A chi non ha il coraggio di firmarsi ma non si vergogna di offendere anche a chi non (?) lo merita.

Eventuali commenti a post di questo blog non verranno pubblicati sia se offensivi per l'opinione pubblica e sia se non sottoscritti dai relativi autori. Se non avete il coraggio di firmarvi e quindi di rendervi civilmente rintracciabili... siete pregati di tesorizzare il vostro prezioso tempo in modo più intelligente (se vi sforzate un pochino magari per sbaglio ci riuscirete pure).
* * *
Ricordo ad ogni buon file l'indirizzo di posta elettronica legata a questo sito/blog: pietroperri@alice.it

domenica 8 giugno 2025

Il GOLEM - by Pietro Perri.

Nella foto a sinistra (ripresa dal web) il Golem nel film "Der Golem, wie er in die Welt kam" (1921, Germania) di Carl Boese e Paul Wegener.

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Chissà, forse un altro rabbino - nella lontana Praga - è stato tanto stupido da dare vita ad un nuovo Golem o forse è semplicemente riuscito a ricostruire e riportare in vita il Golem del rabbino Löw.

E forte Praga non è solo la capitale della Repubblica Ceca ma è una qualsiasi capitale delle tante capitali sparse per il mondo.

Un simbolo.

Una capitale dove il senso (la percezione) della religione è molto forte.

Fatto sta che un Golem è fuoriuscito dal ghetto di Praga e sta disastrosamente aggirandosi lungo tutte le vie del mondo e ovunque posa i suoi mostruosi arti inferiori semina distruzione e morte.

Non per colpa sua: lui non vede, lui non capisce, lui ha paura... anche di sé stesso.

Chissà, forse questa volta a dare vita ad un nuovo Golem non è stato neanche un rabbino né un discendente del rabbino Löw ma un semplice uomo come quell'uomo che gli uomini non hanno mai considerato un ebreo ma solamente il figlio d'un falegname... il Figlio di Dio.

Fatto sta che il nuovo giocattolo magico - l'ennesima sfida al Grande Architetto Dell'Universo (dopotutto il rabbino Löw si era sostituito a Dio dando la vita al suo posto) - e scappato al controllo del suo indegno creatore.

Tremate, genti, perché l'atroce peccato sarà lavato col sangue dalla polvere con cui fu plasmato il Golem... l'Adamo, l'uomo primordiale.

Tremate, genti, perché la Seconda Guerra Mondiale altro non era se non il  prologo alla Terza. E la Terza Guerra Mondiale sarà l'ultima guerra che vedrà coprotagonista l'essere umano.

Tremate, genti, perché il Golem è uscito per l'ennesima volta fuori dal ghetto di Praga e si aggira forte di tutta la sua potenza distruttiva per le strade del mondo.

Tremate e se ne avete ancora tempo... pregate per la mia e per la vostra anima ricordando sempre che il Golem non ha nessuna anima. E se ce l'ha, non essendo le stata darà da Dio, è ancora nello stato fetale.

Che noi, forse, non abbiamo un'anima e se l'abbiamo è ancora in uno stato fetale.

Proprio come l'Essere Umano in questo periodo. Proprio come te e me: nuovi rabbini Löw e nuovi Golem indegni abitanti del pianeta Terra ed indegne logiche conseguenze dell'imperfetta opera di Dio: l'essere umano.

Eppure nel Golem anche se di polvere... batte, in modo quasi impercettibile, un cuore. Un cuore che non possono scalfire miliardi di uomini ma può scalfire la semplice lacrima di una bambina indifesa.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!

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Da alcuni post pubblicati su Facebook... by Pietro Perri.

(18 SETTEMBRE 2018)

Chi dà vita al Golem sa di sfidare Dio.Chi dà vita al Golem sa di non essere Dio.

Dio creò l'uomo... Golem.

L'uomo non è Dio.

Il Golem muore soffocando il proprio alito vitale nella polvere con cui è stato plasmato.

By Pietro Perri.

N. B.: Il GOLEM è (nella tradizione ebraica) un gigante di creta realizzato da un rabbino per dare un po' di giustizia al popolo perseguitato.

Grazie ad una parola magica trovata nelle sacre scritture il rabbino diede vita alla sua creatura di creta (sostituendosi quindi a Dio Creatore).

(2 SETTEMBRE 3020)

Chi - volutamente o involontariamente - dà vita ad un Golem deve avere il coraggio di assumersi la responsabilità dei propri malefici atti.

I golem muoiono stupidi per colpa dell'incapacità/limitatezza creativa dei loro creatori.

By Pietro Perri.

Il problema è che la gestione del Golem si presentò difficile fin da subito e se costo sangue e dolore a quanti perseguitavano il popolo ebraico altrettanto sangue e dolore costò al popolo ebraico.

Il concetto morale (che troviamo anche nella mitologia greca) è che... non si può pensare di sostituirsi a Dio o agli dei rivoluzionando il progetto divino.

Famoso è il Golem del rabbino di Praga.

Comunque è un mito affascinante.

(26 SETTEMBRE 2020)

LETTURE AL TEMPO DEL COVID-19: IL GOLEM di GUSTAV MEYRINK

La lettera ebraica Aleph (l'Alfa) costruita a somiglianza dell'uomo accenna con una mano il cielo e con l'altra la terra: come è in alto così è in basso.

Nel Golem l'IO.

mercoledì 16 aprile 2025

L’ultima cena… nella tradizione popolare sanfilese.

Nell’immagine a sinistra, trovata sul web, una rappresentazione dell’ultima cena ripresa dal celebre affresco di Leonardo da Vinci.

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Sappiamo benissimo tutti che la famosa ultima cena a cui ha presenziato circa 2000 anni addietro Gesù di Nazareth portò tremendamente sfiga a più di un soggetto.

Tanto che l’ultima cena, almeno per due soggetti, si rivelò fatale: per qualcuno di questi due, se non per entrambi, l’ultima cena si trasformò veramente… nell’ultima cena.

I due soggetti furono, ovviamente, lo stesso Gesù di Nazareth ed il suo discepolo Giuda Iscariota.

Entrambi, nel giro di poche ore finirono malamente: il primo crocifisso ed il secondo suicida.

Entrambi, secondo i vangeli non solo canonici ma anche apocrifi (vedasi il caso del vangelo di Giuda), predestinati ad un destino di salvazione: senza l’uno, dopotutto, non si sarebbe compiuto quanto era stato scritto dell’altro.

Ma ritorniamo ai nostri tempi ed a ciò che ritroviamo nel folclore e quindi nella tradizione (decisamente superstiziosa?) sanfilese.

Inutile dire che, così come ci dicono ed impongono da tempo immemore i vangeli canonici, a San Fili (CS) così come in tutto il mondo cristiano-cattolico il giovedì santo si ripete il rito dell’ultima cena.

Nel corso della celebrazione assistiamo al lavaggio dei piedi da parte del sacerdote celebrante ai dodici concittadini che impersonano gli apostoli, alla funzione religiosa (messa solenne) propriamente detta, alla benedizione dei “pani/tortani” (uno per ogni apostolo) e relativa distribuzione, previo spezzettamento, sempre ad opera dei figuranti apostoli, di tali “pani/tortani”, ai fedeli presenti.

Sempre in altri tempi, ma forse anche adesso, si attribuiva al “pane/tortano” benedetto nel corso della messa dedicata al ricordo dell’ultima cena del Cristo poteri a dir poco miracolosi… o quanto meno si sperava in ciò.

E’ giusto ricordare che più volte mi sono espresso sull’argomento miracolo in modo inequivocabile: se c’è una speranza nessuno ha il diritto di uccidere la speranza se non la speranza stessa.

Ok, dicevo che per almeno due persone (o almeno per una delle due) quella tenutasi a Gerusalemme circa 2000 anni fa con, a presenziare la stessa, il Figlio di Dio, fu sicuramente l’ultima cena della sua vita terrena.

E tra i due quello che sicuramente non ebbe il tempo di vivere altre cene in compagnia fu il discepolo Giuda Iscariota.

Il Cristo, lo sappiamo bene, dopo tre giorni riprese la sua forma mortale e per un seppur breve tempo, sconfiggendo la morte, continuò a cenare con il rimanente dei suoi discepoli.

Ecco, a San Fili (CS) in altri tempi, almeno fino alla prima metà degli anni settanta del secolo scorso, si era più che convinti che almeno uno dei partecipanti, nel ruolo di figuranti apostoli, al rito dell’ultima cena… nel corso dei successivi dodici mesi sarebbe passato a miglior vita.

Per questo nostro compaesano, quasi un novello Giuda Iscariota, non ci sarebbe stata un’ultima cena, con tanto di rito religioso, in un futuro giovedì santo.

Quella di quell’anno, almeno per uno dei dodici prescelti, sarebbe stata veramente l’ultima cena.

E nelle case dei partecipanti, in prossimità del sacro appuntamento, con i propri familiari e/o amici presenti si cercava di fare mente locale su chi furono ad indossare la veste di apostolo l’anno precedente e chi, a pochi giorni appunto al succitato sacro appuntamento, non sarebbe stato presente per… impegni precedentemente presi con nostra “Sorella Morte Corporale”.

C’è da crederci in questa mia nuova rivelazione?

Sui racconti dei nostri anziani… sicuramente.

Dopotutto io difficilmente ho scritto qualcosa di mio.

Quasi sempre mi sono limitato, come in questo caso, a riportare nero su bianco il mondo più o meno immaginario dei nostri genitori, dei nostri nonni o dei nostri bisnonni.

Racconti che comunque, seppur fantasiosamente ben romanzati e resi fantasticamente affascinanti, partivano comunque da un dato di fatto, da una realtà, da una registrazione memorica di fatti reali: un morto, tra i dodici figuranti apostoli, nel corso dell’anno c’era sempre o quasi sempre stato e quasi sempre avrebbe continuato per tantissimi anni a venire… ad esserci.

Il motivo?

In quei tempi ad indossare gli abiti di figuranti apostoli a San Fili (CS) erano quasi sempre gli anziani del paese e, lo sappiamo benissimo, negli anziani la possibilità di passare a miglior vita è decisamente alta. Ed uno su dodici era comunque una bella percentuale.

Dopotutto… era pur giusto che Giuda Iscariota lasciasse il posto libero ad un altro Giuda Iscariota.

Oggi?

Non saprei dirvi se nella rievocazione del sacro rito dell’ultima cena sia confermato quanto accadeva nel mondo dei nostri cari avi.

Dopotutto sono passati vari decenni dal momento in cui anch’io feci da figurante apostolo (indossando i relativi indumenti) in un’ultima cena tenutasi nella Chiesa Madre di San Fili.

Eravamo verso la fine del primo lustro degli anni settanta del secolo scorso ed officiava la funzione l’indimenticato sacerdote don Luigi Magnelli.

In quell’occasione ero poco più di un ragazzino. Forse non superavo i quattordici o quindici anni.

Fu per uno strano caso del destino se io, in quell’occasione, mi ritrovai a vestire quegli abiti decisamente grandi per uno della mia non eccessiva altezza ma sicuramente eccessiva magrezza.

Lo strano caso era dovuto… all’annuale assente per impegni precedentemente presi con nostra “Sorella Morte Corporale”. 

Non c’era tempo per trovare un sostituto e… trovarono me.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

… /pace!

 

venerdì 7 marzo 2025

A San Fili (CS) mai piantare una noce con le proprie mani... potrebbe nascere e crescere un maestoso albero delle noci.

A sinistra: San Fili (CS) l’albero delle noci (in una rielaborazione grafica by Pietro Perri) immortalato nella omonima canzone del mitico Dario Brunori. Canzone classificatasi al terzo posto al Festival Della Canzone Italiana di Sanremo edizione 2025.

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E così l’aria magica che si respira a San Fili (CS) grazie a Dario Brunori ed alla sua stupenda opera musicale “L’albero delle noci” trova una sua giusta collocazione (con un meritatissimo terzo posto) anche sul palco dell’olimpo della musica italiana: il palco del Festival di Sanremo edizione 2025.

L’albero delle noci di Dario Brunori.

In tanti nell’ultimo mese (febbraio 2025) mi hanno chiesto, sia tramite il mio profilo Facebook che sul luogo di lavoro che nell’incontrarmi per strada, ma… esiste veramente l’albero delle noci cui fa riferimento Dario Brunori nella sua stupenda canzone? Dario Brunori è di San Fili? Dario Brunori abita a San Fili? Conosci Dario Brunori? Mi saluti e mi fai i complimenti a Dario Brunori? Ma perché Dario Brunori si chiama Brunori Sas? …

Che fortuna per voi sanfilesi avere un concittadino come Dario Brunori!

Saltando parte delle domande e la successiva affermazione/esclamazione in quanto toglierei un bel po’ di spazio a ciò che vorrei raccontarvi in questo breve scritto ossia rifacendomi solo alla risposta relativa alla domanda sull’esistenza reale dell’albero delle noci di Dario Brunori non posso che dire: fortunatamente, per non dire “miracolosamente” in quanto più volte nell’ultimo cinquantennio ha rischiato d’essere tagliato (non sappiamo se per far posto a qualche ecomostriciattolo urbano o a qualcosa di non meglio decifrabile) esiste davvero.

E sotto quell’albero di noci seppur non ci sono nato comunque, in alcuni periodi della mia spensierata fanciullezza, ci sono cresciuto: c’ho giocato a pallone (molti finiti nelle mani assassine – di palloni supersantos - di Rafel’a guardia), c’ho giocato a nascondino (ara ‘mucciareddra), c’ho raccolto qualche noce e, messa in tasca e nascosto agli occhi dei più, me la sono gustata in santa pace.

Dopotutto casa dei miei genitori dista non più di 150/200 metri dall’albero delle noci di Dario Brunori.

Quindi è un albero che, seppur non l’avevo considerato più di tanto nella quota di mia vita passata nel rione in cui vegeta l’ormai tanto famoso quanto miracoloso albero, esiste davvero che esisteva prima che io venissi al mondo e che sicuramente ora, grazie a Dario Brunori, esisterà anche quando io al mondo non ci sarò più… spero. Dopotutto è risaputo che un albero di noci può anche vivere 150 o 200 anni. O diventare eterno grazie ad una canzone giunta ad un encomiabile terzo posto al Festival della Canzone Italiana di Sanremo edizione 2025.

In un post su Facebook che ho pubblicato non appena ho ascoltato la canzone “l’albero delle noci” di Dario Brunori mi ero ripromesso, preannunciando tale mia idea su tale post, di parlarvi, con un apposito scritto sul mio blog (il San Fili By Pietro Perri Blog) di alcune leggende/superstizioni (?) che aleggiano intorno agli alberi delle noci a San Fili.

Leggende/superstizioni che mi sono state date in consegna (con passaggio orale) da mia madre Teresina Letizia Rende (1921/2019) che da tempo mi ero ripromesso di mettere nero su bianco e che, grazie all’amico (difficile non dichiararsi suo amico anche se c’hai avuto a che fare pochi attimi come lo scrivente con un mito come lui) e compaesano Dario Brunori ed al suo exploit sanremese, finalmente mi sono deciso a fare.

Ed allora… “Sono cresciute veloci le foglie sull’albero delle noci / E nei tuoi occhi di mamma adesso splende una piccola fiamma”.

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Tutti, o quasi, abbiamo sentito almeno una volta nella nostra vita dell’albero delle noci di Benevento… tutti, almeno a San Fili (CS).

Perché noi di San Fili, seppur non abbiamo nulla a che dividere con gli amici connazionali (in quanto entrambi apparteniamo al Regno di Napoli prima ed al Regno delle Due Sicilie poi) di Benevento, comunque viviamo in una terra magica dove le leggende (e le leggende quasi sempre prendono vita da un fatto reale il cui ricordo si perde magari nella notte dei tempi… ma che fa parte del nostro DNA) hanno trovato il loro habitat naturale: San Fili, stupendo borgo e stupendo territorio già appartenuto al Regno Delle Due Sicilie, alle varie dominazioni straniere succedutesi nei secoli (arabe, spagnole, turche e chi più ne ha più ne metta) e già ricadente nella mitica area denominata, oltre mille anni addietro, Magna Grecia… ovvero Grande Grecia.

Alla colonizzazione (non… occupazione, si guardi bene) dei nostri padri greci dobbiamo, ad esempio, la nascita e l’evoluzione di credenze come la Fantastica e sempre ai nostri padri greci dobbiamo1, quasi certamente, la conoscenza del prezioso uso delle ebre a scopo curativo. E furono le… magare di San Fili.

Il rimbombo mediatico che ha fatto la bellissima canzone “L’albero delle noci” del concittadino Dario Brunori mi ha riportato indietro di qualche decennio… di più di un decennio… dell’oltre mezzo secolo di vita che mi sono lasciato alle spalle. Ovvero a quegli spensierati giorni del “godi fanciullo” quando mia madre (magara come tutte le donne che si rispettino a San Fili) non so se per farmi paura o perché anche lei era stata a sua volta vittima di tali dicerie quando la stessa era bambina mi svelò che non bisogna mai piantare una noce. E mi svelò tale prezioso mistero dopo, purtroppo, che io ne avevo piantato una in un terreno che in quegli anni, primi anni settata del XX secolo, mio padre coltivava, più per hobby che per necessità, poco al di sotto del tratto di strada che noi sanfilesi d’altri tempi continuiamo a chiamare “scisa d’u Canalicchiu”. Un terreno poco al disotto dell’ex galleria ferroviaria che passa al di sotto del centro abitato… uscita lato Cosenza.

E la cosa peggiore era stato il rendermi conto che quella noce che aveva piantato si era già magicamente tramutata in una simpatica… bella piantina.

Perché non avrei mai dovuto piantare una noce con le mie mani? Perché non dovrete mai piantare una noce con le vostre mani?

Ok, non dimenticate mai che San Fili (CS) continua ad essere terra delle magare, terre dei magari e terre dei magaruni: terra magica e terra di magia. E forse come tale l’ha voluta proprio il Grande Architetto Dell’Universo.

Detto questo… detto il resto: non appena il tronco dell’albero nato dalla noce che avete incautamente piantato con le vostre mani, sfidando la sorte ed il destino, raggiunge la circonferenza del vostro collo… salutate amici parenti ed affini in quanto pochi, se non già passati, sono i giorni che vi restano da vivere. L’albero delle noci tanto caro a più di un Dio greco, a partire dallo stesso Giove, sembra rispetti, secondo tale leggenda, l’equazione “una vita uguale una vita”.

Quale fu il prezzo che pagai per questa nuova drammatica scoperta: per oltre quindici/venti anni passando a pochi metri da dove cresceva sempre più rigoglioso non l’albero delle noci di Dario Brunori ma il mio albero felle noci controllavo la circonferenza del mio collo, e seppure da una certa distanza, cercavo di vedere se la circonferenza dell’albero avesse raggiunto quella del mio collo.

A questo punto due domande potrebbero sorgervi spontanee:

1) come mai non estirpai subito l’albero delle noci appena nato?

2) come mai sono ancora vivo?

E queste due intelligenti domande meritano altrettante intelligenti risposte.

Non estirpai la pianticina di noce perché amo la natura… e poi di anni prima che la circonferenza del tronco dell’albero delle noci raggiungesse la circonferenza del mio collo sarebbero comunque passati vari anni… e purtroppo passavano… e purtroppo sono passati.

Per quanto riguarda la risposta alla seconda domanda… siete proprio sicuri che io sia ancora vivo?!?

Un altro consiglio, sempre legato all’albero delle noci, che vi voglio dare (così come mi fu dato a me sempre in quei magici anni del “godi fanciullo”) è… non riposatevi o quantomeno non dormite mai sotto un albero delle noci.

Il motivo?

Sotto l’albero delle noci non c’è vegetazione e se non c’è vegetazione un motivo ci sarà.

L’albero delle noci, almeno in Calabria, continua ad essere un albero caro agli dei delle più disparate religioni del passato… e magari anche di qualcuna del presente.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace.


domenica 2 febbraio 2025

Giangurgolo e le altre maschere calabresi.

A sinistra: Giangurgolo, la più importante maschera calabrese, in una immagine ripresa dal web.

Articolo pubblicato sul Notiziario Sanfilese die lese di marzo del 2007.

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Arlecchino, Colombina, Pantalone, Brighella, Balanzone, Pulcinella e chi più ne ha più ne metta.

Ammettiamolo: tutte le maschere famose, è quasi il caso di dirlo, non si fermarono ad Eboli (parafrasando il titolo del capolavoro letterario di Carlo Levi) ma si fermarono a Napoli!

Ma... c’é stata qualche maschera di cui possiamo andare più o meno fieri anche noi Calabresi?

In effetti qualcuna c’é stata. Una in particolare ed un paio in tono minore.

La maschera principale, rappresentativa (si fa per dire) della Calabria, è quella di Giangurgolo. Maschera seguita a ruota da Pacchesicche e Coviello.

Pacchesicche è la maschera calabrese (in quanto “tipo”) più vicina ai giorni nostri. E’ questi uno studente o un abate a Napoli, che non è così ricco da ricevere da casa caciocavalli, salumi e sostentamenti vari e come tale deve accontentarsi di frutta secca.

Sembra uscito, di fatti, da un film di Toto’. Non guasterebbe, come personaggio infatti, una sua apparizione in “Miseria e Nobiltà”.

In un celebre mimo dialogato a quattro personaggi, la Canzone di Zeza, dove quest'ultima (Lucrezia) è la moglie di Pulcinella ormai vecchio e Tolla è la loro figliuola civetta, Pacchesicche è lo studente calabrese che fa la parte dell'innamorato.

Giusto il genero di Pulcinella poteva fare un calabrese nella commedia dell’arte.

Coviello, al contrario di Pacchesicche, riveste diversi ruoli: il servo astuto, il capitano, il ruffiano, il suonatore di mandola; è sempre pronto ad allietare la compagnia e a cantare dolci serenate sotto le finestre di belle fanciulle innamorate.

Il personaggio di Coviello lo ritroviamo anche in una famosa commedia di Molière, il Borghese Gentiluomo, dove ricopre il ruolo del servo astuto.

La maschera più famosa è rappresentativa della Calabria però è stata certamente quella di Giangurgolo.

Maschera, a dire il vero, anch’essa secondaria nell’ambito della commedia dell’arte italiana in quanto, diciamoci la verità, la Calabria aveva ben poco a che spartire con il resto dell’Italia e dell’Europa... almeno fino al 1799.

Giangurgolo deve il suo nome, secondo alcuni, a Giovanni Golapiena, per via del suo insaziabile appetito.

E’ disposto a tutto pur di arraffare qualcosa con cui saziarsi, anche a costo di rubare, se gli capita l'occasione di non essere scorto da nessuno.

Poi é pronto a giurare di non aver visto o sentito niente, perché Giangurgolo oltre che bugiardo si rifiuta di affrontare qualsiasi responsabilità: tanta la fame, ma tantissima la paura.

Questi era la caricatura del nobile siciliano, divenuta popolare in Calabria dopo il 1713, ossia dopo che, ceduta la Sicilia ai Savoia, molti blasonati che parteggiavano per la Spagna lasciarono l'Isola.

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Personalmente mi imbattei la prima volta nella maschera di Giangurgolo alla fine dell'anno scolastico 1977/1978. Frequentavo il primo anno dell'Istituto Tecnico Commerciale "G. Pezzullo" di Cosenza. 

Fu quello un anno, il 1978, tanto tremendo quanto formativo per noi giovani studenti italiani dell'epoca. Fu l'anno in cui si verifico anche l'omicidio di Aldo Moro e della sua scorta e qualche insegnante aveva e persino paura che non avremmo potuto terminare quell'anno scolastico: poteva succedere tutto (tipo un colpo di stato) ma fortunatamente, com'è nella regola (l'eccezione da noi è sempre più rara e sempre più catastrofica) del popolo del Bel Paese... non successe niente.

L'insegnante di lingua italiana dell'epoca (la professoressa Silvana Raffaeli), decisamente una delle poche insegnanti che ricordo con piacere per ciò che ha lasciato alla mia formazione, a fine anno ci diede una lista di libri da leggere... ne avremmo dovuto scegliere, e leggere durante le vacanze estive, almeno tre.

Tra i tre che scelsi io ce n'era uno dal titolo: Il Teatro Calabrese di Coriolano Martirano. Era un saggio ed io, abituato ai romanzi ed alle novelle, neanche sapevo, fino a quel momento, cosa fosse un saggio.

Quel libro mi aprì, mentalmente parlando, un nuovo mondo.

Il mondo, appunto, delle maschere calabresi. 

Maschere che, malgrado gli spagnoli abbiano da oltre un secolo e mezzo lasciato la guida della nostra regione (la Regione Calabria) ancora governano, i loro discendenti (mentalmente parlando), senza interruzione dal 1861, le nostre terre e le nostre teste.

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Un caro abbraccio a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.
... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!



martedì 31 dicembre 2024

Il 2025 secondo l'oracolo della Mano di Fatima... by Pietro Perri.

Non essendo bisestile come il 2024... abbiamo qualche speranza in più sul fatto che nel 2025 un asteroide non colpisca la Terra.

L'importante è sopravvivere fino a capodanno.

(Ore 23:45 del 31 dicembre del 2024)

Comunque secondo l'oracolo della Mano di Fatima (legato alla numerologia) il tutto cambia di poco: il 4 (audacia, saggezza, potere) con il 5 (felicità, ricchezza, matrimonio)  finale.

Ovviamente le definizioni tra parentesi, dei numeri 4 e 5, sono da interpretare.

Però se proviamo a decifrare il quattro nelle sue audacia/potere" anche le guerre ci stanno. Ciò che non ci sta è la saggezza dei leaders mondiali. Il cinque finale (del 2025) parla comunque di "felicità, ricchezza e matrimonio" il che a livello mondiale potrebbe comunque essere sinonimo di pace e ripresa economica.

Resta purtroppo il 2000 che significa "divorzio/divisione" (cosa che purtroppo, secondo la lettura dell'oracolo segnerà l'intero millennio), lo zero all'interno dei quattro numeri (segno di mancanza di qualcosa e quindi follia), il venticinque (Intelligenza e fertilità) ed il venti (tristezza è rigidità).

Il venticinque dovrebbe caratterizzare la prima parte dell'anno mentre il venti la seconda parte con il cinque di chiusura.

Quindi gli unici periodi legati a veri e propri disagi (economici o di semplice magari immotivata preoccupazione) dovrebbero essere tra i mesi di agosto e novembre. Con un mese di dicembre destinato come al solito alla chiusura del bilancio di fine anno. 

Un bilancio che, a confronto di questo che ci stiamo lasciando alle spalle, non dovrebbe essere, a livello internazionale, poi tanto brutto... anzi.

Sicuramente molto meno brutto del 2024.

Buon 2025 a tutti... by Pietro Perri.


(post work in progress) 

martedì 24 dicembre 2024

Auguri di Buon Natale a tutti gli amici (e non solo) affezionati lettori di questo blog.

A sinistra vediamo la scannerizzazione d'una stupenda cartolina augurale realizzata a mano (e su esemplare unico) da Franco Fato… un caro amico d'Oltreoceano (originario comunque di San Fili - CS) passato prematuramente a miglior vita qualche anno addietro.

Quindi non una semplice cartolina augurale ma un vero regalo dato con tutto il cuore. Un regalo con un dono che va oltre l’umano concepibile: il proprio tempo. Ed il proprio tempo si può regalare solo alle persone cui si tiene, per un motivo o per un altro, veramente.

Non ti ho ringraziato quando ne avevo il tempo ma lo faccio oggi con tutto il cuore: ovunque tu sia, Franco, grazie.

By Pietro Perri.

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Gesù di Nazareth Maria e Giuseppe.

Mi è sempre più difficile credere nella natura divina di Gesù figlio di Giuseppe e di Maria ma non metterò mai in dubbio (da uomo del dubbio) la sua vita terrena e ciò che hanno rappresentato lui e la sua famiglia per l’Umanità.

Gesù figlio di Giuseppe e di Maria è sinonimo di famiglia e non c’è nel mondo niente di più bello della propria famiglia. Un “bene prezioso” questo che sovente viene calpestato (neanche fossero “perle date ai porci” per rifarci ad una parabola dei Vangeli) sia a causa di stupide incomprensioni che perché vittime di una malsana società moderna che cerca di isolare gli individui forse per gestirli meglio.

Fuori dalla famiglia ed isolati non siamo niente: difendete così come l’ha difeso Maria di Nazareth questo enorme tesoro. Difendetelo anche a costo della vostra stessa vita. Difendetelo anche se i vostri stessi familiari non vi capiscono né vi capiranno mai.

L'ammetto: non credo in Cristo Figlio di Dio ma semplicemente in Gesù figlio dell'uomo, di Giuseppe e di Maria. E se devo dire quale sia la miglior famiglia mai vissuta sulla Terra... non posso non dire che quella è la famiglia composta da Giuseppe, Maria e Gesù. Una famiglia, questa, che si dimostra il tutto ed il contrario di tutto... ma sempre e comunque una famiglia che ha fatto della sua unità il punto di maggior forza: nella gioia e ancor più che nella gioia... nel dolore.

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Elogio a Maria di Nazareth... protettrice della famiglia.

(Da un mio post su Facebook).

Sarà che sono un uomo e sarà che non sono neanche padre (?) a differenza di Giuseppe "il carpentiere" che di figli ne aveva anche non suoi ma, credetemi, più passa il tempo e meno riesco a capire la psicologia femminile mossa d'amore materno.

Le madri, quest'universo magico... misterioso... strano: non sono tanto felici dei figli che sono loro amorevolmente e riconoscenti vicini nel momento del reale bisogno (si contentano di un semplice sguardo, un bacio, un sorriso, un abbraccio, una parola di conforto...) quanto soffrono per la mancanza del figlio ingiustificatamente assente.

E dei padri? ... meglio non parlarne: chi non ricorda infatti la "parabola del figliol fesso e del figliol prodigo"?

E poi? ... il capolavoro di Maria di Nazareth.

Maria di Nazareth? ... eccola lì spinta da amore materno intenta a consigliare al frutto "scapestrato" del suo ventre un po' di attenzione in più nel suo dire, nel suo fare e nello sfidare senza paura il potere costituito.

E lui? ... la scaccia in malo modo dalla sua presenza. Scaccia lei ed i suoi fratelli. Perché il destino scritto si compia.

Basterebbe ciò per convincere una persona sensata a prendere una strada diversa anche da ciò che considera la sua stessa carne. Un uomo, un padre potrebbe anche farlo.... ma una madre?

Ed eccola, Maria, ai piedi della croce non impegnata a rinfacciare al proprio frutto "scapestrato" del suo ventre le mille ed una colpa addebitantegli ma... Eccola, Maria, impegnata a piangere ai piedi del figlio che in quel drammatico momento le viene umanamente tolto.

Lo rivedrà in futuro? ... c'è chi le dice di sì. Lei intanto piange. Malgrado abbia ancora tanti altri figli suoi e tanti figli non suoi cui pensare.

Lei intanto piange... il figlio che non c'è e che forse non c'è mai stato se non nel suo cuore di madre.

Strani esseri le madri.

Ma forse ancor più strani (o gli unici esseri strani in questo stupendo non duplicabile rapporto/cordone ombelicale) siamo solo noi figli degeneri.

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Dio? ... prenditi una vacanza: evita che almeno a Natale qualcuno uccida nel tuo Santo Nome.

(Da un mio post su Facebook).

Il nemico dell'umanità non è l'islamismo ma è la religione.

Pensate che una volta la religione islamista si chiamava ebraismo. Poi si è chiamata cristianesimo ed infine - oggi - si chiama islamismo.

Nel corso dei secoli comunque ha avuto un solo nome: religione.

Ed il sangue versato è stato sempre lo stesso: quello della gente di strada. Solo poche volte quello di chi gestisce il potere e/o la finanza.

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E Dio incontrò Mose.

(Da un mio post su Facebook).

La prima cosa che - sembra - disse Dio a Mosè nell'incontro illuminato e riscaldato da un roveto ardente fu: "Togliti i calzari, sei su un luogo sacro!"

E noi dovremmo ricordarci di tale ordine ogni qualvolta, la mattina svegliandoci e scendendo dal letto, mettiamo i piedi per terra.

La terra (con rispetto per gli ospiti) è e resta un luogo sacro.

A proposito, qualche anno addietro sono stato al monastero di santa Caterina ai piedi del monte Sinai ed ho toccato il roveto che secondo la tradizione è quello da cui Dio ha parlato a Mosè.

Effetti strani (tipo incontri ravvicinati del terzo tipo)? ... nessuno.

Poi sono salito sul monte Sinai nel punto in cui secondo la tradizione è salito qualche migliaio di anni addietro anche Mosè e... ho visto Dio.

L'ho visto guardando - negli occhi - oltre il confine dell'infinito la bellezza del suo Creato.

Un abbraccio e tantissimi auguri a tutti di un Buon Natale ed un felicissimo anno nuovo.

*     *     *

Un caro abbraccio (ed ovviamente auguri di Buon Natale) a tutti dal sempre vostro affezionato Pietro Perri.

... /pace ma... “si vis pacem para bellum”!


(Da un post originale del 25 dicembre 2017)

mercoledì 11 dicembre 2024

C'era una volta piazza XV Marzo - forse - a Cosenza.

La foto a sinistra, ripresa da “Google maps” (tramite screenshot debitamente tagliato), ci mostra, ripresa dall'alto, una famosissima piazza di Cosenza.

Una piazza tanto famosa che ho paura persino di scriverne il nome non volendo fare una figura di (beep!) sbagliando di scrivere lo stesso.

Mi spiego: fino ai primissimi anni di questo secolo/millennio (che poi combaciando di fatto sono la stessa cosa) ero sicuro che tale piazza fosse piazza Prefettura (in virtù del fatto del "Palazzo del Governo" che vi si affaccia sulla sinistra nella foto) o piazza Alfonso Rendano (in virtù dell'omonimo Teatro che vi si affaccia sulla destra nella foto) ma poi...

E comunque ancora oggi se chiedete a tanti cosentini doc come si chiama tale piazza vi risponderanno, senza ombra di dubbio, che si chiama appunto "Piazza Prefettura" anzi no "Piazza Rendano". O è "Piazza Bilotti"... visto che all'ex sindaca di Cosenza Eva Catizone nel corso del suo mandato era venuta in testa la bella Idea di cambiare il nome di tale piazza da "Boh!" (mi si permetta la perdita di memoria) in, appunto, il nome del locale mecenate tra l'altro, all'epoca neanche passato a miglior vita.

Cosa che sembra abbia fatto poco dopo il nascere di tale idea.

Fortunatamente al caro Domenico Bilotti sarà intitolata un'altra stupenda Piazza di Cosenza ma non senza prima aver cacciato, con un bel calcio in c*lo, il precedente occupante col suo cognome che tanti dubbi aveva fatto venire in testa in altri tempi a chi si soffermasse solo sul cognome: da Piazza (Luigi?) Fera a piazza Bilotti il percorso burocratico fu decisamente breve. Dopotutto " Piazza Fera" altro non era se un vecchio sito periferico in cui anticamente si teneva un'importante fiera agricola... secondo certi dotti cosentini della domenica.

Il tutto alla faccia del povero Luigi Fera: medico professore e politico di caratura nazionale.

Ma forse ho deviato un po' troppo dal filo conduttore ovvero dal rispondere alla domanda... ma come (beep!) si chiama la piazza che si trova a Cosenza vecchia e sui cui lati si affacciano il palazzo che ospita l'Ente Provincia (non credo più la Prefettura), il Teatro Alfonso Telesio, la Biblioteca Civica ecc. ecc. ecc.?

Secondo me, cosa che scoprii, così come dissi all'inizio del post, nei primi anni di questo secolo/millennio, dovrebbe, o quantomeno potrebbe, chiamarsi Piazza XV Marzo.

Una data, quella del 15 marzo 1844, che ci riporta all'unica pagina storica accreditata ai cosentini a livello nazionale con riferimento, oltretutto, al nostro Risorgimento.

Una pagina storica, quella della sommossa cosentina del 1844, che persino i cosentini, forse orche realmente assenti in tale occasione, stentano a riconoscere come loro.

Dopotutto nella futura piazza XV Marzo c'erano tante teste calde i paesi vicini alla città capoluogo tranne che gente brucia (o se ce n'era qualcuno... sicuramente vi era in nome proprio e per proprio conto).

Ed all'epoca, nel 1844, quella era "Piazza dell'Intendenza".

Ma oggi, ripeto, "Piazza dell'Intendenza" poi "Piazza XV Marzo" poi (solo per i cosentini veraci) "Piazza Prefettura" o "Piazza Rendano" poi mancata "Piazza Bilotti" poi forse nuovamente "Piazza XV Marzo" poi... come (beep!) si chiama questa (beep?) di piazza?

Fortunatamente a risolvere il problema, negandoci ogni sorta di dubbio, ci viene in aiuto il motore di ricerca Google con la sua app collegata "Google maps": la piazza incriminata per volontà della "rete" si chiama, forse... a me qualche dubbio resta, "Piazza Coriolano Martirano" (bravissima persona che ho avuto oltre piacere di conoscere).

Una piccola domanda comunque permettetemi di pormela: secondo voi alla Prefettura, all'ente Provincia di Cosenza, alla Biblioteca Civica, al Teatro Alfonso Rendano, al Comune di Cosenza... qualcuno lo sa ancora come si chiamerà fino a domani mattina questa stupenda storica piazza?

Una piazza cui siamo forse affezionati più noi residenti nei borghi alla periferia della Città dei Bruzi che i cosentini stessi?

By Pietro Perri.