‘mpigliolata
santufilise.
Ma di questa deliziosa e quasi dimenticata
pietanza che ai nostri nonni al solo pensiero veniva l’acquolina in bocca... ne
parleremo quanto prima (...).
(continua).
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Un caro abbraccio a
tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!