A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

Eventuali commenti a post di questo blog non verranno pubblicati sia se offensivi per l'opinione pubblica e sia se non sottoscritti dai relativi autori. Se non avete il coraggio di firmarvi e quindi di rendervi civilmente rintracciabili... siete pregati di tesorizzare il vostro prezioso tempo in modo più intelligente (se vi sforzate un pochino magari per sbaglio ci riuscirete pure).
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martedì 24 dicembre 2024

Auguri di Buon Natale a tutti gli amici (e non solo) affezionati lettori di questo blog.

A sinistra vediamo la scannerizzazione d'una stupenda cartolina augurale realizzata a mano (e su esemplare unico) da Franco Fato… un caro amico d'Oltreoceano (originario comunque di San Fili - CS) passato prematuramente a miglior vita qualche anno addietro.

Quindi non una semplice cartolina augurale ma un vero regalo dato con tutto il cuore. Un regalo con un dono che va oltre l’umano concepibile: il proprio tempo. Ed il proprio tempo si può regalare solo alle persone cui si tiene, per un motivo o per un altro, veramente.

Non ti ho ringraziato quando ne avevo il tempo ma lo faccio oggi con tutto il cuore: ovunque tu sia, Franco, grazie.

By Pietro Perri.

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Gesù di Nazareth Maria e Giuseppe.

Mi è sempre più difficile credere nella natura divina di Gesù figlio di Giuseppe e di Maria ma non metterò mai in dubbio (da uomo del dubbio) la sua vita terrena e ciò che hanno rappresentato lui e la sua famiglia per l’Umanità.

Gesù figlio di Giuseppe e di Maria è sinonimo di famiglia e non c’è nel mondo niente di più bello della propria famiglia. Un “bene prezioso” questo che sovente viene calpestato (neanche fossero “perle date ai porci” per rifarci ad una parabola dei Vangeli) sia a causa di stupide incomprensioni che perché vittime di una malsana società moderna che cerca di isolare gli individui forse per gestirli meglio.

Fuori dalla famiglia ed isolati non siamo niente: difendete così come l’ha difeso Maria di Nazareth questo enorme tesoro. Difendetelo anche a costo della vostra stessa vita. Difendetelo anche se i vostri stessi familiari non vi capiscono né vi capiranno mai.

L'ammetto: non credo in Cristo Figlio di Dio ma semplicemente in Gesù figlio dell'uomo, di Giuseppe e di Maria. E se devo dire quale sia la miglior famiglia mai vissuta sulla Terra... non posso non dire che quella è la famiglia composta da Giuseppe, Maria e Gesù. Una famiglia, questa, che si dimostra il tutto ed il contrario di tutto... ma sempre e comunque una famiglia che ha fatto della sua unità il punto di maggior forza: nella gioia e ancor più che nella gioia... nel dolore.

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Elogio a Maria di Nazareth... protettrice della famiglia.

(Da un mio post su Facebook).

Sarà che sono un uomo e sarà che non sono neanche padre (?) a differenza di Giuseppe "il carpentiere" che di figli ne aveva anche non suoi ma, credetemi, più passa il tempo e meno riesco a capire la psicologia femminile mossa d'amore materno.

Le madri, quest'universo magico... misterioso... strano: non sono tanto felici dei figli che sono loro amorevolmente e riconoscenti vicini nel momento del reale bisogno (si contentano di un semplice sguardo, un bacio, un sorriso, un abbraccio, una parola di conforto...) quanto soffrono per la mancanza del figlio ingiustificatamente assente.

E dei padri? ... meglio non parlarne: chi non ricorda infatti la "parabola del figliol fesso e del figliol prodigo"?

E poi? ... il capolavoro di Maria di Nazareth.

Maria di Nazareth? ... eccola lì spinta da amore materno intenta a consigliare al frutto "scapestrato" del suo ventre un po' di attenzione in più nel suo dire, nel suo fare e nello sfidare senza paura il potere costituito.

E lui? ... la scaccia in malo modo dalla sua presenza. Scaccia lei ed i suoi fratelli. Perché il destino scritto si compia.

Basterebbe ciò per convincere una persona sensata a prendere una strada diversa anche da ciò che considera la sua stessa carne. Un uomo, un padre potrebbe anche farlo.... ma una madre?

Ed eccola, Maria, ai piedi della croce non impegnata a rinfacciare al proprio frutto "scapestrato" del suo ventre le mille ed una colpa addebitantegli ma... Eccola, Maria, impegnata a piangere ai piedi del figlio che in quel drammatico momento le viene umanamente tolto.

Lo rivedrà in futuro? ... c'è chi le dice di sì. Lei intanto piange. Malgrado abbia ancora tanti altri figli suoi e tanti figli non suoi cui pensare.

Lei intanto piange... il figlio che non c'è e che forse non c'è mai stato se non nel suo cuore di madre.

Strani esseri le madri.

Ma forse ancor più strani (o gli unici esseri strani in questo stupendo non duplicabile rapporto/cordone ombelicale) siamo solo noi figli degeneri.

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Dio? ... prenditi una vacanza: evita che almeno a Natale qualcuno uccida nel tuo Santo Nome.

(Da un mio post su Facebook).

Il nemico dell'umanità non è l'islamismo ma è la religione.

Pensate che una volta la religione islamista si chiamava ebraismo. Poi si è chiamata cristianesimo ed infine - oggi - si chiama islamismo.

Nel corso dei secoli comunque ha avuto un solo nome: religione.

Ed il sangue versato è stato sempre lo stesso: quello della gente di strada. Solo poche volte quello di chi gestisce il potere e/o la finanza.

*     *     *

E Dio incontrò Mose.

(Da un mio post su Facebook).

La prima cosa che - sembra - disse Dio a Mosè nell'incontro illuminato e riscaldato da un roveto ardente fu: "Togliti i calzari, sei su un luogo sacro!"

E noi dovremmo ricordarci di tale ordine ogni qualvolta, la mattina svegliandoci e scendendo dal letto, mettiamo i piedi per terra.

La terra (con rispetto per gli ospiti) è e resta un luogo sacro.

A proposito, qualche anno addietro sono stato al monastero di santa Caterina ai piedi del monte Sinai ed ho toccato il roveto che secondo la tradizione è quello da cui Dio ha parlato a Mosè.

Effetti strani (tipo incontri ravvicinati del terzo tipo)? ... nessuno.

Poi sono salito sul monte Sinai nel punto in cui secondo la tradizione è salito qualche migliaio di anni addietro anche Mosè e... ho visto Dio.

L'ho visto guardando - negli occhi - oltre il confine dell'infinito la bellezza del suo Creato.

Un abbraccio e tantissimi auguri a tutti di un Buon Natale ed un felicissimo anno nuovo.

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Un caro abbraccio (ed ovviamente auguri di Buon Natale) a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


(Da un post originale del 25 dicembre 2017)

sabato 24 agosto 2024

A cunservar’a nive. Di Salvatore (Turuccio) Mazzulla.


Rispolverando il mio archivio di foto e scritti vari mi è capitato sotto gli occhi questo stupendo - per il valore storico relativo alla Comunità Sanfilese - a firma non mia ma dell’indimenticato caro amico Salvatore Turuccio Mazzulla.

Lo ripropongo in questo blog per i succitati due motivi: il ricordo di Salvatore Turuccio Mazzulla e... il valore storico relativo alla Comunità Sanfilese.

Perché a San Fili c’è sempre stata gente che ha fatto tanto per salvare la memoria storica della nostra Comunità e per divulgarne i valori in essa racchiusi... gratuitamente per non dire rimettendoci la propria faccia e di tasca propria.

La foto in alto a sinistra, in cui compaiono gli indimenticati (ed indimenticabili per chi li ha saputi e potuti apprezzare) Salvatore Turuccio Mazzulla e Mario Oliva.

*     *     *

Ci troviamo negli anni Cinquanta.

Mio padre lavorava come apprendista presso il Bar di Salvatore Blasi (u bagnaruotu).

Allora come oggi si mangiavano gelati ma non c’erano, almeno da noi, le carpigiani per produrli in modo artigianale.

All’epoca bisognava procurarsi la materia prima: il ghiaccio.

Il ghiaccio veniva fornito da un signore di Gesuiti.

Non erano dei veri e propri gelati: assomigliavano più ad una granita o ad un sorbetto.

I sanfilesi, in alternativa all’uso del ghiaccio, si erano inventati un altro sistema: “a cunservar’a nive”.

Durante il periodo invernale, in corrispondenza di una copiosa nevicata, si recavano in montagna ed all’interno di alcune fosse naturali, quindi già presenti nel terreno, dove si era già accumulata della neve, ne raccoglievano dell’altra compattandola, così come si fa con i “palloni di neve”, poi la ricoprivano di felci e di terra.

Questo sistema permetteva loro di conservarla per lunghissimo tempo, fino al periodo estivo, periodo in cui veniva prelevata per poi produrre i gelati.

Una di queste fosse naturali esiste ancora in località “Purveracchiu” ed anche questa fa parte delle testimonianze di archeologia industriale presenti nel nostro territorio.

L’inventiva, la capacità imprenditoriale di chi ci ha preceduto non trova oggi riscontro nella San Fili odierna, il mio augurio e che i ragazzi di oggi possano riappropriarsi di questo passato glorioso per riportare un giorno questo nostro piccolo centro allo splendore di un tempo.

…. a mio padre.

Salvatore Turuccio Mazzulla.

domenica 23 luglio 2023

Caudu e ‘ncriscienza!… / Versi di don Giovanni Gentile da San Fili.



Nell’immagine a sinistra (ripresa dal web): Caronte, traghettatore infernale secondo la visione dantesca (ripresa in ogni caso dalla mitologia romana e greca), in una illustrazione di Gustave Doré. Negli ultimi anni, forse per scopiazzare un modo di fare dei media d’Oltreoceano, in Italia si è presa l’abitudine di chiamare Caronte alcuni picchi di caldo come quelli che stiamo subendo in questo decisamente “scottante” 2023. Anche se... dubito che Caronte abbia mai visto o si sia mai avvicinato al girone in cui sono destinati i peccatori autocondannatisi alle fiamme infernali.

Sul poeta sanfilese don Giovanni Gentile alias Chiacchiara ho scritto (e pubblicato tantissimo) già precedentemente su questo blog. E, nel possibile (o quando me n’è stata data la possibilità, per essere più precisi), mi sono fatto in quattro per rivalutarne la grandezza. Non prendetemi sul serio e “non accettate stupidamente la mia verità” ma sono stato costretto a riconsegnarlo, spero solo temporaneamente, all’oblio della storia... quantomeno locale. Purtroppo quando ci si rende tristemente conto di non avere più un proprio pubblico e meglio lasciare agli altri l’oppio che si spaccia, non sempre come cultura e quasi sempre “neanche sotto forma di cultura”, dai palchi e sulle scene.

*     *     *

Caudu e ‘ncriscienza!…

Versi di don Giovanni Gentile alias Chiacchiara da San Fili.

Nota introduttiva di Pietro Perri.

Don Giovanni Gentile (alias Chiacchiara) prete non per vocazione ma per colpa di nascita, che ci crediate o no, è stato giovane come tutte le persone normali di questa terra e come tante è stato anche studente.

Anche allo studente più “secchione” a volte viene a noia studiare… pensiamo poi a quel mattacchione del Chiacchiara (alter ego di don Giovanni Gentile, tanto bravo quanto coraggioso soprattutto per l’epoca in cui è vissuto, poeta dialettale sanfilese).

Se poi ci si mettono pure il caldo estivo di Cosenza, il sonno e le mosche… meglio sorvolare.

Al di là di tutto, comunque, il nostro caro poeta don Giovanni Gentile ci fa capire che è inutile affliggersi più di tanto... specie quando non si può cambiare ciò che condizione in un determinato momento la nostra vita. E poi... l'estate dura solo tre mesi, l'autunno passa in fretta ed... eccoci pronti a lamentarci del freddo eccessivo.

Dopotutto lo diceva qualche secolo prima anche “il Magnifico” (“Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia... chi vuol’esser lieto sia, del doman non v’è certezza”).

 

Fa’ nu caudu chi murimu:

Io nun puozzu cchjù studià:

E’ chjù miegliu si partimu

A Cusenza ‘un si po’ stà.

 

Ogne notte, spienturatu,

Nun mi puozzu addormentà

Ca mi mancadi lu jatu

E mi ‘ngignu a riminià.

 

La matina (v’ ‘u pensati)

Ccu chi lena m’aju azà;

E ccu l’uocchi tutt’unchjati

M’aj’ ‘e mintere a studià.

 

Ma le musche ch’aû pitittu

Vienu lestu a muzzicà,

Ed io pigliu cittu cittu

Ccu ‘ste bestie a m’inquietà.

 

E cussi sona la scola

Priestu e tristu aj’ ‘e vulà,

Ma si ‘un sacciu ‘na parola

Chaju ‘e jire a ce cuntà?

 

Tiegnu ‘ cuorpu ‘na vilienza

Chi la guala nun ci n’ha:

E lu mastru si spacienza:

Mi fa propriu disperà.

 

All’esame mi l’ha dittu

Ca mi puozzu ripruvà:

Io ppe’ chissu sugnu affrittu

Ma nun aju cchi ce fa.

 

Si ppé casu mi riprova

Io nun lassu de cantà:

L’ammutare cchi mi giova:

E’ chjù miegliu chiacchjarià.

 

A ‘stu munnu allegramente

Ogne cosa âmu ‘e piglià:

Si t’affriggi nun fu’ nente,

Ma cchju priestu pue crepà.

 

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

 

domenica 19 marzo 2023

Il Signore mi Chiama - Versi di Oscar Bruno da San Fili.



Immagine a sinistra: Raffaello, Resurrezione, 1501-1502, olio su tela, 52 x 44 cm. San Paolo, Brasile, MASP Museu De Arte De São Paulo.

Foto ripresa dal web.

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Anche in occasione di questa Santa Pasqua ospito sul mio blog una realizzazione in versi del nostro compaesano Oscar Bruno dedicata dallo stesso alla resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. L’augurio di una Buona e Santa Pasqua ovviamente è dedicato non solo ai Sanfilesi nel Mondo ma a tutti gli ospiti (esseri viventi) del nostro sempre più martoriato pianeta.

Personalmente non credo nella resurrezione e quindi nella natura divina di Gesù figlio di Giuseppe e di Maria ma non posso non condividerne il grande messaggio, come uomo, che lo stesso ha lasciato all’intero genere umano. Un messaggio che malgrado tutto e malgrado i duemila vergognosi anni di storia che ci siamo lasciati alle spalle da quando ci è stato consegnato quel messaggio... ancora non riusciamo a capirlo ed a farlo nostro,
Auguri anticipatamente a tutti per una Buona e Santa Pasqua (speriamo di vera “rigenerazione” questa volta) a tutti... anche da parte mia.

Vi lascio ai versi dell’amico e compaesano Oscar Bruno:

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IL SIGNORE MI CHIAMA

(Oscar Bruno 2023)

Da che si fu di tal clemenza

Ch'il Padre fe' di Cristo una missione,

Per far del mondo una unione

Di fede, e d'altro, ch'il mondo non ha.

 

Fino a che la missione fu compiuta

Disse ai suoi: io vado al Padre,

Lascio voi e pur la Madre

Altro farete quel che vi dirò.

 

Un pane, una coppa di mie essenze

Farete per i secoli il dolce rito,

Chi segue questo, avrà il dolce invito

Tutto il Padre mio ne assolverà.

 

Questo vi dico in ultimo convito

Dove attendo la voce che udrete,

Tutto è finito, e tutto ne avrete

Le cose che vi dissi, spartite ne saran.

 

Figli d'Israele, udite ancora

Amatevi I'un I'altro com'io vi amai,

Tutto saprete quando vi parlai

Che I'alto spirito in voi scenderà.

 

Or che vi lascio nella quieta pace,

Ormai il tempo co'amor concesso

Ha fine, a quella voce farò accesso

Ed altro volto, in altro tempo, ne sarò.

 

Come luce e sale in cielo il Cristo

La terra lascia, ed anche il seguace,

Altro ne lascia, che sia tanta pace

Sol questa ne sarà, I'umil verità.

 

Or che una voce dal cielo intona,

"Voi Galilei che attoniti guardar?

Questo che in cielo sale, non po' tornar

Sol d'altra luce, e giudice sarà,

 

Tal sì che avvenne in tal tempo

Del Cristo, Dio figliol, d'umana veste,

D'amore e pace il mondo Io riveste

Sol questa la mission che ne lasciò.

 

Pasqua vuol dir, siamo fratelli,

La mano amica stringi con amore,

E chi non pensa, che forse non ha cuore

I pellegrin sarem, per dir, "pace sarà".

 

BUONA PASQUA CON AMORE...

QUESTO È IL SEGNO DEL DIO SIGNORE.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

Dedicato a Salvatore Perri... mio padre.



La foto a sinistra è stata scattata dal parroco don Franco Perrone poco don una storica nevicata che si è abbattuta sul territorio di San Fili nel febbraio del 1991. Il punto in particolare è di fronte alla casa canonica su via Marconi (nei pressi dell’edificio che ospita le scuole elementari del paese).

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"Panta rei - tutto scorre", così s'intitola un libro del filosofo napoletano Luciano de Crescenzo.

Tutto scorre e scorrendo... tutto finisce, anche la vita di un genitore che malgrado l'età e i dolori collegati alla stessa... sembrava essere eterna ed immortale. Ma il 17 settembre 2003, a circa 85 anni, è passato a miglior vita, senza lasciare rimpianti, anche lui... mio padre (e certamente anche il mio migliore "amico") Salvatore Perri... "Sarvatur'e Betta".

85 anni di cui oltre cinquanta divisi (sempre e comunque equamente) tra il lavoro nei campi, la famiglia e il suo impegno di sacrestano presso la locale chiesa del Carmine (o del Carmelo).

Ed è così che lo voglio ricordare: incurante del tempo (c'era stata all'epoca una storica nevicata) e della propria salute che ormai iniziava a non seguire più i ritmi del suo impegno sociale. Nella foto sopra, una foto scattatagli da un compaesano nel 1991 quando, strafregandosene anche dei rimproveri dei familiari, comunque volle tener fede ai propri impegni verso la "sua" chiesa.

Ed eccolo, infatti, appena uscito dalla casa del parroco del paese, felice dopo aver ricevuto dal prete stesso gli ultimi ordini per la funzione religiosa che si sarebbe tenuta da lì a pochi minuti.

"Panta rei - tutto scorre", è questo che sembra volerci dire col suo sguardo beato, col suo incedere sicuro, malgrado il bastone che non poteva più lasciare, tra la neve ed il ghiaccio, con i suoi foglietti de "la Domenica" sotto il braccio, con... tutto scorre... anche la vita di un padre! Anche la vita di mio padre!

Mio padre ha voluto morire in un mercoledì, incurante che fosse di 17, a casa propria e circondato dai propri cari. Dormendo. In un mercoledì come tanti mercoledì lasciatisi gioiosamente alle spalle: perché, il mercoledì, è il giorno che la fede cristiana dedica alla Madonna del Carmelo... e lui in devozione di mercoledì tutto avrebbe fatto... tranne che mangiare carne... era peccato... "a Madonna du Carminu" non l'avrebbe gradito!

L'ultimo saluto a Salvatore Perri, così come lui stesso aveva sempre sperato, gli è stato dato giovedì 18 settembre 2003 nella chiesa della Madonna del Carmine di San Fili.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

sabato 18 marzo 2023

'a 'mpigliolata. (3/6)



Nella foto a sinistra (by Pietro Perri): Semi di mais o granturco. Il mais era una pianta che veniva coltivata con una certa regolarità dagli agricoltori sanfilesi almeno fino alla fine degli anni Sessanta. Non era una delle colture principali ma serviva comunque a dare un guadagno marginale a chi coltivava la terra. Dai semi di mais si ricavava la farina che veniva usata sia per fare il pane che per fare la polenta o per fare la deliziosa ‘mpigliolata santufilise.

(...)

Mia madre (Rende Teresina Letizia - 1921/2019) era un’artista nel preparare l’impasto, nell’infornare e nello sfornare la ‘mpigliolata. Un’artista come gran parte delle nostre anziane madri o delle nostre stupende nonne made in San Fili.

A tutte loro, non solo a mia madre, è dedicato questo mio scritto ricco di profumi, di sapori e di incancellabili ricordi.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese del mese di marzo del 2021... by Pietro Perri.

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Tra i piatti tipici (o quanto meno “tipici” fino agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso) della nostra comunità merita di essere ricordata la ‘mpigliolata. Una vera e propria leccornia, frutto di esperimenti della cucina cosiddetta “povera” (ma decisamente ed in alcune varianti stracolma di grassi non proprio buoni per chi fa una vita d’ufficio o quantomeno sedentaria), di cui si cibavano con una certa regolarità i nostri nonni.

Spulciando su internet si riesce trovare anche qualche ricetta, reinventata e/o adattata ai tempi moderni, della ‘mpigliolata sanfilese o quantomeno di qualcosa cui si può avvicinare alla stessa. Un qualcosa tipo, ad esempio, la pizza di farina gialla o farina di mais o di granturco che dir si voglia.

Ma, credetemi, con queste ricette (varianti) la ‘mpigliolata dei nostri nonni o dei nostri bisnonni ha ben poco a che dividere. Anche perché alla realizzazione di tali ricette mancano degli ingredienti che, in alcuni casi anche per ‘ncriscienza, difficilmente riusciremo a mettere assieme.

Provo ad elencare alcuni di tali ingredienti di non facile (per non sottolinearne a volte anche l’impossibilità) reperibilità: il granturco coltivato nelle nostre zone, la realizzazione della farina di granturco tramite i mulini che utilizzavano macine in pietra, la povertà (che fa apprezzare il poco che si ha a disposizione), alcuni ingredienti realizzati con metodi antichi quali la salimora (ciccioli o cicoli o scarafuagli che dir si voglia), le foglie secche di castagno raccolte nel periodo della casculata (queste rientrano nell’ambito della ‘ncriscienza ad andare a raccoglierle), l’amore (nel realizzare certe cose) delle madri o delle nonne per i propri figli o per i propri nipoti, il forno a legna.

La capacità di trasmettere tali ricette da madre in figlia. Infatti quando alle nostre nonne chiedevi quale erano le dosi per realizzare tali prelibatezze la risposta di queste assassine (mi si conceda questo francesismo almeno in questo caso) era quasi sempre la stessa: nu pizzicu, nu cucchiaru abbondante, quantu sinne piglia, ppe tri puni minteccenne, io aju fattu sempre ad uocchiu...

Quindi se proprio volete provare a rileggere le ricette “non scritte” delle nostre nonne o delle nostre bisnonne (per quelli di noi che ancora hanno la fortuna di averne qualcuna in casa) dimenticatevi di trovarvi difronte a grammi, millilitri, frazioni di comparazione ed altre diavolerie di pesi e misure dei nostri tempi.

A proposito, ho citato le foglie di castagno che, inutile dirlo, non vanno certamente frullate e messe nell’impasto della ‘mpigliolata. Le foglie di castagno, infatti, selezionate una per una nel periodo della raccolta delle castagne e lasciate essiccare sotto la pressa magari di qualche giornale (o sistemate a mo’ di pacco ed opportunamente legate assieme di modo che col tempo prendevano comunque una forma quasi piatta) sostituivano in tale frangente la carta forno da posizionare sulla teglia (‘a lagna?) su cui si sarebbe posto il prezioso impasto prima di passare il tutto in forno. In poche parole le nostre nonne e le nostre bisnonne non solo avevano anticipato l’avvento nelle nostre zone della carta da forno ma avevano fatto tutto ciò nel massimo rispetto che si potrebbe rendere alla natura stessa.

Meno inquinamento (in quanto la carta forno è un prodotto tutt’altro che facile da riciclare) e meno alberi da tagliare (magari dei castagni) per realizzare la carta forno stessa.

Cosa si potrebbe desiderare di più?

Nulla!

Eppure qualcosa in più le foglie di castagno all’intruglio che avrebbe dato in seguito vita al prodotto finito (la ‘mpigliolata appena sfornata) ce l’avrebbero dato e con tutto il cuore.

Grazie alle foglie di castagno, o per meglio dire al tannino (qualcuno mi corregga pure se sbaglio) in esse contenuto, infatti la ‘mpigliolata riusciva a prendere un aroma in più che, mischiato al resto degli ingredienti, la rendeva veramente unica.

Finché è stata viva ed attiva mia madre, ovvero fino 2016 o al 2017 non mancava anno in cui la stessa non ci facesse gradito dono almeno un paio di volte all’anno di questo suo stupendo alchemico intruglio. Un intruglio che risvegliava tutti i nostri sensi.

(continua).

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


venerdì 3 marzo 2023

L'ultimo volo della colomba - by Pietro Perri.



Nella foto a sinistra: particolare di una croce posizionata sul monte Nebo in Giordania. Nel sito/santuario in cui si trova questa croce secondo la tradizione Mosè, alla fine del suo peregrinare nel deserto, ebbe la possibilità di vedere la finalmente la Terra Promessa... pur non potendoci mettere piede. Sempre secondo la tradizione il suo corpo giace in tale sito.

Foto ed articolo by Pietro Perri.

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Chiese un giorno la colomba alla gallina: "Se Dio ci ha dato delle ali per volare, perché non dovremmo volare? Perché dovremmo vivere e morire con l'eterna paura che un animale più grande e pericoloso di noi stia sempre all'erta, sempre pronto a spezzarci le ali e fare di noi un sol boccone... quando ancora il nostro cuore pulsa sangue e voglia di vivere?"

"Non saprei", rispose la gallina, "ma per vivere io non ho bisogno di volare!"

"Dio", si chiese la colomba, "perché mi hai dato delle ali, se tutti e tutto intorno a me dice e dicono che è meglio non usarle... che è inutile, stupido e pericoloso usarle?"

Conclusa questa riflessione la colomba s'alzo in volo, s'udì un boato venire dal nulla... e la colomba cessò di vivere e di volare.

Dio, mi chiedo io, perché le hai dato delle ali per volare? ... forse perché la sua morte avvenisse in un luogo più vicino al Tuo Celeste Trono?

Ho  visto i miei fratelli di sventura terrena prendere il volo e non far più ritorno al proprio nido: qualcuno ucciso da altri uccelli per placare la propria fame, qualcuno ucciso da una bestia che per quanto mi sforzerò di capire cosa e che cosa sia... non lo capirò mai... maledetto insulso uomo.

A cosa serve avere un cervello per pensare, una bocca per parlare, un cuore per sognare se tutto, ma proprio tutto, intorno a noi ci dice che è più salutare non pensare, non parlare e non sognare? A cosa serve non vivere, così come ha scelto di non vivere la gallina?

Povera vecchia, stupida gallina: credevi d'essere intelligente... ma pur restando a pascere nella tua corte... sei finita anche tu nel pentolone a sfamare l'ingordigia di quella maledetta ed insulsa bestia chiamata uomo.

Certo non è durato molto il volo della colomba, ma perlomeno le sue ali, quelle ali che Dio le aveva dato per volare e non per smuovere la sabbia intorno ad un vermiciattolo o ad un chicco di grano, hanno provato a librarsi nel blu del cielo.

Dio, se Tu esisti come dopotutto ne sono certo, sono altrettanto certo che la colomba uccisa in volo non toccò mai terra al suo capitolare: ciò che toccò terra fu sicuramente, grazie ad un Tuo Miracoloso Sortilegio, la volgare carcassa d'una stupida gallina.

Dio, sono sicuro che quella colomba in questo momento sta svolazzando felice nei Tuoi Paradisiaci Cieli, sono sicuro che sta ringraziandoTi con i suoi empirici voli e sono sicuro che Tu Sei felice d'averle dato vita.

Ho voglia di volare anch'io, Dio, perché non saprei che altro farmele delle ali che mi hai dato: mi prudono sulle spalle.

Ho voglia di pensare, di parlare, di scrivere e di sognare: ho voglia di sentirmi grato, Dio, di quanto mi hai dato... e credo non vi sia altro modo migliore di ringraziarTi, se non quello di utilizzare i tuoi celestiali doni.

Voglio credere e sperare in un mondo migliore, perché non ho nessuna voglia di vivere e morire disperato... dammene la forza ed il coraggio, Dio, dammeli ora che ancora ho voglia di reagire, o domani mi ritroverai gallina... a cuocere nel pentolone d'un essere che non riuscirò mai a capire: maledetto insulso ambiguo uomo.

 

Morale della favola: quante volte mi è stato detto che non vale la pena lottare contro i mulini a vento, che non sarò io con le mie idee ed i miei scritti a cambiare il mondo (… non mi sono mai illuso di ciò!), che comunque tutto resterà così com’è e che magari, se non la finisco, “’ncunu prima o poi mi fara’ nu bellu paliatune!”.

Dio però mi ha dato una enorme ricchezza: la bravura nell’uso della penna (un po’ d’autoelogio non guasta mai… specie quando tardano ad arrivare gli elogi degli altri)… e Dio, a chi ci ha creato colombe, non ci vuole certamente galline.

E poi, chi ha detto che lottare contro i mulini a vento a lungo andare non paga? … don Chisciotte della Mancia (personaggio di fantasia ma, dopotutto, non tanto) con la sua mitica impresa contro “tali feroci mostri” ha finito per passare, malgrado tutto e tutti, alla storia… o no?

Finché Dio mi darà la forza ed il coraggio, voglio continuare a lottare contro i mulini a vento… semplici mulini a vento per il popolo sciocco e credulone, veri e propri mostri generati dal fiato della “Bestia Immonda” per quanti riusciamo a vedere oltre l’umana apparenza!

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


lunedì 16 gennaio 2023

Chernobyl's children - Nota e versi by Pietro Perri.



Nella foto a sinistra: luglio/agosto 1994 - gruppo di bambini provenienti dall’Ucraina (zona centrale nucleare di Chernobyl) ospitati da alcune famiglie della costa tirrenica (Paola-Fuscaldo-San Lucido). La foto (by Pietro Perri) fu scattata in località Acquatina di San Fili (poco al di sotto del valico Crocetta).

Nel 1996 anche San Fili ospitò alcuni fanciulli provenienti dall'area di Chernobyl (zona dell'Ucraina tristemente nota per l'incidente verificatosi nella centrale nucleare). Fu un’impresa stupenda ma decisamente impegnativa.

La mia famiglia ospitò l'accompagnatore, Chissà, dopo circa trent'anni da allora, che fine hanno fatto quei fanciulli: se hanno avuto un futuro e che tipo di futuro... se hanno un presente,

L'esperienza comunque non venne ripetuta. Neanche da quelle persone e da quelle famiglie che in quell'occasione ci accusarono d'esserci voluti accaparrare l'accoglienza di quei bambini senza distribuirli in modo più onesto nella comunità.

Beata (tanto santa quanto invidiabile)... umana imbecillità!

A proposito: la poesia che riporto di seguito, preceduta da una breve nota introduttiva, è una delle uniche due mie poesie (se tali si possono definire) riportanti un titolo in inglese.

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Anche San Fili, come migliaia di altri paesi e città italiane, ha toccato con mano il dramma della nube di Chernobyl. L'avventura è iniziata nel lontano 1994 (agosto se non vado errato) quando il movimento politico-culturale "Uniti per San Fili e Bucita" in località Acquatina organizzò una giornata ecologica in favore dei bambini ucraini ospiti di famiglie della cittadina paolana. "Biondi cherubini / inconsapevoli cavie / profeti di sventura / grondanti di vita" ... e noi, quasi fossimo andati a vedere uno spettacolo ad un circo equestre, ce li aspettavamo senza capelli, pieni di pustole, zoppicanti e chi più ne ha più ne metta.

"A valle una freccia / insegue invano il triste dio alato / il diluvio oggi... vile speranza / non ci sarà!"... qualcuno al paese, sogghignando, sentendo cadere una goccia d'acqua sul suo naso, già ringraziava Dio per aver rovinato la giornata. Ma era una goccia d'acqua della tipica nuvola d'impiegato: caduta giusto sul suo naso.

San Fili ospitò l'anno successivo 14 ragazzi ucraini: "biondi cherubini" anche questi, "grondanti di vita" anche questi... "profeti di sventura" anche questi nel momento in cui li facemmo visitare da una équipe medica e ci rendemmo conto che per alcuni di loro non ci sarebbe stata speranza.

E Sascia, in quel lontano 1994, in località Acquatina, al pari dei nostri bambini, piangeva per il semplice fatto d'aver dimenticato a Paola la sua pistola ad acqua regalatagli amorevolmente dai suoi genitori adottivi.

A cavallo d'un dio alato
giunsero in Italia
i tristi figli
dell'annunciata morte.

Biondi cherubini
inconsapevoli cavie
profeti di sventura
grondanti di vita.

Giunsero a San Fili
senza una storia da raccontare
senza un orrore da nascondere
vivi... deludente visione.

Il circo da tempo
aveva levato le tende
verso un'altra città
un'altra annunciata morte.

Bugiardo dio alato
falso come il presente
che cerca nel futuro
l'ultima vestigia del passato.

Dove sono le teste calve
le mani a sei dita
l'epidermide bruciata
gli occhi spenti... nel buio.

Dov'è la tristezza Sascia:
in una pistola ad acqua
dimenticata a casa
dei tuoi genitori adottivi?

Biondi cherubini
inconsapevoli cavie
profeti di sventura
grondanti di vita.

A valle una freccia
insegue invano il triste dio alato:
il diluvio oggi... vile speranza
non ci sarà!

Pietro Perri / 1994 - 1995.

martedì 20 dicembre 2022

A Domenico (Micuzzu) De Franco... un grande mancato.




Nell’immagine a sinistra: San Fili 1991 - Stazione Ferroviaria. Ai piedi del treno l'amico Domenico Micuzzu De Franco. Foto Pietro Perri.

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A Domenico Micuzzu De Franco... un grande mancato.

(Articolo apparso sul quindicinale “l’occhio” nel gennaio del 1999 a firma di Pietro Perri).

Ci sono persone per cui i propri piccoli problemi quotidiani diventano sinonimo di tragedia e vengono sbandierati ai quattro venti con la speranza che i vicini di casa ed i conoscenti gettino, commiserandoli, un po' di sale sulle piaghe infette... l'uno e gli altri sono sinonimo di gente meschina e senza futuro.

Ci sono persone che pur vivendo grossi drammi e cibandosi quotidianamente della propria tragedia, riescono a far passare inosservato il tutto, consapevoli che tutti gli altri hanno grossi problemi e che non è giusto appesantirli con quelli che si presuppongono "i propri futili deliri". Queste persone sono “i grandi”.

I grandi riescono a lasciare un ricordo indelebile di se stessi a volte lasciando grandi opere ai posteri, a volte lasciando solo un messaggio di “modello di vita”.

Agli inizi di quest'anno (n.d.a.: 1999) San Fili ha perso un “suo grande figlio”... un grande mancato, per chi l'ha conosciuto ed ha avuto la possibilità d'apprezzarne le doti come chi sta scrivendo: il professor Domenico De Franco... Micuzzu De Franco. Una persona questa che è saputo andarsene nelle braccia del Signore in punta di piedi così com'era vissuto... eppure quanto dolore nella sua vita e nella sua dipartita. Un dolore che è riuscito a tenersi sempre in sé, che è riuscito a non far pesare mai ai suoi amici.

Certo non sono io quello che dovrei tessere un elogio funebre all'amico Micuzzu (oggi lo chiamo Micuzzu, in vita per quanto ci avessi giocato più volte assieme a carte, per quanto ci avessi più volte mangiato assieme, per quanto più volte assieme v'avessi salito e sceso corso XX settembre... l'ho sempre chiamato "professò"), sarebbe stato più giusto che l'avesse scritto il suo fedele compagno Gianni De Nittis, ma purtroppo il caro Gianni l'ha preceduto da qualche anno nelle celesti terre del Signore e sicuramente assieme al comune amico Salvatore Malfitano (u figliu de Cuncetta du tabacchinu) gli sarà andato incontro per rendergli più facile l'inserimento nella nuova dimensione.

Domenico De Franco aveva sempre una parola di conforto per i suoi amici ed i suoi compaesani... e non lasciava mai capire agli altri quanto lui ne avesse bisogno, d'una parola di conforto, più dei suoi interlocutori.

Il professor De Franco ha insegnato pochissimo tra i banchi di scuola (ma è stato maestro d'etica e di vita per l'intera sua esistenza) il resto della sua attività lavorativa l'ha passato alle dipendenze della Biblioteca Civica di Cosenza che aveva lasciato per godersi il suo meritato riposo appena a gennaio 1998 (... venne da me, uno dei suoi tanti amici, a farsi compilare la domanda di pensione). 

Negli anni che aveva passato alle dipendenze della Biblioteca Civica di Cosenza, a dimostrare il suo grande amore per San Fili e i Sanfilesi, si era preoccupato di ricercare e copiare dai giornali presenti nella Biblioteca tutti gli articoli riguardanti il suo paese natio, un lavoro certosino e senza paragoni: quasi duecento anni di storia riportata sulla cronaca dei vari giornali.

Più volte mi confidò che avrebbe voluto pubblicarli (era l'opera di una vita) e più volte l'incitai a farlo... Dio non gliene ha dato il tempo, ma forse lui non si è preoccupato neanche di chiederGlielo. Un lavoro che speriamo sia ripreso da altri ed opportunamente valorizzato.

Era un grande, tanto grande da rifuggire da qualsiasi tipo di onore. Ha voluto morire così com'era vissuto... in punta di piedi.

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All’amico Micuzzu De Franco.

(Articolo apparso sul quindicinale “l’occhio” nel gennaio del 1999 a firma di Pasquale Maiolino).

Il 22 aprile 1933 il giornale “Calabria Fascista” riportava nella rubrica “asterischi” e sotto il titolo “Fiocco bianco” la seguente notizia: “La casa del camerata prof. Mario De Franco è stata allietata, in questi giorni, dai vagiti di un roseo e paffuto bambino al quale è stato imposto il nome di Domenico. Ai genitori felici i nostri più fervidi auguri”.

Il 4 Gennaio 1999 è venuto a mancare alla nostra comunità il cittadino e amico prof. Domenico De Franco.

La scomparsa di Micuzzu lascia un vuoto nelle nostre file. Egli era uno del Comitato Feste Religiose di San Fili.

Noi amici del Comitato non dimenticheremo il suo cordiale e simpatico sorriso, alla famiglia e ai parenti tutti con sincerità le più vive condoglianze.

Un giorno Micuzzu mi disse che aveva un grande desiderio di pubblicare dei ritagli di giornale, tratti da cronaca vera su San Fili e dintorni da lui fotocopiati e poi battuti a macchina nel corso degli anni.

Mi portò a casa e mi fece vedere tutto quel materiale che io ho successivamente cominciato a riscrivere sul computer con la speranza di poterlo pubblicare.

Purtroppo non ha potuto vedere realizzato il suo sogno perché si è ammalato.

Dal giorno in cui io ho appreso la triste notizia della sua malattia non sono più riuscito a terminare il lavoro.

Ti prometto, caro Micuzzu, se Dio me ne darà la forza ed il tempo che porterò a termine il lavoro che ci eravamo ripromessi di fare assieme facendo pubblicare la tua “opera”.

In suo ricordo riportiamo di seguito un articolo apparso sul giornale “La Libertà” del 13 Giugno 1867 dal titolo “Trasporto delle Ceneri de’ Bandiera d del Moro in Venezia”, articolo cui il prof. De Franco era molto affezionato:

 

“... appresso.

Arrivato il convoglio funebre presso San Fili, vide quel piccolo paese brillare d’infinite fiaccole: per le strade lunghe file di torce a vento, su’ balconi e le finestre lucerne variopinte e vagamente disposte. San Fili parea un quartiere d’una grande città in una sera di festa. All’entrata del paese si trovò la Guardia Nazionale tutta schierata lungo la via; una gran calca di gente di ogni classe si facea intorno al carro funebre desiderosa di vederlo: la Commissione provinciale allora lo fe’ scoprire a’ loro occhi, e dalla Guardia Nazionale di San Fili diede l’onore di guardare il carro durante la fermata del convoglio. Il sindaco intanto ed un’eletta schiera di cittadini venne ad invitare le varie commissioni del seguito e l’ufficialità della Guardia Nazionale di Cosenza a favorire nella casa comunale ove si trovò ogni maniera di rinfreschi apparecchiati da quel patriottico municipio: rinfreschi ancora furono offerti a tutta la bassa forza delle due compagnie della Guardia Nazionale di Cosenza ed alla banda, che crede’ ringraziare il paese, facendogli sentire i suoi concerti. Il convoglio venne infine accompagnato per lungo tratto dalla Guardia Nazionale di San Fili. Quanti son tornati di là non possono insomma elogiare abbastanza l’accoglienza fatta da quel piccolo paese al funebre corteggio de’ Bandiera e di Moro. E noi ci compiacciamo con quell’egregio Sindaco sig. Gentile e con quanti lo coadiuvarono della loro esemplare operosità, del loro patriottismo”.