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mercoledì 16 ottobre 2024

La predicazione di Gioacchino da Fiore sui monti di Rende/San Fili. Di Salvatore Turuccio Mazzulla.

Nella foto a sinistra: veduta laterale della Chiesa di santa Lucia nella frazione Bucita di San Fili (CS). Nell’area in cui ricade quest’antico edificio di culto secondo la tradizione vi ha tenuto delle prediche il quasi beato (santo per Dante Alighieri che lo colloca nel suo Paradiso) Gioacchino da Fiore.

Foto ovviamente… by Pietro Perri.

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Salvatore "Turuccio" Mazzulla e l'abate Gioacchino da Fiore.

(Breve nota di Pietro Perri)

Tra le persone che hanno dato tanto a San Fili, pur costantemente costrette da problemi personali e da una società di "dubbia moralità" che nel suo piccolo non perdona neanche il fatto d’essere nati in una famiglia anziché in un’altra (San Fili come tanti piccoli borghi calabresi è anche e soprattutto questo) o di sottomettersi alle decisioni non appellabili di gruppi settati, ottenendone il cambio solo un briciolo di damnatio memoriae, vi è sicuramente il caro indimenticato (?) Salvatore “Turuccio” Mazzulla.

Per anni Salvatore "Turuccio" Mazzulla ha cercato invano di recuperare un po’ di memoria storica della Comunità Sanfilese.

Spesso lavorando, purtroppo e forse anche stupidamente, nel fare da cassa di risonanza agli altri invece di lavorare per fare da cassa di risonanza a se stesso.

Ottima voce interpretativa (nel recitare versi suoi, in quanto autore di bellissime e toccanti poesie, o d’altri aveva un dono naturale) non disdegnava di dividere il palco con chi "in quel determinato momento" gli camminava affianco.

Oggi di Salvatore “Turuccio” Mazzulla riporto in questo mio spazio web un breve scritto (spunto per una ricerca) pubblicata sul Notiziario Sanfilese del mese di agosto del 2008.

In questo scritto il nostro compaesano ci parla del beato (con qualche legittimo dubbio) Gioacchino da Fiore. Ovvero dell'eretico calabrese (come lo definiscono alcuni studiosi della sua enorme ed illuminante opera religiosa, filosofica e letteraria) citato tra l'altro persino in un versetto della Comedia di Dante Alighieri.

Una citazione, quella di Dante Alighieri (quasi contemporaneo all'abate Gioacchino da Fiore), che ci dimostra l'importanza ("visione profetica"), già nei suoi tempi, dell'illustre calabrese. Un'importanza decisamente malvista persino oggi dalla Chiesa di Roma.

Nei versi 139-141 del XII canto del Paradiso il sommo poeta infatti ci segnala:

Rabano è qui, e lucemi dallato

il calavrese abate Giovacchino,

di spirito profetico dotato.

La nota di Salvatore "Turuccio" Mazzulla ci immerge in un breve ricordo dei luoghi dell’abate Gioacchino da Fiore ed in particolare sul suo, quasi certo, passaggio per San Fili (per la frazione Bucita del comune di San Fili, per essere più precisi).

Tale paginetta, scritta da Salvatore "Turuccio" Mazzulla, prematuramente e drammaticamente scomparso nel 2012, riporta come titolo:

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Nei luoghi dell’abate (spunti di ricerca).

La predicazione di Gioacchino da Fiore sui monti di Rende.

Di Salvatore Mazzulla

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Domenico Martire in “Calabria Sacra e Profana” parla di Bucita come uno dei luoghi della predicazione di Gioacchino ma la associa al fiume Surdo, chiaramente nel territorio di Rende (che comprendeva comunque il territorio di San Fili), questo “errore” di Martire (anche se dimostreremo in seguito che non è un suo errore) ha fatto considerare dubbia l’ipotesi della sua permanenza anche a Bucita oltre che a Rende sul fiume Surdo.

Padre Francesco Russo al I Congresso internazionale di studi gioacchimiti nel 1979 per quanto riguarda La figura storica di Gioacchino da Fiore afferma:

«negli anni 1152-53 si recò alla Sambucina di Luzzi e circa un anno dopo, non essendo ancora sacerdote* si recò a Bucita in territorio di San Fili a predicarvi la parola di Dio con quel fervore mistico che sarà la sua caratteristica». Altre fonti citano chiaramente Bucita ma saranno esaminate in seguito. Partendo dall’ipotesi che sia stato sia a Bucita che sul Surdo, si tratta ora di individuare i luoghi.

Nel corso di un convegno tenutosi nel teatro comunale di San Fili nel mese di novembre 2003 sul recupero del patrimonio linguistico, chiesi al Prof. John Trumper se un toponimo potesse avere valore di documento storico ed egli mi rispose di sì.

Forte di questa affermazione insieme ad Antonio Asta ed a Pietro Perri iniziammo questo tipo di ricerca ed abbiamo scoperto tre toponimi significativi: lauri, aira di corazzo e grangu. Per quanto riguarda il primo mi era stato già indicato dallo storico Amedeo Miceli di Serra di Leo la cui famiglia risulta proprietaria di un vasto territorio sopra Bucita.

In località Lauri secondo gli intervistati (cacciatori, boscaioli ed anziani) dovevano esserci i ruderi di uno scarazzu (casolare di montagna) si trattava ora di fare un sopralluogo, insieme ad Antonio Asta ci siamo recati nel luogo che ci avevano indicato ed effettivamente vi erano dei ruderi che ad una prima impressione sembravano molto antichi e il tipo di costruzione sembrava risalire ad un’epoca molto lontana.

Chiaramente questa costruzione antica che sorge in un luogo che si chiama lauri sotto la quale scorre un ruscello che si chiama grangu e al di sopra un piano che si chiama aira di Corazzo mi ha fatto subito pensare ad una piccola grangia dove prima c’era una laura, ma questo chiaramente spetta agli esperti stabilirlo,** se la mia ipotesi dovesse risultare vera potrei affermare che quel rudere è la grangia che ha ospitato Gioacchino.

Il terzo toponimo mi richiamava alla mente l’Abbazia di S. Maria di Corazzo, ci doveva essere per forza un legame con Bucita ed infatti avevo ragione: in un atto del 1225 Bucita risulta tra le terre dell’Abbazia di Corazzo.

…….. et tenimentum Bucchitae cum canonibus castanetis suis in territorio Montis Alti, cuius tenimenti fines sunt isti: ab oriente est via publica, ab occidente locus qui dicitur Deo Gratias et Petra Cruciata; ab uno latere flumen Bucchitae, et ab alio flumen Lorici, et concluditur…

 

I toponimi deo gratias e petra cruciata ci sono ancora mentre quello dei fiumi è cambiato ma senza ombra di dubbio è la nostra Bucita.

 

* Il Tocco pensa che questo fatto abbia provocato la reazione dell’Arcivescovo di Cosenza, il quale gli avrebbe interdetto la predicazione (L’eresia nel medioevo - Firenze 1884 - pp. 269-270).

** Negli anni seguenti il Miceli ha fatto visitare i ruderi dall’Arch. Terzi che li ha collocati in un’epoca successiva.

 

Salvatore Mazzulla. 

domenica 8 ottobre 2023

La Chiesa dello Spirito Santo o di san Francesco di Paola di San Fili. Articolo del prof. Francesco Iantorno.



Nella foto a sinistra (foto by Pietro Perri): Particolare della facciata principale della Chiesa dello Spirito Santo di San Fili. La Chiesa, conosciuta anche col nome di Chiesa di san Francesco di Paola, si trova nel centro storico poco al di sotto della Chiesa Madre nel quartiere denominato Jazza.

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La Chiesa dello Spirito Santo di San Fili.

(Articolo pubblicato a firma del prof. Francesco Iantorno sul Notiziario Sanfilese – mensile dell’Associazione culturale Universitas Sancti Felicis di San Fili – del mese di giugno del 2007)

Sorge nell'omonimo quartiere, in pieno centro storico: ad unica navata, presenta all'esterno una facciata con portale tufaceo, sovrastato da un'ampia finestra con cornice mistilinea e da un timpano triangolare. Dedicata allo Spirito Santo fu eretta nel sec. XVII ed ampiamente rimaneggiata nella seconda metà del Settecento in forme tardo-barocche.

Le prime notizie sulla chiesa e su una Confraternita “sub Regulis Societatis Jesu” ivi operante risalgono all'anno 1666: dagli Atti della Santa Visita compiuta sotto il presulato di mons. Gennaro Sanfelice (1661-1694) emergono, infatti, dati preziosi sull'edificio e sullo stato degli arredi e dei paramenti sacri che erano conservati sotto chiave in un armadio ligneo, posto nei pressi dell’altare.

D. Francesco Amoruso provvedeva annualmente alla celebrazione di trentadue messe per un reddito annuo di 5 ducati derivante da elemosine e dalla rendita di un castagneto, sito nel luogo detto Santa Maria degli Angeli, legato dal quondam D. Andrea Formosa.

La Chiesa conserva al suo interno interessanti opere d'arte: busto ligneo di S. Francesco di Paola, opera seicentesca di scuola napoletana; statua di Cristo che va al Calvario (sec. XVIII) ed un pregevole dipinto di A. Granata raffigurante la Discesa dello Spirito Santo (1797), collocato sull'Altare Maggiore. Sulla volta cinque tele realizzate nel 1908 da Raffaele Rinaldi raffiguranti rispettivamente La fuga di Lot, Davide che mostra la testa di Golia, Giuditta ed Oloferne, Abramo e le tre figure angeliche, S. Francesco di Paola con la Madonna e lo Spirito Santo. Sulle pareti ed ai lati della zona absidale è un ciclo di affreschi del pittore S. Tancredi (1963) con scene tratte dal Vangelo e dalla vita di S. Francesco di Paola.

Degni di nota sono ancora gli stalli lignei dove sedevano i membri dell’Arciconfraternita dello Spirito Santo, realizzati nel ‘700 da maestranze locali, ed un antico confessionale in legno con raffigurazione di Cristo in croce.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

 

mercoledì 22 marzo 2023

'a 'mpigliolata. (5/6)



Nella foto a sinistra: ‘mpigliolata santufilise realizzata Toronto in Canada da mia cugina Rita Cundari-Maio. E’ triste doverlo ammettere ma ormai le tradizioni sanfilesi sono più vive all’estero che tra i sopravvissuti residenti nel borgo che a tanti di noi ha dato i natali e che ci ha piacevolmente cullati nel corso delle decine d’anni che ci ritroviamo ormai sulle/alle spalle.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese dei nel mese di settembre del 2021... by Pietro Perri.

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A questo punto non mi resta che riportare la ricetta seguita da mia madre (Teresina Letizia Rende, passata a miglior vita nel mese di settembre del 2019), e confrontarla magari con una ricetta moderna e veloce segnalatami tempo fa da un caro compaesano: Achille Blasi.

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A proposito, se ancora non l’avete capito (mi riferisco ovviamente ai miei cari e fedeli lettori) molti dei miei scritti altro non sono che trascrizioni dei ricordi che mi ha preziosamente trasmesso mia madre nel corso della sua lunga e preziosa esistenza. E comunque io, più che “onestamente”, non mi sono mai definito né mai sentito uno scrittore o un giornalista o un filosofo come in tanti, forse scherzosamente, mi hanno definito. Ciò che mi sono sempre sentito è quello di essere un trascrittore: un trascrittore di memoria popolare. E magari anche un pochino “sedicente storico” (come tanti miei detrattori mi hanno argutamente catalogato. Detto da alcuni di tali miei critici comunque l’ho ritenuto un complimento).

Dopotutto chi sono io se non un povero ignorante prestato alla cultura?

Inutile dire che oltre a mia madre sono tanti gli anziani del paese che nel corso dei decenni passati hanno contribuito ad arricchire le mie “trascrizioni”. Non ultimi, e sicuramente non unici, tra questi ricordo gli indimenticabili Mario Oliva, Michele Leo, Cesare Gentile o il sempreverde Marcello Speziale.

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Erano ormai decenni che avevo deciso di trascrivere la ricetta seguita da mia madre nel preparare la sua gustosissima, tradizionale ed unica ‘mpigliolata santufilise. Una ricetta nata dall’esperienza tipica della gente che nasce, cresce e che passa gran parte della propria vita nelle campagne.

Che c’entra, mi chiederete, la bontà della ‘mpigliolata santufilise con la vita agreste?

Semplice: nelle campagne, specie quando non si è neanche proprietari del suolo coltivato, per poter godere di un semplice passeggero attimo di gioia familiare, si deve cercare di sfruttare (e quindi far fruttare) al massimo... quel che la vita ci offre.

Nasce così, con l’utilizzo di pochi impagabili ingredienti, la ‘mpigliolata santufilise: un piatto ricco per gente povera. E ad arricchirlo, di quel tipico profumo e di quei tipici sapori, sono proprio degli ingredienti e degli elementi se non di scarto quantomeno marginali e/o di nicchia quali la salimora o gli scarrafuogli (ciccioli del maiale, le foglie scelte ed opportunamente seccate di castagno e l’uso del forno al legno (sostituito negli ultimi anni dal forno elettrico. Il progresso alla fine registra la vittoria almeno in una delle sue eterne battaglie verso l’annullamento delle diversità).

La ricetta della ’mpigliolata santufilise seguita da mia madre purtroppo stava per andare persa per sempre.

Purtroppo mia madre, come gran parte delle nostre anziane compaesane, per iscritto mettevano poco o niente. Spesso mettevano per iscritto il testo di un foraffascinu o di una preghiera ma quasi mai la ricetta di uno dei loro impareggiabili manicaretti. Le ricette le avevano imparate a memoria da piccole ed a loro ciò bastava. La loro invidiabile memoria bastava anche per tramandarle, tali ricette, alle proprie figlie o alle proprie nuore.

E per le quantità dei vari ingredienti? ... sarebbe bastata l’esperienza: così come fu per loro così come avrebbe dovuto essere per chi le avrebbe sostituite nella gestione della casa.

Atroce illusione.

Fortunatamente qualche anno prima che mia madre passasse a miglior vita una cara cugina di Toronto (in Canada), Rita Cundari sposata Maio, mi chiese, tramite Facebook, se gentilmente potevo chiedere a donna Letizia di dirmi appunto la ricetta, procedimento incluso, della sua mitica ‘mpigliolata santufilise.

Rita in quel periodo aveva avuto in regalo un paio di boccacci di salimora (o scarrafuogli o ciccioli che dir si voglia) e voleva degnamente onorarli.

Mia madre, sempre disposta a dare un aiuto e/o un consiglio a chi glielo chiedeva, non se lo fece chiedere due volte e con qualche “ad uocchiu” o “a pianzica” o “quantu sinne chiama” o “nu punu” o “na ‘nticchia” o... comunque riuscimmo a mettere tale ricetta nero su bianco.

Riporto di seguito quanto sono riuscito a carpire a mia madre in merito alla sua ricetta sulla ‘mpigliolanta santufilise e faccio ciò limitandomi ad un copia incolla dei messaggi trasmessi a mia cugina Rita tramite Facebook a seguito della sua fortunata richiesta:

*     *     *

Per un chilo di farina di miglio (n.d.r.: farina di mais macinata possibilmente a pietra) mia madre consiglia un dado di lievito di birra da venticinque grammi, un pizzico di sale ed acqua quanta ne richiede l'impasto (non chiedermi però l'esatta quantità).

Impastato il tutto bisogna metterlo a lievitare vicino ad una fonte di calore ed ovviamente coperto (all'incirca per un'ora).

Una volta che è lievitato il tutto bisogna mettere nell'impasto la salimora (più o meno mezzo chilo per ogni chilo di farina (...). Impastare di nuovo il tutto ed infornare.

Il forno deve essere a 180 gradi ed il tutto dovrebbe cuocere più o meno per mezzora.

Si può aggiungere nell'impasto (assieme alla salimora) anche qualche oliva schiacciata (...).

C'è ovviamente la variante senza salimora ovvero con impasto di patate bollite o con l’aggiunta di filetti di acciughe.

*     *     *

Cosa rende particolare la ricetta seguita da mia madre?

A parte le mani d’oro di mia madre (le nostre madri - per chi come me è ormai un po’ datato - o le nostre nonne avevano  comunque delle mani d’oro che sapevano trasmettere ai loro intrugli gastronomici un particolare segreto alchemico: l’amore per i propri cari) va detto che la stessa nella sua mpigliolata santufilise non combinava più farine (tipo la farina di mais e la farina bianca di frumento) ed inoltre nella teglia (anticamente na lagna) prima di versare l’impasto vi adagiava delle foglie secche e selezionate una per una di castagno. Tali foglie impedivano che l’impasto attaccasse alla teglia e di fatto sostituivano la micidiale (per gli alberi e per l’ambiente... visto la difficoltà a “differenziarla” e quindi a riciclarla) attuale carta da forno.

Oltretutto le foglie di castagno, davano alla ‘mpigliolata santufilise realizzata da mia madre un particolare profumo e sapore. Un profumo e sapore... santufilise.

L’impasto, inutile dirlo, prima di adagiarlo nella teglia non doveva presentarsi particolarmente secco prima in quanto lo stesso si doveva adagiare in modo a dir poco naturale nella teglia stessa. Così com’è inutile dire che un quid in più lo dava al tutto anche l’utilizzo del forno a legna.

*     *     *

Sono sicuro che in tanti potrebbero dimostrarsi scettici nei confronti della ricetta di donna Letizia (all’anagrafe Teresina, Letizia) e sicuramente io non sarò mai in grado di dimostrare quanto gli stessi si sbaglino (dopotutto a San Fili in tanti, per quanto riguarda la ricetta della ‘mpigliolata santufilise, hanno una propria variante di famiglia).

Per quel che mi riguarda... non vi invidio!

(continua).

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

lunedì 20 marzo 2023

'a 'mpigliolata. (4/6)



Nella foto a sinistra: Pietro Perri intento a “girare” con un grosso mestolo di legno il contenuto della “quadara” (grosso pentolone in cui si cuociono pe parti grasse del maiale non utilizzate nella realizzazione degli insaccati (salsicce, soppressate e via dicendo) oltre che alle ossa cui volutamente si lascia attaccata un po’ di carne (dando vita alle “frittule calabresi”). La “quadara” si può intendere come la lavorazione degli scarti della “spazzunatura” del maiale. E tra i prodotti finali di questa lavorazione troviamo anche la “salimora” (altrimenti detta “scarafuogli” o cicoli).

Nella foto, scattata nei primissimi anni di questo millennio, compare, sulla destra, anche una dubbiosa Teresina Letizia Rende madre di Pietro Perri.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese dei mesi di luglio ed agosto del 2021... by Pietro Perri.

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Su internet, dicevamo, possiamo trovare anche qualcosa che si possa spacciare, ma ne siamo decisamente lontani anni luce, per ‘mpigliolata in generale e ‘mpigliolata santufilise in particolare.

Qualcosa che si possa spacciare per ‘mpigliolata (intesa, in questo caso, come pizza di farina di mais) ad esempio è la cosiddetta pizza gialla che ci propone il sito “Giallo Zafferano”.

Il sito internet di “Giallo Zafferano” è un sito dedicato alla cucina che spesso e volentieri visito anche io quando voglio eccellere dilettandomi ai fornelli. Onestamente me la cavicchio... in particolare nei primi piatti ed in qualche più o meno elaborato secondo. Ciò che invece non mi riesce in cucina è di riordinare il tutto e di lavare pentole, piatti e posate. Questi nobili e delicatissimi compiti li ho delegati a mia moglie e ad una lavastoviglie.

Purtroppo nessuno è perfetto... o quasi nessuno.

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Scherzi a parte diamo un’occhiata alla versione della ‘mpigliolata (pizza di mais) propostaci dal sito di “Giallo Zafferano”.

.^.

Di seguito gli ingredienti (sufficienti per una infornata da destinare a 4 persone se il tutto è proposto come piatto unico):

1) 600 grammi di farina di mais fioretto;

2) 250 grammi di farina 0;

3) 1500 millilitri di acqua (circa, bollente);

4) mezza bustina di lievito istantaneo per preparazioni salate;

5) 4 cucchiai di olio di oliva;

6) 4 cucchiaini di sale (circa 20 grammi).

.^.

Preparazione della pizza di granturco al forno (secondo la ricetta di GialloZafferano)

Setacciate le due farine e il lievito in una ciotola capiente. Unite anche un po’ di sale.

Intanto fate bollire dell’acqua in una pentola (nel dubbio un paio di litri di acqua, ma dovrebbe bastarne circa un litro e mezzo).

Con un mestolo iniziate ad unire l’acqua bollente alle farine, mescolando di continuo: fate attenzione a non scottarvi!!! – magari fatevi aiutare da qualcuno!

Unite ora 4 cucchiai di olio di oliva e continuate ad unire acqua fin quando non avrete un composto omogeneo e abbastanza morbido.

Stendete il composto ancora molto caldo in una teglia da forno foderata con carta forno unta con un filo di olio, considerando uno spessore di circa 1,5/2 cm: infatti poi la pizza di granturco va tagliata e farcita all’interno, in modo che i formaggi si sciolgano!

Potete aiutarvi a livellare il composto con carta da forno e un mattarello o direttamente con le dita: in questo modo rimane più “rustica”, aiutandovi con un cucchiaio di olio di oliva per evitare che l’impasto si attacchi alle mani.

Cottura

Infornate a 200 °C forno statico per almeno 40 minuti, poi ventilato per asciugare e fin quando in superficie non compare una crosticina più scura.

Togliete dal forno, lasciate leggermente raffreddare, giusto per non scottarvi e tagliate a quadratoni!

Servite caldi caldi, insieme ad affettati, verdure e formaggi!!!

Variante

Potete anche provare a farla più sottile, stendendola su due teglie; in questo modo cuocerà prima e rimarrà più croccante. Non potrete farcirla all’interno ma mettere la farcitura sopra, proprio come una pizza.

.^.

Chi ha proposto tale ricetta sul sito di “GialloZafferano” ha comunque tenuto a sottolineare che alcune ricette (magari regionali e magari l’autore si era precedentemente imbattuto nella ‘mpigliolata santufilise doc) prevedono l’utilizzo di sola farina di mais.

*     *     *

Ho provato a scrivere, nell’apposito campo del motore di ricerca di Google, il termine ‘mpigliolata pretendendo da Google che utilizzasse esclusivamente tale termine e non termini similari.

Al di là dei riferimenti/collegamenti al mio blog (sanfilibypietroperri.blogspot.com) come risultato di tale ricerca sono apparsi un collegamento al sito che l’amico e compaesano Giovanni Gambaro ha dedicato anni addietro al nostro borgo (rintracciabile all’indirizzo web.tiscali.it/sanfili) ed un collegamento ad una pubblicazione a firma di Domenico Canino dedicata al vicino paese di Mendicino. In tale pubblicazione ritroviamo una variante della ricetta della ‘mpigliolata ed anche una variante della chjina.

*     *     *

Nelle pagine internet che il nostro compaesano Giovanni Gambaro ha dedicato al nostro borgo, nella sezione relativa alla gastronomia (piatti e dolci tipici di San Fili), troviamo tra l’altro la sua versione della “Mpigliulata ccu alici o ccu scarafuogli” (ovvero “Mpigliolata con alici o con ciccioli di maiale”).

Ricetta che riporto di seguito:

*     *     *

In una terrina ben capiente mettere la farina mista (1/3 gialla e 2/3 bianca) fino a riempirla quasi a metà.

Aggiungere 2 cubetti di lievito, un bel pizzico di sale e acqua ben calda (1/2 litro, o 3/4) fino ad ottenere un impasto molto morbido.

Coprire con panni caldi e lasciare lievitare.

Incorporare le alici ben pulite e diliscate, aggiungere un pizzico di pepe rosso e olio di oliva (1/4 abbondante).

Alternativamente si possono aggiungere salimora o scarafuogli (cicoli di maiale) e in tal caso al posto dell'olio di oliva si userà grasso di maiale. Stendere nelle teglie sottili da pizza unte d’olio e irrorare ancora altro olio sopra la pasta. Far riposare ancora un po’ e infornare in forno ben caldo in posizione ‘solo sotto’.

Dopo 10 minuti passare a 200 gradi fino a che sarà dorata.

(continua).

*     *     *

Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

 

lunedì 16 gennaio 2023

Chernobyl's children - Nota e versi by Pietro Perri.



Nella foto a sinistra: luglio/agosto 1994 - gruppo di bambini provenienti dall’Ucraina (zona centrale nucleare di Chernobyl) ospitati da alcune famiglie della costa tirrenica (Paola-Fuscaldo-San Lucido). La foto (by Pietro Perri) fu scattata in località Acquatina di San Fili (poco al di sotto del valico Crocetta).

Nel 1996 anche San Fili ospitò alcuni fanciulli provenienti dall'area di Chernobyl (zona dell'Ucraina tristemente nota per l'incidente verificatosi nella centrale nucleare). Fu un’impresa stupenda ma decisamente impegnativa.

La mia famiglia ospitò l'accompagnatore, Chissà, dopo circa trent'anni da allora, che fine hanno fatto quei fanciulli: se hanno avuto un futuro e che tipo di futuro... se hanno un presente,

L'esperienza comunque non venne ripetuta. Neanche da quelle persone e da quelle famiglie che in quell'occasione ci accusarono d'esserci voluti accaparrare l'accoglienza di quei bambini senza distribuirli in modo più onesto nella comunità.

Beata (tanto santa quanto invidiabile)... umana imbecillità!

A proposito: la poesia che riporto di seguito, preceduta da una breve nota introduttiva, è una delle uniche due mie poesie (se tali si possono definire) riportanti un titolo in inglese.

*     *     *

Anche San Fili, come migliaia di altri paesi e città italiane, ha toccato con mano il dramma della nube di Chernobyl. L'avventura è iniziata nel lontano 1994 (agosto se non vado errato) quando il movimento politico-culturale "Uniti per San Fili e Bucita" in località Acquatina organizzò una giornata ecologica in favore dei bambini ucraini ospiti di famiglie della cittadina paolana. "Biondi cherubini / inconsapevoli cavie / profeti di sventura / grondanti di vita" ... e noi, quasi fossimo andati a vedere uno spettacolo ad un circo equestre, ce li aspettavamo senza capelli, pieni di pustole, zoppicanti e chi più ne ha più ne metta.

"A valle una freccia / insegue invano il triste dio alato / il diluvio oggi... vile speranza / non ci sarà!"... qualcuno al paese, sogghignando, sentendo cadere una goccia d'acqua sul suo naso, già ringraziava Dio per aver rovinato la giornata. Ma era una goccia d'acqua della tipica nuvola d'impiegato: caduta giusto sul suo naso.

San Fili ospitò l'anno successivo 14 ragazzi ucraini: "biondi cherubini" anche questi, "grondanti di vita" anche questi... "profeti di sventura" anche questi nel momento in cui li facemmo visitare da una équipe medica e ci rendemmo conto che per alcuni di loro non ci sarebbe stata speranza.

E Sascia, in quel lontano 1994, in località Acquatina, al pari dei nostri bambini, piangeva per il semplice fatto d'aver dimenticato a Paola la sua pistola ad acqua regalatagli amorevolmente dai suoi genitori adottivi.

A cavallo d'un dio alato
giunsero in Italia
i tristi figli
dell'annunciata morte.

Biondi cherubini
inconsapevoli cavie
profeti di sventura
grondanti di vita.

Giunsero a San Fili
senza una storia da raccontare
senza un orrore da nascondere
vivi... deludente visione.

Il circo da tempo
aveva levato le tende
verso un'altra città
un'altra annunciata morte.

Bugiardo dio alato
falso come il presente
che cerca nel futuro
l'ultima vestigia del passato.

Dove sono le teste calve
le mani a sei dita
l'epidermide bruciata
gli occhi spenti... nel buio.

Dov'è la tristezza Sascia:
in una pistola ad acqua
dimenticata a casa
dei tuoi genitori adottivi?

Biondi cherubini
inconsapevoli cavie
profeti di sventura
grondanti di vita.

A valle una freccia
insegue invano il triste dio alato:
il diluvio oggi... vile speranza
non ci sarà!

Pietro Perri / 1994 - 1995.

domenica 4 dicembre 2022

Maria Mayer ovvero... la pasionaria sanfilese.



Nella foto a sinistra una giovanissima Maria Mayer negli anni Trenta del XX secolo. Nella foto sotto - sempre a sinistra - Maria Mayer, nel 1979, assieme al marito Francesco Iantorno.

*     *     *

Ho mai conosciuto Maria Mayer? … strana questa domanda che mi gira in questo momento (ore 19 e 30 di giovedì 10 gennaio 2013) ma non del tutto, ve lo assicuro, campata in aria.

*     *     *

Maria Mayer ovvero... la pasionaria sanfilese.

(N.d’a.: Il termine “pasionaria” è un appellativo riferito solitamente a personaggi di sesso femminile particolarmente impegnati in attività politiche o ideologiche. In origine fu utilizzato da Dolores Ibárruri, attivista spagnola, come pseudonimo).

L'11 dicembre del 2012 è venuto a mancare alla comunità sanfilese un altro dei suoi pilastri, dei tanti personaggi che hanno fatto la storia popolare della nostra cittadina: Maria Mayer vedova Iantorno. E’ venuta a mancare, confortata dalla presenza dei propri familiari, alla veneranda età di 97 anni.

Era nata il 13 settembre del 1915.

Passeggiando lungo corso XX Settembre qualcuno mi ha chiesto chi era questa Maria dal cognome non certo “locale”. Ho risposto che era la madre di Gigino (Luigi) Iantorno, ex caposquadra al Consorzio di Bonifica.

“Ah! … a pasionaria santufilise”, mi sentii rispondere.

Inutile dire che il mio interlocutore era un soggetto appartenuto alla Sinistra (quando la Sinistra - politicamente parlando - era Sinistra) storica del nostro paese… come lo scrivente, dopotutto.

Come dimenticare, infatti, che tra la fine degli anni Settanta (1978) e l’inizio degli anni Ottanta (1983) del secolo scorso fui responsabile del Movimento Giovanile Socialista di San Fili? … bei tempi. Altri tempi!

Fu quando mossi i primi passi nella mia brevissima storia da socialista convinto che m’imbattei, in modo simpatico e degno della nota surriportata, in Maria Mayer in quanto “pasionaria santufilise”.

Fu quando, nella primavera appunto del 1978, in piazza Municipio (mmienzu u puontu), finito il primo comizio della mia vita mi accingevo a scendere, tramite la scaletta a cinque o sei scalini, dal palco che mi aveva ospitato per una ventina, forse meno, di minuti. Ai piedi della scaletta m’imbattei in una simpatica arzilla anziana signora che, abbracciandomi, mi porgeva una rosa rossa dicendomi: “Non ho trovato un garofano”, l’allora simbolo del Partito Socialista Italiano, “ma solo questa rosa e comunque rossa. Consideralo un garofano e che ti apra le porte d’una vita politica segnata di successi per te e per la nostra comunità”. Queste all’incirca le sue parole.

Quella sera poco dopo di me avrebbero parlato i compagni Franco Lonetti e Francesco (Cecchino) Principe. L’occasione, se non erro, erano non delle elezioni ma una tornata referendaria.

Carriera in politica ne feci ben poca, volendo sempre e comunque restare leale ai miei principi e non a diventare lo zerbino di soggetti che comunque valgono meno di me e di tanta bravissima ed onesta altra gente... come te.

Quell’arzilla anziana signora, inutile dirlo, era Maria Mayer (socialista convinta)… la pasionaria santufilise.

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Ricordando Maria Mayer… autrice involontaria (?) di parte di alcuni articoli apparsi sul quindicinale “l’occhio”.

Nel periodo in cui scrivevo sul quindicinale “l’occhio” (storica testata della nostra zona diretta dalla bravissima giornalista Marisa Fallico apparsa tra il 1993 ed il 1999) e mi interessavo di cultura popolare, un giorno mia madre mi disse che Maria Mayer mi aveva mandato dei fogliettini in cui aveva scritto delle cose che potevano servirmi per le mie pubblicazioni.

Inutile dire che feci tesoro di questi preziosi doni: in essi, infatti, trovai parte delle notizie che diedero vita alla mia “ricerca quasi credibile” sulla Fantastica (n.d’a.: uno dei tanti spiriti, a volte come in questo caso stupendi ed amorevoli, che affollano il mondo sovrannaturale di San Fili) ed un bellissimo oracolo d’altri tempi che se non trascritto sicuramente sarebbe andato perso per sempre. Fu lei a darmi l’ispirazione (tramite i suoi fogliettini) che Stella poteva (e forse lo era veramente) essere colei che con la sua tragica morte aveva dato compimento (in quanto genesi della stessa) alla nascita della leggenda della Fantastica.

 

domenica 31 luglio 2022

Quando il passero cinguetta... pensando alla strage di Bologna del 2 agosto 1980.

 

Articolo apparso su il "Gazzettino del Crati" del 30 luglio 1992 (successivamente all'assassinio di Paolo Borsellino). Autore ovviamente Pietro Perri.

Foto a sinistra ripresa dal web.

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Mi capitò, tanto tempo fa, di osservare, ascoltare ed apprezzare un passero posato sulla cima di un alto abete nel suo dolce cinguettare primaverile.

Rimasi di stucco quando un mio amico mi fece notare come quella «specie d’animale» stesse prendendomi per il naso: metteva in mostra la sua stupenda arte canora esclusivamente per carpire la mia attenzione. Due abeti oltre, la sua compagna stava realizzando il familiare nido: l'uomo non doveva vedere, l'uomo è pericoloso.

Disse una volta una insigne persona di cui stranamente, non ricordo mai il nome: «... più sto con la gente e più amo gli animali!», contraddicendo il concetto secondo cui l'uomo si differenzia dalle bestie (dubito a tal punto se in bene o in male) per la «superiorità della ragione».

Hanno assassinato il giudice Giovanni Falcone con la propria scorta: la Mafia o il passero cinguettante? ... nidi in costruzione in quel tragico periodo ce n'erano tanti: l'Italia delle tangenti stava ridicolizzando la Repubblica della Lega Lombarda, il Parlamento italiano (decisamente in fase di stallo) non riusciva ad esprimere un Presidente della Repubblica in una Repubblica parlamentare, un governo illegittimo (figlio cioè di un Parlamento decaduto da quasi sessanta giorni) continuava a decretare.

Hanno assassinato il giudice Giovanni Falcone, così come avevano messo la bomba alla stazione di Bologna e realizzato numerose altre stragi... una tecnica che la Mafia, e con ciò nessuno vuole difendere uno dei peggiori mali della nostra società, ha finora sempre evitato, mirando esclusivamente all'esecuzione di chi non riconosceva le proprie regole... comunque andava guardata nel possibile l'incolumità della gente.

Questa volta si è mirato alla strage: l'eroe Giovanni Falcone era solo una giustificazione plausibile: se c'era un pullman di turisti o di gente comune nella traiettoria del proiettile (i mille chili di tritolo), tanto meglio... la compagna del passero doveva continuare indisturbata il suo nido.

Qualcuno, tra i «grandi elettori» (così oggi si chiamano deputati, senatori e rappresentanti delle regioni d'Italia), rinsavisce di colpo (meglio tardi che mai): la DC comprende che le proporzioni in Parlamento sono cambiate e che i «rossi» non sono poi tanto «rossi» come per decenni li si è dipinti, così carne il PDS comprende che anche lui deve prendersi la propria parte di responsabilità nella diretta gestione dello Stato Italiano.

L'on.le Oscar Luigi Scalfaro succede a Cossiga nella carica di Presidente del Bel Paese: l'impressione sulla gente è decisamente positiva... qualcosa, era ora, sta cambiando (presumibilmente ritorneremo a sentirci cristiani ed italiani). Tutti l'hanno ammirato nella conduzione dei quindici scrutini (fumate nere) precedenti la sua elezione: ... ci sa fare!

E' bella sentire il passero cinguettare (anche se non dava l'impressione di cinguettare poi tanto all'elezione del nostro nuovo e caro Presidente... che qualcosa sia andato storto? ... qualcuno, ha parlato di elezione al di fuori della politica … dubito che questo qualcuno sappia il significato del termine «politica»), così com'è bello sapere che ci ha preso in giro, elegantemente, per l'ennesima volta. Non so perché, ma ho la vaga sensazione d'averlo sentito cinguettare anche quando è scoppiato lo scandalo delle tangenti a Milano («Tangentopoli», come l'ha ribattezzata qualche simpatico burlone)... erano passati pochi giorni dalle Politiche del 1992 e non era del tutto sbagliato ricordare ai fratelli della «Lega Lombarda» che anche loro sono Italiani e tutti gli «Italiani», si diceva una volta, «sono brava gente»: qualcuno ha dei dubbi?

Uno tra gli sceneggiati televisivi più apprezzati negli ultimi due lustri, è stato certamente la «Piovra» col suo mitico (eroe anche questo) commissario Cattani interpretato dal bravissimo Michele Placido. Una cosa (ancora per poco e non per malto) non ho afferrato malto bene: chi è quell'ignorante che ha avuta l'astrusa idea di ambientare la «Piovra» a Milano invece che a Palermo, anteponendo per giunta l'artritico «Puparo» (decisamente commovente, carcerato com'era dei suoi ricordi e del tacito grande amore per la sua soleggiata tragica terra) ai freddi e calcolatori Espinosa e Tano Cariddi. Come collocare questo apprezzabile sbadato scrittore: in un superbo osservatore?

Povero illuso passero cinguettante: ormai abbiamo scoperto il tuo gioco, ed il mio amico è già salito sull'albero inquisito per distruggere il materno lavoro della tua compagna. Inventa qualche altro trucco: con questo non ci caschiamo più.